XXVIII Domenica del T. O. – Il vendere tutto ci rende davvero liberi di seguirlo, … ma occorre valutare il bene in vendita, [che, poi, è il provvisorio] e soppesarlo con quello che si avrà in cambio: il Tempo di Dio.
Nella prima lettura la prudenza e la sapienza, invocate da Salomone costituiscono l’incontro tra il pensiero filosofico (prudenza) e quello biblico ( sapienza) . Più che oggetto di ricerca e di studio, la sapienza, come prudenza, diventa oggetto di preghiera e di supplica a Dio, preghiera che da Dio è esaudita. La sapienza precede il potere e ne è il fondamento. Ricchezza e oro non sono niente al suo confronto.
Lo splendore che viene dalla sapienza è incessante in quanto proviene da Dio stesso. Il saggio, nell’accoglierla, viene illuminato dalla gloria stessa di Dio. La sapienza è il superamento di ogni ricchezza
Nella seconda lettura la parola divina, variando la metafora, è come un bisturi che si affonda in profondità, andando oltre la superficie e penetrando fino alle giunture e persino perforando le ossa per cogliere il midollo. Infatti, essa vuole vagliare e giudicare i segreti intimi delle coscienze, ove si celano i pensieri e le passioni più oscure che spesso nascondiamo anche a noi stessi. Al versetto 13 viene detto: « Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.». Espressione che non vuole incutere terrore ma serietà, severo impegno morale, rigoroso esame di coscienza. Quando incontriamo e ascoltiamo Cristo, «mite e umile di cuore», non dimentichiamo che il Signore gli ha, però, reso anche «la bocca come spada affilata» per giudicare e condannare il male (Isaia 42, 2)
Per la comprensione del brano evangelico dobbiamo lasciarci guidare da alcuni termini presenti nel vangelo odierno. “Lungo la strada” è il luogo della semina infruttuosa dove la parola non verrà accolta.
Poi altri due elementi: gli corre incontro e gli si getta in ginocchio, come l’indemoniato e il lebbroso.Espressioni che ci portano a pensare che questo “tale” è più posseduto di un indemoniato e più impuro di un lebbroso.
La preoccupazione di questo tale – anonimo personaggio rappresentativo – è cosa deve fare per ottenere la vita eterna. … Gesù …lo rimanda a Dio e ai comandamenti, eliminando i tre sugli obblighi nei confronti di Dio, ed elencando solo quelli che riguardano il comportamento verso gli altri. Per la vita eterna non importa come e quello che si è creduto, ma importa come si sono amati i fratelli.
” Il Tale” risponde di aver fatto tutte queste cose fin dalla giovinezza. Allora Gesù lo fissò, lo amò e gli disse: “Uno ti manca”, espressione che sta per indicare “ti manca tutto”. E Gesù, che lo ama, … lo invita a dare di più. ( A Maggi )
L’invito lo sconvolge e lo fa chiudere in se stesso perché aveva molti beni. Quindi la tristezza invade il suo cuore; intuisce che, nonostante l’amore con cui Gesù l’ha fissato, egli non riesce a mettersi in giogo per paura, per viltà, per pigrizia. ( Carlo Maria Martini la trasformazione di cristo e del cristiano alla luce del tabor – Un corso di esercizi spirituali )
Il vendere tutto ci rende davvero liberi di seguirlo, … Ma per vendere qualcosa occorre anzitutto valutare il bene in vendita, [che, poi, è il provvisorio] e soppesarlo con quello che si avrà in cambio: il Tempo di Dio.
Per quell’uomo era giunta l’occasione della scelta, del discernimento tra l’amore, la comunione, oppure il possesso di beni nella solitudine; : gli manca la gratuità del dare, dello spogliarsi per condividere, e gli mancherà per sempre l’esperienza dell’amore. Per questo “se ne va triste”.
Allora Gesù rivela ai discepoli che, per accogliere l’amore, occorre non avere degli altri amori che seducono e alienano, come il denaro, la ricchezza, il potere. Chi possiede queste cose non sa discernere l’amore, che chiede accoglienza, perché è già sazio, autosufficiente, non ha bisogno di essere amato da un altro.
E a Pietro che mendicava un riconoscimento di Gesù per la loro rinuncia a ciò che è buono e santo come una famiglia, Gesù risponde: “Non c’è nessuno che abbia lasciato tutto questo a causa mia e del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà”.
Oggi si dimentica troppo facilmente anche nella chiesa che Gesù può chiedere a “chi può fare spazio” di rinunciare alla famiglia che aveva e a quella che avrebbe potuto crearsi.
Il celibato per il Regno non può essere ridotto alla rinuncia all’esercizio sessuale, ma è molto di più: è una “non coniugazione” né psicologica né affettiva, è non avere più una famiglia umana ma vivere e sentire come sufficiente la famiglia dei fratelli e delle sorelle di Gesù. Come gli stesso ha annunciato: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? … Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre” (Mc 3,33.35). Nella sequela di Gesù si può abbandonare la famiglia carnale per un nuova famiglia, si può vivere il celibato nella fecondità dell’amore di Cristo, dei suoi fratelli e delle sue sorelle. Stiamo attenti a non annacquare lo scandalo della sequela di Cristo, a non nascondere la rinuncia, che è determinante nel seguire Gesù.
Abbandonare tutto può essere, per alcuni chiamati dal Signore, il loro “fare” in questo mondo: sempre nel servizio degli altri; sempre nell’amore per il prossimo, chiunque esso sia; sempre mendicando una salvezza che non può mai essere meritata, neanche vivendo le persecuzioni. Nella sequela di Gesù non ci sono primi o ultimi per diritto acquisito, ma solo destinatari dell’amore preveniente di Gesù e della sua misericordia. ( E. Bianchi )
Lascia un commento