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XXXI Domenica del T.O. – Non è la conversione che causa il perdono da parte di Dio, di Gesù, ma è il perdono che può suscitare la conversione!

gesu-e-zaccheoAnche questa domenica il Vangelo racconta l’incontro di un pubblicano – Zacchèo – con Gesù, un incontro di salvezza che cambia radicalmente la vita di quel pubblico peccatore. Con un messaggio essenziale: Dio «viene a cercare chi era perduto».
Sì, il nostro Dio, in Gesù, ci cerca costantemente, ogni volta che ci allontaniamo da lui, ogni volta che sperimentiamo il fallimento e la debolezza. Perché il suo cuore è mosso soltanto dall’amore e dalla misericordia: «(Tu) Hai compassione di tutti (prima lettura) chiudi gli occhi sui peccati degli uomini… ami tutte le cose…».
Ecco perché la storia di Zacchèo, insieme ad altre storie evangeliche (figlio perduto, adultera, Pietro…), dà a noi – tanto spesso schiacciati dai nostri limiti e sconfitte – speranza e fiducia nuove, poiché il nostro Dio «viene a cercare e a salvare ciò che era perduto». ( N. Galantino )
Nel narrare l’episodio di Zaccheo Luca dosa sapientemente le parole, per permettere al lettore di ogni tempo di comprendere il valore paradigmatico di questo incontro: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo rimanere, dimorare a casa tua.
Zaccheo”: Gesù lo chiama con il suo nome proprio.
Scendi. È come se gli dicesse: “Torna a terra, aderisci alla terra: lo straordinario ti è servito per un momento, ma ora fa ritorno alla tua condizione quotidiana!”.
Subito, in fretta: non c’è tempo da perdere, l’occasione è da afferrare senza indugio!
Oggi: non ieri né domani.
“Oggi”, parola chiave in Luca, dalla nascita di Gesù quando gli angeli annunciano ai pastori: “Oggi, nella città di David, è nato per voi un Salvatore(Lc 2,11); all’inizio della sua attività pubblica, quando nella sinagoga di Nazaret pronuncia quella brevissima omelia: “Oggi questa Scrittura si compie nei vostri orecchi(Lc 4,21); poi alcune altre volte, fino all’ora della croce, quando Gesù dice al “buon ladrone”: “Oggi con me sarai nel paradiso(Lc 23,43).Sempre noi incontriamo Gesù oggi!
Devo, è necessario”: altra parola chiave …Esprime il modo in cui Gesù, nella sua piena libertà, va incontro alla necessitas umana e divina della passione, compiendo la volontà di salvezza di Dio per tutti gli uomini.
Rimanere, dimorare” (non semplicemente “fermarmi”), come avviene per il Risorto con i discepoli di Emmuas (cf. Lc 24,29).
A casa tua”: entrare nella casa di un altro significa condividere con lui l’intimità; nello specifico, essendo Zaccheo un peccatore pubblico, questo auto-invito di Gesù significa compromettersi in modo scandaloso con il suo peccato.
Esaminate nel loro insieme, queste parole di Gesù mostrano anche una grande delicatezza. Gesù non dice: “Scendi subito perché voglio convertirti”, oppure, come forse avrebbe fatto il Battista: “Convertiti, fai frutti degni di conversione (cf. Lc 3,8), poi scendi e vedremo il da farsi”. No, chiede a Zaccheo di essere suo ospite. Ovvero, si fa bisognoso, si “spoglia” per entrare in dialogo con lui, parla il suo linguaggio, quello di chi era abituato a dare banchetti e ad accogliere persone in casa propria per fare affari. E qui sta per compiere l’affare della sua vita!
E così siamo giunti non solo al centro del nostro testo, ma al cuore di una verità che, se ci crediamo davvero, può cambiare la nostra vita: non è la conversione che causa il perdono da parte di Dio, di Gesù, ma è il perdono che può suscitare la conversione!
Con il suo comportamento Gesù rivela un volto di Dio che ci offre gratuitamente il suo perdono: se lo accogliamo, potremo anche convertirci, non viceversa! ( E. Bianchi )
Oggi la salvezza è avvenuta in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo
La salvezza – ed è una operazione di tutti i giorni – è il passare da un rapporto mercificato a un rapporto conviviale.  Gesù converte quest’uomo quando egli si colloca al di fuori della polarità del disprezzo.
 Zaccheo disprezza i poveri, i poveri disprezzano lui e Gesù da che parte è?  Si colloca al di là dei due. Non perché sia interclassista – gli interclassisti sono con i ricchi, ovviamente – si colloca fuori, alla radice e muove le coscienze.
I poveri sono stupefatti: Costui sta con un peccatore! Gesù vuole liberare quest’uomo dal peccato, cioè dalla sua etica del possesso e dello sfruttamento e ci riesce. Quel convito diventa la resurrezione di un uomo, la salvezza.  ( Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” vol. 3)

 ….La salvezza portata dal Signore Gesù può entrare ogni giorno, ogni oggi, nelle nostre vite. Il Signore ci chiede solo di aprire il nostro cuore all’annuncio che ha la forza di convertire le nostre vite: egli “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”, è venuto a offrirci di vivere con lui, anzi di venire lui a dimorare in noi. …
Il suo cercarci e il suo salvarci sono la nostra indicibile gioia, la fonte della nostra possibile conversione. Anche quando ci sentiamo perduti, mai dobbiamo disperare dell’amore misericordioso del Signore Gesù, più tenace di ogni nostro peccato, più profondo di ogni nostro abisso: con lui la salvezza è la possibilità di ricominciare a camminare veramente liberi sulle strade della vita. Ciò che è accaduto quel giorno a Zaccheo, può accadere anche a noi, oggi, grazie all’incontro con Gesù. Questo oggi è sempre di nuovo possibile: niente e nessuno può opporsi al perdono di Dio in Gesù Cristo, che ci consente di ricominciare ogni giorno.( E.Bianchi )

( Un altro aspetto del brano di Zaccheo e l’opinione comune di disprezzo della sua gente verso lui)  ….
Se facessimo una società giusta, con una distribuzione economica perfetta, mettendo in prigione i ricchi avremmo caricato la società di disprezzo: il male è il disprezzo che pullula nuove forme di disprezzo.
Al di là del denaro, il disprezzo è l’oppressione, è la burocrazia, è l’autocrazia… Insomma, il disprezzo è la radice di tutti i mali della nostra storia.  Ecco perché anche Dio diventa assente.
 In un mondo che si disprezza Dio non c’è.
 Come volete fare a dimostrare che Dio c’è in un mondo dove il disprezzo domina tutto, dove anche i preti, i teologi disprezzano?
Anche noi non siamo stati pieni di disprezzo per gli infedeli, gli eretici, gli scismatici, i peccatori?
Non c’è nell’occhio dell’uomo religioso un profondo disprezzo per la vita?
 Cosa volete che capisca! Il Dio di cui parla è una specie di cifra sublime e misteriosa del disprezzo universale.
Questo Dio che prepara l’inferno, che aspetta gli uomini per metterceli, è un Dio che disprezza.
Non siamo degni di parlare di Dio finché non ci siamo liberati dall’ombra del disprezzo che circola nelle teologie e nelle liturgie.
L’altro giorno abbiamo parlato del Fariseo che disse: «Grazie o Signore perché non sono come quel peccatore laggiù». Questa gratitudine infame è anche in noi. Grazie o Signore perché non sono nato negro, perché…
Questa gratitudine piena della soddisfazione sottintesa di non essere come gli altri, è il disprezzo.
Potremmo parlare di Dio con purezza se fossimo liberi dal disprezzo, perché altrimenti anche il nostro parlar di Dio è un veicolo di disprezzo.
Vedete che qui siamo ricondotti alla radice del male da cui ci è possibile percepire, quanto meno, le vie della salvezza.
Sono certo vie gracili. Lo capisco, i nostri atti di salvezza sono poveri, però sono gli unici che ci danno gioia.
Se un giorno siete riusciti a dischiudere il cuore di un figlio che era acerbo con voi ed ad abbracciarvi con ritrovata amicizia, avete operato la salvezza.
Se avete suggerito ad un ricco un momento di vergogna per quel che fa e un desiderio di stabilire un rapporto fraterno con gli altri, avete operato la salvezza.
 Direte: ma poi tutto si richiude. È vero, ma questi germi, queste seminagioni di un nuovo modo di esistere, prima o poi dovranno fiorire.  Allora forse riavremo una natura pacificata con noi.
Leggete i fatti del nostro ambiente fisico in questa luce: il deserto si allarga, il mare non ha più pesci, i nostri cipressi ingialliscono. È la civiltà del disprezzo.
Io mi rifaccio al mio Dio che è amante della vita e che non disprezza niente di quanto ha creato: nemmeno l’insetto, nemmeno la lucertola, nemmeno ciò che calpestiamo passando.
Francesco quando camminava e trovava un bruco, allungava il passo per non toccarlo.
 Lo so che questo potrebbe essere inteso male, come se questo significasse un’astensione da parte dell’uomo di un rapporto di uso con la natura, ma il suo male è che il rapporto di uso diventa rapporto di scambio, cioè le cose sono viste con occhio da mercante per cui tutto cambia senso.
Liberarci, salvarci vuol dire ritrovare la convivialità dell’esistere, un rapporto in cui l’altro, anche la creatura inanimata, prima di essere usato va compreso perché le cose hanno un segreto nel cuore.
Dobbiamo dischiuderlo per ritrovare una mitezza nel vivere nell’universo, una pazienza, una misericordia, una benevolenza verso tutto.
 Per chi condivide la civiltà del dominio questi discorsi sono troppo radicali, però essi hanno una saggezza che sta prima delle traduzioni complesse di ordine economico e politico che pur dobbiamo realizzare.
Nell’ascoltare questo messaggio profetico, siamo stati condotti a collocarci prima degli altri discorsi (economico, politico), prima di quella linea ineffabile che corre tra il cuore di Zaccheo e quello di Gesù, tra il cuore di Zaccheo e quello dei poveri che fino a quel giorno aveva sfruttato: è la linea del nostro comune destino, della nostra comunanza con tutte le cose, al di là dell’animato e dell’inanimato.
Francesco diceva: «Dobbiamo obbedire anche alle creature inanimate».
 Obbedire alle creature vuol dire ascoltarle. Prima di afferrarle, prima di metterle sulla nostra tavola, prima di cibarcene dobbiamo ascoltare le creature.
Cos’è questo? Lirismo mistico o sapienza umana?
Io credo che sia la sapienza di cui abbiamo bisogno e che diventerà sempre più assillante per noi perché siamo gli eredi ultimi della civiltà del disprezzo, che non sappiamo più fidarci di nessuno in quanto il disprezzo ha creato il sistema della diffidenza, dell’inganno sottile. È la giusta mercede che abbiamo ricevuto.
 L’opera di salvezza consiste dunque nel liberare l’uomo dalla cultura del disprezzo e restituirlo a quella della fiducia, dello scambio. È un’opera straordinaria… ( Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” vol. 3)
 

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