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XXVII Domenica del T.O. – siamo servi inutili, inadeguati, e perciò liberi e sciolti nel presente, umili e grati per il passato, capaci di gratuità per il futuro.

siamo-servi-inutiliAnche oggi la Liturgia della Parola interroga la nostra fede in Dio e nella sua salvezza.
Nella prima lettura, il profeta Abacuc sembra indignato e quasi scandalizzato per il “silenzio di Dio” dinanzi ai mali del mondo, ferito da «violenza, rapine, liti, contese… ». La sua preghiera, a nome del popolo, esprime il disagio del giusto davanti alla violenza e alle sopraffazioni.
Il grido di Abacuc somiglia tanto al nostro, quando restiamo turbati di fronte a situazioni particolarmente dolorose, mentre ci sembra che Dio taccia, senza intervenire. …
Ma il Signore risponde alla preghiera di Abacuc: c’è una scadenza a tutto il male che sta nel mondo! Colui che non ha l’animo retto soccombe; solo chi vive di fede avrà vita piena e realizzata! …..
 …È la stessa fede di cui parla Gesù nel Vangelo di oggi. Attraverso un linguaggio paradossale, con immagini che appaiono esagerate, Gesù vuole dirci che a chi vive questa fede (anche se solo “un granellino”) è possibile fare cose che potrebbero apparire addirittura impossibili. ( N. Galantino )

La fede non è un concetto di ordine intellettuale, non è posta innanzitutto in una dottrina o in una verità, né tanto meno in formule, nei dogmi. La fede non è innanzitutto un “credere che” (ad esempio che Dio esista) ma è un atto di fiducia nel Signore. Si tratta di aderire al Signore, di legarsi a lui, di mettere fiducia in lui fino ad abbandonarsi a lui in un rapporto vitale, personalissimo. ….
Credere senza complementi, avere fede senza specificazioni è per Gesù determinante nel rapporto con Dio e con lui stesso.
Certo, la fede è un atto che si situa alla frontiera tra debolezza umana e forza che viene da Dio, forza che rende possibile proprio l’atto di fede. Si tratta di passare dall’incredulità alla fede, ma questo passaggio, questa “conversione”, richiede l’invocazione a Dio e, in risposta, il suo dono, la sua grazia, che in realtà sono sempre prevenienti.
Gli apostoli sono consapevoli di avere una fede piccola; vorrebbero essere giganti della fede, ma Gesù fa loro comprendere che la fede, anche piccola, se è reale adesione a lui, è sufficiente per nutrire la relazione con lui e accogliere la salvezza…. Credere significa alla fin fine seguire Gesù: e quando lo si segue, si cammina dietro a lui, vacillando sovente, ma accogliendo l’azione con cui egli ci rialza e ci sostiene, affinché possiamo stare sempre là dove lui è.  ….   Nella sequela di Gesù non si rivendica nulla, non si pretendono riconoscimenti, non si attendono premi, perché neppure il compito svolto diventa garanzia o merito. Ciò che si fa per il Signore, si fa gratuitamente e bene, per amore e nella libertà, non per avere un premio… Purtroppo nella vita della chiesa i premi, i meriti vengono dati da sé a se stessi e non c’è neanche da aspettare qualcosa da Dio! ( E. Bianchi )
[ Nella parte finale del vangelo di questa domenica, nella parabola del servo  ] risalta l’aggettivo inutile. Si tratta di un termine che occorre anche altrove nella Bibbia, sempre in senso spregiativo . …  Letteralmente significa “senza alcuna utilità“, qualcuno che non serve a niente.
… Qual’è il messaggio della parabola? … lo esprimo indicando anzitutto quello che la parabola evangelica non intende dire, e  poi  gli atteggiamenti  che vuole promuovere.
– Dal tenore del brano e del suo contesto prossimo e remoto deduco che Gesù certamente non vuole indurre un atteggiamento depressivo, proprio di chi, abbassando la testa, ammette di non valere niente.
Purtroppo tale atteggiamento di frustrazione è assai diffuso ai nostri giorni.
Penso alle madri e ai padri di famiglia che, dopo aver cercato di educare con tanta fatica i figli, possono credere di non essere riusciti a trasmettere i valori veri e concludono tristemente: Abbiamo sbagliato tutto, non siamo buoni a niente, non siamo stati bravi genitori!
Penso all’anziano che passa i suoi giorni e le sue ore davanti al televisore, magari nel grigiore di un ricovero, e dice: Sono solo, nessuno si cura di me, a che cosa servo?
Penso all’operaio di una certa età, con una certa esperienza di lavoro, che si vede a un tratto sostituito da una macchina e si chiede: Ma che cosa sono ancora capace di fare?
Tutti atteggiamenti di frustrazione, tipici della nostra società, che la parabola non intende indurre né raccomandare, ma anzi fortemente contrastare.
Quali allora gli atteggiamenti positivi che la parabola vuole indurre? Che cosa dice anzitutto alla Chiesa, ai cristiani nella fine del secondo millennio?
Riassumo l’insegnamento, il messaggio, in poche parole: siamo servi inutili, inadeguati, e perciò liberi e sciolti nel presente, umili e grati per il passato, capaci di gratuità per il futuro.
…. Il riconoscersi servi inutili rende liberi e sciolti nel presente:
– liberi dal peso insopportabile di dover rispondere a ogni costo a tutte le attese,
– di dover essere sempre perfettamente all’altezza di tutte le sfide storiche di ogni tempo.
Questa libertà e scioltezza ci rende umili e modesti, disponibili a fare quanto sta in noi, a riconoscere quanto ci sta ancora davanti, ad ascoltare e a collaborare con semplicità e senza pretese.
La pagina evangelica del servo inutile esprime quindi il primato della grazia: tutto ci viene da Cristo, “tutto è Cristo per noi” …. e, per quanto noi facciamo e ci sforziamo, il Signore è sempre più grande e la sua misericordia è sempre vincente.
… In questo senso dobbiamo capire l’affermazione “servi inutili”: noi non siamo e non saremo mai all’altezza delle situazioni storiche; se qualcosa di buono compiamo, è dono di Dio.
Il sentirci perciò inadeguati ci dà gioia e fiducia, non smarrimento; ci fa proclamare il primato di Dio.
Siamo consapevoli del fatto che non sta a noi salvare il mondo e non dobbiamo caricarci tutto il peso del mondo sulle nostre spalle. Solo Dio salva e dà pace (C.M. Martini )
 

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