I DOMENICA DI AVVENTO – Ogni giorno, inesorabilmente, siamo ricondotti all’incontro col Signore.
La PRIMA LETTURA ci ricorda che Siamo ancora in attesa della “fine dei giorni”, quando sul monte Sion, in un pellegrinaggio ultimo e definitivo, saliranno tutte le genti. Per ora quel monte, la collina del tempio, è luogo di violenza tra le genti che lo occupano e Israele. Ma verranno i giorni nei quali – come intravede il profeta Isaia – tutte le genti, le lingue e le culture si inviteranno e incoraggeranno a vicenda a convergere verso la presenza del Dio vivente. Allora la Parola del Signore risuonerà, sarà ascoltata da tutti e così tutti cercheranno la pace: le armi diventeranno strumenti di lavoro della terra e nessuno imparerà più a fare la guerra, perché regnerà la fraternità. (E. Bianchi).
Nella SECONDA LETTURA Paolo chiede ai cristiani di essere “consapevoli del tempo (kairós)” che vivono. Ora è il momento di svegliarsi, perché la notte è ormai avanzata e si avvicina sempre più velocemente il giorno del Signore. Al discepolo e alla discepola di Cristo è necessario disarmarsi e rivestirsi di luce, cioè rendersi conformi a Gesù Cristo, cercando di vivere la vita umana come lui l’ha vissuta. (E. Bianchi).
La pagina del VANGELO ci introduce in uno dei temi più suggestivi del tempo di Avvento: la visita del Signore all’umanità. La prima visita è avvenuta con l’Incarnazione … la seconda avviene nel presente: il Signore ci visita continuamente, ogni giorno, cammina al nostro fianco .. infine, ci sarà la terza, l’ultima visita, che professiamo ogni volta che recitiamo il Credo: «Di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti». Quest’ultima visita situa il credente nell’attesa .. che è soglia tra ora e dopo.. tra tempo ed eternità … tra storia e regno di Dio. [ … Richiamando la storia di Noè ] Gesù mette in guardia a non annegare nella banalità dei giorni, in un quotidiano divenuto orizzonte totalizzante di un’esistenza che così diviene cieca, inconsapevole di sé.[…] Annunciando la venuta gloriosa Gesù illumina il nostro quotidiano e ci avverte che è nella superficialità che si annega, non nella profondità.
Il discorso di Gesù prosegue nei vv. 40-41 con l’esempio dei due uomini che lavorano nei campi e delle due donne che macinano alla mola, di cui uno viene preso, cioè salvato, e l’altro lasciato, cioè abbandonato al disastro. … Se i contemporanei di Noè “non si accorsero di nulla, non capirono nulla”, di questi uomini e di queste donne si può dire che “non si conobbero”. Nulla sembrava distinguerli, impegnati come erano nello stesso compito, lavorando accanto l’uno all’altro; vivevano accanto ma erano profondamente distanti. … La venuta del Signore è momento di svelamento della verità. La differenza si gioca nell’invisibile interiorità, là dove abita anche la verità personale di ciascuno. La parte finale del testo (vv. 42-44) è esortativa e con tre imperativi dice in che cosa consista la vigilanza: “vegliate”, “cercate di capire” (lett.: “sappiate”), “siate pronti”. La motivazione, anch’essa tre volte ripetuta, è sempre l’ignoranza del giorno e dell’ora della parusía. Non essendovi scampo a tale ignoranza, l’unica sapienza è quella di tenere gli occhi ben aperti, di non cadere nell’ottundimento dei sensi, di cercare di essere pronti, attenti, dunque consapevoli e e responsabili, non come i contemporanei di Noè. Il Figlio dell’uomo verrà come un ladro (“Ecco, io vengo come un ladro”: Ap 16,15; cf. 3,3): se il quando è incerto, la sua venuta è certezza. Si veglia, dunque, e ci si tiene pronti,
Come diceva Ignazio Silone: “I cristiani dicono di attendere il Signore, e lo aspettano come si aspetta il tram!”. Eppure basterebbe essere più attenti nel leggere la vita che trascorre .. per renderci conto come ogni giorno, se non siamo distratti, inesorabilmente siamo ricondotti all’evento che ci attende: l’incontro con il Signore .. e in quel giorno avremo bisogno solo della Sua misericordia. L’annuncio della venuta gloriosa del Signore proietta una luce che giudica e orienta anche il nostro modo di vivere il quotidiano… fatto di gesti ripetuti, di relazioni consuete, di abitudini che necessitano di essere illuminati e vivificati per non divenire la tomba del nostro vivere,
facendolo cadere nell’inerzia e nell’insapore. (E. Bianchi)
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