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XXIX Domenica del T. O. – Per capire chi è Dio dovremmo essere amore, perché altrimenti non lo capiremo.

[…] Lavanda piedi ritNel Vangelo odierno, per la terza volta, Gesù fa riferimento alla sua passione. E per la terza volta si trova dinanzi l’incomprensione dei discepoli. ….. ( N. Galantino )
Essi han seguito Gesù, ma sotto sotto, si capisce perché: per raggiungere un «potere».
E Gesù oppone a questa richiesta un’altra logica: quella del servizio, diciamo quella dell’amore, cioè dell’esistenza il cui senso non è nell’acquistare potere, ma è nell’esaurirsi nel dono di sé per la gioia degli altri, per la liberazione degli altri.
Abbiamo qui, quasi nella chiarezza di un tessuto al microscopio, le due forze che governano l’intera economia della storia umana e della nostra vita personale.
[…] Quando diciamo che Dio è amore, non conosciamo bene quel che diciamo.
Per capire cos’è l’Amore dovremmo averlo vissuto. La nostra è un’esperienza labile, saltuaria, fievole.
Per capire chi è Dio dovremmo essere amore, perché altrimenti non lo capiremo. E infatti non lo capiamo.
E abbiamo bisogno di costruirci un Dio, che tutto sommato, proietti nell’infinito le nostre aspirazioni: un Dio giusto, un Dio che ha bisogno di espiazione.
Ne abbiamo bisogno, noi, di un Dio cosi, perché un Dio così giustifica la nostra aggressività.
Il Dio invece, che fa la festa per il figlio prodigo è un Dio che ha rinunciato a farsi pagare.
Ma non per nulla ha accanto a sé il prototipo dei teologi, il figlio buono che dice: cosi non vanno le cose: io ho lavorato, io sono onesto e non ho mai avuto una festa simile, hai un figlio scioperato e gli fai festa.
E un Dio un po’ «impazzito». Appunto, fuori della nostra norma.
I teologi hanno pensato a rimetterlo a pesto, magari facendo del padre del Fìgliol prodigo il prete del sacramento della confessione.
Ma in realtà questo è un Dio che manda all’aria le nostre spiegazioni, perché la Sua verità è un po’ più in là della nostra ragione.
Ecco perché l’ateismo è un prodotto cristiano: è la conduzione al limite del nostro modo di pensare Dio.
Se fossimo coerenti, dovremmo essere atei. Ma siamo un po’ incoerenti e atei non siamo.
La vera alternativa all’ateismo consiste nel cambiare totalmente il modo di pensare Dio; sapere che la fede è un’esperienza totale, è un’esperienza in cui si crede all’amore e si rifiuta la logica del potere, in cui pure siamo inseriti.
È questo il nostro dramma.
Chi esercita il potere senza il desiderio interno che finisca è un peccatore.
Chi lo esercita pregando Dio che finisca, è, forse, perdonato .
L’importanza è che noi ci incamminiamo nell’altra esperienza, al cui termine c’è la Croce. Come dire il fallimento.
Chi crede all’amore sa che le vittorie dell’amore sono spesso dei fallimenti.
Il fallimento è, nella logica del potere, una categoria negativa; ma nella logica dell’amore, può diventare una categoria positiva. Quando falliamo, di tutte le logiche ne rimane una sola: quella dell’Amore.  (Ernesto Balducci – “Il mandorlo e il fuoco” vol 2 anno B(1975/76)
[ Ritornando al brano di oggi, alla richiesta dei figli di Zebedo ] ecco la risposta di Gesù: Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo…” –  il calice è immagine della sorte, della morte che Gesù affronterà – ed essere battezzati …” e qui diverse volte si usa il verbo battezzare che non ha naturalmente il significato sacramentale che poi prenderà, ma significa “essere immersi” quindi con questo significato si comprende meglio. Ed essere immersi nell’immersione in cui io sono immerso”.
[…]Con tanta presunzione, gli risposero: “Lo possiamo”.  Di fatto, scriverà poi l’evangelista, che tutti i discepoli al momento della prova, al momento dell’immersione del battesimo, fuggiranno.
E Gesù disse loro: “Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati”, quindi anche loro andranno incontro alla persecuzione e alla morte, ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”.
Chi sono coloro per cui è stato preparato?
Coloro che al momento della prova saranno capaci di seguirlo. E tra questi non ci sono questi discepoli.
Coloro che sono capaci di caricarsi la croce e seguire Gesù.
La richiesta dei due discepoli provoca lo sdegno degli altri dieci. Scrive Marco: Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni”.
Non è che si scandalizzano, è che hanno tutti quanti la stessa aspirazione di essere i primi, i più importanti.
[ …]  Allora Gesù li chiamò a sé … –  li chiama è perché sono lontani …   –  e disse loro: voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Nessuna imitazione delle strutture di potere vigente all’interno della società è possibile all’interno della comunità cristiana.
Al suo interno non esistono dinamiche di potere, dove c’è chi comanda e chi obbedisce, ma dinamiche familiari dove gli uni vivono per il bene e la felicità degli altri.
Allora Gesù per tre volte lo sottolinea “Tra voi però non è così, ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore”, il servitore è colui che liberamente e volontariamente, per amore, si mette a servizio degli altri.
[…] E Gesù non esclude la possibilità di essere primi.
Dice: “E chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”, cioè al livello più infimo della società.
Perché questo?
Perché Gesù è il figlio di Dio, Dio lui stesso, e Dio è amore che si mette a servizio degli uomini.
E Gesù lo conferma dicendo: “Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”, cioè in liberazione per molti. Con Gesù Dio non chiede di essere servito ma si mette a servizio degli uomini.
Quanti vogliono essere in comunione con questo Dio devono avere come distintivo il servizio liberamente esercitato per amore. ( A Maggi )

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