tirisan
SS. Corpo e Sangue di Cristo – Il Cristo presente in mezzo a noi, nel segno del pane e del vino, esige che la forza dell’amore superi ogni lacerazione, e al tempo stesso che diventi comunione anche con il più povero, sostegno per il debole, attenzione fraterna a quanti fanno fatica a sostenere il peso della vita quotidiana, e sono in pericolo di perdere la fede.
Abbiamo ascoltato: nella [Ultima] Cena Gesù dona il suo Corpo e il suo Sangue mediante il pane e il vino, per lasciarci il memoriale del suo sacrificio di amore infinito.
E con questo “viatico” ricolmo di grazia, i discepoli hanno tutto il necessario per il loro cammino lungo la storia, per estendere a tutti il regno di Dio.
Luce e forza sarà per loro il dono che Gesù ha fatto di sé, immolandosi volontariamente sulla croce. E questo Pane di vita è giunto fino a noi!
Non finisce mai lo stupore della Chiesa davanti a questa realtà. Uno stupore che alimenta sempre la contemplazione, l’adorazione e la memoria. Ce lo dimostra un testo molto bello della Liturgia di oggi, il Responsorio della seconda lettura dell’Ufficio delle Letture, che dice così: «Riconoscete in questo pane, colui che fu crocifisso; nel calice, il sangue sgorgato dal suo fianco. Prendete e mangiate il corpo di Cristo, bevete il suo sangue: poiché ora siete membra di Cristo. Per non disgregarvi, mangiate questo vincolo di comunione; per non svilirvi, bevete il prezzo del vostro riscatto».
C’è un pericolo, c’è una minaccia: disgregarci, svilirci.
Cosa significa, oggi, questo “disgregarci” e “svilirci”?
Noi ci disgreghiamo quando non siamo docili alla Parola del Signore, quando non viviamo la fraternità tra di noi, quando gareggiamo per occupare i primi posti – gli arrampicatori -, quando non troviamo il coraggio di testimoniare la carità, quando non siamo capaci di offrire speranza. Così ci disgreghiamo.
L’Eucaristia ci permette di non disgregarci, perché è vincolo di comunione, è compimento dell’Alleanza, segno vivente dell’amore di Cristo che si è umiliato e annientato perché noi rimanessimo uniti.
Partecipando all’Eucaristia e nutrendoci di essa, noi siamo inseriti in un cammino che non ammette divisioni.
Il Cristo presente in mezzo a noi, nel segno del pane e del vino, esige che la forza dell’amore superi ogni lacerazione, e al tempo stesso che diventi comunione anche con il più povero, sostegno per il debole, attenzione fraterna a quanti fanno fatica a sostenere il peso della vita quotidiana, e sono in pericolo di perdere la fede.
E poi, l’altra parola: che cosa significa oggi per noi “svilirci”, ossia annacquare la nostra dignità cristiana? Significa lasciarci intaccare dalle idolatrie del nostro tempo: l’apparire, il consumare, l’io al centro di tutto; ma anche l’essere competitivi, l’arroganza come atteggiamento vincente, il non dover mai ammettere di avere sbagliato o di avere bisogno. Tutto questo ci svilisce, ci rende cristiani mediocri, tiepidi, insipidi, pagani.
Gesù ha versato il suo Sangue come prezzo e come lavacro, perché fossimo purificati da tutti i peccati: per non svilirci, guardiamo a Lui, abbeveriamoci alla sua fonte, per essere preservati dal rischio della corruzione.
E allora sperimenteremo la grazia di una trasformazione: noi rimarremo sempre poveri peccatori, ma il Sangue di Cristo ci libererà dai nostri peccati e ci restituirà la nostra dignità.
Ci libererà dalla corruzione.
Senza nostro merito, con sincera umiltà, potremo portare ai fratelli l’amore del nostro Signore e Salvatore. Saremo i suoi occhi che vanno in cerca di Zaccheo e della Maddalena; saremo la sua mano che soccorre i malati nel corpo e nello spirito; saremo il suo cuore che ama i bisognosi di riconciliazione, di misericordia e di comprensione.
Così l’Eucaristia attualizza l’Alleanza che ci santifica, ci purifica e ci unisce in comunione mirabile con Dio. Così impariamo che l’Eucaristia non è un premio per i buoni, ma è la forza per i deboli, per i peccatori. E’ il perdono, è il viatico che ci aiuta ad andare, a camminare.
Oggi, festa del Corpus Domini, abbiamo la gioia non solo di celebrare questo mistero, ma anche di lodarlo e cantarlo per le strade della nostra città.
La processione che faremo al termine della Messa, possa esprimere la nostra riconoscenza per tutto il cammino che Dio ci ha fatto percorrere attraverso il deserto delle nostre povertà, per farci uscire dalla condizione servile, nutrendoci del suo Amore mediante il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue.
Tra poco, mentre cammineremo lungo la strada, sentiamoci in comunione con tanti nostri fratelli e sorelle che non hanno la libertà di esprimere la loro fede nel Signore Gesù. Sentiamoci uniti a loro: cantiamo con loro, lodiamo con loro, adoriamo con loro. E veneriamo nel nostro cuore quei fratelli e sorelle ai quali è stato chiesto il sacrificio della vita per fedeltà a Cristo: il loro sangue, unito a quello del Signore, sia pegno di pace e di riconciliazione per il mondo intero.
E non dimentichiamo: «Per non disgregarvi, mangiate questo vincolo di comunione; per non svilirvi, bevete il prezzo del vostro riscatto». ( Papa Francesco )
SS. TRINITÀ – Dio è comunità, vita condivisa, dedizione e donazione reciproca, comunione gioiosa di vita. Dio è insieme colui che ama, l’amato e l’amore.
La festa della Ss. Trinità è la festa di un Dio che non ha smesso di amare ognuno di noi e che chiede di allargare gli spazi in cui lui possa amare. Ed è proprio questo il compito della comunità, oggi: dire al mondo che c’è un Dio che ama e portare a Dio un mondo bisognoso di amore. La Ss. Trinità è un Dio Amore, il cui annuncio passa anche dalla testimonianza della nostra vita. (Monsignor Nunzio Galantino)
Il “mistero della Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo” sembra all’uomo occidentale una sorta di algebra divina: come l’uno può essere tre e il tre uno? ( D. Giuseppe Dossetti )
Il Vescovo Tonino Bello (grande pastore di Molfetta, e uomo di profondissima spiritualità evangelica, morto nel 1993) racconta di come lui un giorno cercò di preparare una omelia sulla Trinità e di come un prete lo aiutò a trovare la soluzione più vera, e che era la più semplice.
“Carissimi fratelli, l’espressione me l’ha suggerita don Vincenzo, un prete mio amico che lavora tra gli zingari, e mi è parsa tutt’altro che banale. Venne a trovarmi una sera nel mio studio e mi chiese che cosa stessi scrivendo. Gli dissi che ero in difficoltà perché volevo spiegare alla gente (ma in modo semplice, così che tutti capissero) un particolare del mistero della Santissima Trinità: e cioè che le tre Persone divine sono, come dicono i teologi con una frase difficile, tre relazioni sussistenti. Don Vincenzo sorrise, come per compatire la mia pretesa e comunque, per dirmi che mi cacciavo in una foresta inestricabile di problemi teologici. Io, però, aggiunsi che mi sembrava molto importante far capire queste cose ai poveri, perché, se il Signore ci insegnato che, stringi stringi, il nucleo di ogni Persona divina consiste in una relazione, qualcosa ci deve essere sotto… Colsi l’occasione per leggere al mio amico la paginetta che avevo scritto. Quando terminai, mi disse che con tutte quelle parole, la gente forse non avrebbe capito nulla. Poi aggiunse: “Io ai miei zingari sai come spiego il mistero di un solo Dio in tre Persone? Non parlo di uno più uno più uno: perché così fanno tre. Parlo di uno per uno per uno: e così fa sempre uno. In Dio, cioè, non c’è una Persona che si aggiunge all’altra e poi all’altra ancora. In Dio ogni Persona vive per l’altra.” (da un omelia del 12 aprile 1987)
Quando noi cristiani confessiamo la Trinità di Dio, vogliamo affermare che Dio non è un solitario, chiuso in se stesso, ma un essere solidale.
Dio è comunità, vita condivisa, dedizione e donazione reciproca, comunione gioiosa di vita. Dio è insieme colui che ama, l’amato e l’amore.
Confessare la Trinità non vuol dire soltanto riconoscerla come principio, ma anche accettarla come modello ultimo della nostra vita.
Quando affermiamo e rispettiamo le diversità e il pluralismo tra gli esseri umani, in pratica confessiamo la distinzione trinitaria di persone.
Quando eliminiamo le distanze e lavoriamo per realizzare l’uguaglianza effettiva tra uomo e donna, tra i fortunati e gli sventurati, tra i vicini e i lontani, affermiamo nella pratica l’uguaglianza delle persone della Trinità.
Quando ci sforziamo di avere «un cuor solo e un’anima sola» e di imparare a mettere tutto in comune, perché nessuno abbia a patire l’indigenza, stiamo confessando l’unico Dio e accogliamo in noi la sua vita trinitaria. (Vescovi di Navarra e del paese Basco, Creer hoy en el Dios de Jesucristo, pasqua 1986)
Cerchiamo di ascoltare il brano evangelico previsto dalla liturgia, la conclusione del vangelo secondo Matteo.
“In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.”
Questa espressione con l’articolo determinativo, “il monte”, è apparsa al capitolo 5, quando Gesù proclama le beatitudini su “il monte”.
Allora l’evangelista vuol dire che situarsi in Galilea su il monte significa situarsi nel cuore del messaggio di Gesù, le beatitudini.
Le beatitudini invitano l’uomo a orientare la propria esistenza al bene dell’altro.
“Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.“
Ma di che cosa dubitano?
Non che sia risuscitato, lo vedono!
Non che in Gesù ci sia la condizione divina, si prostrano!
Di che cosa dubitano?
L’unica volta che c’è il verbo “dubitare” in questo Vangelo è al capitolo 14, quando Pietro pretese di camminare sulle acque – e questo significava avere la condizione divina – ma incominciò ad affogare. E Gesù lo rimproverò: “uomo di poca fede, perché dubitasti? (Mt 14,32).
Allora in questo brano questa espressione “dubitare” dei discepoli si riferisce a che cosa? Anche loro pensano di avere la condizione divina, di arrivare alla condizione divina come Gesù, ma capiscono attraverso cosa è passato Gesù: l’ignominia della croce.
Allora dubitano di se stessi, non sanno se saranno anch’essi capaci di affrontare la persecuzione, la sofferenza e il martirio per arrivare alla condizione divina.
Gesù, nonostante questa loro esitazione, li manda.
Dice: “ Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato.”
Il verbo battezzare significa “immergere, inzuppare, impregnare. … È compito della comunità dei credenti di andare verso gli esclusi, verso gli emarginati, verso i rifiutati dalla religione e proprio a loro far fare una esperienza – di questo si tratta – della pienezza dell’amore del Padre, colui che da la vita, del Figlio, colui nel quale questa vita si è pienamente realizzata, e dello Spirito, questa energia vitale.
“Insegnando”.
E’ la prima volta nel Vangelo di Matteo che Gesù autorizza i discepoli ad insegnare. Non li autorizza ad insegnare una dottrina, ma una pratica: infatti “a praticare e a osservare tutto ciò che io vi ho comandato”.
… Non una dottrina da proclamare, ma una pratica da insegnare, “insegnate a praticare le beatitudini”, ““insegnate a praticare la condivisione per amore, il servizio reso per amore”.
Se c’è questo – ecco la garanzia – “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
…. Non si tratta di una scadenza, ma di una qualità di presenza; non c’è nessuna fine del mondo, Gesù non mette paura, Gesù assicura che se ci sono queste condizioni di andare comunicando amore, lui è sempre presente nella sua comunità e questo “per sempre” quindi non è una scadenza, ma una qualità della sua presenza. (A. Maggi )
Incontro di formazione in preparazione del Convegno Ecclesiale di Firenze
Ai Rev.mi Diaconi
Ai gruppi Caritas parrocchiali
Ai Governatori delle Confraternite e delle Misericordie
Loro sedi
Carissimi,
ormai a conclusione dell’anno pastorale e in preparazione al Convegno Ecclesiale di Firenze che si celebrerà dal 9 al 13 novembre p.v., desideriamo invitarvi a partecipare a un incontro di formazione che terremo sabato 27 giugno 2015 a Gibilmanna.
La Chiesa italiana ha gia vissuto quattro convegni nazionali (Roma nel 1976, Loreto nel 1985, Palermo nel 1995 e Verona nel 2006) che sono stati importanti momenti nei quali si è cercato di “tradurre in italiano” il messaggio di rinnovamento del Concilio Ecumenico Vaticano II. II tema del V Convegno Ecclesiale Nazionale In Gesù Cristo il nuovo umanesimo è stato presentato alle Chiese d’Italia innanzitutto con un Invito a Firenze pubblicato dalla CEI nel 2013 e successivamente con la Traccia di riflessione pubblicata nel 2014. II percorso di avvicinamento al Convegno, al quale parteciperanno solo alcuni delegati per ogni diocesi, ci interpella e ci sprona a prepararci adeguatamente perché possiamo camminare insieme, assaporando il gusto dell’essere Chiesa, qui e oggi, in Italia.
Pertanto invitiamo i presidenti delle caritas parrocchiali, i parroci, i diaconi, i governatori e i direttivi delle Confraternite a partecipare a questo incontro di formazione secondo il programma che di seguito riportiamo:
Ore 15, 30 | Momento di Preghiera |
Ore 16 | Presentazione della Traccia per Firenze 2015 a cura del Dott. Giuseppe La Tona |
Ore 17 | Presentazione del Progetto Policoro da parte degli animatori diocesani: Vanessa Saguto e Ignazio Intrivici |
Ore 17,30 | Interventi dei direttori degli Uffici: Caritas e Confraternite |
Ore 18,30 | Conclusioni |
Sicuri della vostra presenza e ringraziandovi per l’impegno profuso a favore della nostra Chiesa Cefaludense vi salutiamo cordialmente.
Cefalù 27 Maggio 2015
I Direttori :
Don Calogero Falcone
Don Giuseppe Licciardi
Pentecoste – Il mondo ha bisogno di uomini e donne non chiusi, ma ricolmi di Spirito Santo.
«Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi … Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,21.22) , così ci dice Gesù. L’effusione avvenuta la sera della Risurrezione si ripete nel giorno di Pentecoste, rafforzata da straordinarie manifestazioni esteriori.
La sera di Pasqua Gesù appare agli Apostoli e alita su di loro il suo Spirito (cfr Gv 20,22); nel mattino di Pentecoste l’effusione avviene in maniera fragorosa, come un vento che si abbatte impetuoso sulla casa e irrompe nelle menti e nei cuori degli Apostoli.
Di conseguenza essi ricevono un’energia tale che li spinge ad annunciare nei diversi idiomi l’evento della Risurrezione di Cristo: «Tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue» (At 2,4). Insieme con loro c’era Maria, la Madre di Gesù, la prima discepola, e lì Madre della Chiesa nascente. Con la sua pace, con il suo sorriso, con la sua maternità, accompagnava la gioia della giovane Sposa, la Chiesa di Gesù.
La Parola di Dio, specialmente quest’oggi, ci dice che lo Spirito opera, nelle persone e nelle comunità che ne sono ricolme, le fa capaci di recipere Deum, “capax Dei”, dicono i Santi Padri. E cosa fa lo Spirito Santo mediante questa capacità nuova che ci dà? Guida a tutta la verità (Gv 16,13), rinnova la terra (Sal 103) e dà i suoi frutti (Gal 5, 22-23). Guida, rinnova e fruttifica.
Nel Vangelo, Gesù promette ai suoi discepoli che, quando Lui sarà tornato al Padre, verrà lo Spirito Santo il quale li «guiderà a tutta la verità» (Gv 16,13). Lo chiama proprio «Spirito della verità» e spiega loro che la sua azione sarà quella di introdurli sempre più nella comprensione di ciò che Lui, il Messia, ha detto e ha fatto, in particolare della sua morte e risurrezione. Agli Apostoli, incapaci di sopportare lo scandalo della passione del loro Maestro, lo Spirito darà una nuova chiave di lettura per introdurli alla verità e alla bellezza dell’evento della salvezza. Questi uomini, dapprima impauriti e bloccati, chiusi nel cenacolo per evitare le ripercussioni del venerdì santo, non si vergogneranno più di essere discepoli del Cristo, non tremeranno più davanti ai tribunali umani. Grazie allo Spirito Santo di cui sono ricolmi, essi comprendono «tutta la verità», cioè che la morte di Gesù non è la sua sconfitta, ma l’espressione estrema dell’Amore di Dio; Amore che nella Risurrezione vince la morte ed esalta Gesù come il Vivente, il Signore, il Redentore dell’uomo, il Signore della storia e del mondo. E questa realtà, di cui loro sono testimoni, diventa la Buona Notizia da annunciare a tutti.
Poi, lo Spirito Santo rinnova – guida e rinnova – rinnova la terra. Il Salmo dice: «Mandi il tuo spirito … e rinnovi la terra» (Sal 103,30). Il racconto degli Atti degli Apostoli sulla nascita della Chiesa trova una significativa corrispondenza in questo Salmo, che è una grande lode di Dio Creatore. Lo Spirito Santo che Cristo ha mandato dal Padre, e lo Spirito Creatore che ha dato vita ad ogni cosa, sono uno e il medesimo. Perciò il rispetto del creato è un’esigenza della nostra fede: il “giardino” in cui viviamo non ci è affidato perché lo sfruttiamo, ma perché lo coltiviamo e lo custodiamo con rispetto (cfr Gen 2,15). Ma questo è possibile solo se Adamo – l’uomo plasmato con la terra – a sua volta si lascia rinnovare dallo Spirito Santo, se si lascia ri-plasmare dal Padre sul modello di Cristo, nuovo Adamo. Allora sì, rinnovati dallo Spirito, possiamo vivere la libertà dei figli, in armonia con tutto il creato, e in ogni creatura possiamo riconoscere un riflesso della gloria del Creatore, come afferma un altro salmo: «O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!» (8,2.10). Guida, rinnova e dona, dà frutto.
Nella Lettera ai Galati san Paolo vuole mostrare qual è il “frutto” che si manifesta nella vita di coloro che camminano secondo lo Spirito (cfr 5,22). Da un lato c’è la «carne», con il corteo dei suoi vizi che l’Apostolo elenca, e che sono le opere dell’uomo egoistico, chiuso all’azione della grazia di Dio. Invece, nell’uomo che con la fede lascia irrompere in sé lo Spirito di Dio, fioriscono i doni divini, riassunti in nove virtù gioiose che Paolo chiama «frutto dello Spirito». Di qui l’appello, ripetuto in apertura e in conclusione, come un programma di vita: «Camminate secondo lo Spirito» (Gal 5,16.25).
Il mondo ha bisogno di uomini e donne non chiusi, ma ricolmi di Spirito Santo. La chiusura allo Spirito Santo è non soltanto mancanza di libertà, ma anche peccato. Ci sono tanti modi di chiudersi allo Spirito Santo: nell’egoismo del proprio vantaggio, nel legalismo rigido – come l’atteggiamento dei dottori della legge che Gesù chiama ipocriti –, nella mancanza di memoria per ciò che Gesù ha insegnato, nel vivere la vita cristiana non come servizio ma come interesse personale, e così via. Invece, il mondo ha bisogno del coraggio, della speranza, della fede e della perseveranza dei discepoli di Cristo. Il mondo ha bisogno dei frutti, dei doni dello Spirito Santo, come elenca san Paolo: «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). Il dono dello Spirito Santo è stato elargito in abbondanza alla Chiesa e a ciascuno di noi, perché possiamo vivere con fede genuina e carità operosa, perché possiamo diffondere i semi della riconciliazione e della pace. Rafforzati dallo Spirito – che guida, ci guida alla verità, che rinnova noi e tutta la terra, e che ci dona i frutti – rafforzati nello Spirito e da questi molteplici doni, diventiamo capaci di lottare senza compromessi contro il peccato, di lottare senza compromessi contro la corruzione, che si allarga sempre più nel mondo di giorno in giorno, e di dedicarci con paziente perseveranza alle opere della giustizia e della pace. ( Papa Francesco )
***
…Lo Spirito contesta tutte le nostre pretese di unire il mondo con qualcosa che non abbia le misure stesse della creazione. Quindi lo Spirito è innanzi tutto contestazione, è rifiuto di dare valore assoluto al relativo.
Se io penso alla mia storia!
Se penso alla fatica immane che si è dovuta vivere per abbattere ciò che credevamo assoluto…!
A questa costituzione degli assoluti che non sono tali tutto ci ha sospinto: e la cultura profana e l’eredità laica della cultura occidentale e le teologie cattoliche, tutto ci ha portato verso la deformazione del relativo in assoluto.
E quante presunzioni, quanti razzismi impliciti, quanti orgogli camuffati di pietà abbiamo accumulato nel cuore!
A livello della società quante barriere abbiamo creato!
E a livello dei popoli quante discriminazioni ci sono ancora, forse più forti di ieri, perché hanno mutato nome, ma sono diventate più robuste per i meccanismi economici che le contengono come un cemento armato.
Lo Spirito Santo viene come un uragano e abbatte tutte le barriere.
Lo Spirito fece cadere il Tempio, fece cadere la legge giudaica, e aprì la via della salvezza a tutti i Gentili.
Ma noi abbiamo eretto nuovi templi, nuove leggi, nuove sinagoghe, e lo Spirito deve soffiare di nuovo per ridarci l’ansia dell’universalità effettiva, non quella astratta dei filosofi illuministi, ma quella concreta che passa attraverso la partecipazione sofferta, generosa alla condizione umana..
Altrimenti anche l’universalità del Vangelo diventa per noi un pretesto presuntuoso. Essa non si dichiara, si prova.
Essa non si definisce, si sperimenta.
Al livello dell’esperienza dobbiamo dire: no, il nostro Vangelo non è universale.
Esso non conosce la «scienza delle voci», lo Spirito che fa di una sola voce molte voci, che adempie l’attesa latente in tutti i popoli, anche dei più diversi, è uno Spirito che noi imprigioniamo continuamente.
Esso è l’Antipotere, passa attraverso la croce del Signore.
Lo Spirito Santo è lo Spirito di Gesù il crocifisso.
Perciò non possiamo appellarci allo Spirito Santo come ad un mistero che serve a crearci tralicci provvidenzialistici quando incontriamo dei burroni e non sappiamo come sorpassarli.
Lo Spirito Santo non è il tappabuchi delle nostre miserie, non è il Deus ex machina delle nostre impotenze: è la contestazione in radice della nostra libidine di potere, anche spirituale.
Ci riconsegna totalmente al principio della creazione, ci riporta alle radici dell’essere e ci dà la capacità di ascoltare ciò che di nuovo ferve nel cuore dell’uomo.
Non dobbiamo legare lo Spirito Santo ad un partito politico, a una cultura, a una egemonia, dobbiamo, anzi, costantemente sapere che lo Spirito passa dall’altra parte, fuori delle mura delle nostre città, non entra nelle nostre chiese, parla con la bocca dei lontani, solleva profeti che non hanno il colore del nostro volto né le nostre tradizioni culturali, che non hanno nemmeno le nostre credenziali, che anzi puntano il dito su di noi eredi dei profeti divenuti ormai archivisti dello Spirito Santo.
Questa apertura all’impossibilità è la disposizione evangelica vista dalla Pentecoste.
Lo Spirito Santo … è docilità e contestazione delle false universalità continua resurrezione dell’affiato dell’universalità, del bisogno di agire per l’uomo, per l’uomo nella sua universalità concreta, storica, determinata e non per l’uomo in genere.
Quando facciamo le nostre politiche non pensiamo né agli handicappati, né ai malati, né agli anziani.
Pensiamo sempre agli uomini validi, quando facciamo i nostri progetti.
Oppure quando pensiamo al futuro del mondo ci pensiamo a partire dai livelli di consumo che abbiamo realizzato (senza ricordarci che essi sono cinquanta volte di più di quelli di cui godono o soffrono i meno privilegiati del pianeta, da cui abbiamo preso materie prime, ricchezze per farne il piedistallo del nostro benessere.
Sentire costantemente questa provocazioni vuol dire, forse, non avere il piglio del guidatore di popoli, ma vuol dire quanto meno acquistare sempre più la faccia dell’uomo qualsiasi, dell’uomo semplice che, sempre più deluso dalle nostre promesse, rischia di gravare la nostra storia di un peso di disperazione o di diffidenza che potrebbe essere davvero la causa più efficace della nostra rovina futura.
La minaccia del futuro non è tanto nelle rivoluzioni quanto nell’inerzia dello spirito, in una specie di paralisi collettiva delle coscienze, di sfiducia totale in qualunque parola e in qualunque messaggio.
Sono andato per sentieri che non aveva programmato, obbedendo al mio sentimento interiore, ma credo di non essere stato lontano dall’intuizione di partenza, che cioè i misteri cristiani o noi li percuotiamo perché facciano discendere il loro messaggio nei solchi delle nostre esperienze storiche, oppure anch’essi diventano lontani da noi, occasioni di cerimonie che ormai hanno perso di senso perfino nella coscienza di noi credenti. (Ernesto Balducci – “Il mandorlo e il fuoco” voi. 2 – anno B)