XXII Domenica del T.O. – Il discepolato non è solo seguire un maestro sapiente e autorevole .. ma significa essere coinvolti con la vita di Gesù, significa rinunciare a conoscere e affermare se stessi.. prendere la propria croce, lo strumento della morte dell’uomo mondano, dell’“uomo vecchio” e seguire Gesù ovunque egli vada .Discepolato a caro prezzo! Discepolato che non rende esenti dallo scandalo, dalla prova, dalla sofferenza.
In questa domenica, la liturgia della Parola – attraverso le figure di Geremia e di Pietro – ci propone due atteggiamenti opposti, due modi differenti di stare davanti al Signore e manifestargli la nostra disponibilità. Chiamato a essere profeta, Geremia (prima lettura) lascia il suo villaggio e si trasferisce a Gerusalemme. Qui, a motivo di quello che aveva annunziato, viene schernito e perseguitato dalla gente. Il suo cammino, come quello di Gesù e come quello di ogni uomo giusto, si scontra con la persecuzione, con le difficoltà dell’ambiente e con le sue crisi interiori. Geremia, angosciato, lamenta addirittura di essere stato «sedotto» da Dio. Non sa se continuare a fare il profeta o scegliere invece una strada meno faticosa, ritirandosi a vita privata.
Dalla sua interiorità, però, si sprigiona un «fuoco ardente incontenibile», che elimina le sue resistenze e lo rilancia nel servizio profetico. ( N Galantino )
La seduzione di cui parla Geremia non ha nulla di romantico, invece ha molto di tragico. Secondo l’uso di questo termine, è la seduzione che subisce chi viene adescato con inganno: Geremia si sente mortalmente imbrogliato dalla stessa parola di Dio che era stato inviato ad annunciare. Vorrebbe non più dirla («non parlerò più nel suo nome») ma non ci riesce («ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo»). Geremia ama la Parola più ancora della sua attuazione. Ama Dio più delle promesse di Dio, cerca Dio più delle sue consolazioni. ( A. Vianello )
La storia di Geremia, dunque, è la storia di una fedeltà a Dio pagata a caro prezzo, che oggi serve a ciascuno di noi per verificare se il nostro modo di rispondere a Dio e alla sua Parola è più vicino al modello di Geremia o se invece assomiglia di più al comportamento interessato di Sebnà (domenica scorsa) oppure a quello tenuto da Pietro (Vangelo).
A Gesù che parla della sua passione come compimento del progetto del Padre, Pietro infatti si oppone: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Quasi un invito a Gesù a “scegliere le mezze misure”, a mettere da parte la sofferenza. [ N. Galantino]
Di fronte a questo annuncio, la Roccia della chiesa, Pietro, appena istituito tale e proclamato da Gesù “beato” (cf. Mt 16,17-19), reagisce. … lo rimprovera ritenendo le sue parole insensate, perché la passione e la morte non possono accadere al Messia.
Non scandalizziamoci delle parole di Pietro: anche Gesù provava rifiuto e ripugnanza per ciò che lo attendeva e nel Getsemani lo mostrerà ai discepoli con un’angoscia vissuta visibilmente e con una preghiera al Padre affinché allontanasse da lui il calice di quella misera fine (cf. Mt 26,36-46)! La sofferenza e la morte, nostra e di chi amiamo, ma anche degli altri, ci fanno male e ci ripugnano. Pietro sta dicendo questo.
Ma per Gesù quelle parole suonano come una tentazione rinnovata da parte di Satana. … Per questo Gesù gli grida: “Opíso mou”, sta alla mia sequela, dietro a me, non prendermi in disparte, non essere un ostacolo sulla mia strada, perché i tuoi pensieri sono umani, non sono pensieri di Dio”.
Ecco perché la Roccia può essere chiamato Satana! Nessuna smentita della precedente investitura e della beatitudine rivolta a Pietro, ma un chiaro avvertimento: anche alla Roccia è possibile finire per ragionare mondanamente ed essere un ostacolo sulla via del Signore.
E affinché questo “mostrare” la necessitas passionis sia una parola definitiva, a questo punto Gesù, secondo Marco, chiama addirittura a sé la folla (cf. Mc 8,34), e secondo Matteo dice ai discepoli: “Se qualcuno vuole venire dietro a me (opíso mou), smetta di conoscere solo se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Ecco come il discepolato si precisa per tutti: non è solo seguire un maestro sapiente e autorevole, non è solo seguire un profeta capace di compiere miracoli, ma significa essere coinvolti con la vita di Gesù, significa rinunciare a conoscere e affermare se stessi, significa prendere la propria croce, lo strumento della morte dell’uomo mondano, dell’“uomo vecchio” (Rm 6,6; Ef 4,22; Col 3,9), e seguire Gesù ovunque egli vada (cf. Ap 14,4).
Discepolato a caro prezzo! Discepolato che non rende esenti dallo scandalo, dalla prova, dalla sofferenza. Discepolato che pone dalla parte di Gesù, il Servo sofferente, e dalla parte di tutti quelli che soffrono in questo mondo. Sì, beati i poveri, i miti, quelli che piangono, quelli che sono perseguitati (cf. Mt 5,1-12)…
La perdita di sé, del sé mondano, è necessaria perché possa emergere il proprio autentico sé, quello che si trova in Cristo Gesù. I cristiani, e soprattutto i pastori della chiesa, che proclamano la vera identità di Gesù quale Figlio del Dio vivente, non dimentichino, non occultino mai il crocifisso. Infatti, la gloria di ogni cristiano sta tutta in quel prendere la propria croce e seguire il suo Signore nella passione, morte e resurrezione.
Ecco allora, di seguito, alcune sentenze di Gesù imperniate sulla parola “vita”.
La vita è innanzitutto non quella che uno cerca di conservare a ogni costo, seguendo l’impulso a vivere anche senza e contro gli altri, in una logica di autoconservazione, logica che non riconosce la dinamica del dono di sé a Dio e agli altri. Al contrario, si può addirittura spendere la vita fino a perderla nel darla, e in questo caso la si ritrova nella potenza della resurrezione che Dio opera come parola ultima e intima sulle nostre vite.
La vita vera, inoltre, non significa guadagnare il mondo, non si identifica con l’avere, con il possedere, perché nessuno può pagare a Dio la propria redenzione e salvare la propria vita (cf. Sal 49,8-9). Questa verità sarà manifesta quando verrà il Figlio dell’uomo nella gloria del Padre, con tutti i suoi angeli, in quello che sarà “il giorno del Signore”, annunciato dai profeti e confermato da Gesù come giorno del Figlio dell’uomo (cf. Mt 24,44; 25,31). Allora, mediante un giudizio ultimo e definitivo, apparirà la verità della vita di ciascuno di noi e ognuno riceverà da Dio un giudizio conforme a ciò che avrà vissuto e operato sulla terra. All’orizzonte ultimo della storia sta dunque per tutti noi la venuta nella gloria di Cristo, Figlio dell’uomo e Figlio del Dio vivente, colui che è stato crocifisso ed è stato risuscitato il terzo giorno.
E se noi abbiamo tentato di seguire Gesù, ma come Pietro, la Roccia, di fronte alla persecuzione abbiamo riconosciuto solo noi stessi, fino a dire di Gesù: “Non lo conosco” (cf. Mt 26,69-75), nel pentimento conosceremo lo sguardo misericordioso di Gesù. Come è accaduto a Pietro (cf. Lc 22,61-62)! ( E. Bianchi )
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