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XIII Domenica del T.O. – Dimenticando di affermare noi stessi e accettando di perdere e spendere la vita per gli altri, accresciamo la nostra gioia e diamo senso e ragioni al nostro vivere quotidiano.

[La prima lettura  della liturgia della parola di questa domenica, attraverso] l’esperienza del profeta Eliseo ci richiama  al valore dell’ospitalità in nome di Dio, mettendo in evidenza come tutto ciò che è dono gratuito abbia in sé una particolare fecondità. La donna di Sunem, ad esempio, per la sua accoglienza generosa dell’uomo di Dio ottiene una ricompensa stupenda, ciò che non avrebbe mai potuto neanche comprare: un figlio. ( N.Galantino )
«…  Vi è un parallelo molto stretto con la visita a Mambre: chi riceve il profeta, riceve la potenza di Dio.
Un altro possibile collegamento è con il v. 37 del Vangelo: Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me. È tutto in collegamento. La vita è veramente dono di Dio e amare il figlio più di Dio è contraddire al dono di Dio.
Anche con la lettera ai Romani vi è un parallelo: Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Ogni battezzato veramente muore e risorge nel battesimo, è quindi dono di Dio. Tutto questo è vero perché la realtà del cristiano passa attraverso la morte e la risurrezione di Cristo» 
Il brano evangelico contiene l’ultima parte del discorso missionario rivolto da Gesù ai suoi discepoli «È importante rileggere il c. 10 di fila: ci sono  una serie di condizioni:
1) andare senza bastone ecc. c’è una povertà massima;
2) pecore in mezzo ai lupi, essere inermi senza difesa;
3) saper che l’annuncio di Gesù Figlio di Dio li avrebbe esposti a ogni genere di persecuzioni;
Questa è la scelta che Dio ha fatto dei suoi: li divide nell’intimo dell’anima non solo da tutti i cari, ma dalla loro stessa vita. Chi accetta di essere immerso nella morte di Cristo diventa profeta, cioè chi riceve lui, riceve Me. Questo è il vertice dell’annuncio: farsi talmente Cristo che chi ci riceve, riceve Cristo.
Togliere tutto quello che non è Dio dall’anima perché gli altri possano tremare di fronte alla luce di Dio che risplende in noi» (sr Agnese, appunti di omelia, Monteveglio, 2. 7. 1972).
Gesù non propone ai suoi una vita disumana, e non li sprona all’odio della famiglia, degli amici, del mondo e della loro stessa vita, ma li sprona a trovare in Lui e nei suoi insegnamenti un punto di riferimento, una energia potente che li porta a vivere la vita e le relazioni in un modo nuovo.
Gesù provoca i suoi discepoli a purificare il loro amore umano, non lo vuole distruggere! Gesù sa che gli uomini di allora come quelli di oggi, sono sempre a rischio di “rovinare” la loro vita quando l’egoismo rende chiusi in se stessi e toglie respiro all’amore.
Quando al centro della mia vita ci sono solo io e quello che io voglio e solamente tutto quello che dà’ felicità solo a me, allora anche i legami famigliari si deteriorano, anche i rapporti con gli altri diventano poco sani e infelici, anche il mio rapporto con le cose del mondo diventa sbagliato e schiavizzante. Amare più Gesù di tutto il resto mi porta ad amare veramente proprio tutto quello che ho e le persone che ho accanto. E così anche il più piccolo gesto di amore, come quello di dare un bicchiere d’acqua, diventa occasione di amore e mi fa scoprire la bellezza della vita. ( Gioba)
…. L’amore per il Signore conferma i nostri amori, se questi sono trasparenti, all’insegna della vera carità e vissuti con giustizia…
Dobbiamo essere sinceri: questa istanza decisiva nel cristianesimo è dura, soprattutto oggi, in un tempo e in una cultura che rivendicano la realizzazione della persona, che ci chiedono l’affermazione di sé, anche senza o contro gli altri. Ma le parole di Gesù, che non hanno nessun carattere masochistico o negativo, in verità ci rivelano che, dimenticando di affermare noi stessi e accettando di perdere e spendere la vita per gli altri, accresciamo la nostra gioia e diamo senso e ragioni al nostro vivere quotidiano.
.. La sequela vissuta nell’amore per Cristo rende il discepolo degno di stare tra i testimoni del Regno che viene. Il saper non guardare a se stessi ma tenere fisso lo sguardo su Gesù (cf. Eb 12,2) per vivere i suoi sentimenti (cf. Fil 2,5) e agire come lui (cf. 1Gv 2,6), è la sequela cristiana.
Profeti e giusti vanno dunque accolti e venerati, ma significativamente Gesù pone accanto a loro anche i piccoli, quelli sui quali altrove dice che si giocherà il giudizio finale (cf. Mt 25,40.45). I piccoli e i poveri, che Gesù ha sempre accolto e confermato nella loro prossimità al regno dei cieli, devono dunque essere accolti in modo preferenziale dalla comunità cristiana: anche e soprattutto così si mostra di amare in modo privilegiato il Signore Gesù! Ma oggi la comunità cristiana è capace di accogliere i poveri e di rendersi soggetto di magistero ecclesiale? È capace di rendere vicini i lontani? ( E. Bianchi )

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