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EPIFANIA del SIGNORE — Come i Magi, non dobbiamo fremarci ma sforzarci di cercare sempre con umiltà quella verità che sempre ci precede e che alla fine della storia ci accoglierà,

La PRIMA LETTURA è un oracolo rivolto a Gerusalemme, ma che coinvolge tutti i popoli della terra.  Viene narrato lo splendore di Gerusalemme dove brilla una grande luce che è la gloria del Signore. Verso di essa tutte le altre città e tutti i popoli della terra potranno muoversi, comunicare e camminare attirati dall’unica luce che brilla sul mondo. Da tutti i popoli confluiranno grandi ricchezze portate da coloro che riconducono a Gerusalemme i figli d’Israele, anche quelli non conosciuti.

Tutto potrà avvenire attraverso il rovesciamento dei criteri della sapienza umana e il manifestarsi della Gloria di Dio, manifestazione che avviene nei modi che non sono propri neppure del pensare religioso. Tutti proclamano quello che il Signore ha compiuto per redimere tutti i popoli e unificarli con Israele in un sol popolo in Gerusalemme. (Tratto da G. Dossetti Epifania 1972)

 

Nella SECONDA LETTURA Paolo, lieto di essere “ il prigioniero di Cristo”, fa coincidere il mistero di Cristo con il mistero de lla chiamata delle Genti.[..] Questo mistero che i Gentili siano chiamati a fare un unico popolo con Israele è per Paolo lo stesso mistero di Cristo.» (d. G. Dossetti, appunti sull’introduzione all’Eucaristia, Epifania 1972 Monteveglio).

La chiamata alla salvezza di tutte le genti della terra è l’oggetto privilegiato del ministero di Paolo! Con sintesi mirabile il ver.6 annuncia “la stessa eredità … lo stesso corpo … la stessa promessa” che, custodita nella profezia e nella preparazione della grande storia di Israele, ora, in Gesù, e per il ministero di Paolo, diventa “il dono della grazia” Per tutta l’umanità ( G. Nicolini )

 

Nel  VANGELO contempliamo la manifestazione del Signore, la rivelazione alle genti di tutto il mondo del bambino nato a Betlemme e già incontrato da Israele attraverso i pastori (cf. Lc 2,8-20). 

Alla mangiatoia giungono infatti anche dei Magi, cioè dei sapienti, dei cercatori di Dio non appartenenti al popolo dei credenti nel Dio unico, a Israele; essi provengono da quelle terre d’oriente che da sempre appaiono a noi occidentali come luoghi in cui gli uomini hanno praticato, più che in altre culture, una ricerca della verità contrassegnata da una raffinata lotta anti-idolatrica. 
Come dimenticare che a quell’epoca, e già da alcuni secoli, esistevano il buddhismo e le altre “vie religiose” orientali, cammini percorsi da uomini e donne in ricerca di salvezza e luce per le loro vite? 
L’oscura nascita di quel bambino nelle campagne di Betlemme, da una famiglia di poveri, attrae dunque questi Magi, perché l’incarnazione del Figlio di Dio era il modo con cui Dio stesso desiderava unirsi a ogni uomo e a tutta l’umanità. Il re d’Israele, il re che sta sul trono di David (cf. Lc 1,32-33), è anche l’atteso da tutte le genti; per incontrarlo, però, quei sapienti devono salire a Gerusalemme (cf. Is 60,1-6), e ascoltare le Scritture che contengono le promesse di Dio custodite dal popolo santo. Il quadro che oggi Matteo ci offre, lungo i secoli è stato interpretato, cantato, rappresentato in molti modi, che convergono però nel comunicare un messaggio essenziale: la venuta dei Magi a Betlemme è la risposta dell’umanità al Dio che ha voluto venire in mezzo a noi per essere l’Emmanuele, il Dio-con-noi (cf. Mt 1,22-23; Is 7,14). Essi trovano indicazioni e segnali per la loro ricerca nel cielo stesso, attraverso una stella che, nel suo sorgere, li mette in viaggio verso un luogo ignoto: una stella che assomiglia in verità più a un messaggero di Dio che a una cometa, una stella che li guida verso l’incontro con colui che era tanto atteso, eppure fino ad allora era rimasto anonimo e sconosciuto… 
Più in profondità, è un bisogno che li ha condotti fino a Gesù, il bisogno di conoscere l’altro, di uscire dall’autoreferenzialità religiosa, di cercare e cercare ancora una verità mai posseduta, che sempre ci precede. Recita un editto promulgato da Ashoka, un re indiano e buddhista del III secolo a.C.: “La fede di tutti gli altri deve essere rispettata … Onorando la fede degli altri si esalta la propria fede … Io desidero che gli uomini del mio regno conoscano le religioni degli altri uomini, e così acquisiranno una sapienza più salda”. Ecco lo spirito di ricerca che spinge i Magi a partire alla volta dell’occidente, ed è così che costoro “vengono associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale” (cf. Gaudium et spes 22). Il bambino nato a Betlemme appare dunque oggi come un dono di Dio a tutta l’umanità e, insieme, come l’atteso da tutta l’umanità, anche da quanti non conoscono la fede dei credenti nel Dio unico. E così la benedizione giunge a tutte le genti (cf. Gal 3,14), secondo la promessa fatta ad Abramo: “In te e nella tua discendenza saranno benedette tutte le genti della terra” (Gen 28,14). Nella discendenza di Abramo si colloca lo stesso Gesù Cristo (cf. Mt 1,1), il Messia; in più, però, egli è “la speranza degli orizzonti della terra” (Sal 65,6), capace di attirare a sé tutti gli uomini (cf. Gv 12,32)… 
I Magi hanno lasciato la loro terra, il loro mondo, e hanno intrapreso un lungo viaggio; spinti dalla loro sete di verità e salvezza, hanno camminato con perseveranza verso una meta, fino a raggiungerla, perché Dio si fa incontro a chi lo cerca con sincerità. E non sono venuti soli: hanno portato con sé la loro cultura, la loro identità, la loro storia, offrendo tutto al Salvatore. Il loro incontro con il Messia, però, non ha segnato la fine della loro ricerca: essi hanno ripreso a camminare “seguendo un’altra strada”, come dice Matteo, continuando cioè in modo differente a cercare la verità. Sul loro esempio, noi cristiani siamo disposti a cercare con umiltà quella verità che sempre ci precede e che alla fine della storia ci accoglierà, insieme a tutti gli uomini, nel Regno?

(Enzo Bianchi)

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