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Leggiamo, una pagina al giorno, il libro “ PREGARE LA PAROLA” di Enzo Bianchi. Per accedervi click sulla voce del menu “ PREGARE LA PAROLA” o sull’icona che scorre di seguito .

Lettura continua del libro ” Pregare la Parola” ( Primo Capitolo)

Questo post per leggere assieme, una pagina al giorno, il libro ” pregare la parola” di  Enzo Bianchi. E’ questo il libro consigliato da P. Emilio propedeutico alla lectio.

Buona lettura

I° CAPITOLO : “L’approccio alla parola di Dio oggi “

 

I GIORNO

La Parola di Dio, dopo un plurisecolare esilio ha ritrovato la sua centralità nella vita della chiesa: questo è un fatto incontestabile.

Si potrebbe addirittura palare di riscoperta della parola di Dio da parte dei credenti che da secoli non conoscevano e non praticavano più il contatto diretto con le Scritture e non avevano neppure l’occasione di attingere alla parola di Dio nella loro vita di fede.

E’ vero che la chiesa ha sempre vissuto della Parola di Dio ma, pur essendone riconosciuto l’uso e la frequentazione ai chierici e agli specialisti, si era verificata di fatto una situazione in cui la centralità della parola era offuscata da un sistema di mediazioni dottrinali e disciplinari che si frapponevano tra la coscienza dei credenti e le sacre scritture, le quali solo formalmente costituivano l’elemento fondante e dirimente della vita ecclesiale

Preceduto e preparato dai movimenti liturgico, biblico ed ecumenico, il Concilio Vaticano II, di fatto, e forse al di là della coscienza e delle intuizioni dei Padri conciliari, ha liberato la Parola e dichiarato finito l’esilio delle sacre Scritture, sicché oggi noi assistiamo ad una epifania della Parola di Dio nella comunità cristiana: di questo dobbiamo soprattutto rallegrarci e ringraziare il Signore della chiesa che ci ha richiamati e fatti tornare alla sua Parola .

Sono sempre più persuaso che fra tutte le ricezioni conciliari quella più epifanica sia proprio questa restituzione della Parola al popolo di Dio.

Rimessa al centro della vita della chiesa, la Parola non cessa di riattivare un processo rimasto a lungo statico e atrofizzato: quello del giudizio di Dio sulla storia, sulla vita e sulla chiesa stessa nella sua qualità di pellegrina, di comunione di santi e di peccatori in cammino verso il Regno.

La Parola è riscoperta come una realtà vivente, dinamica, efficace, capace di alimentare la fede, di ispirare la vita e di giudicare il modo di stare dei cristiani nella storia e nella compagnia degli uomini; inoltre è predicata assiduamente nelle assemblee cristiane e letta, meditata, pregata dai singoli credenti e in molte comunità cristiane.

Tuttavia non vanno taciute alcune perplessità che suscita ancora un certo approccio alla Scrittura: approccio che contiene inadempienze e inadeguatezze e che minaccia sovente la signoria della Parola, la sua centralità e la sua fecondità spirituale nella chiesa.

Una prima perplessità deriva dalla strada seguita da molti predicatori e fedeli nell’accogliere i nuovi lezionari – festivo e feriale – elaborati (soprattutto quello festivo) con intelligenza spirituale degna di rilievo. Si è scatenata una produzione di libri e sussidi volti ad aiutare i predicatori e i fedeli nella comprensione della Parola, ma l’uso di questa produzione, certamente esagerata e smodata, appare sospetto.

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II GIORNO

Innanzitutto questo tipo di pubblicazioni favorisce la passività personale e comunitaria di fronte alle Scritture in quanto esime il predicatore e l’uditore dallo sforzo  personale: sicché si potrebbe dire che l’attuale dilagare  di sussidi e compendi che presentano omelie e lectiones   divinae preconfezionate rischi di ottenere l’esito paradossale di distogliere dal contatto diretto con la Bibbia dispensando di fatto dalla preparazione personale, dalla penetrazione certamente faticosa ma necessaria, e  soprattutto dalla preghiera del testo. Come potrebbe poi un contributo apprestato più o meno rapidamente da un erudito esegeta o teologo essere parola vitale e  nutrimento per cristiani diversi e per situazioni di chiese locali diverse una volta che è in bocca a predicatori che non possono che arrossire annunciando un  testo da loro non meditato, non penetrato ne pregato?

    E poi ci si lamenta che la Parola di Dio oggi non tocca più l’assemblea e sembra urtare pareti e muri impenetrabili!   Ma è questa ancora la «Parola» di Dio efficace,  annunciata da un  predicatore,  da un  testimone fedele, schietto, non timoroso delle difficoltà che essa  comporta?

 

          Il predicatore della Parola dovrebbe ricordarsi con  più frequenza e con maggiore coscienza dei nomi che la Scrittura gli  attribuisce:  egli  appare  infatti  come «ministro della Parola» (Lc 1.2), «ministro della visione e della testimonianza» (At 26.16), «amministratore dei misteri di Dio» (ICor 4.1) e soprattutto «servo della Parola» (At 6.1-4).

Questo significa che egli non  potrà leggere la Parola frettolosamente e tantomeno   orecchiarla per la predicazione da qualche sommario        omiletico per poi farla parlare con trovate intellettuali, psicologiche e sociologiche. Egli dovrà

  • prima leggerla e meditarla a lungo,
  • dovrà pregarla in modo che essa  lo domini, lo renda schiavo.

Se è vero, come dice Pietro (2Pt 2.19), che uno è schiavo di colui dal quale è stato domato, allora il predicatore dev’essere innanzitutto un servo della Parola: solo così egli ne sarà un’eco libera, schietta, non timorosa. Egli proclamerà la  Parola, la ridirà cercando di non deformarla e tenterà        una mediazione per aiutare coloro che ascoltano a capire la portata del testo, ricollegandolo con il contesto globale biblico e commentando così la Bibbia con la Bibbia.                                    

 

    Egli rinuncerà alla presunzione clericale di pensare:  « a tè, cui la Scrittura non dice nulla, io dico», e si limiterà a dare la sua testimonianza di fede senza arrossire,  chiedendo  agli  ascoltatori  di  rinunciare  ad ogni atteggiamento passivo di fronte al testo e invitandoli a decifrarvi la Parola e a deciderne essi stessi l’attualizzazione e l’incarnazione nella loro vita quotidiana. Ancora oggi. io credo, queste parole di Ambrogio ai cristiani hanno  una portata esortativa non vana:  «Perché non dedicate il tempo libero alla lettura della  Scrittura? Voi non vi intrattenete con Cristo? Non lo  visitate, non lo ascoltate?  … Noi ascoltiamo Cristo  leggendo le Scritture!.».

 

     Altre perplessità suscita l’uso che si fa della Scrittura nella ricerca delle comunità ecclesiali cosiddette di base e nei gruppi parrocchiali volenterosi di accostarsi alla Parola di Dio.

Qui la lettura –  che vuole essere il centro spirituale di adunanza e di crescita e che  appare sovente dialogata, non clericale – manca delle  dimensioni di ascolto e di sforzo di penetrazione personale.

  Lo sforzo di attualizzazione appare spinto al  massimo e l’uso scritturistico diventa pericoloso e settario per la scelta che normalmente vien fatta delle pagine bibliche su temi scottanti per la vita del gruppo.

   Pace, giustizia sociale, violenza e non violenza, matrimonio, libertà e diritti umani sembrano temi cosi   pressanti da giustificare una scelta della Parola che discrimina e non tiene conto di altri messaggi che essa  contiene.  

 

    Già Giovanni Crisostomo, di fronte a un tale uso della Parola di Dio, doveva intervenire con espressioni  dure: «La tiepidezza in cui si è caduti dipende dal non leggere la Scrittura nella sua intierezza e dal tare una scelta di ciò che sembra più chiaro e utile senza tener conto del resto.

 Le eresie stesse sono state introdotte da questo modo di non voler leggere tutta la Scrittura e di credere che esistono nella Scrittura parti importanti e parti secondarie».

 

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III GIORNO

Questo modo di leggere «piluccando» spinge a un ascolto interessato della Parola e a un’interpretazione della Scrittura alla luce di ideologie e problematiche mondane.

Non è più la Parola di Dio a illuminare i segni dei tempi emersi con chiarezza nella coscienza del credente, ma è l’ideologia a orientare in certe direzioni l’Evangelo e a chiamare «segno dei tempi» ogni evento storico che pretenda di dare attualità e contenuto alla Parola.

Inoltre la Parola di Dio letta in tal modo discriminante non può far emergere segni dei tempi o contestazioni o giudizi che non siano già stati colti dal credente per altre vie.   Riappare così l’antica tentazione  divinatoria di chi si mette a leggere i presunti segni dei  tempi già in antecedenza definiti, scelti e decifrati in  base alle ideologie sociologiche o psicologiche.

 

    Troppo assente pare poi lo sforzo di far diventare  preghiera la Parola di Dio. La preghiera sovente scompare per lasciare posto alle analisi delle situazioni.  Ma  una lettura simile rischia di restare intellettuale e sociologica,  incapace  di  possedere  quell’efficacia  che  produce la conversione e la crescita della statura spirituale in Cristo.

Nelle discussioni, il ricorso alla Parola  di Dio, soprattutto a certi testi etici dell’Evangelo,  non può avvenire tramite «collages» di versetti biblici che suonano bene perché assommati e accostati in un  genere letterario sloganistico e tagliente, ma che non  permettono la lettura globale, con conseguente interpretazione univoca delle parole del Signore.

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IV GIORNO

  Una perplessità rimane anche verso un altro tipo di lettura, quella fondata sulla cosiddetta meditazione.

Questo metodo, che si riscontra soprattutto in una vita – quella religiosa – che conosce un uso quotidiano della Scrittura, risulta molto povero rispetto alla lectio  divina che ha dietro di sé una tradizione talmente ricca  da segnare la vita di preghiera dei primi quindici secoli della chiesa.

Nella meditazione normalmente intesa,  con  una  certa  deformazione  del intuizione  loyoliana, si abbonda troppo di intellettualismo e soprattutto di psicologismo.

Le sue connotazioni di sistematicità e di complessità metodologica, unite a un  forte sforzo volontaristico, fanno del credente non un contemplativo, ma un «esercitante». Eppure è questo  il  metodo  solitamente usato  nelle comunità  religiose .

 

     Purtroppo essa risulta così, troppo sovente, un  esercizio mentale avente per oggetto pensieri capaci di  destare riflessioni ed effetti sensitivi: gli «effluvi», le  «devozioni» misurate sull’intensità del loro calore. 

Questa meditazione, tipica della «devotio moderna»,  ha il grave difetto di essere antropocentrica ed egocentrica.

Si ricerca la pura interiorità e il dominio dei movimenti del cuore.

Spiritualità egocentrica – badiamo bene – oggi in ripresa e in «aggiornamento» nel metodo, ma sempre tecnica intimistica e non liberante: ieri  erano i «movimenti del cuore», oggi sono l’ «igiene del  profondo», la «stabilità primitiva», lo «svuotamento di  sé» che sono praticati.

Ma il cristiano prenda la distanza da tali tipi di meditazione che nulla hanno a che fare con la meditazione autentica, sempre geocentrica o cristocentrica e mai incentrata su se stessi.

      L’autentica meditazione cristiana non è fatta innanzitutto per «riceverne del bene». Se questo avviene  è un di più, ma essa mira a un solo fine: accrescere la   comunione con Dio. E questa comunione la si trova  liberando i sensi, scendendo nel profondo del cuore    per cercarvi l’unità, la fonte dell’essere e dell’agire in    un rapporto con l’Altro che ci situa e che ci illumina  per cercarvi la comunione con lui. Il cristiano non può  piegarsi su se stesso dimenticando di fissare i suoi occhi su Dio!

 

     Purtroppo, oggi, il contenuto e il termine stesso di  lectio divina sono sconosciuti a gran parte della vita  religiosa e relegati nell’ambito strettamente monastico-benedettino e cistercense – per il quale la regola benedettina, nel tentativo di fare della comunità religiosa una «dominici schola servitii», dice che meditare è  leggere e rileggere, masticare e mormorare, ruminare e  recitare, fissare nella mente e conservare nel cuore la  Parola per pervenire non alla disputa (scolastica), non  alle sensazioni  (devotio moderna),  ma alla preghiera  (oratio), alla contemplazione e quindi all’azione (opus  Dei).

La lectio divina non è «appannaggio» dei monaci  e la vita religiosa tradizionale non dovrebbe trovarvi  un corpo estraneo alla tradizione del proprio istituto e  che pone problemi di «coesistenza» con le altre forme  di preghiera e devozioni proprie (adorazione eucaristica, meditazione, orazione mentale, ecc.).

In realtà la  lectio divina, che va esercitata sulla Scrittura e non su qualsiasi testo spirituale o patristico, opera un concreto richiamo alla centralità della Parola nella vita religiosa, alla sua signoria sull’esistenza del religioso e alla sua canonicità ispirante per ogni preghiera cristiana e può così efficacemente contribuire al necessario rinnovamento di questa vita. Troppo spesso svuotata di motivazioni e di consistenza oppure smarrita nelle molte occupazioni e nelle molte opere, la vita religiosa può trovare nella lectio divina un’occasione privilegiata di ritorno all’essenziale, al fondamento cristologico, a quella ricerca di Dio che la fonda e la motiva.

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V GIORNO

Infine non dimentichiamo che dove non c’è stato o non c’è riferimento costante alla Bibbia, dove non c’è la lectio divina praticata in modo impegnato e serio, nascono le forme di pietà sentimentali, l’aridità del pensiero teologico ridotto a speculazione intellettuale, lo spostamento dell’interesse e dell’attenzione verso aspetti derivati o secondari del messaggio cristiano, l’insediamento dell’individualismo e la perdita del senso comunitario, il gusto dell’innovazione ad ogni costo, la perdita della linfa vitale della tradizione e l’idolatria di pretesi segni dei tempi.

    Gli uomini che nella chiesa hanno visibili ministeri, se non sono formati alla  lectio  divina, se non risalgono alla fonte della Parola, si mostrano poi nella predicazione, nel magistero e nella pastorale come uomini di manuali abituati alla saggistica, uomini senza sicurezze, piuttosto problematici, incapaci di dire una parola «forte, con autorità», ma avvezzi a parlare come gli scribi (Mt 7.28-29), arrossendo sovente dell’Evangelo che annunciano (cf. Rm 1.16; 2Cor 3.12; 4.2).

Solo la Parola ascoltata, accolta, conservata e meditata sa creare i profeti capaci di scelte liberatrici e precorritrici, sa creare degli uomini che, fedeli alla terra e all’umanità, ci parlino di Dio!

    A causa di queste perplessità, ho pensato di offrire alcuni spunti riguardanti la lectio divina.

    Da dove derivano?

Innanzitutto dalla lunga tradizione ecclesiale della lectio divina in occidente e in oriente, soprattutto dalla tradizione patristica, poi dalla pratica di questo metodo e quindi dall’esperienza vissuta nella comunità in cui vivo, infine dalla situazione attuale del credente che non può non riflettere anche sul modo di accostarsi alla Parola.

    Oggi certamente noi siamo facilitati a entrare nella meditazione secondo il metodo patristico, perché psicologia moderna e psicologia biblica si raggiungono. Oggi si sa che l’uomo non è anima e corpo in un’ottica dualistica, bensì che l’uomo nella sua globalità non è un’ essere già fatto, ma «che si fa», che non possiede un animo come spazio interiore, ma una vita collocata nella storia.

    La vita dell’uomo è una storia: questo significa che egli è determinato dagli altri e dalla vita sociale, e che si  definisce  sulla  base  delle  sue  azioni  e  reazioni  in rapporto al mondo. Sicché la spiritualità, e nel nostro caso la meditazione, non è una discesa intimistica in noi, ne un’ascensione individuale verso l’alto, ma un pellegrinaggio verso Dio vivendo nel mondo. La meditazione dunque va fatta facendo entrare gli uomini in essa e va fatta anche per loro.

    Abbiamo detto che occorre leggere la Bibbia in modo vivo, cercando che cosa essa significhi, sforzandoci di scrutare il suo giudizio attuale sulla storia, sulla chiesa, su di noi.

La Parola è forza di Dio (cf. Rm 1.16) e giudica ogni situazione, oggi ?

    Come accostarla dunque in modo da cogliere non solo le risonanze di allora, nel momento in cui fu scritta, ma il messaggio vivo che riguarda il mio oggi?

    Dio ha parlato in un momento preciso della storia, in un luogo individuato, in una cultura determinata.

Come scopriamo dunque il rapporto tra rivelazione e storia?   Basti qui ricordare alcuni punti che ci diano più chiarezza nell’accostare il testo.

    Ricordiamoci che la rivelazione è avvenuta attraverso la storia.

Essa contiene un messaggio che risulta da eventi politici, economici, personali, e che non tende affatto a consegnare delle verità dogmatiche, bensì a mostrare e testimoniare l’azione di Dio, le gesta di Dio «propter nos homines», a favore di noi uomini.

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    VI GIORNO

Questa rivelazione è lettura di un evento storico (cf., ad es., Es 12.37 e Le 24.2-3) su cui la comunità e il profeta,  nella fede e nello Spirito, fanno una meditazione scoprendovi un intervento di Dio che diviene poi motivo di lode nella preghiera (cf. Es 15.1 ss. e Lc 24.34).

    La rivelazione che accostiamo nella Bibbia è nata attraverso un processo simile a quello della lectio divina – lettura (dell’evento), meditazione (dell’evento), preghiera (per l’evento) – diventando testimonianza perenne nella Bibbia, incarnata in un linguaggio, parola storica! Di questo noi dobbiamo aver coscienza.  Si deve perciò tener presente la necessità di operare una mediazione tra linguaggio scritto e linguaggio odierno nostro, e una distinzione tra involucro contingente del messaggio e perennità della rivelazione contenuta. Ma questo non basterebbe se noi non prestassimo attenzione al fatto che la parola, oltre a essere  storica, ha una storia.

     Il  discorso  di  Dio  all’uomo  avviene  nel  tempo. 

Non è un discorso che registra un aumento quantitativo di verità, ma è una progressiva assimilazione ed  esplicitazione  delle verità  contenute  nell’intuizione  fondamentale.  

Occorre sempre risalire a questa logica  di fondo, a questo discorso di Dio.

 Nel compiere questa operazione, che richiede anche una metodologia di  lettura, ciascun credente, certamente in base alle proprie capacità e ai propri strumenti, dovrà almeno tener  conto di una lettura storica tesa a individuare l’ambiente in cui la pagina biblica è sorta, gli interrogativi  e i bisogni della fede cui voleva rispondere e la situazione che cadde sotto il suo giudizio. Subito dopo si  tenterà una lettura globale, dossologia, cioè volta a collocare il messaggio emerso dalla lettura storica in tutto il disegno di Dio, in tutta la storia di salvezza, accanto a tutte le altre rivelazioni.

     Cercherò dunque di presentare una forma di lectio   divina rinnovata e di specificarne un metodo che non  vuol essere assoluto e rigido, ben convinto che il metodo dell’ascolto e della preghiera è diverso per tutti e che è lo Spirito santo che lo suggerisce a ciascuno.

    Sono molti infatti coloro che, dopo un entusiasmo iniziale, cominciano a essere stanchi dei tentativi fatti e accusano un’incapacità di «pregare la Parola». Lontano dalla pretesa di saper insegnare a pregare, offroquello che ho imparato finora, nella speranza di poter continuare questo sforzo con tutti i credenti «che amano la Parola» (Sai 119.97) e cercano di diventare «servi della Parola» (Lc 1.2).

    Cercherò dunque di presentare la lectio divina, la lettura pregata della Parola di Dio, attraverso un’ottica che oserei chiamare trinitaria, perché trinitaria è la preghiera e trinitaria è la nostra vita. Non siamo noi  mossi dallo Spirito nel cercare il Cristo per contempla re il Dio unico, il Signore dell’universo?

 

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