XXVI Domenica del T.O. – Il Signore ci chiede non di diffondere la paura dell’inferno, dell’al di là … ma di diffondere la volontà di abolire l’inferno di qua.
La PRIMA LETTURA ricorda la parabola di Luca 16,19-31, dove il ricco vive in sconsiderata opulenza interamente prigioniero del male e, incautamente, certo che la condizione di ricchezza, che non considera ingiustizia, è diventata la sua stessa fede. Tutto questo diventa anche cecità e incapacità di cogliere gli avvertimenti della storia e i segnali della situazione di pericolo. I vv.2-3. I vv.4-6 descrivono con molta efficacia questa assurda “liturgia” dell’opulenza, quasi un parodia della vera preghiera. Alla fine del brano proclamato l’annuncio del ribaltamento drammatico della situazione che ora vede i ricchi opulenti nel loro primato di ricchezza/potenza e che li prevede in testa, ancora, ma questa volta tra i deportati in esilio.
Nella SECONDA LETTURA Paolo esorta Timoteo a fuggire dal pericolo di desiderare e cercare successi e potenze mondane, ma vivere in una tensione crescente il desiderio di comunione con Gesù. Questa è “la buona battaglia della fede” tesa a conquistare sempre più profondamente la fisionomia stessa del Signore, e dunque le sue preziose luci: “la giustizia, la pietà, la fede, la carità, la pazienza, la mitezza”.
Questa è “la vita eterna”, cioè la vita di Dio, “alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni”.
Questa “professione di fede” ha la sua ikona, il suo modello e la sua fonte, in Gesù Cristo “che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato”. Per questo, come Timoteo, dobbiamo “conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento – e cioè il mandato che ha ricevuto dalla comunità – fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo”. Tale manifestazione sarà quella della gloria finale del Signore …
Nel VANGELO di questa domenica viene evidenziato che il cuore della Legge è l’amore di Dio e l’amore del prossimo con un particolare riferimento al povero. La parabola rivela il disprezzo e l’indifferenza del ricco di fronte alla Parola di Dio e all’evidente povertà posta incessantemente davanti ai suoi occhi.
Poiché il povero si chiama Lazzaro, vi è un rovesciamento delle categorie umane. Gli uomini ricordano i nomi dei potenti e e dei grandi, Dio ricorda il nome dei piccoli e dei poveri.
I ricchi, nel vangelo di Luca, sono considerati malati terminali di egoismo per i quali non c’è alcuna speranza. …. Il ricco viene rimproverato e condannato non perché si è comportato male nei confronti del povero Lazzaro, ma semplicemente perché lo ha ignorato. Erano vicini fisicamente (sedeva alla sua porta), ma erano due mondi diversi, c’era un abisso tra di loro. ( A Maggi )
È quasi inevitabile , allora, che il ricco si crei un sistema di giustificazioni tali che ci possano essere non un Lazzaro ma diecimila Lazzari davanti alla porta di casa , senza che se ne accorga.
… In tutte le chiese cattoliche si legge la parabola del Ricco Epulone ma state sicuri che domani Lazzaro sarà come oggi. Non cambia nulla.
Questo è l’abisso che si è creato. … Dobbiamo costruirci un cuore immune dagli elementi del mondo, con intransigente solidarietà con i Lazzari, con l’intento di abolire l’abisso.
È la soluzione che Dio attende da noi.
Finirà allora l’inferno.
… Io non so cosa ci sia dopo la morte, io penso ad una infinita misericordia di Dio, mentre non mi piace pensare all’inferno. Ma so che l’inferno c’è ed è qui e so che quello che ci viene chiesto da Dio non è di diffondere la paura dell’inferno dell’al di là ma di diffondere la volontà di abolire l’inferno di qua. ( Ernesto Balducci – da: “ Il Vangelo della pace” vol. 3)
Questa parabola ci scuote, scuote soprattutto noi che viviamo nell’abbondanza di una società opulenta, che sa nascondere così bene i poveri al punto di non accorgersi più della loro presenza. ( E. Bianchi )
Lascia un commento