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III Domenica di Avvento – Occorre rallegrarsi, cantare perché si avvera la promessa che il deserto, terra desolata, diventa una terra feconda e rigogliosa.

giovanni-battista-jLe letture di questa terza domenica di Avvento ci restituiscono parole ed esperienze che devono far parte del vocabolario della vita di ogni uomo e di ogni donna credente: gioia e dubbio, invito alla gioia e consapevolezza che la vita contempla anche momenti in cui si fa fatica a credere.
Così, all’esplicito invito alla gioia della prima lettura – «Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa» – fanno da contrappunto la domanda e il dubbio di Giovanni: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
Gioia e dubbio! Due temi, o meglio due esperienze, solo apparentemente in contrasto. (N. Galantino)
«Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa».
Occorre rallegrarsi, cantare perché si avvera la promessa che il deserto, terra desolata, diventa una terra feconda e rigogliosa. È una gioia cosmica, che coinvolge non solo gli esseri umani, ma anche il deserto e la steppa. Il deserto non solo non avanza ma, grazie alla manifestazione della gloria del Dio vivente, si trasforma in un bosco come quelli del Libano, in una prateria fiorita come i monti del Carmelo e del Saron. Il grido che risuona è dunque un invito al coraggio per chi ha le mani fiacche, le ginocchia vacillanti, il cuore spezzato… Dio viene a salvare il suo popolo, ed ecco la fine delle sofferenze e il dono della pienezza, dell’integrità, della salute e della pace: il pellegrinaggio verso Gerusalemme può quindi avvenire su una strada sicura e senza ostacoli.
«Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati;»
L’apostolo chiede alla comunità cristiana di non stancarsi nell’attesa della venuta gloriosa del Signore. Per tre volte risuona il verbo makrothyméo, che indica l’essere pazienti, ma soprattutto il sentire in grande. È un atteggiamento decisivo per poter discernere la parousía, la venuta del Signore, e non fermarsi invece alla cronaca mondana: questa venuta, infatti, si è avvicinata, accelera, incalza. E cosa richiede questa attesa del Giudice? Che i cristiani non si giudichino l’un l’altro, ma nella carità reciproca confidino nella misericordia del Signore. L’esempio viene dai profeti, i portavoce di Dio, che hanno mostrato sottomissione (kakopathía) e pazienza (makrothymía), perseverando fino alla fine, fino all’incontro con il Veniente. ( E. Bianchi )
Nel Vangelo   i segni annunciati da Isaia come rivelatori della salvezza già presente, si realizzano in Gesù. Egli stesso lo afferma rispondendo ai messaggeri inviati da Giovanni Battista: «I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano» (Mt 11,5). Non sono parole, sono fatti che dimostrano come la salvezza, portata da Gesù, afferra tutto l’essere umano e lo rigenera. Dio è entrato nella storia per liberarci dalla schiavitù del peccato; ha posto la sua tenda in mezzo a noi per condividere la nostra esistenza, guarire le nostre piaghe, fasciare le nostre ferite e donarci la vita nuova. La gioia è il frutto di questo intervento di salvezza e di amore di Dio. ( Papa Francesco )
Scegliendo alcuni testi profetici a preferenza di altri (cf. Is 25,19; 29,18-19; 35,5-6), indica quale tipo di Messia veniente egli sia, non un giustiziere, non un potente trionfante, ma uno che guarisce, fa il bene, consola e soprattutto si rivolge ai poveri: “Andate e annunciate (apanghéilate) a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo, la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo”.
Gesù può solo dire a Giovanni che le sue opere sono realizzazione delle promesse di Dio, ma pur vedendo queste opere è possibile restare delusi da chi le compie: per questo è beato chi riesce ad aver fede nella sua umile, mite, povera persona. Ma se il profeta Giona era stato deluso da Dio, Giovanni non lo è dalle parole di Gesù e aderisce a esse, riconoscendo a lui l’ultima e decisiva autorità.
Gesù a questo punto sente il dovere di dire alla folla una parola su Giovanni. Chi era veramente costui? Un uomo saldo e convinto, che non tremava davanti ai poteri di questo mondo (cf. Ger 1,17-19): il contrario di una canna sbattuta a ogni soffio di vento. Un uomo roccioso, con una postura diritta, che non si piegava davanti a nessuno se non al Signore.
Un uomo rimasto sempre lontano dai palazzi dei re e dei sacerdoti.
Un uomo che non conosceva le vesti sfolgoranti, preziose o morbide: non frequentava salotti e sapeva tenersi lontano da quelli che usano il loro potere per contaminare e rendere schiavi gli altri.
Giovanni era un profeta, un portavoce di Dio, il messaggero e precursore del Signore. Davvero – come testimonia Gesù – “fra i nati da donna non è sorto nessuno più grande di lui”, per i suoi doni e la sua qualità umana ed etica. Tuttavia “il più piccolo”, cioè Gesù stesso, abbassatosi fino all’ultimo posto, rifiutato fino alla condanna della croce, giudicato non martire ma scomunicato, “nel regno dei cieli è più grande di lui”. E se Giovanni non trova in Gesù motivo di inciampo, di ostacolo, allora è beato!
Per questo – come Gesù conclude con una parola dai tratti anche misteriosi – “dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11,12). È la pacifica violenza di Giovanni, è il suo sofferto ma saldo discernimento la chiave per accedere al Regno e per accogliere colui che è il Regno fatto persona: Gesù, il Veniente, la cui buona notizia è così lontana dai nostri schemi religiosi! ( E. Bianchi )
 

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