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IV Domenica di Pasqua – C'è una sola pecora, l'Agnello, che ha infilato la via della morte e ha tramutato la via della morte nella via della vita per sè e per tutti.

buon pastore priscilla jpgLa figura del Cristo pastore è un autentico mistero o,meglio, è una di quelle dimensioni del mistero cristiano, particolarmente del mistero pasquale, più sottolineate dalla divina pedagogia: penso che molti di quelli che oggi sono qui abbiano ben presente, frase per frase, questo capitolo decimo del Vangelo di Giovanni e possano avere altre volte meditato su singole espressioni, come quella del v. 1 che dice: « chi sale [nel recinto delle pecore] da un’altra parte è un ladro» ; oppure quella del v. 2: « chi entra per la porta è il pastore delle pecore» a cui il portinaio apre e le pecore conoscono la sua voce e lui le conduce fuori chiamando ciascuna per nome » ( cfr. v. 3).
Ognuna di queste espressioni, ognuno di questi sostantivi, verbi e aggettivi ci sono presenti, e certamente abbiamo abbastanza chiari tanti aspetti di questo Evangelo che si compongono nella comprensione del nostro rapporto con Cristo, via del Padre, e del nostro rapporto con Dio.
            Perciò stamani non vorrei sottolineare in particolare questo o quel versetto, ma – anzitutto per me stesso e, forse, con qualche utilità per voi – vorrei cercare di mettere nell’Eucaristia una considerazione più vigorosa, complessiva, di questa dimensione del mistero di Cristo pastore.
Infatti noi siamo sviati e ammorbiditi da tante immagini, che si sovrappongono all’evangelo e alla parola di Dio, a proposito di pastori, pecore, pastorelle e altre cose di questo tipo.
Dovremmo completamente toglierci dagli occhi e dall’immaginazione tanti quadretti oleografici e non pensare ai flauti, ai pifferi, al riposo meridiano e alle rivelazioni delle ninfe o di Pan ….; niente Arcadia in nessuna maniera. E niente di quello che di bello e di grande è stato lasciato in eredità al patrimonio degli umanisti di tutti i tempi dalla letteratura greca o dalla letteratura latina, dai lirici o da Virgilio: niente di tutto questo.
    Per essere realisti diciamo che la figura del pastore, come si presenta nella Bibbia e nel mondo biblico, è una figura drammatica, una figura dura e drammatica: non c’è arcadia, non c’è riposo, non ci sono soste meridiane sotto il rezzo delle piante …
[…]Del resto le primissime raffigurazioni cristiane – non quelle successive – che si trovano nelle catacombe, per esempio nella catacomba di Priscilla, ci danno un’immagine del pastore abbastanza giovanile,però molto vigorosa,asciutta, e per nulla addolcita.
[…]Quanto e drammatico questo tema del pastore anche nell’Antico Testamento!
Vita dura quella del pastore, vita dura quella delle pecore: il caldo, la sete, la minaccia di non trovare l’acqua al momento giusto, le notti terribili, l’urlo delle belve, la possibilità estrema che il pastore debba giocare l’esistenza per salvarsi e per salvare il suo gregge. La lotta corpo a corpo con i nemici, con i lupi, con le belve: quest’ombra percorre tutta la rivelazione e i salmi la indicano con un appellativo che non e per nulla attenuante: il leoncello in agguato (cfr. Sal 17,12; 104,21).
Ecco l’altro aspetto di Dio pastore: un dramma, un’esistenza impegnata a lottare per il suo gregge e a rischiare per lui.
Dio sa che il suo gregge e consegnato alla morte non per scelta sua a causa del peccato, e perciò è deciso a lottare per ristabilire le cose come avrebbero dovuto essere, si impegna, rischia, lotta in una contraddizione continua anche lui, anche Dio, il pastore di Israele. E questa contraddizione poi esplode e si manifesta in Cristo: la sua vita, la sua morte.
E se queste righe del Vangelo di oggi, una per una, ci commentano il dramma, in realtà tutto il racconto evangelico presenta questo dramma, che Cristo percepisce fin dal principio. Comincia già nella prima parte delle narrazioni evangeliche a porsi come il pastore che sente le sue viscere appassionatamente commosse per questo gregge senza pastore (cfr. Mt 9,36; Me 6,34), anzi, per questo gregge che ha per pastore la morte (cfr. Sai 49,15), che è tutto circondato dalle belve che tentano di aggredirlo e di disperderlo.
[…] Il mondo, gli uomini, l’umanità intera è un grande gregge, un grande gregge di alienati.  […] Un gregge di alienati sottoquale potere?   Sotto il potere supremo della morte, perché c’è un pastore per l’umanità e si chiama morte. E’ un gregge avviato agli inferi, allo sheol, il suo pastore è la morte ed è un pastore che rinchiude tutto questo gregge nel suo ovile e che non si lascia scappare una sola pecorella: non ce n’è una che si smarrisca per strada e che non infili la via dello sheol.
Il pastore vero dell’umanità, nella sua prospettiva naturale dopo il peccato, è un pastore che non ha mai pecorelle smarrite e che tiene sotto la sua guida e il suo dominio tutta l’umanità: non ce n’è una che per sbaglio si smarrisca ed imbocchi la via della vita, la via dell’immortalità. È un tipo di deviazione che non si dà. Se si potesse sperare in questa deviazione e qualcuno, per sbaglio, invece di infilare la porta dello sheol infilasse la porta della vita! Non si dà.
C’è una sola pecora, l’Agnello, che ha infilato la via della morte e ha tramutato la via della morte nella via della vita per sè e per tutti.
[…] Cristo sente drammaticamente il suo essere in mezzo a loro come l’unico e sa che nella passione si verificherà che, colpito il pastore, le pecore si disperderanno (cfr. Mt 26,31}. Dovrà risorgere per potere nuovamente riunire il gregge; se non risorgerà, nonostante tutti gli insegnamenti già dati nella sua vita, il gregge non si riunirà più.
[Nell’Apocalisse] Cristo, vin­citore finale e trionfatore ultimo, nel momento in cui avrà distrutto il pastore antagonistico in maniera definitiva, non solo in se ma in tutti i figli di Dio, in quel momento apparirà ancora come pastore (cfr. Ap 7,17), ma come un pastore che, nonostante l’infinita dol­cezza, mostra di nuovo una grande forza e una certa durezza, perché è il pastore che pascerà i popoli e gli uomini con una verga di ferro (cfr. Ap 12,5; 19,15). Non con un fuscello, con un mazzetto di fio­ri, con un ramo di ciliegio fiorito, ma con una verga di ferro.
E al ca­pitolo settimo l’Apocalisse arriva a dire che il pastore che pascerà gli uomini con verga di ferro è l’Agnello che sta in mezzo al trono (cfr. 7,17). Paradosso delle immagini che sembrano contraddirsi e negar­si a vicenda, e che invece fanno esplodere il mistero: Agnello perché vittima sgozzata e, insieme, trionfatore, ma con tutti i segni della sua passione, della sua morte, del suo assoggettamento al pastore dell’umanità che è la morte.
Un riscatto, una liberazione, come si dice nel testo di Giovanni: le pecore andranno fuori, entreranno e usciranno (cfr. Gv 10,3.4.9). Che coca vuole dire?
Stamattina a mattutino abbiamo sentito una stupenda interpretazione di Gregorio, stupenda ma forse meno vera di questa di Giovanni che sottolinea l’estrema libertà delle peco­re.
Esse andranno, verranno e troveranno i pascoli; saranno libere di essere sempre guidate dall’unico pastore, senza coazione, in una li­bertà nuova che finalmente le riscatterà da ogni alienazione; potran­no andare e venire nella spontaneità profonda e nuova dello Spirito, incontrare cosi la verità e il bene, i pascoli eterni.
Ma allora questo Agnello che è il pastore, questo Agnello che è sgozzato e, insieme, trionfante, che è dolcissimo e porta le sue pecor­e, quelle che hanno riconosciuto la sua voce e che l’ascoltano, ai pas­coli della verità, della libertà e del bene, incondizionati e senza limit­i, tuttavia resta, anche al di là della storia, coi segni della sua regalità potentissima: con la verga di ferro. Segno di un dominio che ormai è vittorioso e definitivo, che si addolcisce per i suoi e si indurisce invece per coloro che non hanno riconosciuto la sua voce, che si sono rifiuta­ti al suo amore, che lo hanno rinnegato e, quando lo hanno incontra­to nella durezza della croce e della passione, non sono stati capaci di seguirlo attraverso il grande varco per il quale, solo, si può vincere. Questo varco è la porta della vita, si, ma è a un tempo, per se, un in­gresso di morte inevitabile.
All’inizio questa porta non presenta la vi­ta, presenta la morte: il pastore stesso è l’Agnello sgozzato. C’e una grande durezza in tutto questo, una durezza che poi si addolcisce, si dilata, si libera, ma che, per altro, sconvolge tutti i nostri calcoli e sconvolge, nella prospettiva integrale del mistero, ogni nostro modo riduttivo, addolcente e attenuante di intendere la realtà del pastore.
Ecco un incrocio di cose affastellate, di immagini che si incalza­no, che ho richiamato solo in modo sincopato, con lo scopo di dire a me stesso e a voi che dobbiamo essere attenti a tutti gli aspetti del mistero per non perderne mai uno, anche se la nostra mente si smar­risce, perché sembra che invece di incontrare la via della luce incon­tri la via dell’oscurità, invece della via della chiarezza la via della confusione.
Ma sappiamo che la chiarezza vera non è quella semplificatrice che si rifiuta di entrare nei meandri di questi contrasti, ma e quella che si può acquistare soltanto se noi, secondo la prova e secondo la grazia che momento per momento ci viene data, assumiamo tutte le apparenti contraddizioni di questa rivelazione. Immergendoci in essa e ad essa abbandonandoci, lasciamo poi che il Signore ricomponga la sintesi, l’unità e la chiarezza, in ogni tappa della nostra esistenza, al di là degli inevitabili incontri, che ciascuno di noi deve affrontare, con la contraddizione, l’oscurità, lo smarrimento, la confusione.
Il Pastore ci guida cosi. La sua via a inevitabilmente la via del de­serto, la via della sete, del pericolo, della croce, la via di una grande forza che non è la nostra, impotente di fronte a tutto questo, ma che è la sua e a noi può venire soltanto nella fede che egli ci ama e che e venuto per dare la vita per noi. E l’ha veramente data e, dandola, ha dato a noi la vita, quella vera, in piena sovrabbondanza.  (G. Dossetti, Omelie del tempo di Pasqua).
Il barcone pieno di immigrati che sbandando sotto la guida di un trafficante di esseri umani, affonda senza che la quasi totalità di coloro che sono a bordo possa salvarsi, non è solo la descrizione dell’ultima terribile tragedia della povertà, ma è anche una terribile metafora della nostra società europea.
L’Europa in questi giorni appare davvero come un barcone pieno di noi europei che rischia di affondare con tutti i nostri valori e la nostra storia, nel mare di egoismo e interessi che crea onde altissime e minacciose. Si sta facendo qualcosa per il numero sempre maggiore di profughi che schiavizzati sono ingannati e poi costretti a salire su gommoni fragili e pescherecci malandati verso l’Europa, ma è ancora troppo poco.
Nel Vangelo Gesù si autodefinisce il “buon pastore”, che tradotto meglio è “l’unico vero pastore”, che non solo si prende cura delle pecore che conosce personalmente, ma addirittura dà la sua vita per loro. Gesù non è una delle tante guide, ma è “la guida” sicura del popolo che cerca una strada che porta a Dio e verso i fratelli.
E il “buon pastore” è contrapposto al mercenario, che fa il lavoro del pastore ma non guidato da sentimenti positivi se non quelli proprio guadagno. Al mercenario non importa delle pecore e alla prima difficoltà fugge.
E qui ritorna secondo me in modo drammatico una metafora della nostra Europa, e di noi europei.
Molte volte ci è stato detto che l’unità economica era solo un primo passo verso una unità più profonda e vera, ma questo passo non sembra esser stato fatto, e la nostra comunità continentale è di fatto solo sulla base degli interessi economici e non di quelli umani e di solidarietà.
Le crisi internazionali, le guerre e violenze in Africa e in Medioriente, spingono migliaia di poveri uomini e donne a fuggire verso porti più sicuri, ma noi sembra siamo più preoccupati di chiudere le frontiere, bloccare i barconi e difenderci nei nostri interessi.
E’ questa l’Europa dalle radici cristiane?
E’ questo il buon pastore Gesù che noi cristiani dovremmo rappresentare oggi?
O piuttosto siamo come dei mercenari e con la mentalità del mercenario che fa tutto solamente se ha un guadagno immediato e tangibile?
Penso che l’immagine di Gesù buon pastore, vero pastore che dona la vita, diventi una provocazione per noi cristiani di oggi, per riscoprire la nostra vocazione alla cura del prossimo e del più debole, pronti anche a perdere qualcosa senza guadagnare nulla se non la cosa più importante, il fratello e la sorella che prendiamo sulle nostre spalle come Gesù. (don Giovanni Berti)
 

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