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SOLENNITA’ MARIA SS. DI GIBILMANNA- Omelia del nostro Vescovo Vincenzo
Ogni anno la prima domenica di Settembre ci vede riuniti qui sul monte per rendere omaggio a Maria SS.di Gibilmanna e a Lei raccomandarci come patrona della nostra diletta Diocesi di Cefalù. Siamo grati alla famiglia francescana per la consueta amabile accoglienza e per il prezioso quotidiano servizio che rende al Santuario. Continua a leggere
XXIII Domenica del T.O. – Solo se noi ci riconosciamo, dinanzi all'escluso, all'emarginato, a nostra volta emarginati da una pienezza di misura umana, solo allora cominciamo ad imparare l'alfabeto della comunicazione.
Il cardinale Carlo Maria Martini ha più volte invitato a contemplare Gesù nel momento in cui sta facendo uscire un uomo dalla sua incapacità di comunicare. Si tratta della guarigione del sordomuto in pieno territorio della Decapoli (Alture del Golan). Sant’Ambrogio chiama questo episodio – e la sua ripetizione nel rito battesimale – «il mistero dell’apertura».
Dividiamo il racconto in tre tempi: la descrizione del sordomuto, i segni e gesti di apertura, il miracolo e le sue conseguenze.
La narrazione evangelica precisa anzitutto il disagio comunicativo di quest’uomo. E’ uno che non sente e che sì esprime con suoni gutturali, quasi con mugolìi, di cui non si coglie il senso. Non sa neanche bene cosa vuole, perché è necessario che gli altri lo portino da Gesù. …. (7, 31-32).
Ma Gesù non compie subito il miracolo. Vuole anzitutto far capire a quest’uomo che gli vuol bene, che si interessa del suo caso, che può e vuole prendersi cura di lui.
Per questo lo separa dalla folla, dal luogo del vociferare convulso e delle attese miracolistiche.
Lo porta in disparte e con simboli e segni incisivi gli indica ciò che gli vuol fare: gli introduce le dita nelle orecchie come per riaprire i canali della comunicazione, gli unge la lingua con la saliva per comunicargli la sua scioltezza.
Sono segni corporei che ci appaiono persino rozzi, scioccanti. Ma come comunicare altrimenti con chi si è chiuso nel proprio mondo e nella propria inerzia ? come esprimere l’amore a chi è bloccato e irrigidito in sé, se non con qualche gesto fisico? Notiamo anche che Gesù comincia, sia nei segni come poi nel comando successivo, con il risanare l’ascolto, le orecchie. Il risanamento della lingua sarà conseguente.
A questi segni Gesù aggiunge lo sguardo verso l’alto e un sospiro che indica la sua sofferenza e la sua partecipazione a una così dolorosa condizione umana. Segue il comando vero e proprio, che abbiamo scelto come titolo di questa lettera: “Effatà” cioè “Apriti!” (7, 34).
E’ il comando che la liturgia ripete prima del Battesimo degli adulti: il celebrante, toccando con il pollice l’orecchio destro e sinistro dei singoli eletti e la loro bocca chiusa, dice: “Effatà, cioè: apriti, perché tu possa professare la tua fede a lode e gloria di Dio” (Rito dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti, n. 202).
Ciò che avviene a seguito del comando di Gesù è descritto come apertura (“gli si aprirono le orecchie”), come scioglimento (“si sciolse il nodo della sua lingua”) e come ritrovata correttezza espressiva (“e parlava correttamente”).
Tale capacità di esprimersi diviene contagiosa e comunicativa: “E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano“.
La barriera della comunicazione è caduta, la parola si espande come l’acqua che ha rotto le barriere di una diga. Lo stupore e la gioia si diffondono per le valli e le cittadine della Galilea: “E, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti” (7, 35-37).
In quest’uomo, che non sa comunicare e viene rilanciato da Gesù nel vortice gioioso di una comunicazione autentica, noi possiamo leggere la parabola del nostro faticoso comunicare interpersonale, ecclesiale, sociale….
Il comunicare autentico non è solo una necessità per la sopravvivenza di una comunità civile, familiare, religiosa. E’ anche un dono, un traguardo da raggiungere, una partecipazione al mistero di Dio che è comunicazione. ( Carlo Maria Martini )
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Ripenso, in questo momento, ad un amico di molti di noi, a un testimone evangelico di gran valore come don Milani, che ha dato la parola ai muti e ha dato l’udito ai sordi. Però, per far questo, ha ricordato alle professoresse e ai professori, che erano loro i sordi e i muti.
E solo se noi ci riconosciamo, dinanzi all’escluso, all’emarginato, a nostra volta emarginati da una pienezza di misura umana, solo allora cominciamo ad imparare l’alfabeto della comunicazione.
Però è difficile, specie quando si paria da questi pulpiti, partire da questo dubbio radicale, da questa messa in sospetto di se stessi.
A volte è di moda questo sospetto, ma non è sincero. Noi ci aggrappiamo a spessori di linguaggio consolidato che ci rende accettabile e gradibile la consorteria degli omogenei. Ma ci rende incapaci di dir parole che abbiano un senso per sordi e muti.
Questa messa in crisi del linguaggio (e quindi, al di là del linguaggio, della coscienza) è un avvio di salvezza che ci porta a non sfuggire gli incontri che ci mettono in crisi. Il che non vuol dire cadere nello stesso vizio.
Noi abbiamo anche da salvare certe sicurezze, sia pure criticamente conservate; non possiamo rimettere a zero in assoluto i criteri morali del nostro comportamento. Lo possiamo fare a livello critico della coscienza. Soltanto allora ci accorgiamo che eravamo sordi ed eravamo muti.
Vi sarà capitato, ad esempio, (la casistica è molto diffusa) di aver ripensato poi, con una attenzione che in un primo momento vi sembrava impossibile, a parole dissacranti, offensive e sacrileghe che avevate ascoltato. A un certo momento quelle parole vi sono penetrate dentro.
Sembravano dettate da odio, da stoltezza e portavano, invece, un germe di provocazione sapienziale: aprivano le vostre orecchie, aprivano le vostre labbra a parole diverse. lo penso che per metterci in situazione evangelica, noi dobbiamo essere così.
Non dimentichiamoci che Gesù, che liberava i sordi e i muti – non solo in senso fisico, ma anche in senso morale e sapienziale – era considerato un pazzo, un folle.
Gesù non andava verso gli esclusi per conto del sistema, come può andare, non so, un maestro inviato dal ministero a fare la sua scuola in un villaggetto di montagna con un programma sorvegliato opportunatamente dalle autorità competenti.
Gesù non era inviato se non dal Padre, come dire da nessuno, a livello storico-sociale. Perciò egli era considerato un pazzo: diceva cose che turbavano profondamente i detentori delle tavole di saggezza.
Per questo fu vestito da pazzo prima della crocifissione.
Quella veste da pazzo non fu un episodio fortuito, ma il simbolo di come fu considerato dai contemporanei: un pazzo che diceva cose stolte.
Ebbene, proprio perché Egli si fece pazzo entrò nella sfera segreta della coscienza umana e ancora oggi ci dice parole che, certo, possono passare per pazze nei dovuti ambienti.
Ce ne sono ancora parole evangeliche pazze da non prendere troppo sul serio, perché altrimenti rischiamo di turbare quel minimo equilibrio sociale che pure abbiamo.
Questa pazzia ci è entrata dentro e sentiamo che da lì si potrebbe cominciare per capire che il bambino non è un recipiente da riempire di parole nostre, ma è un maestro da ascoltare; un emarginato, un degenerato, un peccatore pubblico: prima di essere oggetti da redimere, sono soggetti da ascoltare, voci che vengono da quel mondo che non conosciamo.
Questa passione per l’universalità umana abolisce la cattedra, i pulpiti, e le università, per mettere in primo piano una circolazione di sapienza i cui portatori non sono quelli con la patente. Sono dovunque, anche nei ghetti degli emarginati, anche tra i drogati.
È così che si rompe questo reciproco gioco di sordità, per cui chi ode, crede di udire, ma è sordo, e quello che crediamo sordo, invece ascolta e capisce molto bene.
Rompiamo questo gioco del codice culturale di cui siamo vittime e ritroviamo la umanità sorgiva, il ricominciamento da capo di cui parlavo prima, come metodo di esperimento umano ed evangelico richiesto sempre di più dalle attuali, tragiche circostanze.
Dico tragiche, se è vera la mia ipotesi, che questi sintomi di disgregazione della compattezza sociale sono appena un inizio di un processo che ci metterà dinanzi a separazioni più radicali.
Questo ricominciar da capo vuol dire farsi carico sul serio dei segni del tempo, letti alla luce del Vangelo.
(Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – vol. 2)
Comunicato Stampa del Vicariato della Diocesi di Cefalù
Festa Maria SS. Addolorata al molo e più in generale Feste religiose.
Premessa.
1 – La Conferenza Episcopale Siciliana nel 1968 prima e nel 1972 poi, ha inviato un documento alle Chiese di Sicilia sulle Feste cristiane, stabilendo anche norme pratiche sui comitati di dette Feste. Già il Concilio Plenario Siculo nel 1954 aveva promulgato Decreti precisi Sulle Sacre Processioni (308 – 316). Inoltre, la Costituzione sulla Sacra Liturgia del Vaticano II è molto ricca di luce riguardo alle Feste cristiane, particolarmente ai nn. 102, 103, 104, 111.
2 – Nel Codice di Diritto canonico è sottolineata la potestà piena, ordinaria, immediata del Vescovo, Vicario di Cristo nella Chiesa particolare a lui affidata (cf. LG 27) riguardo al governo pastorale della Diocesi (cf. cann. 381 e 391). Come pure per il Parroco è detto che egli è pastore proprio della Parrocchia, sotto l’autorità del Vescovo, per compiere al servizio della Comunità, partecipando al ministero di Cristo, le funzioni di insegnare, santificare, e governare, anche con la collaborazione o l’apporto di altri Sacerdoti o Diaconi e dei Fedeli laici (cf. can. 519).
3 – Una Festa religiosa nella Parrocchia deve avere la guida del Parroco per assicurare in modo adeguato l’evangelizzazione, la catechesi, la preghiera, la celebrazione liturgica, i pii esercizi di pietà popolare, cercando, se è il caso, di purificare la Festa religiosa da forme che non rispettano i contenuti fondamentali ed essenziali della vita cristiana ed ecclesiale.
Pertanto i comitati delle Feste religiose hanno la presidenza del Parroco e sono formati da persone che hanno senso cristiano ed ecclesiale. Rimane ferma l’autorità, la responsabilità, la guida del Parroco, e insieme a lui eventualmente dei Rettori di Chiesa, nella conduzione della Festa religiosa nell’ambito della Comunità parrocchiale.
Nel merito.
- Ciò premesso, i Parroci della Città di Cefalù:
- tenuto conto delle norme di cui sopra e in particolare l’art. 8 sulla Disciplina delle Feste religiose (DFR) della Conferenza Episcopale Siciliana (19 giugno 1968) e l’art. 3, cap. IV delle Feste cristiane (FC) della medesima Conferenza (Pasqua 1972), dove si stabilisce che e vietato introdurre nuove processioni e nuove feste esterne;
- ravvisata ad oggi l’invalidità dell’attuale Comitato pro festeggiamenti Maria SS. Addolorata al molo, non approvato dall’Autorità ecclesiastica competente (art. 1 DFR; art. 1, IV FC);
concordano che per il giorno della Memoria Liturgica Beata Maria Vergine Addolorata (15 settembre) si celebri la S. Messa presso il molo, ottenuta la necessaria autorizzazione delle Autorità competenti, e non si prosegua con alcuna Processione;
precisano, che in obbedienza alle norme canoniche circa la presidenza delle Processioni, quali atto di culto (art. 5 DFR; can. 530, n. 6), nessun’altra Autorità ancorché pubblica o occasionale prenderà l’iniziativa di guidare alcun corteo con 1’Immagine sacra;
si impegnano a divulgare e far conoscere meglio le leggi canoniche per disciplinare le Feste religiose cittadine nelle quali è previsto il coinvolgimento delle Comunità parrocchiali di Cefalù.
Auspicio.
- Anche se l’intervento sopra citato ha il tono proibitivo, si tiene a precisare che nessuno è contrario alle pubbliche manifestazioni di fede, alle processioni e ai momenti aggregativi della festa, ma ugualmente si sottolinea che non si accettano da parte di nessuno imposizioni, intimidazioni e minacce nell’esercizio del ministero pastorale. Inoltre, non si accetta di essere messi di fronte a decisioni prese da altri che non hanno nessuna giurisdizione in merito; eventuali manifesti, programmi, che non portino la firma dei Parroci sono da ritenersi nulli. A nessuno serve, tanto meno alla Vergine Addolorata, che la vera devozione sia intorpidita da sentimenti estranei al culto che possono alimentare divisioni e tensioni contrarie alla preghiera di Gesù al Padre: “che siano una cosa sola” (Gv 17, 20-26).
Notifica.
- Il presente comunicato è notificato presso le Parrocchie, nel sito ufficiale della Diocesi di Cefalù e a mezzo stampa alla Comunità cristiana di Cefalù, alle Autorità civili e militari e a quanti per forma e ruolo sono interessati.
Nella vigilia della festa di Maria SS. di Gibilmanna,
05.09.2015 I Parroci della Cita di Cefalù
don Cosimo Leone, don Liborio Asciutto, p. Aurelio Biundo, p. Pasquale Pagliuso,
don Domenico Messina, don Giuseppe Licciardi, don Pietro Piraino
Lettera del Santo Padre Francesco con la quale si concede l'indulgenza in occasione del giubileo straordinario della misericordia
Papa Francesco si rivolge, con una lettera,a Monsignor Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, incaricato di preparare le iniziative giubilari.
Di seguito il testo nel quale oltre a richiedere un’amnistia, il Pontefice concede a tutti i sacerdoti per l’Anno Giubilare la facoltà di assolvere dal peccato di aborto quanti lo hanno procurato e pentiti di cuore ne chiedono il perdono.
“La vicinanza del Giubileo straordinario della Misericordia mi permette di focalizzare alcuni punti sui quali ritengo importante intervenire per consentire che la celebrazione dell’Anno Santo sia per tutti i credenti un vero momento di incontro con la misericordia di Dio.
È mio desiderio, infatti, che il Giubileo sia esperienza viva della vicinanza del Padre, quasi a voler toccare con mano la sua tenerezza, perché la fede di ogni credente si rinvigorisca e così la testimonianza diventi sempre più efficace.
Il mio pensiero va, in primo luogo, a tutti i fedeli che nelle singole Diocesi, o come pellegrini a Roma, vivranno la grazia del Giubileo. Desidero che l’indulgenza giubilare giunga per ognuno come genuina esperienza della misericordia di Dio, la quale a tutti va incontro con il volto del Padre che accoglie e perdona, dimenticando completamente il peccato commesso.
Per vivere e ottenere l’indulgenza i fedeli sono chiamati a compiere un breve pellegrinaggio verso la Porta Santa, aperta in ogni Cattedrale o nelle chiese stabilite dal Vescovo diocesano, e nelle quattro Basiliche Papali a Roma, come segno del desiderio profondo di vera conversione.
Ugualmente dispongo che nei Santuari dove si è aperta la Porta della Misericordia e nelle chiese che tradizionalmente sono identificate come Giubilari si possa ottenere l’indulgenza.
È importante che questo momento sia unito, anzitutto, al Sacramento della Riconciliazione e alla celebrazione della santa Eucaristia con una riflessione sulla misericordia. Sarà necessario accompagnare queste celebrazioni con la professione di fede e con la preghiera per me e per le intenzioni che porto nel cuore per il bene della Chiesa e del mondo intero.
Penso, inoltre, a quanti per diversi motivi saranno impossibilitati a recarsi alla Porta Santa, in primo luogo gli ammalati e le persone anziane e sole, spesso in condizione di non poter uscire di casa. Per loro sarà di grande aiuto vivere la malattia e la sofferenza come esperienza di vicinanza al Signore che nel mistero della sua passione, morte e risurrezione indica la via maestra per dare senso al dolore e alla solitudine.
Vivere con fede e gioiosa speranza questo momento di prova, ricevendo la comunione o partecipando alla santa Messa e alla preghiera comunitaria, anche attraverso i vari mezzi di comunicazione, sarà per loro il modo di ottenere l’indulgenza giubilare. Il mio pensiero va anche ai carcerati, che sperimentano la limitazione della loro libertà.
Il Giubileo ha sempre costituito l’opportunità di una grande amnistia, destinata a coinvolgere tante persone che, pur meritevoli di pena, hanno tuttavia preso coscienza dell’ingiustizia compiuta e desiderano sinceramente inserirsi di nuovo nella società portando il loro contributo onesto.
A tutti costoro giunga concretamente la misericordia del Padre che vuole stare vicino a chi ha più bisogno del suo perdono. Nelle cappelle delle carceri potranno ottenere l’indulgenza, e ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa, perché la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà.
Ho chiesto che la Chiesa riscopra in questo tempo giubilare la ricchezza contenuta nelle opere di misericordia corporale e spirituale. L’esperienza della misericordia, infatti, diventa visibile nella testimonianza di segni concreti come Gesù stesso ci ha insegnato. Ogni volta che un fedele vivrà una o più di queste opere in prima persona otterrà certamente l’indulgenza giubilare. Di qui l’impegno a vivere della misericordia per ottenere la grazia del perdono completo ed esaustivo per la forza dell’amore del Padre che nessuno esclude. Si tratterà pertanto di un’indulgenza giubilare piena, frutto dell’evento stesso che viene celebrato e vissuto con fede, speranza e carità.
L’indulgenza giubilare, infine, può essere ottenuta anche per quanti sono defunti. A loro siamo legati per la testimonianza di fede e carità che ci hanno lasciato. Come li ricordiamo nella celebrazione eucaristica, così possiamo, nel grande mistero della comunione dei Santi, pregare per loro, perché il volto misericordioso del Padre li liberi da ogni residuo di colpa e possa stringerli a sé nella beatitudine che non ha fine.
Uno dei gravi problemi del nostro tempo è certamente il modificato rapporto con la vita. Una mentalità molto diffusa ha ormai fatto perdere la dovuta sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita. Il dramma dell’aborto è vissuto da alcuni con una consapevolezza superficiale, quasi non rendendosi conto del gravissimo male che un simile atto comporta. Molti altri, invece, pur vivendo questo momento come una sconfitta, ritengono di non avere altra strada da percorrere. Penso, in modo particolare, a tutte le donne che hanno fatto ricorso all’aborto. Conosco bene i condizionamenti che le hanno portate a questa decisione. So che è un dramma esistenziale e morale.
Ho incontrato tante donne che portavano nel loro cuore la cicatrice per questa scelta sofferta e dolorosa. Ciò che è avvenuto è profondamente ingiusto; eppure, solo il comprenderlo nella sua verità può consentire di non perdere la speranza. Il perdono di Dio a chiunque è pentito non può essere negato, soprattutto quando con cuore sincero si accosta al Sacramento della Confessione per ottenere la riconciliazione con il Padre. Anche per questo motivo ho deciso, nonostante qualsiasi cosa in contrario, di concedere a tutti i sacerdoti per l’Anno Giubilare la facoltà di assolvere dal peccato di aborto quanti lo hanno procurato e pentiti di cuore ne chiedono il perdono. I sacerdoti si preparino a questo grande compito sapendo coniugare parole di genuina accoglienza con una riflessione che aiuti a comprendere il peccato commesso, e indicare un percorso di conversione autentica per giungere a cogliere il vero e generoso perdono del Padre che tutto rinnova con la sua presenza.
Un’ultima considerazione è rivolta a quei fedeli che per diversi motivi si sentono di frequentare le chiese officiate dai sacerdoti della Fraternità San Pio X. Questo Anno giubilare della Misericordia non esclude nessuno. Da diverse parti, alcuni confratelli Vescovi mi hanno riferito della loro buona fede e pratica sacramentale, unita però al disagio di vivere una condizione pastoralmente difficile. Confido che nel prossimo futuro si possano trovare le soluzioni per recuperare la piena comunione con i sacerdoti e i superiori della Fraternità. Nel frattempo, mosso dall’esigenza di corrispondere al bene di questi fedeli, per mia propria disposizione stabilisco che quanti durante l’Anno Santo della Misericordia si accosteranno per celebrare il Sacramento della Riconciliazione presso i sacerdoti della Fraternità San Pio X, riceveranno validamente e lecitamente l’assoluzione dei loro peccati.
Confidando nell’intercessione della Madre della Misericordia, affido alla sua protezione la preparazione di questo Giubileo Straordinario.
Dal Vaticano, 1 settembre 2015 “
Francesco