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XXIV Domenica del T. O. – Si può vivere nel palazzo dell' amore senza aver capito nulla perché il cuore è egoista.

prodigoLa liturgia della Parola richiama il nostro sguardo al “centro del cuore di Dio”, dove abbondano perdono e misericordia che si tramutano in “festa”.
La grandezza del cuore di Mosè (prima lettura) e il suo modo di porsi dinanzi al peccato del popolo sono uno straordinario esempio, soprattutto per quanti hanno responsabilità nella comunità! Dinanzi alla grave perversione della sua gente e alla conseguente ira di Dio, Mosè non rincara la dose, ma invita Jahvè a perdonare per la fedeltà della “parte bella” di quel popolo: Abramo, Isacco, Israele.
Il cuore misericordioso di Mosè prefigura il “cuore del Padre”, di cui ci parla il Vangelo di oggi. [ N. Galantino ]
( Nel brano di questa domenica )  le tre parabole della misericordia che Luca raggruppa al capitolo quindicesimo del suo vangelo. ….
I primi versetti del capitolo mettono in evidenza due comportamenti opposti nei confronti di Gesù e della sua predicazione.
Pubblicani e peccatori si sentono attirati da Gesù e vengono a lui per ascoltarlo, mentre i pretesi giusti, gli osservanti legalisti, denunciano con un certo disprezzo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro!”. Il tema della contestazione è significativo: la comunione che si instaura a tavola.
….   Nei vangeli Gesù è sovente a tavola, invitato da farisei o da peccatori, e nessuno è mai escluso dalla sua tavola. Mangiare insieme a tavola doveva essere per Gesù un evento carico di significato, una possibilità feconda di comunione, di conversione, di riconciliazione…. A tavola accade qualcosa: attraverso la comunione del cibo passa una comunione non solo di parole, ma di pensieri e di sentimenti, nei quali può operare lo Spirito di conversione e di rinnovamento. ….
Per spiegare e rivelare la vera intenzione sottesa al suo vivere la comunione con i peccatori a tavola, Gesù consegna dunque alcune parabole.
La prima si apre con una domanda: “Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?”. …. 
Perché il pastore fa questo, perché si affatica per una sola pecora, quando ne ha altre novantanove? …. Quando si ama, non si seguono i calcoli dell’aritmetica! Il pastore non si accontenta di aspettare che la pecora torni, ma va alla sua ricerca, perché ogni pecora, se è amata, va cercata. ….  Noi conosciamo invece pastori che non hanno questo stile indicato da Gesù.     Hanno anche loro cento pecore, ma quando una di loro si perde, assaliti dalla paura ammoniscono le altre: “State attente, restate nel recinto, perché fuori ci sono i lupi, i nemici del gregge. Io vi proteggo stando qui con voi, ma voi non ripetete l’errore della pecora che si è perduta!”. E così il giorno successivo un’altra pecora si smarrisce, ma loro ripetono gli stessi ammonimenti e restano a guardia del recinto. Poi un’altra se ne va, poi un’altra ancora… ma il pastore che vuole proteggere le pecore non va a cercarle. Così resta pastore di una sola pecora, mentre le altre novantanove se ne sono andate, perdute perché il pastore aveva paura, perché era geloso del suo gregge, perché non aveva coraggio né audacia.
Il pastore della parabola di Gesù, invece, cerca, cerca e non si arrende finché non trova la pecora perduta. …la porta a casa e convoca gli amici e i vicini per fare festa: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Questa festa è profezia, segno della festa che avviene in cielo, perché anche Dio si rallegra quando un perduto è trovato, un morto torna in vita, un peccatore si converte. E attenzione: si converte perché Dio lo cerca, lo trova, se lo carica sulle spalle e lo porta a casa. La pecora resta passiva, è l’azione di salvezza di Dio, sempre preveniente, a salvarla!
Segue poi una parabola parallela, in cui Gesù narra di una donna che ha dieci monete e ne perde una. Allora cosa fa? Si dà da fare, accende la lampada, spazza la casa e cerca con cura, finché non trova la moneta che pensava fosse perduta per sempre. …. Per capire bene la parabola bisogna però cogliere dove cade il suo accento, ovvero sulla gioia del ritrovamento da parte della donna, evento in cui è inscritta la dinamica pasquale: il perduto è ritrovato, il morto è risuscitato. ( E. Bianchi )
[ La terza Parabola è quella nota come la parabola del figlio prodigo ]
Un modo di leggere questa parabola per renderla innocua è di dire che al centro c’è il figliol prodigo, il peccatore. Ma domando a voi: in questa parabola chi, è peccatore?
Di peccatori ce ne sono due: il figliol prodigo ed il fratello onesto.
Il fratello onesto è peccatore. È indignato. Sta in una casa dove la legge è l’amore del padre e non se ne è accorto. Si può vivere nel palazzo dell’ amore senza aver capito nulla perché il cuore è egoista.
 Il fratello onesto ha lavorato secondo la logica del «do ut des» e non ha capito. Uno che agisce – mi si permetta l’immagine – con l’anima da ragioniere non può entrare nella grande avventura dell’amore.
…  Dobbiamo abbandonare la bilancia che pesa il peccato e la virtù perché qui siamo oltre.
Anche questo figlio onesto è peccatore…  Cosa ha fatto? Niente!  Non ha capito l’amore.
Non è un peccato quantificabile, però è fondamentale perché il mondo è rovinato non dalle persone disoneste, ma dagli onesti, duri, convinti di essere la misura di tutte le cose, convinti di avere in mano la regola del vivere, e sono per lo  più persone che hanno il potere in mano e quindi fanno disperare i poveri, li rimandano, li fanno aspettare, hanno molta compassione per loro ma li tengono nella loro miseria in quanto hanno un  concetto di giustizia che implica grandi dilazioni.    (Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – vol. 3)
Integrando la lettura della terza parabola con le altre due, ci accorgiamo che tutt’e tre sono accomunate dalla stessa conclusione: «…bisogna far festa e rallegrarsi». Ecco l’essenza del cuore di Dio: gioia festosa perché l’uomo, smarrito nel peccato e risanato dal perdono, «era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
La storia di ciascuno di noi può attraversare tante forme di negatività: l’abbandono della “casa”, lo smarrimento eccetera. Su tutto, però, la parola finale che Dio vuole pronunziare per noi è il perdono, che ricostruisce e permette di “fare festa”. Un perdono che, come figli di Dio, siamo chiamati ogni giorno a ricevere e condividere. ( N. Galantino )

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