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SS. Corpo e Sangue di Cristo – La Messa non è un sacrificio se non perché è un banchetto fraterno, legato alla memoria di un sacrificio, quello che Gesù liberamente ha compiuto con lo scopo di porvi fine .

U Cena r…Quando diciamo «il sacrificio della Messa» facciamo un indebito accoppiamento perché la messa non è un sacrificio se non perché è un banchetto fraterno, legato alla memoria di un sacrificio, quello che Gesù liberamente ha compiuto con lo scopo di porvi fine quasi espiando in se stesso il cumulo di perversità omicida che c’è nell’animo e inaugurando il tempo messianico della fraternità in cui non c’è più bisogno del sangue degli animali, e tanto meno degli uomini.
 Che poi questo rito fraterno senza spargimento di sangue si sia inserito nello schema quasi onnipotente dell’aggressività umana – abbiamo anche la Messa celebrata al campo, prima della battaglia! – questo è un altro discorso, che fa parte della indomabile dialettica tra questo messaggio fragile (incredibile perché troppo fragile!) e la legge che ci governa. Del resto, anche nelle società secolarizzate del nostro tempo, l’istinto sacrificale esiste: noi abbiamo imparato nella scuola che una nazione è veramente unita quando ha un esercito.
[ Nella prima lettura la presenza di Melchisedek  identificato  nella Bibbia come re  del regno di Salem (che si ritiene fosse l’antica Gerusalemme )  e come Sacerdote di Dio . Secondo l’esegesi ebraica si  tratterebbe  di Shem, figlio di Noè . . Egli – a differenza di Abramo , che invece del figlio sacrifica un ariete ] sul monte   non sacrifica nulla: offre pane e vino, che sono i frutti della cultura umana.
Il pane e il vino, a differenza dell’animale, sono un prodotto essenziale della cultura dell’uomo, comportano – come diciamo nel rito – la fatica e il lavoro dell’uomo.
Il vino e il pane sono anche il simbolo dello scambio del banchetto fraterno.
 Da dove è uscito fuori Melchisedec?
È come una interpolazione strana nel racconto biblico, che invece, dal punto di vista culturale, risente normalmente della civiltà sacrificale di cui vi ho detto.
Abramo riceve la benedizione di Melchisedec che non è un sacerdote di una religione, è il sacerdote dell’Altissimo, è il sacerdote cosmico, è il sacerdote dell’umanità che ha abolito i sacrifici cruenti e compie il suo gesto di adorazione a Dio, e di fraternità con Abramo, con l’offerta del pane e del vino.
…Quando vogliamo ritornare (è un meccanismo che naturalmente deve fare i conti con la scienza ma al livello del linguaggio simbolico è sempre bello e importante) ad una età dell’oro, per dirci come vorremmo che fosse il mondo domani, noi dobbiamo ritornare non ad Abramo ma a Merchisedek, cioè ad un tempo in cui l’umanità non versava il sangue ma manifestava la sua piena intima essenza e il suo modo più profondo di rapportarsi a Dio con l’offerta del pane e del vino, cioè del banchetto.
C’è un archetipo di fondo nella nostra storia, il banchetto fraterno, che è insieme il vero culto di Dio al di fuori degli schemi rituali e sacrificali e il vero culto dell’uomo per l’uomo, senza il «capro espiatorio», senza il meccanismo dell’aggressività. Simbolo fortissimo, anche perché noi sentiamo, per una necessità storica, il bisogno di rifarci a dei simboli che non appartengano a questa o a quella religione, a questa o a quella cultura ma abbiano su di sé la luce dell’universalità.
Siamo gli uni vicini agli altri.
Non possiamo più combattere – anche per l’evidenza storica che ce lo impone – le altre religioni ma dobbiamo risalire alle sorgenti che non sono Abramo e non sono Budda, e non sono Melchisedek, sono l’uomo. L’uomo primordiale.
Finché non risaliamo lungo il torrente che è il nostro fino alla vetta da cui i torrenti sono discesi, noi saremo sempre interni alla religione sacrificale.
Non ci dimentichiamo che i fedeli di Gesù Cristo andarono a scannare gli infedeli convinti di andare in Paradiso se morivano in battaglia.
La sopraffazione della cultura di guerra è stata spaventosa. Per liberarcene non bastano gli accomodamenti superficiali, c’è da fare – come la chiamavo – l’inversione di rotta.
 Per una simile inversione questo archetipo è veramente essenziale. Dinanzi a quest’uomo mitico, all’Uomo, Abramo ha pagato la decima, come dire si è riconosciuto inferiore.
La religione ebraico/cristiana, e così ogni religione, deve riconoscersi inferiore all’uomo. Non è l’uomo che deve pagare la decima alla religione, è la religione che deve pagare la decima all’uomo. Cambiano le cose!
 Se la religione è davvero secondo Dio io la capisco non da quanto sono affollati i templi, da quanti quattrini si fanno nei santuari, ma, all’inverso, da come questa religione serve l’uomo, i suoi bisogni fondamentali di fraternità e di pace, come serve ad eliminare dall’uomo la spinta aggressiva verso il sangue…(Ernesto Balducci – da: «Il Vangelo della pace» vol. 3 – anno C)
 La solennità odierna ha origine e trova il suo significato più profondo nel racconto dell’Ultima cena. …. «Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue – Prendete… mangiate… bevete! – Fate questo in memoria di me!». È in queste parole di Gesù, dunque, che trova senso e fondamento l’Eucaristia.
…Che significato ha ritrovarci ancora oggi ad adorare e condividere quei “segni” – il pane e il vino – della vita quotidiana, che Gesù ha voluto legare alla sua presenza?
Anzitutto ricordando che egli, attraverso il pane spezzato e il vino condiviso, ha istituito la “nuova alleanza”, cioè il nuovo patto di comunione con lui e tra noi, un mistero che si rinnova ogni volta che celebriamo l’Eucaristia. Ma c’è un passo in più da compiere. Operando quei gesti e pronunciando quelle parole, Gesù ci ha anche indicato una “direzione” chiara del fare comunione. Nell’Eucaristia, infatti, siamo invitati ad adorare e contemplare la presenza di Gesù pane spezzato, pane donato, che è condanna di ogni atteggiamento egoistico, che è condanna della cultura del dare in funzione del ricevere, della logica del contraccambio.
L’Eucaristia è il sacramento del cuore aperto, è educazione al dono gratuito e senza riserve.
…. Il dialogo tra Gesù e i suoi discepoli, dinanzi alla fame della folla, invita anche noi a “farci Eucaristia”, cioè a rendere grazie, diventando dono per gli altri: «Voi stessi date da mangiare». È il ribaltamento della logica dei discepoli, la logica di chi vede il bisogno, cogliendolo in tutto il suo realismo, ma non si sente impegnato a rispondervi in prima persona («Congeda la folla perché vada…»).
… «Date voi stessi da mangiare». Una pretesa che spiazza, che può risultare eccessiva, quasi irragionevole. Quasi un dire: nel farvi dono, osate di più, non vi fermate, andate oltre i calcoli della ragione, imparate a seguire di più il cuore.
La giusta misura del donarsi di Gesù, dunque, è “la fame della folla”, il bisogno altrui.
Nessun timore: la povertà dei mezzi a nostra disposizione («Non abbiamo che cinque pani e due pesci») sarà supplita dall’azione di Dio. Con il risultato che «tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste». Ecco il miracolo dell’Eucaristia, un miracolo che anche oggi siamo chiamati a rinnovare attraverso il dono di noi stessi, in comunione con Gesù. ( N. Galantino )
Che valore conserva questa festa, anche in rapporto alla vita sociale? Intanto, in funzione di questo segno, esercitare una effettiva giustizia e carità; e c’è ancora di più.
Cf Dt 8,2-5: Se noi cristiani richiamiamo questo segno dobbiamo anche ricordarci che «non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio»; il Vangelo che abbiamo ascoltato dimostra che Dio si riserba di sfamare l’uomo con improvvisi segni di potenza. L’uomo con le sue mani non ci arriva, ma anche se ci arrivasse dovrebbe comunque ammettere che c’è una operazione di Dio che va al di là (Dt 8,6ss., specie in vv. 14, 15, 16, 17, 18).
L’uomo deve arrivare a riconoscere che c’è un cibo sconosciuto, puro dono di Dio, ch’egli non può costruire come si costruisce degli idoli, opera delle mani dell’uomo e questo vale per tutti gli uomini» (d. G. Dossetti, appunti di omelia, 10.6.1971).
 

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