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XIII Domenica del T.O. – Chi crede “tocca” Gesù e attinge da Lui la Grazia che salva.
Il Vangelo di oggi presenta il racconto della risurrezione di una ragazzina di dodici anni, figlia di uno dei capi della sinagoga, il quale si getta ai piedi di Gesù e lo supplica: «La mia figlioletta sta morendo; vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva» (Mc 5,23).
In questa preghiera sentiamo la preoccupazione di ogni padre per la vita e per il bene dei suoi figli. Ma sentiamo anche la grande fede che quell’uomo ha in Gesù. E quando arriva la notizia che la fanciulla è morta, Gesù gli dice: «Non temere, soltanto abbi fede!» (v. 36) .
Dà coraggio questa parola di Gesù! E la dice anche a noi, tante volte: “Non temere, soltanto abbi fede!”.
Entrato nella casa, il Signore manda via tutta la gente che piange e grida e si rivolge alla bambina morta, dicendo: «Fanciulla, io ti dico: alzati!» (v. 41). E subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare. Qui si vede il potere assoluto di Gesù sulla morte, che per Lui è come un sonno dal quale ci può risvegliare.
All’interno di questo racconto, l’Evangelista inserisce un altro episodio: la guarigione di una donna che da dodici anni soffriva di perdite di sangue.
A causa di questa malattia che, secondo la cultura del tempo, la rendeva “impura”, ella doveva evitare ogni contatto umano: poverina, era condannata ad una morte civile.
Questa donna anonima, in mezzo alla folla che segue Gesù, dice tra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata» (v. 28). E così avviene: il bisogno di essere liberata la spinge ad osare e la fede “strappa”, per così dire, al Signore la guarigione.
Chi crede “tocca” Gesù e attinge da Lui la Grazia che salva.
La fede è questo: toccare Gesù e attingere da Lui la grazia che salva.
Ci salva, ci salva la vita spirituale, ci salva da tanti problemi.
Gesù se ne accorge e, in mezzo alla gente, cerca il volto di quella donna. Lei si fa avanti tremante e Lui le dice: «Figlia, la tua fede ti ha salvata» (v. 34).
E’ la voce del Padre celeste che parla in Gesù: “Figlia, non sei maledetta, non sei esclusa, sei mia figlia!”. E ogni volta che Gesù si avvicina a noi, quando noi andiamo da Lui con la fede, sentiamo questo dal Padre: “Figlio, tu sei mio figlio, tu sei mia figlia! Tu sei guarito, tu sei guarita. Io perdono tutti, tutto. Io guarisco tutti e tutto”.
Questi due episodi – una guarigione e una risurrezione – hanno un unico centro: la fede.
Il messaggio è chiaro, e si può riassumere in una domanda: crediamo che Gesù ci può guarire e ci può risvegliare dalla morte?
Tutto il Vangelo è scritto nella luce di questa fede: Gesù è risorto, ha vinto la morte, e per questa sua vittoria anche noi risorgeremo.
Questa fede, che per i primi cristiani era sicura, può appannarsi e farsi incerta, al punto che alcuni confondono risurrezione con reincarnazione.
La Parola di Dio di questa domenica ci invita a vivere nella certezza della risurrezione: Gesù è il Signore, Gesù ha potere sul male e sulla morte, e vuole portarci nella casa del Padre, dove regna la vita. E lì ci incontreremo tutti, tutti noi che siamo qui in piazza oggi, ci incontreremo nella casa del Padre, nella vita che Gesù ci darà.
La Risurrezione di Cristo agisce nella storia come principio di rinnovamento e di speranza.
Chiunque è disperato e stanco fino alla morte, se si affida a Gesù e al suo amore può ricominciare a vivere.
Anche incominciare una nuova vita, cambiare vita è un modo di risorgere, di risuscitare.
La fede è una forza di vita, dà pienezza alla nostra umanità; e chi crede in Cristo si deve riconoscere perché promuove la vita in ogni situazione, per far sperimentare a tutti, specialmente ai più deboli, l’amore di Dio che libera e salva.
Chiediamo al Signore, per intercessione della Vergine Maria, il dono di una fede forte e coraggiosa, che ci spinga ad essere diffusori di speranza e di vita tra i nostri fratelli. ( Papa Francesco )
XII Domenica del T. O. – …Anche se magari crediamo di avere una fede matura, di essere cristiani adulti, nella prova interroghiamo Dio sulla sua presenza, arriviamo anche a contestarlo e talvolta a dubitare della sua capacità di essere un Salvatore.
Non finiremo mai di domandarci (e tutte le risposte saranno amare!) perché proprio i credenti, in tutta la storia, si siano distinti per la paura.
È davvero un segno del mistero del male!
La nostra vita di credenti organizzati è stata sempre contrassegnata da ricerche di garanzie diverse dall’unica garanzia che è la potenza messianica del Cristo. Continua a leggere
Convegno della CEI a Campofelice di Roccella
Celebrato a Cefalù il convegno Cei.
La sintesi dei lavori
“Dov’è tuo fratello? (cfr Gen 4,9). Famiglia e immigrazione” è il titolo scelto dall’Ufficio nazionale per la Pastorale della Famiglia, insieme con Migrantes, Ufficio per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso, Caritas italiana e Apostolato del mare per un convegno nazionale che si è svolto a Campofelice di Roccella, Cefalù, dal 31 maggio al 2 giungo 2015. Continua a leggere
XI Domenica del T.O. – …Il cristianesimo fino alla fine dei tempi non sarà che un granello, non sarà che una manciata di lievito e forse niente altro.
Così è il regno di Dio: piccola realtà, ma che ha in sé una potenza misteriosa, silenziosa, irresistibile ed efficace, che si dilata senza che noi facciamo nulla. Il contadino non può fare davvero nulla: deve solo seminare il seme nella terra, ma poi sia che lui dorma sia che si alzi di notte per controllare ciò che accade, la crescita non dipende più da lui.
Nel vangelo più antico Gesù pronuncia un discorso in parabole come insegnamento rivolto ai discepoli che ha chiamato alla sua sequela e alle folle che ascoltano la sua predicazione del Regno veniente (cf. Mc 4,1-34) .
Le parabole sono un linguaggio enigmatico che diventa però “mistero” (Mc 4,11) per chi segue Gesù e in qualche modo entra nella sua intimità, fino a trovarsi in uno spazio che può essere definito da Gesù stesso éso, “dentro” (cf. Mc 3,31-32; 4,11). Nello stesso tempo, le parabole sono da lui dette in modo che gli ascoltatori cambino il loro modo di pensare. Esse, infatti, contengono sempre un messaggio di contro-cultura, correggono ciò che tutti pensano o sono portati a pensare, e di conseguenza sono annuncio di qualcosa di nuovo: una novità apportata da Gesù non a livello di idee, ma come qualcosa che cambia il modo di vivere, di sentire, di giudicare e di operare. ( E. Bianchi )
…Ritorniamo allora con più umiltà a queste parabole del regno perché esse offrono una sapienza che non è riservata soltanto ai credenti, dato che trattano delle sorti del mondo, è riservata a tutti. Ed infatti quanti che non erano nel gruppo dei discepoli, l’hanno capita.
Gesù parlava di queste cose ma fra i suoi discepoli c’era chi aveva la spada nel fodero. Non tutti quelli che ascoltarono capirono e molti di quelli che non erano del gruppo hanno capito.
Forse in un consuntivo che nel futuro dovrà essere fatto – adesso è perfino difficile immaginarlo – si potrà anche dire che il Vangelo ha prosperato là dove non è stato predicato, e si è corrotto là dove è stato predicato.
Forse il Vangelo della non-violenza aveva le sue sedi predisposte in un mondo lontano da quello dall’impero romano che stritolò i cristiani e poi apparentemente ne fu sconfitto.
In realtà fu lui a sconfiggerli in quanto li fece uguali a sé e portò i cristiani ad accettare la guerra come mezzo efficace per il fine.
Questo è il dramma della storia che si apre dinanzi a noi, appena lo guardiamo.
Allora mi viene a mente, e credo non in un taglio consolatorio, questa semplice parola di Gesù: ” Non tutti possono capire” e non perché ci sia una discriminazione da parte di Dio, ma perché chi ha reso il suo spirito omogeneo a questo mondo non può capire. Coloro che per professione sono quelli che capiscono non possono capire; i piccoli e i semplici che non sono del tutto integrati nella robusta sapienza istituzionale possono capire. Così fu e così è sempre.
Che il regno di Dio debba insediarsi in questo mondo come un grande impero lo pensarono i cristiani corrotti dalla volontà di potenza, ma forse il cristianesimo fino alla fine dei tempi non sarà che un granello, non sarà che una manciata di lievito e forse niente altro.
Non si obiettiverà mai in istituzioni date, perché una istituzione che nasce ha come sua prima preoccupazione quella di salvare se stessa e così si mette fuori del regno di Dio dove è legge morire.
Il seme che non muore non dà frutto, ma le istituzioni, anche quelle ecclesiastiche, non vogliono morire e perciò non danno frutto.
Ecco forse qual è il mistero che sfioriamo quando tocchiamo queste parole del Signore apparentemente antiche, lontane e innocenti.
Sono esse invece che ci assediano, entrano in noi come una spada a doppio taglio e ci fanno capire che o scegliamo i mezzi omogenei al fine oppure saremo stritolati.
Il regno di Dio è anche il regno del giudizio di Dio e questo giudizio di Dio ha per noi forme ben chiare, prospettive spaventose e scientificamente descrivibili.
Ci siamo! Ecco perché io penso che questa sapienza evangelica non è affatto decaduta. Apparentemente è alle nostre spalle, lontana, ma, guarda caso, appartiene all’oggi; apriamo gli occhi e vediamo che è come una gemma che sboccia oggi perché oggi più che ieri noi ci dobbiamo domandare con quali mezzi potremmo realizzare il regno della pace.
Gesù ce lo ha detto.
Non ci affidiamo ai potenti, non ci esaltiamo degli alberi verdi perché domattina saranno secchi, non ci sconsoliamo degli alberi secchi perché forse domattina verdeggeranno. Teniamoci l’animo disposto a questo e scegliamo personalmente la forza che non stritola nessuno ma che vuole essere soltanto una potenza suscitatrice di coscienze.
L’unica via per cui si trasmettono ideali senza umiliare e annientare nessuno è quella con cui una fiamma accende una fiamma, con cui il polline feconda i fiori: con la mitezza, la spontaneità dell’amore, la forza dell’evidenza e con questa grande fede.
Certo ci vuole fede.
Credere vuol dire esser certi che si avvererà quello che secondo la logica costituita non potrà mai avverarsi.
Noi dobbiamo vivere, con questa fede nel futuro dell’uomo e nel futuro di Dio, la tribolazione del conflitto fra i mezzi e il fine che vi ho descritto agli inizi. (Ernesto Balducci- dalle Omelie Inedite)