SS. TRINITÀ – Dio è comunità, vita condivisa, dedizione e donazione reciproca, comunione gioiosa di vita. Dio è insieme colui che ama, l’amato e l’amore.
La festa della Ss. Trinità è la festa di un Dio che non ha smesso di amare ognuno di noi e che chiede di allargare gli spazi in cui lui possa amare. Ed è proprio questo il compito della comunità, oggi: dire al mondo che c’è un Dio che ama e portare a Dio un mondo bisognoso di amore. La Ss. Trinità è un Dio Amore, il cui annuncio passa anche dalla testimonianza della nostra vita. (Monsignor Nunzio Galantino)
Il “mistero della Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo” sembra all’uomo occidentale una sorta di algebra divina: come l’uno può essere tre e il tre uno? ( D. Giuseppe Dossetti )
Il Vescovo Tonino Bello (grande pastore di Molfetta, e uomo di profondissima spiritualità evangelica, morto nel 1993) racconta di come lui un giorno cercò di preparare una omelia sulla Trinità e di come un prete lo aiutò a trovare la soluzione più vera, e che era la più semplice.
“Carissimi fratelli, l’espressione me l’ha suggerita don Vincenzo, un prete mio amico che lavora tra gli zingari, e mi è parsa tutt’altro che banale. Venne a trovarmi una sera nel mio studio e mi chiese che cosa stessi scrivendo. Gli dissi che ero in difficoltà perché volevo spiegare alla gente (ma in modo semplice, così che tutti capissero) un particolare del mistero della Santissima Trinità: e cioè che le tre Persone divine sono, come dicono i teologi con una frase difficile, tre relazioni sussistenti. Don Vincenzo sorrise, come per compatire la mia pretesa e comunque, per dirmi che mi cacciavo in una foresta inestricabile di problemi teologici. Io, però, aggiunsi che mi sembrava molto importante far capire queste cose ai poveri, perché, se il Signore ci insegnato che, stringi stringi, il nucleo di ogni Persona divina consiste in una relazione, qualcosa ci deve essere sotto… Colsi l’occasione per leggere al mio amico la paginetta che avevo scritto. Quando terminai, mi disse che con tutte quelle parole, la gente forse non avrebbe capito nulla. Poi aggiunse: “Io ai miei zingari sai come spiego il mistero di un solo Dio in tre Persone? Non parlo di uno più uno più uno: perché così fanno tre. Parlo di uno per uno per uno: e così fa sempre uno. In Dio, cioè, non c’è una Persona che si aggiunge all’altra e poi all’altra ancora. In Dio ogni Persona vive per l’altra.” (da un omelia del 12 aprile 1987)
Quando noi cristiani confessiamo la Trinità di Dio, vogliamo affermare che Dio non è un solitario, chiuso in se stesso, ma un essere solidale.
Dio è comunità, vita condivisa, dedizione e donazione reciproca, comunione gioiosa di vita. Dio è insieme colui che ama, l’amato e l’amore.
Confessare la Trinità non vuol dire soltanto riconoscerla come principio, ma anche accettarla come modello ultimo della nostra vita.
Quando affermiamo e rispettiamo le diversità e il pluralismo tra gli esseri umani, in pratica confessiamo la distinzione trinitaria di persone.
Quando eliminiamo le distanze e lavoriamo per realizzare l’uguaglianza effettiva tra uomo e donna, tra i fortunati e gli sventurati, tra i vicini e i lontani, affermiamo nella pratica l’uguaglianza delle persone della Trinità.
Quando ci sforziamo di avere «un cuor solo e un’anima sola» e di imparare a mettere tutto in comune, perché nessuno abbia a patire l’indigenza, stiamo confessando l’unico Dio e accogliamo in noi la sua vita trinitaria. (Vescovi di Navarra e del paese Basco, Creer hoy en el Dios de Jesucristo, pasqua 1986)
Cerchiamo di ascoltare il brano evangelico previsto dalla liturgia, la conclusione del vangelo secondo Matteo.
“In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.”
Questa espressione con l’articolo determinativo, “il monte”, è apparsa al capitolo 5, quando Gesù proclama le beatitudini su “il monte”.
Allora l’evangelista vuol dire che situarsi in Galilea su il monte significa situarsi nel cuore del messaggio di Gesù, le beatitudini.
Le beatitudini invitano l’uomo a orientare la propria esistenza al bene dell’altro.
“Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.“
Ma di che cosa dubitano?
Non che sia risuscitato, lo vedono!
Non che in Gesù ci sia la condizione divina, si prostrano!
Di che cosa dubitano?
L’unica volta che c’è il verbo “dubitare” in questo Vangelo è al capitolo 14, quando Pietro pretese di camminare sulle acque – e questo significava avere la condizione divina – ma incominciò ad affogare. E Gesù lo rimproverò: “uomo di poca fede, perché dubitasti? (Mt 14,32).
Allora in questo brano questa espressione “dubitare” dei discepoli si riferisce a che cosa? Anche loro pensano di avere la condizione divina, di arrivare alla condizione divina come Gesù, ma capiscono attraverso cosa è passato Gesù: l’ignominia della croce.
Allora dubitano di se stessi, non sanno se saranno anch’essi capaci di affrontare la persecuzione, la sofferenza e il martirio per arrivare alla condizione divina.
Gesù, nonostante questa loro esitazione, li manda.
Dice: “ Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato.”
Il verbo battezzare significa “immergere, inzuppare, impregnare. … È compito della comunità dei credenti di andare verso gli esclusi, verso gli emarginati, verso i rifiutati dalla religione e proprio a loro far fare una esperienza – di questo si tratta – della pienezza dell’amore del Padre, colui che da la vita, del Figlio, colui nel quale questa vita si è pienamente realizzata, e dello Spirito, questa energia vitale.
“Insegnando”.
E’ la prima volta nel Vangelo di Matteo che Gesù autorizza i discepoli ad insegnare. Non li autorizza ad insegnare una dottrina, ma una pratica: infatti “a praticare e a osservare tutto ciò che io vi ho comandato”.
… Non una dottrina da proclamare, ma una pratica da insegnare, “insegnate a praticare le beatitudini”, ““insegnate a praticare la condivisione per amore, il servizio reso per amore”.
Se c’è questo – ecco la garanzia – “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
…. Non si tratta di una scadenza, ma di una qualità di presenza; non c’è nessuna fine del mondo, Gesù non mette paura, Gesù assicura che se ci sono queste condizioni di andare comunicando amore, lui è sempre presente nella sua comunità e questo “per sempre” quindi non è una scadenza, ma una qualità della sua presenza. (A. Maggi )
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