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II Domenica dopo Natale – Contempliamo un Dio che si esilia da stesso per amare chi è fuori di lui.

natale 16Lo stile e i contenuti delle letture proposte dalla liturgia odierna sembrano voler spingerci ad alzare lo sguardo e allargare i nostri orizzonti, per avere una comprensione del mistero del Natale più profonda e completa.
Gli inni alla Sapienza divina (prima lettura) e al Verbo incarnato (Vangelo), infatti, si completano con una pagina altrettanto intensa di san Paolo (seconda lettura), che ricorda a ognuno di noi la nostra vocazione fondamentale. ( N Galantino )
… La sapienza è una qualità che non si acquista con la cultura, anzi che è, se la cultura è consapevole dei propri limiti, in perenne dialettica con la cultura e noi ne possiamo avere l’esperienza.
[…]La Sapienza non guarda con l’occhio costituito […]  La sapienza consiste in quella luce che sveglia, che illumina l’occhio profondo che sul piano empirico del vivere non è una felicità. Quest’occhio più profondo, illuminato dalla Sapienza, ci unisce a tutte le creature.
La cecità parziale, o una forma di daltonismo mentale deriva dalla nostra immanenza totale dentro il mondo a cui apparteniamo.
Se guardiamo il modo di vivere di tribù lontane spesso ci viene da sorridere o abbiamo pena. Li sentiamo così altri, così diversi: non sono uomini!  […] Ma se partissimo dal presupposto che, in realtà, fin dalla creazione del mondo la Sapienza ha improntato se stessa in tutte le creature che esistono?   Che il nostro compito è di scoprire questi germi di Sapienza ovunque disseminati?  Il martire cristiano Giustino diceva che c’è un “Verbo disseminato dovunque”.  Non lo dobbiamo dire per creare una premessa per l’appropriazione ma per andare a cercarlo.
Scrutiamo la Sapienza che è in ogni essere umano e in ogni gruppo umano. Questa è la spinta che dobbiamo avere.
E infatti, calcando schematicamente, e quindi con qualche ingiustizia, le cose, potrei dire che la diversità fra l’ottica veterotestamentaria riguardo alla Sapienza e l’ottica di Gesù è che secondo la prima ottica si dice: “Tutti i popoli verranno sul monte di Sion“, ma Gesù, quando si commiata dai suoi, dice: «Andate fino ai confini della terra“.
 La spinta è centrifuga, non centripeta, cioè non segue l’impulso etnocentrico, che è la nostra terribile tentazione, ma lo contesta.  Questa spinta è la spinta della Sapienza.
Noi oggi siamo nella necessità di rinvigorire questa certezza per ritrovare un occhio evangelico che è l’occhio sapienziale.
Ecco perché spesso mi dà fastidio, ma è un fastidio di derivazione culturale, quando sento parlare di cattolici, protestanti, ortodossi … [ … ] Un occhio evangelico è un occhio sapienziale per cui queste divisioni non contano, sono il frutto del nostro egocentrismo, o di tipo individuale o di tipo collettivo.  Le preoccupazioni di dividere le competenze sono detestabili.
Gesù ha abbattuto le mura del tempio perché il tempio divide. Ha superato la legge perché la legge unisce ma divide, separa dagli altri.
La Sapienza è dovunque.
Non devo bruciare i libri, devo scoprire che Sapienza c’è.
In questo momento il mondo musulmano vive in maniera drammatica questa sua immersione nei suoi confini culturali dove si nascondono ragioni storiche, fin troppo comprensibili, al risentimento, alla rivincita.
 Però nella fede islamica c’è una grande verità, quella del patto primordiale fra Dio e Adamo   come primo uomo, cioè con l’umanità.  C’è la certezza che tutti gli uomini sono intimamente ‘musulmani’, che vuol dire uomini di fede perché questa Sapienza primordiale illumina ogni uomo.
Noi dovremmo aiutare il musulmano non a convertirsi a noi ma a convertirsi alla radice sapienziale della sua storia di fede, che poi è un modo di convergere.  E così potrei dire delle altre religioni.  […]  Io sogno un cristiano che invece di andare a convertire gli altri facendoli come se stesso, vada a scoprire negli altri la Sapienza che c’è: “il regno di Dio è già fra di voi”.   ( E. Balducci )
Il prologo del vangelo secondo Giovanni è un canto dossologico dell’operare di Dio nell’universo: dalla creazione nell’in-principio (cf. Gen 1,1) alla venuta di Dio stesso nel mondo attraverso il farsi carne umana (sárx) della sua Parola (Lógos).
Questo testo è un abisso di luce, una cascata di illuminazioni che fanno segno, che indicano come Dio ha voluto entrare nella storia e diventare uomo tra noi umani.  
[…] All’inizio, prima dunque della creazione dell’universo, la Parola era, esisteva fuori del tempo, da tutta l’eternità. Era Parola di Dio, era rivolta verso Dio, era Dio stesso. Ma questa vita divina, questa circolarità di vita in un movimento estatico ha voluto donarsi, ha voluto uscire da se stessa, ed è così che ha creato l’universo.
Proprio quella Parola di Dio, uscendo da Dio accompagnata dal Soffio di Dio, da lei inseparabile (cf. Gen 1,2-3) – come si vede anche dall’analogia con l’azione umana del parlare, unione inestricabile di soffio e parola –, ha dato inizio alla creazione, mostrandosi vita e luce capaci di vincere le tenebre: le tenebre, infatti, facevano e fanno resistenza, ma non sono mai riuscite né mai riusciranno a fermare e a sopraffare questa luce.
Ma questa uscita, questo esilio della Parola di Dio da Dio stesso non è cessato con la creazione, che in realtà non è mai terminata. Per unirsi sempre di più alla creazione, questa Parola che era la forma data all’adam, all’essere umano, volle diventare la carne umana stessa, un terrestre tratto dalla terra. Così è entrata nel tempo e ha piantato la sua tenda (skené) tra di noi in un uomo nato da una donna e dal Soffio divino: Gesù di Nazaret.
La Parola che era fuori del tempo si è fatta fragile e mortale, un uomo che si poteva vedere, ascoltare, palpare (cf. 1Gv 1,1).
C’è stata come una discesa graduale della Parola da Dio nel mondo (cf. Eb 1,1), attraverso una parola indirizzata ad Abramo, donata a Mosè, caduta sui profeti; una Parola che ha preso dimora in Israele come sapienza; una Parola come Presenza, Shekinà di Dio nel Santo dei santi del tempio. Ma in Gesù questa Parola di Dio non è stata solo indirizzata a, residente in, ma è divenuta “Parola fatta carne” in lui (cf. Eb 1,2-3) .
“Venuta la pienezza del tempo” (Gal 4,4) , compiutosi il tempo (cf. Lc 2,6), la Presenza di Dio è umana, e Gesù di Nazaret è veramente e totalmente uomo come noi, “figlio di adam” (Lc 3,38).
Da quell’ora del concepimento di Gesù nell’utero di Maria, Dio è un uomo e un uomo è Dio!
 Così avviene l’ammirabile scambio (“O admirabile commercium”, come canta un antico testo liturgico); così è avvenuta la rivelazione totale del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe nella nostra carne; così Dio si è donato a noi, si è dato all’umanità, si è unito alla creazione, perché l’aveva creata per amore, un amore mai venuto meno, ma sempre rinnovato in tutta la storia. E la vita di Gesù – come ha ben compreso il quarto vangelo – sarà l’esplicitazione di ciò che è annunciato qui nel prologo: Gesù è la vita del mondo (cf. Gv 11,25), è “la luce del mondo” (Gv 8,12), è il racconto, la rivelazione del Dio che nessuno ha mai visto, come il prologo si conclude.
Ma un Dio che si esilia da stesso per amare chi è fuori di lui, un Dio che si mostra mortale, che Dio è?, possiamo chiederci.  Questo è lo scandalo dell’incarnazione, che è sempre stata la verità più difficile da credere, in ogni tempo, anche da parte degli stessi cristiani.
Cosa non hanno fatto i cristiani in questi duemila anni per occultare l’umanità vera e reale di Gesù Cristo!
Lo hanno privato di una vita umana, lo hanno privato della fede, lo hanno privato dei limiti psicologici, lo hanno svuotato della sua debolezza e della sua morte per renderlo uguale agli dèi. Gli uomini, cercando Dio come a tentoni ma non arrivando a trovarlo e a conoscerlo (cf. At 17,27) , lo hanno fabbricato con i loro desideri e proiezioni; e così hanno tentato di fare anche con Gesù!
Se c’è una colpa che i cristiani dovrebbero confessare più di molte altre è il non aver saputo confessare che Gesù è venuto nella carne e con il sangue (cf. 1Gv 5,6-8) , è venuto “imparando l’obbedienza dalle cose che patì” (cf. Eb 5,8), è venuto come l’uomo per eccellenza: “Ecce homo!” (Gv 19,5). “Ecco l’uomo!” è la dichiarazione di Pilato, o addirittura di Gesù stesso, nel momento del dono totale della sua vita, del suo corpo e del suo sangue all’umanità.
Potremmo parafrasare le parole dell’Apostolo Paolo (cf. 1Cor 1,22-24): “Mentre i giudei cercano manifestazioni di un Dio onnipotente e le genti manifestazioni di Dio nei ragionamenti intellettuali, noi predichiamo che Dio è umano, umanissimo, è un Dio che si è fatto vedere in Gesù, uomo mortale, ma capace di dare la vita per gli altri (cf. Gv 10,10; 15,13), uomo fragile e limitato ma capace di vincere le forze del male. Un uomo che è nato dall’utero di una madre, che si è fatto peccato assimilandosi ai peccatori (cf. 2Cor 5,21), morto come uno schiavo e un malfattore, sepolto nella terra, disceso agli inferi tra i morti, come ogni figlio di adam: dunque un Dio che si è sprofondato nella creazione, come avviene per ogni umano che viene al mondo, vive e muore”. D’altra parte, Gesù è stato un uomo unico nell’amare gli altri, nel dare se stesso agli altri, nello stare dalla nostra parte davanti a Dio: questa la sua unicità umana così affascinante e, potremmo dire, così divina…
Nella storia la Parola è stata l’uomo Gesù rivolto verso Dio, essendo Dio fattosi uomo, facendosi esegesi (exeghésato: Gv 1,18), narrazione, spiegazione, rivelazione di Dio, perché ci ha raccontato definitivamente chi è Dio: l’amore (cf. 1Gv 4,8.16). Per essere dunque figli e figlie di Dio, dobbiamo soltanto essere uomini e donne a immagine dell’uomo Gesù, il Figlio di Dio. ( E. Bianchi )

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