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XXVI Domenica del T.O. – Cristo trascende le frontiere di ogni comunità cristiana e può operare il bene in molte forme attraverso la potenza del suo Spirito santo, che “soffia dove vuole”.

Gesù parla ai discepoli mGesù sta continuando il cammino verso Gerusalemme insieme ai suoi discepoli, ma il clima comunitario non è pacifico: … tra Gesù e la sua comunità vi è distanza, incomprensione.
Se il passo di Gesù è sempre convinto, con uno scopo preciso che gli richiede una radicale obbedienza, quello dei discepoli è invece incerto e sbandato.
Nel vangelo secondo Marco tutto il viaggio verso la città santa sarà caratterizzato da questa tensione tra Gesù e i suoi, dall’incomprensione da parte di tutti, nessuno escluso.
Ed ecco, puntualmente, un nuovo episodio che attesta tale stato di cose: Giovanni, il fratello di Giacomo […] vede un tale che scaccia demoni, compie azioni di liberazione sui malati nel nome di Gesù, pur non facendo parte della comunità, dunque non seguendo Gesù con gli altri discepoli.
Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva
Cosa c’è in questa reazione di Giovanni? Certamente uno zelo mal riposto, ma uno zelo che rivela un amore per Gesù, una gelosia nei suoi confronti: se uno usa il nome di Gesù, dovrebbe seguirlo e dunque fare corpo con la sua comunità…
Mescolato a questo sentimento vi è però anche uno spirito di pretesa, il pensiero che solo i Dodici siano autorizzati a compiere gesti di liberazione nel nome di Gesù; c’è un senso di appartenenza che esclude la possibilità del bene per chi è fuori dal gruppo comunitario; c’è la volontà di controllare il bene che viene fatto, affinché sia imputato all’istituzione alla quale si appartiene.
Sono qui ritratte le nostre patologie ecclesiali, che a volte emergono fino ad avvelenare il clima nella chiesa, fino a creare al suo interno divisioni e opposizioni, fino a fare della chiesa una cittadella che si erge contro il mondo, contro gli altri uomini e donne, ritenuti tutti nello spazio della tenebra.
Dobbiamo confessarlo con franchezza: negli ultimi trent’anni il clima della chiesa è stato avvelenato in questo modo e tale malattia non è ancora stata vinta.
Vi sono movimenti ecclesiali che si ergono a giudici degli altri, che si ritengono una chiesa migliore di quella degli altri.
Vi sono cristiani che, con certezze granitiche, giudicano gli altri fuori della tradizione o della chiesa cattolica e aspettano di poter ascoltare da parte dell’autorità ecclesiastica condanne verso quanti non somigliano a loro o non fanno parte del loro movimento, che cede a tentazioni settarie.
Non possiamo negare che molti hanno dovuto soffrire e sentirsi figli bastardi, poco amati da una chiesa che privilegiava altri in quanto militanti, facili e ben disposti a essere ingaggiati in battaglie contro il mondo.
Guai alla comunità cristiana che pensa di essere chiesa autentica, guai all’autoreferenzialità e all’autarchia spirituale, atteggiamenti di chi pensa di non avere bisogno delle altre membra, perché si crede lui il corpo di Cristo (cf. 1Cor 12,12-27).
Cristo è Signore, è il Signore di tutta la chiesa e lui solo conosce i suoi (cf. 2Tm 2,19): non spetta dunque ai suoi, o ai pretesi suoi, giudicare altri come zizzania, fino a tentare di estirparli (cf. Mt 13,24-30). Cristo trascende le frontiere di ogni comunità cristiana e può operare il bene in molte forme attraverso la potenza del suo Spirito santo, che “soffia dove vuole” (Gv 3,8). Nella chiesa, purtroppo, si soffre di questa malattia dell’“esclusivismo” e facilmente non si riconosce all’altro la capacità di compiere il bene, di operare per la liberazione dell’uomo dai mali che lo opprimono. ( E Bianchi )
I discepoli senza pensare, volevano chiudersi intorno a un’idea: soltanto noi possiamo fare il bene, perché noi abbiamo la verità. E tutti quelli che non hanno la verità non possono fare il bene.
[…] Chi può fare il bene e perché? Cosa significa questo “non glielo impedite” di Gesù? Cosa c’è dietro?
I discepoli erano un po’ intolleranti, ma Gesù allarga l’orizzonte e noi possiamo pensare che dica: Se questo può fare il bene, tutti possono fare il bene. Anche quelli che non sono dei nostri.
[…] Il Signore ci ha creati a sua immagine, e se lui fa il bene, tutti noi abbiamo nel cuore questo comandamento: Fai il bene e non fare il male. Tutti.
[…] Questa è anche una bella strada verso la pace. Se infatti ognuno fa la sua parte di bene, e lo fa verso gli altri, ci incontriamo facendo il bene.
E così costruiamo la cultura dell’incontro; ne abbiamo tanto bisogno. Nessuna preclusione, dunque, nei confronti degli atei e di chi la pensa in modo diverso: Fa’ il bene, ci incontriamo là poiché su questa strada di vita il Signore parlerà a ciascuno nel cuore.
Fare il bene è un dovere, è una carta di identità che ha dato a tutti il nostro Padre, perché ci ha fatto a sua immagine e somiglianza. E lui fa il bene sempre. (dalle Omelie di papa Francesco a Santa Marta, 22 maggio 2013: Mc 9, 38-40).
 Molto spesso quest’estate, nelle ore più calde del giorno, mentre lavoravo in giardino, vedevo scendere il giovane Rabah, figlio di Mohamed, che portava l’acqua a suo padre e ai suoi zii.
Mai una volta che si sia scordato di fermarsi da me, facendo una deviazione, per porgermi il bidone dell’acqua (el ma te shreb).
Si, ho bevuto e ho bevuto nel suo bel sguardo il Dono. Ho visto venire tra noi il regno del Dono. Come è bella la nostra missione di Chiesa qui: ricevere (Frère Christophe Lebreton: “La table et le pain pour les pauvres” 25 settembre 1994).
 […]il Signore ci educa ad andare oltre, ad aprire il cuore e a saper scorgere la sua presenza anche in luoghi e persone “non autorizzate”. Un chiaro invito a preoccuparci più dell’autenticità e coerenza della nostra fede, che non di come o da chi essa venga diffusa.
In questa direzione vanno le esigenti richieste che Gesù rinnova ai suoi discepoli – allora come oggi – per vivere il Vangelo senza ambiguità.
Guardarsi dallo scandalizzare “i piccoli”, eliminare dalla nostra vita ciò che ci fa ostinatamente “inciampare” (“scandalo” significa “inciampo”) nel cammino di fede, anche se ciò richiede sacrificio: ecco cosa Gesù si attende da noi, che diciamo di voler essere suoi discepoli. ( N. Galantino)
“Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue”
Tutti noi siamo membra di un solo ed unico Corpo; […Gesù] è venuto a salvare tutti, affinché nessuno vada perduto. E invece noi facciamo prima a “tagliarci” di un fratello che tagliarci un piede, una mano.
Facciamo prima a strappare la dignità ad un fratello, il suo pane, il suo lavoro… che strapparci un occhio. (Père Christian de Chergé: “L’autre que nous attendons” 29 settembre 1985).
 

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