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Battesimo di Gesù – " Un gesto umano di umiltà, di sottomissione a Dio e di totale solidarietà con i suoi fratelli peccatori."

Battesimo GesùLa celebrazione del Battesimo del Signore conclude il tempo liturgico del Natale, segnando  contemporaneamente l’inizio della “vita pubblica” di Gesù. ( N. Galantino )
È la festa del battesimo di Gesù, della sua immersione da parte di Giovanni nel fiume Giordano: il primo atto di Gesù uomo maturo, la sua prima apparizione pubblica. Tutti i vangeli ricordano questo evento posto all’inizio del ministero di Gesù, e ciascuno lo narra in modo proprio: cerchiamo dunque di comprendere ed esplicitare le peculiarità del racconto di Luca.
Giovanni il Battista aveva annunciato un Veniente più forte di lui, che avrebbe immerso (cioè battezzato) non nelle acque del Giordano ma in Spirito santo e fuoco. E tuttavia questo Veniente, che è discepolo di Giovanni e porta il nome non ancora noto di Jeshu‘a, Gesù, va anche lui a farsi battezzare.
Luca sottolinea che egli fa questo insieme a “tutto il popolo”, …. Solidale con quel popolo, uomo come tutti gli altri, mescolato alla folla anonima, in fila tra uomini e donne, senza nessuna volontà di distinzione dai peccatori, Gesù si fa immergere da Giovanni: con il popolo, in mezzo al popolo, uno del popolo, dove questo termine indica certamente la gente ordinaria, ma anche quel nuovo popolo che Dio sta radunando per farne il suo popolo per sempre.
Questo il primo gesto della vita pubblica di Gesù: non una predicazione, non un miracolo, non qualcosa che potesse meravigliare i presenti, ma un gesto umano di umiltà, di sottomissione a Dio e di totale solidarietà con i suoi fratelli peccatori.
Luca vuole anche mettere in evidenza ciò che accade a Gesù, ciò che diventa sua esperienza personalissima in quell’evento. A differenza degli altri vangeli rivela che Gesù riceve il battesimo mentre sta pregando, cioè sta invocando il suo Dio e Padre.
Cosa significa pregare?
Poche cose: fare silenzio, fare spazio dentro di sé allo Spirito di Dio per accogliere quella parola di Dio che lo Spirito stesso fa risuonare.
Questa e solo questa è la preghiera cristiana: non parole dette a Dio, non ripetizione di formule, non esercizio di affetti, ma silenzio, predisposizione di se stessi all’accoglienza della Parola e dello Spirito di Dio.
[…]   Gesù dunque si fa immergere da Giovanni ma soprattutto prega, appresta tutto il suo essere per farsi dimora dello Spirito santo, che solo Gesù vede scendere dal cielo sotto forma di colomba per dimorare in lui. ( E. Bianchi )
L’immagine della colomba richiama vari elementi, riguarda la creazione quando lo Spirito di Dio aleggiava sopra le acque e nell’interpretazione rabbinica si diceva che era come una colomba, quindi in Gesù c’è la nuova creazione.
 Richiama soprattutto la colomba che esce dall’arca di Noè, dopo il diluvio, in segno di perdono. ( A. Maggi )
I cieli si aprono per questa discesa da Dio dello Spirito e, con lo Spirito, ecco risuonare la parola personalissima rivolta a Gesù: “Tu!”. “Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato” sono le parole del salmo 2 (v. 7), che Gesù sa pregare e che sente rivolte a sé, accompagnate da tutta la gioia del Padre nel pronunciarle: “Sono contento di sceglierti, in te ho posto la mia gioia”, la gioia di Dio che sceglie il suo Servo (cf. Is 42,1).
Nessuno ascolta quella voce, nessuno vede scendere lo Spirito all’infuori di Gesù, che nella fede dopo quell’evento potrà dunque ripetere: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha unto e mi ha inviato a portare la buona notizia ai poveri” (Lc 4,18; Is 61,1). Questa la sua chiamata, che Gesù realizzerà pienamente e puntualmente quale Servo del Signore, vocazione profetica e messianica.
“Gesù aveva circa trent’anni” (Lc 3,23), annota Luca subito dopo, dunque ha trascorso molti anni di vita nascosta. Dal suo bar mitzwà, quando a dodici anni divenne “figlio del comandamento” (cf. Lc 2,41-50), fino a questa rivelazione di Dio, ha vissuto un’esistenza ordinaria e oscura.
Inutile ricostruire con la fantasia e l’immaginazione quegli anni, per farne discendere una spiritualità di Gesù in famiglia, di Gesù operaio, di Gesù a Nazaret… Ci basti sapere che ha atteso, che non si è dato ruoli né una vocazione, ma che ha sempre saputo vivere l’oggi di Dio. Siamo certi soltanto della sua obbedienza a Dio piuttosto che agli uomini e alla famiglia (cf. Lc 2,49; At 5,29); della sua disponibilità a fare posto nella propria vita e nel proprio corpo allo Spirito santo, “il suo compagno inseparabile” (Basilio di Cesarea); del suo esercitarsi nell’arte dell’ascolto della Parola di Dio, che egli trovava nell’assiduità alle sante Scritture, studiando l’ebraico, lingua ormai desueta, imparando da maestri a leggere e interpretare la Legge e i Profeti, mettendosi alla sequela di Giovanni come discepolo.
Questo fino a circa trent’anni, quando ormai era un uomo maturo e, per il suo tempo, avanti negli anni. E quando il suo maestro Giovanni fu imprigionato da Erode (cf. Lc 3,19-20), ecco venuta la sua ora, l’ora di far risuonare la sua parola, l’ora di proclamare il Vangelo, l’ora di percorrere le vie della Galilea e della Giudea per “passare tra gli umani facendo il bene” (cf. At 10,38).
Questo cammino va dall’immersione nelle acque del Giordano all’immersione nelle acque della passione e della morte (cf. Sal 69,2-3). E anche nell’ora della morte Gesù sarà come uno di noi, annoverato e crocifisso tra due malfattori (cf. Lc 22,37; 23,33; Is 53,12), e perciò solidale con i peccatori, come lo era stato per tutta la vita.
Li aveva preferiti ai giusti, facendosi battezzare insieme a loro da Giovanni; li preferirà ancora ai giusti morendo in croce tra di loro, ma arrivando a promettere proprio a uno di loro: “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43). E appena morto sentirà di nuovo la voce del Padre: “Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato”, voce che lo richiama dai morti, Spirito santo che lo rialza alla vita eterna. L’Apostolo Paolo rileggerà questa storia in modo sintetico all’inizio della Lettera ai Romani: “Cristo Gesù, … Figlio di Dio, nato dalla stirpe di David secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito santo, attraverso la resurrezione dei morti” (Rm 1,1.3-4). (Enzo Bianchi)

Epifania del Signore – " Tutti siamo interpellati ad andare a Betlemme per trovare il Bambino e sua Madre. "

Epifania GLe parole del profeta Isaia – rivolte alla città santa Gerusalemme – ci chiamano ad alzarci, ad uscire, uscire dalle nostre chiusure, uscire da noi stessi, e a riconoscere lo splendore della luce che illumina la nostra esistenza: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te» (60,1). La “tua luce” è la gloria del Signore.
 La Chiesa non può illudersi di brillare di luce propria, non può. Lo ricorda con una bella espressione sant’Ambrogio, utilizzando la luna come metafora della Chiesa: «Veramente come la luna è la Chiesa: […] rifulge non della propria luce, ma di quella di Cristo. Trae il proprio splendore dal Sole di giustizia, così che può dire: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”» (Exameron, IV, 8, 32). Continua a leggere

II Domenica dopo Natale – Contempliamo un Dio che si esilia da stesso per amare chi è fuori di lui.

natale 16Lo stile e i contenuti delle letture proposte dalla liturgia odierna sembrano voler spingerci ad alzare lo sguardo e allargare i nostri orizzonti, per avere una comprensione del mistero del Natale più profonda e completa.
Gli inni alla Sapienza divina (prima lettura) e al Verbo incarnato (Vangelo), infatti, si completano con una pagina altrettanto intensa di san Paolo (seconda lettura), che ricorda a ognuno di noi la nostra vocazione fondamentale. ( N Galantino )
… La sapienza è una qualità che non si acquista con la cultura, anzi che è, se la cultura è consapevole dei propri limiti, in perenne dialettica con la cultura e noi ne possiamo avere l’esperienza.
[…]La Sapienza non guarda con l’occhio costituito […]  La sapienza consiste in quella luce che sveglia, che illumina l’occhio profondo che sul piano empirico del vivere non è una felicità. Quest’occhio più profondo, illuminato dalla Sapienza, ci unisce a tutte le creature.
La cecità parziale, o una forma di daltonismo mentale deriva dalla nostra immanenza totale dentro il mondo a cui apparteniamo.
Se guardiamo il modo di vivere di tribù lontane spesso ci viene da sorridere o abbiamo pena. Li sentiamo così altri, così diversi: non sono uomini!  […] Ma se partissimo dal presupposto che, in realtà, fin dalla creazione del mondo la Sapienza ha improntato se stessa in tutte le creature che esistono?   Che il nostro compito è di scoprire questi germi di Sapienza ovunque disseminati?  Il martire cristiano Giustino diceva che c’è un “Verbo disseminato dovunque”.  Non lo dobbiamo dire per creare una premessa per l’appropriazione ma per andare a cercarlo.
Scrutiamo la Sapienza che è in ogni essere umano e in ogni gruppo umano. Questa è la spinta che dobbiamo avere.
E infatti, calcando schematicamente, e quindi con qualche ingiustizia, le cose, potrei dire che la diversità fra l’ottica veterotestamentaria riguardo alla Sapienza e l’ottica di Gesù è che secondo la prima ottica si dice: “Tutti i popoli verranno sul monte di Sion“, ma Gesù, quando si commiata dai suoi, dice: «Andate fino ai confini della terra“.
 La spinta è centrifuga, non centripeta, cioè non segue l’impulso etnocentrico, che è la nostra terribile tentazione, ma lo contesta.  Questa spinta è la spinta della Sapienza.
Noi oggi siamo nella necessità di rinvigorire questa certezza per ritrovare un occhio evangelico che è l’occhio sapienziale.
Ecco perché spesso mi dà fastidio, ma è un fastidio di derivazione culturale, quando sento parlare di cattolici, protestanti, ortodossi … [ … ] Un occhio evangelico è un occhio sapienziale per cui queste divisioni non contano, sono il frutto del nostro egocentrismo, o di tipo individuale o di tipo collettivo.  Le preoccupazioni di dividere le competenze sono detestabili.
Gesù ha abbattuto le mura del tempio perché il tempio divide. Ha superato la legge perché la legge unisce ma divide, separa dagli altri.
La Sapienza è dovunque.
Non devo bruciare i libri, devo scoprire che Sapienza c’è.
In questo momento il mondo musulmano vive in maniera drammatica questa sua immersione nei suoi confini culturali dove si nascondono ragioni storiche, fin troppo comprensibili, al risentimento, alla rivincita.
 Però nella fede islamica c’è una grande verità, quella del patto primordiale fra Dio e Adamo   come primo uomo, cioè con l’umanità.  C’è la certezza che tutti gli uomini sono intimamente ‘musulmani’, che vuol dire uomini di fede perché questa Sapienza primordiale illumina ogni uomo.
Noi dovremmo aiutare il musulmano non a convertirsi a noi ma a convertirsi alla radice sapienziale della sua storia di fede, che poi è un modo di convergere.  E così potrei dire delle altre religioni.  […]  Io sogno un cristiano che invece di andare a convertire gli altri facendoli come se stesso, vada a scoprire negli altri la Sapienza che c’è: “il regno di Dio è già fra di voi”.   ( E. Balducci )
Il prologo del vangelo secondo Giovanni è un canto dossologico dell’operare di Dio nell’universo: dalla creazione nell’in-principio (cf. Gen 1,1) alla venuta di Dio stesso nel mondo attraverso il farsi carne umana (sárx) della sua Parola (Lógos).
Questo testo è un abisso di luce, una cascata di illuminazioni che fanno segno, che indicano come Dio ha voluto entrare nella storia e diventare uomo tra noi umani.  
[…] All’inizio, prima dunque della creazione dell’universo, la Parola era, esisteva fuori del tempo, da tutta l’eternità. Era Parola di Dio, era rivolta verso Dio, era Dio stesso. Ma questa vita divina, questa circolarità di vita in un movimento estatico ha voluto donarsi, ha voluto uscire da se stessa, ed è così che ha creato l’universo.
Proprio quella Parola di Dio, uscendo da Dio accompagnata dal Soffio di Dio, da lei inseparabile (cf. Gen 1,2-3) – come si vede anche dall’analogia con l’azione umana del parlare, unione inestricabile di soffio e parola –, ha dato inizio alla creazione, mostrandosi vita e luce capaci di vincere le tenebre: le tenebre, infatti, facevano e fanno resistenza, ma non sono mai riuscite né mai riusciranno a fermare e a sopraffare questa luce.
Ma questa uscita, questo esilio della Parola di Dio da Dio stesso non è cessato con la creazione, che in realtà non è mai terminata. Per unirsi sempre di più alla creazione, questa Parola che era la forma data all’adam, all’essere umano, volle diventare la carne umana stessa, un terrestre tratto dalla terra. Così è entrata nel tempo e ha piantato la sua tenda (skené) tra di noi in un uomo nato da una donna e dal Soffio divino: Gesù di Nazaret.
La Parola che era fuori del tempo si è fatta fragile e mortale, un uomo che si poteva vedere, ascoltare, palpare (cf. 1Gv 1,1).
C’è stata come una discesa graduale della Parola da Dio nel mondo (cf. Eb 1,1), attraverso una parola indirizzata ad Abramo, donata a Mosè, caduta sui profeti; una Parola che ha preso dimora in Israele come sapienza; una Parola come Presenza, Shekinà di Dio nel Santo dei santi del tempio. Ma in Gesù questa Parola di Dio non è stata solo indirizzata a, residente in, ma è divenuta “Parola fatta carne” in lui (cf. Eb 1,2-3) .
“Venuta la pienezza del tempo” (Gal 4,4) , compiutosi il tempo (cf. Lc 2,6), la Presenza di Dio è umana, e Gesù di Nazaret è veramente e totalmente uomo come noi, “figlio di adam” (Lc 3,38).
Da quell’ora del concepimento di Gesù nell’utero di Maria, Dio è un uomo e un uomo è Dio!
 Così avviene l’ammirabile scambio (“O admirabile commercium”, come canta un antico testo liturgico); così è avvenuta la rivelazione totale del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe nella nostra carne; così Dio si è donato a noi, si è dato all’umanità, si è unito alla creazione, perché l’aveva creata per amore, un amore mai venuto meno, ma sempre rinnovato in tutta la storia. E la vita di Gesù – come ha ben compreso il quarto vangelo – sarà l’esplicitazione di ciò che è annunciato qui nel prologo: Gesù è la vita del mondo (cf. Gv 11,25), è “la luce del mondo” (Gv 8,12), è il racconto, la rivelazione del Dio che nessuno ha mai visto, come il prologo si conclude.
Ma un Dio che si esilia da stesso per amare chi è fuori di lui, un Dio che si mostra mortale, che Dio è?, possiamo chiederci.  Questo è lo scandalo dell’incarnazione, che è sempre stata la verità più difficile da credere, in ogni tempo, anche da parte degli stessi cristiani.
Cosa non hanno fatto i cristiani in questi duemila anni per occultare l’umanità vera e reale di Gesù Cristo!
Lo hanno privato di una vita umana, lo hanno privato della fede, lo hanno privato dei limiti psicologici, lo hanno svuotato della sua debolezza e della sua morte per renderlo uguale agli dèi. Gli uomini, cercando Dio come a tentoni ma non arrivando a trovarlo e a conoscerlo (cf. At 17,27) , lo hanno fabbricato con i loro desideri e proiezioni; e così hanno tentato di fare anche con Gesù!
Se c’è una colpa che i cristiani dovrebbero confessare più di molte altre è il non aver saputo confessare che Gesù è venuto nella carne e con il sangue (cf. 1Gv 5,6-8) , è venuto “imparando l’obbedienza dalle cose che patì” (cf. Eb 5,8), è venuto come l’uomo per eccellenza: “Ecce homo!” (Gv 19,5). “Ecco l’uomo!” è la dichiarazione di Pilato, o addirittura di Gesù stesso, nel momento del dono totale della sua vita, del suo corpo e del suo sangue all’umanità.
Potremmo parafrasare le parole dell’Apostolo Paolo (cf. 1Cor 1,22-24): “Mentre i giudei cercano manifestazioni di un Dio onnipotente e le genti manifestazioni di Dio nei ragionamenti intellettuali, noi predichiamo che Dio è umano, umanissimo, è un Dio che si è fatto vedere in Gesù, uomo mortale, ma capace di dare la vita per gli altri (cf. Gv 10,10; 15,13), uomo fragile e limitato ma capace di vincere le forze del male. Un uomo che è nato dall’utero di una madre, che si è fatto peccato assimilandosi ai peccatori (cf. 2Cor 5,21), morto come uno schiavo e un malfattore, sepolto nella terra, disceso agli inferi tra i morti, come ogni figlio di adam: dunque un Dio che si è sprofondato nella creazione, come avviene per ogni umano che viene al mondo, vive e muore”. D’altra parte, Gesù è stato un uomo unico nell’amare gli altri, nel dare se stesso agli altri, nello stare dalla nostra parte davanti a Dio: questa la sua unicità umana così affascinante e, potremmo dire, così divina…
Nella storia la Parola è stata l’uomo Gesù rivolto verso Dio, essendo Dio fattosi uomo, facendosi esegesi (exeghésato: Gv 1,18), narrazione, spiegazione, rivelazione di Dio, perché ci ha raccontato definitivamente chi è Dio: l’amore (cf. 1Gv 4,8.16). Per essere dunque figli e figlie di Dio, dobbiamo soltanto essere uomini e donne a immagine dell’uomo Gesù, il Figlio di Dio. ( E. Bianchi )

21 Gennaio 2016: consacrazione di Rosanna Messineo a "Sposa di Cristo" secondo il rito dell'Ordo Virginum

ordo ridCome già anticipato nel Post del 22 Agosto 2015 il nostro Vescovo rendeva noto  il ripristino nella nostra Diocesi di Cefalù dell’Ordo Virginum.

La verginità consacrata, nella pluralità delle sue forme, è stata una grazia di santificazione per molte donne fin dagli inizi della Chiesa e un segno del primato del Regno di Dio per la Chiesa e per il mondo.

La Chiesa primitiva, infatti, tra gli ordini che ne costituivano la struttura, ha visto rifulgere diversi ordini femminili, tra cui quello delle Vergini, prima ancora di dar vita agli ordini religiosi; e se gli ordini maschili si sono conservati, quelli femminili, nel tempo, sono scomparsi.

Nella stagione del Concilio Vaticano II è rifiorita la forma di consacrazione dell’Ordo Virginum, che presenta concreti tratti inediti che arricchiscono il tessuto e il vissuto ecclesiale.

Nel 1970, per mandato del beato Paolo VI, la S. Congregazione per il Culto Divino, in applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II Sacrosanctum Concilium (80), ha promulgato il Rito della Consacrazione delle Vergini, rivalutando l’antica preghiera attribuita a S. Leone Magno.

Tale consacrazione è riservata ai grandi Ordini monastici e anche alle donne laiche che, nel mondo, consacrano solennemente e pubblicamente la loro verginità per costituire un segno dell’amore della Chiesa sposa per il Cristo suo Sposo.

Nella nostra Diocesi, – comunicava il nostro Vescovo – ” una giovane sta percorrendo l’itinerario di formazione, preparandosi a vivere la propria consacrazione come donazione totale al Signore in questa Chiesa particolare.”

Dopo questo cammino di formazione il 21 Gennaio 2016 alle ore 16,30, nella Basilica Cattedrale di Cefalù la consacrazione a ” Sposa di Cristo” secondo il rito dell’Ordo Virginum di Rosanna Messineo.  Dopo la celebrazione un momento di fraternità c/o il Monastreo delle sorelle Povere di Castelbuono.

La consacrazione sarà preceduta, il  20 Gennaio 2016 alle ore 20, 30 – presso la Chiesa del  Monastero  delle Sorelle Povere di Castelbuono -, da una  veglia di preghiera con la testimonianza di Rosanna.

 

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