XXV Domenica del T.O. – Essere povero, umile e piccolo è la caratteristica propria di Dio che, divenuto Figlio dell’uomo, si è fatto ultimo di tutti e servo di tutti.
Tutti i brani del Vangelo di Marco che stiamo esaminando in queste domeniche sembrano avere un dato in comune: la difficoltà di Gesù con i suoi discepoli.
Non ne vogliono sapere di comprendere chi egli sia e quale sia il suo programma. …[ Essi ] non è che non capivano, non accettavano quello che Gesù diceva. (A. Maggi )
Mentre, infatti, Gesù annunzia la sua Passione, i discepoli, inebriati dalla logica del mondo, pensano a competere, a primeggiare, a imporsi l’un l’altro: «Chi è il più grande?».
Non solo non comprendono, ma – annota l’evangelista Marco – «avevano timore di chiedergli spiegazioni».
Un atteggiamento, quello dei discepoli, talora presente ancora oggi, in ciascuno di noi, dinanzi alle richieste di Gesù.
Abbiamo «timore di chiedergli spiegazioni», abbiamo paura cioè di andare fino in fondo nella sua sequela, paralizzati dal timore di capire e, di conseguenza, dover cambiare tanti nostri comportamenti.
A cominciare da quelli denunciati da Giacomo (seconda lettura): l’arroganza del potere, l’invidia, la conflittualità nelle sue forme più varie.
Ci accontentiamo così di far convivere in noi Vangelo e interessi estranei a esso, la Parola di Dio e i nostri “trafci” segnati dall’egoismo. La nostra paura di capire e dover cambiare arriva no al punto che – come ricorda la prima lettura – a volte facciamo di tutto per rendere innocuo “il giusto”, che ci mette dinanzi alle nostre responsabilità. ( N. Galantino )
Alla brama di primeggiare nell’avere, nel potere e nell’apparire Gesù sostituisce il desiderio di servire. Questa è la grandezza di Dio. Essendo amore, non afferma se stesso a spese dell’altro, ma lo promuove a sue spese; non si serve dell’altro, ma lo serve; non lo spoglia di ciò che ha, ma si spoglia, a suo favore, di tutto, anche di sé. Essere povero, umile e piccolo è la caratteristica propria di Dio che, divenuto Figlio dell’uomo, si è fatto ultimo di tutti e servo di tutti.
La vera grandezza del discepolo è diventare come il Maestro. ( C. M. Martini )
Tutta la vita dell’uomo in altro non consiste che nel gettare via tutto, nello spogliarsi di tutto e di sé, per essere ?preda? di Dio in Cristo, sicché l’uomo non abbia nel mondo più nome, più famiglia, più patria, non professione o ricchezza o sapienza o bontà ? più nulla. (Divo Barsotti)
Stiamo attenti alla radicalità espressa da Gesù nel vangelo secondo Marco. Se c’è qualcuno che pensa di poter giungere al primo posto della comunità, allora per lui è semplice: si faccia ultimo, servo di tutti, e si troverà a essere al primo posto della comunità. Non ci sono qui dei primi designati ai quali Gesù chiede di farsi ultimi, servi, ma egli traccia il cammino opposto: chi si fa ultimo e servo di tutti si troverà ad avere il primo posto, a essere il primo dei fratelli.
Sì, un giorno nella chiesa si dovrà scegliere chi deve stare al primo posto, chi deve governare: si tratterà solo di riconoscere come primo colui che serve tutti, colui che sa anche stare all’ultimo posto. Gesù confermerà e anzi amplierà questo stesso annuncio poco più avanti: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servo, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti” (Mc 10,42-44).
E invece sappiamo cosa accadrà in ogni comunità cristiana: si sceglierà il più brillante, il più visibile, quello che s’impone da sé, magari il più munito intellettualmente e il più forte, addirittura il prepotente, lo si acclamerà primo e poi gli si faranno gli auguri di essere ultimo e servo di tutti. Povera storia delle comunità cristiane, chiese o monasteri… Non a caso gli stessi vangeli successivi prenderanno atto che le cose stanno così, e allora Luca dovrà esprimere in altro modo le parole di Gesù: “Chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve” (Lc 22,26). Ma se la parola di Gesù fosse realizzata secondo il tenore del vangelo più antico, allora saremmo sempre fedeli al pensiero e alla volontà di Gesù! ( Bianchi )
“E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».”
Questo gesto del Signore, cioè di abbracciarlo, ha particolarmente questo significato: vuol mettere in evidenza la particolare presenza del Signore nei piccoli; essi non solo sono modello ma sacramento di fede.
Per questo sono tanto preziosi che non possono essere profanati.
D’altra parte la loro grandezza è ricondotta a Cristo e a Dio: sono preziosi perché in essi il Signore è presente al di là della loro realtà umana, essi sono una presenza del Cristo e di Dio che li fa più grandi perché c’è Lui: è Lui che ha scelto le cose più piccole per rendersi presente; chi accoglie loro ecc. non è tanto che essi possono dare, ma è in virtù della loro presenza che comunicano Dio… ecco perché li abbraccia» (d. Giuseppe Dossetti, appunti di omelia, Betania, 12.9.1976).
Al termine di questo brano evangelico soprattutto chi è pastore nella comunità (ad esempio, per ora, anch’io) si domandi se, tenendo il primo posto, essendo chi presiede, il più grande, sa anche tenere l’ultimo posto e sa essere servo dei fratelli e delle sorelle, senza sogni o tentativi di potere, senza ricerca di successo per sé, senza organizzare il consenso attorno a sé e senza essere prepotente con gli altri. Da questo dipende la verità del suo servizio, che potrà svolgere più o meno bene, ma senza desiderio di potere sugli altri o, peggio ancora, di strumentalizzare gli altri. Nessuno può essere “pastore buono” come Gesù (Gv 10,11.14), e le colpe dei pastori della chiesa possono essere molte: ma ciò che minaccia il servizio è il non essere servi degli altri, il fare da padrone sugli altri. ( Enzo Bianchi )
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