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Omelia del nostro Vescovo Vincenzo nella celebrazione eucaristica per il mandato ai catechisti, ai ministri straordinari della comunione e agli operatori delle caritas

Comuinone beato Angelico rIn continuità con l’Assemblea Diocesana del 2 ottobre u.s. in Montemaggiore Belsito, per la consegna delle Indicazioni Pastorali, ci incontriamo questa sera per la liturgia del Mandato degli Operatori Pastorali, liturgia durante la quale viene manifestato l’impegno di quanti sono chiamati ad esercitare il ministero di catechisti ed evangelizzatori, il ministero al servizio della santa liturgia e il ministero della carità.
Saluto tutti affettuosamente e con particolare gratitudine saluto i vostri presbiteri che vi accompagnano in questo cammino pastorale.
La nostra Chiesa, ha bisogno della vostra cooperazione e del vostro intelligente ed efficace servizio. Il futuro della Chiesa in una società che cambia rapidamente esige, già fin d’ora, una partecipazione dei laici molto più attiva.
Perché si realizzi questo tipo di servizio è indispensabile non conformarsi alla mentalità di questo mondo che cerca visibilità e potere. Qualunque servizio all’interno della Chiesa non è destinato a creare centri di potere, e chi vuole essere il primo si metta al servizio degli altri, ci dice Gesù.
La sollecitudine per la catechesi, sotto la guida e la responsabilità dei pastori di anime, riguarda tutti i membri della Chiesa. Soprattutto i genitori sono tenuti prima di tutti gli altri, all’obbligo di formare, con la parola e l’esempio, i figli nella fede e nella pratica della vita cristiana; sono vincolati da una pari obbligazione, coloro che ne fanno le veci e i padrini. (cfr. can 774).
La catechesi deve educare alla fede prima ancora che preparare ai sacramenti.
Da anni stiamo parlando di “emergenza educativa”, dando per scontato che essa riguarda i giovani e i ragazzi a cui l’educazione è rivolta. In realtà oggi il problema riguarda innanzitutto noi adulti, riguarda tutti gli educatori, gli insegnanti, gli operatori pastorali di ogni grado.
A chi subisce la tentazione di tirarsi indietro, a chi si schermisce, a chi si rifiuta il Signore ripete: “chi mette mano all’aratro e si volge indietro non è degno di me”.
Come sempre il Papa ci stupisce con i suoi gesti e con la sua spontaneità. Il 21 agosto scorso, memoria liturgica di san Pio X, il Santo Padre recatosi in Basilica Vaticana per la devozione a Papa Pio X, decise di fermarsi insieme a un gruppo di fedeli per partecipare alla Santa Messa con grande stupore del celebrante che in prima fila, tra i fedeli, scoprì che c’era proprio il Papa.
In quella occasione, alla fine della Messa, il Santo Padre ebbe a dire: “Davanti alla tomba di san Pio X ho pregato per tutti i catechisti affidandoli alla sua protezione, così come facevo ogni anno in Argentina per la giornata dei catechisti”.
Di grande conforto ci giunge questa particolare attenzione del Santo Padre per i catechisti e per gli operatori pastorali in genere.
Voi siete inseriti nella Chiesa e avete accolto la proposta dei vostri pastori per aiutare la Chiesa a realizzare la sua missione nel mondo.
Tanti di voi, già da tempo siete impegnati in servizi pastorali e avete maturato un’esperienza non trascurabile. È convincimento comune che l’arte di educare non è facile per nessuno.
Occorre preparazione, passione, formazione.
Ma da dove partire o ripartire?
Sono convinto che la prima responsabilità ricade sui presbiteri e soprattutto sui parroci, chiamati a fare discernimento per la scelta delle persone giuste per questo ruolo. Nella scelta dei catechisti, per esempio, non si può operare sempre sotto la spinta dell’emergenza, dell’urgenza che la presenza dei ragazzi ogni anno
richiede, ma la scelta va programmata con oculatezza e serenità dentro un progetto formativo che sotto la guida sapiente del parroco va portato avanti.
Lo stesso dicasi per i ministri straordinari della comunione, per gli animatori della liturgia, per gli operatori della caritas.
Dagli operatori pastorali si esige, dunque, non solo partecipazione e collaborazione alla missione della Chiesa, ma soprattutto responsabilità evangelica che, partendo dalla formazione cristiana, giunge alla testimonianza della vita per essere fermento all’interno della Comunità.
Il mondo è sull’orlo di una crisi di identità, e ha bisogno di recuperare una mentalità cristiana.
Per recuperare questa mentalità occorre ispirarsi alle categorie del Vangelo e assumere uno stile di vita in sintonia con il Vangelo; il cristiano è chiamato a essere “cristiano” cioè seguace di Gesù Cristo.
In un mondo che cambia, la Chiesa deve trovare nuove vie pastorali senza tradire se stessa e senza rimanere paralizzata dalla paura.
Molto spesso noi diciamo: “io la penso così”, e troviamo in questa auto-opinione la giustificazione di ogni comportamento.
Continuamente sentiamo ripetere: “che male c’è?”. Ormai tutto è normale. La verità è che non si capisce più cosa è normale e cosa è anormale.
Mi chiedo: è sempre certo che questa mentalità soggettiva e personale è conforme a quella che deve avere un cristiano?
Gelosi come siamo della nostra autonomia, della nostra indipendenza e della nostra libertà, possiamo sempre sostenere che la nostra mentalità è veramente libera?
O non dobbiamo ammettere per onestà mentale che a volte entrano in ballo altri fattori che non hanno niente a che fare con la mentalità cristiana?
Chi non vede come il nostro modo di pensare e anche di vivere, è soggetto a soverchianti influssi dell’ambiente, dell’opinione pubblica e spesso di interessi personali o di stimoli passionali che ledono la nostra stessa libertà e mettono in dubbio la nostra autenticità di credenti?
Il cristiano non può conformarsi alla mentalità di questo mondo dove ognuno ritiene di potere fare quello che vuole, se vuole, come vuole e quando vuole. Il cristiano per essere tale deve continuamente riferirsi al suo unico maestro Gesù Cristo, al suo Vangelo e alla sua Chiesa.
Noi operatori pastorali non possiamo ignorare tutto questo. Noi sappiamo che di nostro non abbiamo niente da dire e da insegnare agli altri, noi siamo chiamati ad annunciare Gesù Cristo morto e risorto; siamo chiamati a vivere nella Chiesa e a sentire con la Chiesa, nella fedeltà e nell’obbedienza.
Nella Chiesa non c’è spazio per coltivare centri di potere.
Nessun ufficio, nessun mandato, nessun ruolo, nessun compito, può essere esercitato con l’animo di chissà quali rivendicazioni personali o di chissà quali diritti sindacali maturati da non potere essere sostituiti da chi legittimamente ha facoltà di farlo.
Io ho solo motivi per essere grato a tutti voi, operatori pastorali, per la preziosa collaborazione che offrite alle vostre comunità parrocchiali, ma ho anche l’obbligo di esortarvi, incoraggiarvi, sostenervi, vigilare, e se fosse necessario anche correggervi.
Non posso ignorare lo zelo, la fatica e la perseveranza dei rispettivi Direttori degli uffici preposti negli ambiti della liturgia, della catechesi e della carità.
È a tutti noto il loro costante impegno nel promuovere la formazione del laicato e dunque la vostra formazione.
Non mancano le proposte formative, a volte ci si sarebbe aspettati una risposta più generosa. Comunque sia, nel nome del Signore, andiamo avanti.
Non lasciamoci spaventare dalle difficoltà quotidiane, dobbiamo saper guardare con realismo al presente,
confidando sulle reali potenzialità di cui disponiamo, ma soprattutto dobbiamo guardare avanti con fiducia aprendo sempre il cuore alla speranza.
L’indifferenza, l’inerzia, la paura e ogni sorta di ostacoli si superano con la forza della fede e con il coraggio ardimentoso del saper osare.
Il brano del Vangelo che abbiamo ascoltato, tratto dal capitolo 12 di Luca, raccoglie una serie di insegnamenti rivolti alternativamente ai discepoli e alla folla, come a dire che il Signore ci tiene a formare non solo i suoi più stretti collaboratori ma il popolo santo di Dio.
In questa pagina Gesù ci mette in guardia dal lievito dei farisei e dall’ipocrisia, e ci dà la certezza che perfino i capelli del nostro capo sono contati e che non siamo dimenticati da Dio. “Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato da Dio. Noi valiamo ben più di molti passeri”.
Ci accompagna dunque la consapevolezza che agli occhi di Dio siamo preziosi.
Mi piace concludere con le parole dell’Apostolo Paolo a Timoteo: “Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza” (2 Tm 1,7).
In virtù della forza che ci viene data dallo Spirito andiamo avanti con coraggio e ottimismo.
A Maria SS. di Nazaret, Madre della Chiesa, affidiamo i lavori del Sinodo sulla famiglia perchè tutto si concluda secondo i disegni del Suo Figlio Gesù.

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