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XXX Domenica del T.O. – Prendiamo coscienza della nostra cecità … riconosciamo la nostra debolezza … superiamo gli ostacoli che ci vengono posti per oscurare il nostro grido di salvezza.

Il breve brano proclamato nella prima lettura appartiene a una sezione più ampia, il Libro delle profezie consolatorie, formato da 24 pericopi. Il nostro testo è la sesta pericope e “canta” la piena forza degli esiliati in Gesù: Pastore che viene e strap­pa il gregge dai suoi nemici e lo conduce con pace nel deserto mostrandogli i fiumi d’acqua peren­ne, portando per una via dritta in modo che nessuno abbia a inciampare e consolando ognuno per le amarezze della schiavitù. Chi infatti sente in sé che il cuore si scioglie in un pianto di pentimento e di amore esce subito dalla sua situazione di schiavitù e inizia questo meraviglioso cammino della redenzione in Gesù, che è la via, ed è nutrito da Lui, che è il Pane della vita e riceve in dono lo Spi­rito Santo come fonte che sale in lui verso la vita eterna.

Nella II lettura vengono definite le caratteri­stiche proprie di ogni sommo sacerdote.

Scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che ri­guardano Dio con una funzione assolutamente universale. Egli, che sta tra Dio e il suo popolo, deve offrire doni e sacrifici per i peccati non solo del popolo ma anche per i suoi in quanto anch’egli rivestito di debolezza , debolezza nella quale è entrato anche Cristo, pur non conoscendo peccato. 

Altra caratteristica del sacerdote è la chiamata per cui non è sufficiente essere uomini per essere sommi sa­cerdoti ma è necessaria la chiamata divina che fa essere tali.

 

Bartimeo,Il cieco del brano del Vangelo, traccia il nostro cammino alla sequela di Gesù. Consapevoli di essere privi della luce (cfr. Gv 9,41: Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane») noi ascoltiamo l’annuncio di Gesù.

 Dipende in quel momento come reagiamo nei suoi confronti. A noi la scelta: quella di metterci a gridare verso di Lui oppure quella di restare tiepidi e indifferenti.

    Chi inizia a gridare verso di Lui trova subito ostacoli in coloro che si affidano totalmente alla ragione e guardano a Gesù come a uno spettacolo: essi si accalcano curiosi e le grida smoda­te di questo cieco danno loro fastidio. …  Non importa che lui sia cieco l’importante è che non gridi.

   Allo stesso modo è una necessità ineluttabile che ci siano i poveri ma l’importante è che non diano fastidio.

Quant’è bello amare poveri umili, rassegnati, giudiziosi che se ne stanno in pace nella loro povertà, che piangono in silenzio; a loro siamo capaci di predi­care (dopo il rutto del nostro lauto pranzo) la beatitudine del Regno!

Coloro invece che stanno vici­no a Gesù sentono questo grido e guardano il Maestro e gioiscono al vederlo fermarsi per chiama­re il povero. Essi sono solleciti a confortarlo perché corra dal Maestro. Costoro hanno esperimenta­to la misericordia e desiderano che tutti i poveri la esperimentino. (…T&T)

 

Particolare che solo Marco coglie è il gesto di Bartimeo di gettare il suo mantello. 

 Spesso nella bibbia il mantello è indicato come abito tipico dei profeti. Dunque Bartimeo può forse rappresentare la lunga gloriosa vicenda della profezia di Israele e la straordinaria e paziente avventura dei profeti che hanno tenuta accesa la luce della speranza del Messia. Un’immagine di povertà, di buio, e nello stesso tempo di attesa fedele: è l’ikona potente della bellezza del Popolo della Prima Alleanza e della sua attesa del Salvatore del mondo.

Ma ormai il Messia è venuto ed è presente. Il mantello viene gettato via perché il profeta si fa discepolo di Gesù. Per questo, al ver.52, lo vediamo mentre “seguiva Gesù lungo la strada”. Gesù gli dice “va’”(ver.52), ma quell’uomo non può ormai che seguirlo, perché la strada dell’attesa ora è diventata la strada per unirsi alla Pasqua del Salvatore. ( Giovanni Nicolini )

 

L’episodio narrato nel vangelo di oggi è più di un semplice racconto di miracolo: Gesù sta per entrare nella città santa per la sua passione e morte, ma i suoi Dodici discepoli lungo tutto quel cammino sono rimasti ciechi.

Ascoltavano le sue parole ma non capivano, mostrando di essere ben lontani dal vedere gli eventi come li vedeva Gesù: prima Pietro (cf. Mc 8,32), poi tutti e Dodici (cf. Mc 9,34), infine Giacomo e Giovanni (cf. Mc 10,35-37) sono sembrati ciechi di fronte a ogni rivelazione fatta loro da Gesù.

Ma ognuno di noi può identificarsi con questo cieco di Gerico; deve solo prendere coscienza della propria cecità, gridare al Signore: “Abbi pietà di me!” e avere fede che egli può strapparlo dalla tenebra e fargli vedere ciò che i suoi occhi non riescono a vedere.

Ognuno di noi si metta davanti al Signore Gesù e, guardando a lui con fede e attesa, si scoprirà non vedente. Abbia allora la forza e il coraggio di gridargli solo: “Signore, abbi pietà di me”, questa invocazione brevissima eppure così completa rivolta a lui, con piena fiducia che egli può salvarci. ( E. Bianchi )

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