OMELIA CHIUSURA PORTA SANTA GIUBILEO STRAORDINARIO DELLA MISERICORDIA – Basilica Cattedrale, 12 novembre 2016
A conclusione di quest’anno Giubilare vogliamo ripetere con rinnovata esultanza l’antica parola della gratitudine: “celebrate it Signore perché è buono, eterna e la sua misericordia” (Sal 118 [117],1).
Questo inno di gratitudine è stato già innalzato al Signore domenica scorsa, 6 novembre, sia a Gangi nel Santuario dello Spirito Santo, sia a Gibilmanna. Mentre Papa Francesco lo innalzerà per la Chiesa universale il 20 Novembre prossimo in San Pietro.
Chi può misurare l’evento di grazia che nel corso dell’anno ha toccato le coscienze?
L’amore misericordioso del Padre che ci è stato donato ci ha concesso un nuovo slancio per proseguire con più speditezza i1 cammino della perfezione cristiana.
In tutte le Chiese locali, il popolo di Dio, è passato attraverso la “Porta Santa” che è Cristo. A lui, unico Salvatore del mondo, la Chiesa intera ha gridato: “Signore Gesù abbia pietà di noi, mostraci il tuo volto e usaci misericordia”.
Non possiamo sottrarci al dovere della gratitudine per le meraviglie che Dio ha compiuto in noi. “Misericordias Domini in aeternum cantabo” (Sal 89 [88],2).
Sento di condividere con voi questo inno di ringraziamento che ci proietta verso il futuro e ci interpella in quanto siamo tenuti a far tesoro della grazia ricevuta traducendola in impegno di vita e in propositi concreti nel vivere le opere di misericordia corporali e spirituali.
È soprattutto nella concretezza della vita di ogni giorno che il popolo santo di Dio è chiamato a compiere il cammino della riconciliazione e della misericordia ricevuta e donata.
L’esperienza dell’anno giubilare ci ha fatto toccare quasi con mano la presenza misericordiosa di Dio, dal quale “discende ogni dono perfetto” (Gc 1,17).
Le esperienze vissute devono suscitare in noi un nuovo dinamismo spingendoci a perseverare nella via del Signore.
“Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il Regno di Dio” (Lc 9, 62). Non c’e tempo per guardare indietro, siamo chiamati a perseverare in Cristo e con Cristo perché solo in questa perseveranza salveremo la nostra vita. Ce l’ha detto chiaramente Gesù nel Vangelo or ora proclamato: “Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita” (Lc 21,19).
La perseveranza comporta l’accettazione della fatica quotidiana, l’adesione piena al messaggio del Vangelo e l’esclusione categorica dei falsi profeti che gridano: “sono io!”, e predicono con presunzione la fine del mondo. Non lasciatevi ingannare, non andate dietro a loro: cosi ci ammonisce Gesù.
Al tramonto della storia quel che conterà sarà l’aver combattuto la buona battaglia, l’aver perseverato nella fede ma soprattutto averla conservata.
Solo Dio conosce il momento e l’ora, solo lui e l’arbitro supremo della storia. La tensione escatologica che caratterizza la Parola di Dio di questa liturgia non può essere vissuta come agitazione apocalittica, ma va intesa come uno squillo di tromba che squarcia l’indifferenza e la sonnolenza di una vita troppo grigia e pacifica. Per il salmista la venuta del Signore sarà una festa in cui si darà voce a tutto il creato: i fiumi batteranno le mani e le montagne esulteranno insieme davanti al Signore che viene a giudicare la terra con giustizia e con rettitudine.
Il nostro destino e in mano a Dio e alla nostra liberta. È da sciocchi affidarsi all’astrologia, a chiromanzie, a parapsicologia, a pseudo scienze varie per indovinare futuro dell’uomo. Il nostro futuro e già presente in Cristo e nel suo messaggio di salvezza.
Il presente, insegna Gesù nel Vangelo di oggi, è spesso segnato da oscurità e prove, da drammi e tormenti, terremoti, alluvioni, naufragi e carestie; la storia è un affastellarsi caotico di eventi; la vicenda umana spesso una trama di dolore e di dati assurdi.
In questo faticoso itinerario è necessario conservare la virtù della perseveranza. “Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc 21,12).
L’apostolo Giovanni nell’Apocalisse, all’angelo della Chiesa di Smirne cosi scrive: “sii perseverante fino alla morte e ti darò la corona della vita” (2,10).
Potremmo chiederci: ma oltre a perseverare cosa dobbiamo fare? Ci interroghiamo con fiducioso ottimismo pur conoscendo le grandi sfide del nostro tempo. Siamo consapevoli di non avere ricette in tasca. Abbiamo solo una parola certa: “Io sono con voi! E sarò con voi fino alla fine dei secoli” (Cfr. Mt 28,20).
Anche San Giovanni Paolo II a conclusione del grande Giubileo del duemila si pose la stessa domanda… e ora “che cosa dobbiamo fare?”, non si tratta di inventare un “nuovo programma”, il programma c’e già: è quello di sempre. Esso si incentra in Cristo stesso, da conoscere, amare servire e imitare. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture perché Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre (Eb 13,8).
C’e una priorità pastorale che coinvolge tutti. La prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quello della santità.
Additare la santità resta più che mai la prima urgenza della pastorale. Non possiamo accontentarci di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica ridotta ai minimi termini. Non possiamo contentarci di una religiosità superficiale che lascia il tempo che trova. Ci viene proposta ancora una volta la “misura alta” della vita cristiana ordinaria fatta di preghiera e di accettazione quotidiana della volontà di Dio nella nostra vita.
Non è stato forse questo il senso ultimo dell’indulgenza giubilare, quale grazia speciale offerta da Cristo perchè la vita di ciascun battezzato potesse purificarsi e rinnovarsi profondamente?
Ci siamo riusciti in questo intento?
E lo stesso Giubileo ci è riuscito?
Ancora una volta affidiamo tutto alla misericordia di Dio.
È prassi consolidata che a conclusione di ogni Giubileo le comunità cristiane e soprattutto le Chiese locali, vengano invitate a lasciare un segno concreto, un’ opera come frutto e sigillo della carità giubilare.
Oltre ad avere già istituito il servizio diocesano per l’accoglienza e l’accompagnamento dei fedeli nelle loro fragilità matrimoniali nell’ambito della pastorale familiare e l’istituzione della Scuola Teologica di Base, ci è sembrato
opportuno lasciare un segno concreto di carità e di promozione umana attenzionando le molteplici necessità in cui versa la Casa di Riposo “S. Pasquale”, l’unica casa di riposo in Cefalù.
Tra le diverse cose che abbiamo già realizzato per aiutare l’Ente a rispondere ai parametri richiesti dalle norme vigenti, ci è sembrato utile, dopo avere sentito il Commissario attuale, collaborare all’adeguamento della struttura bisognosa tra l’altro, del rifacimento delle aperture interne alle quali abbiamo già provveduto con l’acquisto delle porte per garantire la sopravvivenza della stessa struttura.
Pur nella consapevolezza che le opere realizzate sono solo un piccolo segno a ricordo del Giubileo della Misericordia, ci auguriamo che possa contribuire a far crescere l’attenzione verso tanti nostri fratelli bisognosi.
Un altro segno che ci sembra quanto mai attuale riguarda l’attenzione alle popolazioni colpite dagli ultimi eventi sismici che hanno interessato 1’Italia centrale.
Tra tanta solidarietà c’e stata anche la vostra che avete dimostrato con il contribuito di circa 30.000 Euro raccolto in Diocesi.
Questa somma sarà integrata dalla Diocesi per un totale di 50.000 euro che consegneremo per un intervento specifico ad una delle Caritas di uno dei territori provati.
In questo contesto mi permetto di rivolgervi un accorato appello che spero tanto possa essere raccolto.
Proprio perche parliamo di stile di vita da assumere, si proceda, da domani a studiare, programmare e costituire operativamente le Caritas interparrocchiali o cittadine.
I poveri e i bisognosi appartengono a tutti.
Per dirla, con Papa Francesco, sono il tesoro della Chiesa come l’Eucaristia.
Lavorare insieme per l’unica causa, non solo snellisce e facilita gli interventi, ma rende più efficacie la stessa azione pastorale.
A voi carissimi Confrati chiedo di riscoprire il vostro carisma originario quasi sempre fondato sulle opere di misericordia corporali e spirituali.
Chiude il Giubileo ma non cessa la Misericordia, né le sue opere. Ciò che resta è il seme sparso più che la mietitura. Se raccoglieremo frutti, molto dipenderà dal cammino da proseguire, da come la lezione della Misericordia cambierà la nostra vita, la vita delle nostre Comunità parrocchiali, delle nostre Associazioni, Gruppi, Movimenti e dalle nostre Confraternite che non sono poche.
Si tratta dunque di acquisire uno stile di vita che risponda continuamente e quotidianamente alle esigenze della nostra gente e del nostro territorio, andando oltre, allo stesso anno celebrativo del Giubileo.
Carissimi, il simbolo della Porta Santa si chiude alle nostre spalle ma resta spalancata più che mai la porta viva che e Cristo. Mentre si conclude l’ anno Giubilare si apre un futuro di speranza. Andiamo avanti, dunque, con fiducia.
Maria SS. di Gibilmanna, Madre di Misericordia, Patrona della nostra Diocesi, sostenga questa nostra speranza e ci insegni a contemplare il volto del suo Figlio
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