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" L'ergastolo è una pena di morte nascosta" – Esortazione di Papa Francesco all'Associazione Internazionale di Diritto Penale .
Nel corso del discorso all’Associazione Internazionale di Diritto Penale una forte esortazione di Papa Francesco a migliorare le condizioni carcerarie nel rispetto della dignità umana. Oltre alla richiesta dell’abolizione della pena di morte anche quella dell’abolizione dell’ergastolo perché ” l’ergastolo è una pena di morte nascosta”.
Di seguito il testo dell’esortazione.
Illustri Signori e Signore!
Vi saluto tutti cordialmente e desidero esprimervi il mio ringraziamento personale per il vostro servizio alla società e il prezioso contributo che rendete allo sviluppo di una giustizia che rispetti la dignità e i diritti della persona umana, senza discriminazioni.
Vorrei condividere con voi alcuni spunti su certe questioni che, pur essendo in parte opinabili – in parte! – toccano direttamente la dignità della persona umana e dunque interpellano la Chiesa nella sua missione di evangelizzazione, di promozione umana, di servizio alla giustizia e alla pace. Lo farò in forma riassuntiva e per capitoli, con uno stile piuttosto espositivo e sintetico.
Introduzione
Prima di tutto vorrei porre due premesse di natura sociologica che riguardano l’incitazione alla vendetta e il populismo penale.
- a) Incitazione alla vendetta
Nella mitologia, come nelle società primitive, la folla scopre i poteri malefici delle sue vittime sacrificali, accusati delle disgrazie che colpiscono la comunità. Questa dinamica non è assente nemmeno nelle società moderne. La realtà mostra che l’esistenza di strumenti legali e politici necessari ad affrontare e risolvere conflitti non offre garanzie sufficienti ad evitare che alcuni individui vengano incolpati per i problemi di tutti.
La vita in comune, strutturata intorno a comunità organizzate, ha bisogno di regole di convivenza la cui libera violazione richiede una risposta adeguata. Tuttavia, viviamo in tempi nei quali, tanto da alcuni settori della politica come da parte di alcuni mezzi di comunicazione, si incita talvolta alla violenza e alla vendetta, pubblica e privata, non solo contro quanti sono responsabili di aver commesso delitti, ma anche contro coloro sui quali ricade il sospetto, fondato o meno, di aver infranto la legge.
- b) Populismo penale
In questo contesto, negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina. Non si tratta di fiducia in qualche funzione sociale tradizionalmente attribuita alla pena pubblica, quanto piuttosto della credenza che mediante tale pena si possano ottenere quei benefici che richiederebbero l’implementazione di un altro tipo di politica sociale, economica e di inclusione sociale.
Non si cercano soltanto capri espiatori che paghino con la loro libertà e con la loro vita per tutti i mali sociali, come era tipico nelle società primitive, ma oltre a ciò talvolta c’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici:figure stereotipate, che concentrano in sé stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose. I meccanismi di formazione di queste immagini sono i medesimi che, a suo tempo, permisero l’espansione delle idee razziste.
- Sistemi penali fuori controllo e la missione dei giuristi.
Il principio guida della cautela in poenam
Stando così le cose, il sistema penale va oltre la sua funzione propriamente sanzionatoria e si pone sul terreno delle libertà e dei diritti delle persone, soprattutto di quelle più vulnerabili, in nome di una finalità preventiva la cui efficacia, fino ad ora, non si è potuto verificare, neppure per le pene più gravi, come la pena di morte. C’è il rischio di non conservare neppure la proporzionalità delle pene, che storicamente riflette la scala di valori tutelati dallo Stato. Si è affievolita la concezione del diritto penale come ultima ratio, come ultimo ricorso alla sanzione, limitato ai fatti più gravi contro gli interessi individuali e collettivi più degni di protezione. Si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre sanzioni penali alternative.
In questo contesto, la missione dei giuristi non può essere altra che quella di limitare e di contenere tali tendenze. È un compito difficile, in tempi nei quali molti giudici e operatori del sistema penale devono svolgere la loro mansione sotto la pressione dei mezzi di comunicazione di massa, di alcuni politici senza scrupoli e delle pulsioni di vendetta che serpeggiano nella società. Coloro che hanno una così grande responsabilità sono chiamati a compiere il loro dovere, dal momento che il non farlo pone in pericolo vite umane, che hanno bisogno di essere curate con maggior impegno di quanto a volte non si faccia nell’espletamento delle proprie funzioni.
- Circa il primato della vita e la dignità della persona umana. Primatus principii pro homine
- a) Circa la pena di morte
È impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone.
San Giovanni Paolo II ha condannato la pena di morte (cfr Lett. enc. Evangelium vitae, 56), come fa anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (N. 2267).
Tuttavia, può verificarsi che gli Stati tolgano la vita non solo con la pena di morte e con le guerre, ma anche quando pubblici ufficiali si rifugiano all’ombra delle potestà statali per giustificare i loro crimini. Le cosiddette esecuzioni extragiudiziali o extralegali sono omicidi deliberati commessi da alcuni Stati e dai loro agenti, spesso fatti passare come scontri con delinquenti o presentati come conseguenze indesiderate dell’uso ragionevole, necessario e proporzionale della forza per far applicare la legge. In questo modo, anche se tra i 60 Paesi che mantengono la pena di morte, 35 non l’hanno applicata negli ultimi dieci anni, la pena di morte, illegalmente e in diversi gradi, si applica in tutto il pianeta.
Le stesse esecuzioni extragiudiziali vengono perpetrate in forma sistematica non solamente dagli Stati della comunità internazionale, ma anche da entità non riconosciute come tali, e rappresentano autentici crimini.
Gli argomenti contrari alla pena di morte sono molti e ben conosciuti. La Chiesa ne ha opportunamente sottolineato alcuni, come la possibilità dell’esistenza dell’errore giudiziale e l’uso che ne fanno i regimi totalitari e dittatoriali, che la utilizzano come strumento di soppressione della dissidenza politica o di persecuzione delle minoranze religiose e culturali, tutte vittime che per le loro rispettive legislazioni sono “delinquenti”.
Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi o a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l’ergastolo. In Vaticano, poco tempo fa, nel Codice penale del Vaticano, non c’è più, l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte nascosta.
- b) Sulle condizioni della carcerazione, i carcerati senza condanna e i condannati senza giudizio. – Queste non sono favole: voi lo sapete bene –
La carcerazione preventiva – quando in forma abusiva procura un anticipo della pena, previa alla condanna, o come misura che si applica di fronte al sospetto più o meno fondato di un delitto commesso – costituisce un’altra forma contemporanea di pena illecita occulta, al di là di una patina di legalità.
Questa situazione è particolarmente grave in alcuni Paesi e regioni del mondo, dove il numero dei detenuti senza condanna supera il 50% del totale. Questo fenomeno contribuisce al deterioramento ancora maggiore delle condizioni detentive, situazione che la costruzione di nuove carceri non riesce mai a risolvere, dal momento che ogni nuovo carcere esaurisce la sua capienza già prima di essere inaugurato. Inoltre è causa di un uso indebito di stazioni di polizia e militari come luoghi di detenzione.
Il problema dei detenuti senza condanna va affrontato con la debita cautela, dal momento che si corre il rischio di creare un altro problema tanto grave quanto il primo se non peggiore: quello dei reclusi senza giudizio, condannati senza che si rispettino le regole del processo.
Le deplorevoli condizioni detentive che si verificano in diverse parti del pianeta, costituiscono spesso un autentico tratto inumano e degradante, molte volte prodotto delle deficienze del sistema penale, altre volte della carenza di infrastrutture e di pianificazione, mentre in non pochi casi non sono altro che il risultato dell’esercizio arbitrario e spietato del potere sulle persone private della libertà.
- c) Sulla tortura e altre misure e pene crudeli, inumane e degradanti. – L’aggettivo “crudele”; sotto queste figure che ho menzionato, c’è sempre quella radice: la capacità umana di crudeltà. Quella è una passione, una vera passione! –
Una forma di tortura è a volte quella che si applica mediante la reclusione in carceri di massima sicurezza. Con il motivo di offrire una maggiore sicurezza alla società o un trattamento speciale per certe categorie di detenuti, la sua principale caratteristica non è altro che l’isolamento esterno. Come dimostrano gli studi realizzati da diversi organismi di difesa dei diritti umani, la mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani, provocano sofferenze psichiche e fisiche come la paranoia, l’ansietà, la depressione e la perdita di peso e incrementano sensibilmente la tendenza al suicidio.
Questo fenomeno, caratteristico delle carceri di massima sicurezza, si verifica anche in altri generi di penitenziari, insieme ad altre forme di tortura fisica e psichica la cui pratica si è diffusa. Le torture ormai non sono somministrate solamente come mezzo per ottenere un determinato fine, come la confessione o la delazione – pratiche caratteristiche della dottrina della sicurezza nazionale – ma costituiscono un autentico plus di dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione. In questo modo, si tortura non solo in centri clandestini di detenzione o in moderni campi di concentramento, ma anche in carceri, istituti per minori, ospedali psichiatrici, commissariati e altri centri e istituzioni di detenzione e pena.
La stessa dottrina penale ha un’importante responsabilità in questo, con l’aver consentito in certi casi la legittimazione della tortura a certi presupposti, aprendo la via ad ulteriori e più estesi abusi.
Molti Stati sono anche responsabili per aver praticato o tollerato il sequestro di persona nel proprio territorio, incluso quello di cittadini dei loro rispettivi Paesi, o per aver autorizzato l’uso del loro spazio aereo per un trasporto illegale verso centri di detenzione in cui si pratica la tortura.
Questi abusi si potranno fermare unicamente con il fermo impegno della comunità internazionale a riconoscere il primato del principio pro homine, vale a dire della dignità della persona umana sopra ogni cosa.
- d) Sull’applicazione delle sanzioni penali a bambini e vecchi e nei confronti di altre persone specialmente vulnerabili
Gli Stati devono astenersi dal castigare penalmente i bambini, che ancora non hanno completato il loro sviluppo verso la maturità e per tale motivo non possono essere imputabili. Essi invece devono essere i destinatari di tutti i privilegi che lo Stato è in grado di offrire, tanto per quanto riguarda politiche di inclusione quanto per pratiche orientate a far crescere in loro il rispetto per la vita e per i diritti degli altri.
Gli anziani, per parte loro, sono coloro che a partire dai propri errori possono offrire insegnamenti al resto della società. Non si apprende unicamente dalle virtù dei santi, ma anche dalle mancanze e dagli errori dei peccatori e, tra di essi, di coloro che, per qualsiasi ragione, siano caduti e abbiano commesso delitti. Inoltre, ragioni umanitarie impongono che, come si deve escludere o limitare il castigo di chi patisce infermità gravi o terminali, di donne incinte, di persone handicappate, di madri e padri che siano gli unici responsabili di minori o di disabili, così trattamenti particolari meritano gli adulti ormai avanzati in età.
III. Considerazioni su alcune forme di criminalità che ledono gravemente la dignità della persona e il bene comune
Alcune forme di criminalità, perpetrate da privati, ledono gravemente la dignità delle persone e il bene comune. Molte di tali forme di criminalità non potrebbero mai essere commesse senza la complicità, attiva od omissiva, delle pubbliche autorità.
- a) Sul delitto della tratta delle persone
La schiavitù, inclusa la tratta delle persone, è riconosciuta come crimine contro l’umanità e come crimine di guerra, tanto dal diritto internazionale quanto da molte legislazioni nazionali. E’ un reato di lesa umanità. E, dal momento che non è possibile commettere un delitto tanto complesso come la tratta delle persone senza la complicità, con azione od omissione, degli Stati, è evidente che, quando gli sforzi per prevenire e combattere questo fenomeno non sono sufficienti, siamo di nuovo davanti ad un crimine contro l’umanità. Più ancora, se accade che chi è preposto a proteggere le persone e garantire la loro libertà, invece si rende complice di coloro che praticano il commercio di esseri umani, allora, in tali casi, gli Stati sono responsabili davanti ai loro cittadini e di fronte alla comunità internazionale.
Si può parlare di un miliardo di persone intrappolate nella povertà assoluta. Un miliardo e mezzo non hanno accesso ai servizi igienici, all’acqua potabile, all’elettricità, all’educazione elementare o al sistema sanitario e devono sopportare privazioni economiche incompatibili con una vita degna (2014 Human Development Report, UNPD). Anche se il numero totale di persone in questa situazione è diminuito in questi ultimi anni, si è incrementata la loro vulnerabilità, a causa delle accresciute difficoltà che devono affrontare per uscire da tale situazione. Ciò è dovuto alla sempre crescente quantità di persone che vivono in Paesi in conflitto. Quarantacinque milioni di persone sono state costrette a fuggire a causa di situazioni di violenza o persecuzione solo nel 2012; di queste, quindici milioni sono rifugiati, la cifra più alta in diciotto anni. Il 70% di queste persone sono donne. Inoltre, si stima che nel mondo, sette su dieci tra coloro che muoiono di fame, sono donne e bambine (Fondo delle Nazioni Unite per le Donne, UNIFEM).
- b) Circa il delitto di corruzione
La scandalosa concentrazione della ricchezza globale è possibile a causa della connivenza di responsabili della cosa pubblica con i poteri forti. La corruzione è essa stessa anche un processo di morte: quando la vita muore, c’è corruzione.
Ci sono poche cose più difficili che aprire una breccia in un cuore corrotto: «Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio» (Lc 12,21). Quando la situazione personale del corrotto diventa complicata, egli conosce tutte le scappatoie per sfuggirvi come fece l’amministratore disonesto del Vangelo (cfr Lc 16,1-8).
Il corrotto attraversa la vita con le scorciatoie dell’opportunismo, con l’aria di chi dice: “Non sono stato io”, arrivando a interiorizzare la sua maschera di uomo onesto. E’ un processo di interiorizzazione. Il corrotto non può accettare la critica, squalifica chi la fa, cerca di sminuire qualsiasi autorità morale che possa metterlo in discussione, non valorizza gli altri e attacca con l’insulto chiunque pensa in modo diverso. Se i rapporti di forza lo permettono, perseguita chiunque lo contraddica.
La corruzione si esprime in un’atmosfera di trionfalismo perché il corrotto si crede un vincitore. In quell’ambiente si pavoneggia per sminuire gli altri. Il corrotto non conosce la fraternità o l’amicizia, ma la complicità e l’inimicizia. Il corrotto non percepisce la sua corruzione. Accade un po’ quello che succede con l’alito cattivo: difficilmente chi lo ha se ne accorge; sono gli altri ad accorgersene e glielo devono dire. Per tale motivo difficilmente il corrotto potrà uscire dal suo stato per interno rimorso della coscienza.
La corruzione è un male più grande del peccato. Più che perdonato, questo male deve essere curato. La corruzione è diventata naturale, al punto da arrivare a costituire uno stato personale e sociale legato al costume, una pratica abituale nelle transazioni commerciali e finanziarie, negli appalti pubblici, in ogni negoziazione che coinvolga agenti dello Stato. È la vittoria delle apparenze sulla realtà e della sfacciataggine impudica sulla discrezione onorevole.
Tuttavia, il Signore non si stanca di bussare alle porte dei corrotti. La corruzione non può nulla contro la speranza.
Che cosa può fare il diritto penale contro la corruzione? Sono ormai molte le convenzioni e i trattati internazionali in materia e hanno proliferato le ipotesi di reato orientate a proteggere non tanto i cittadini, che in definitiva sono le vittime ultime – in particolare i più vulnerabili – quanto a proteggere gli interessi degli operatori dei mercati economici e finanziari.
La sanzione penale è selettiva. È come una rete che cattura solo i pesci piccoli, mentre lascia i grandi liberi nel mare. Le forme di corruzione che bisogna perseguire con la maggior severità sono quelle che causano gravi danni sociali, sia in materia economica e sociale – come per esempio gravi frodi contro la pubblica amministrazione o l’esercizio sleale dell’amministrazione – come in qualsiasi sorta di ostacolo frapposto al funzionamento della giustizia con l’intenzione di procurare l’impunità per le proprie malefatte o per quelle di terzi.
Conclusione
La cautela nell’applicazione della pena dev’essere il principio che regge i sistemi penali, e la piena vigenza e operatività del principio pro homine deve garantire che gli Stati non vengano abilitati, giuridicamente o in via di fatto, a subordinare il rispetto della dignità della persona umana a qualsiasi altra finalità, anche quando si riesca a raggiungere una qualche sorta di utilità sociale. Il rispetto della dignità umana non solo deve operare come limite all’arbitrarietà e agli eccessi degli agenti dello Stato, ma come criterio di orientamento per il perseguimento e la repressione di quelle condotte che rappresentano i più gravi attacchi alla dignità e integrità della persona umana.
Cari amici, vi ringrazio nuovamente per questo incontro, e vi assicuro che continuerò ad essere vicino al vostro impegnativo lavoro al servizio dell’uomo nel campo della giustizia. Non c’è dubbio che, per quanti tra voi sono chiamati a vivere la vocazione cristiana del proprio Battesimo, questo è un campo privilegiato di animazione evangelica del mondo. Per tutti, anche quelli tra voi che non sono cristiani, in ogni caso, c’è bisogno dell’aiuto di Dio, fonte di ogni ragione e giustizia. Invoco pertanto per ciascuno di voi, con l’intercessione della Vergine Madre, la luce e la forza dello Spirito Santo. Vi benedico di cuore e per favore, vi chiedo di pregare per me. Grazie.
XIV Convegno Diocesano Rinnovamento nello Spirito Santo.
Giorno 26 Ottobre 2014 XIV Convegno Diocesano Rinnovamento nello Spirito Santo.
Il convegno si svolgerà presso la Parrocchia Spirito Santo Cefalù.
Tema del Convegno: ” Rivestitevi dell’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo“ [ Ef 6,11]
Di seguito il programma e la Brochure.
PROGRAMMA
ore 08.30
- Accoglienza e preghiera comunitaria carismatica
- Apertura del convegno ENZO PIAZZA, Coordinatore Diocesano
- Saluti di accoglienza don GIUSEPPE LICCIARDI, Parroco – ROSARIO LAPUNZINA, Sindaco
- Annuncio sul tema “Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo” (Ef 6,11) – SEBASTIANO FASCETTA già Coordinatore Regionale
- Intervallo
ore 12.00
- Celebrazione Eucaristica presediuta da S.E.R. MONS.VINCENZO MANZELLA, Vescovo di Cefalù
ore 13.30
- Pausa pranzo
ore 15.00
- Preghiera comunitaria carismatica PIPPO VIOLA del Comitato Regionale CONSIGLIO DIOCESANO
- Esortazione sul tema del Convegno 1 P. FRA BENIGNO – Momento dedicato ai pastorali diocesani
- Esortazione sul tema del Convegno 2 – FRA BENIGNO
- Roveto Ardente
ore 18.30
- Congedo
Omelia del nostro Vescovo in occasione dell' l'istituzione, il rinnovo e il mandato degli operatori pastorali.
Basilica Cattedrale, 18 ottobre 2014
Mi accompagna il gradito ricordo dell’ultima assemblea diocesana del 26 settembre u.s. a Petralia Sottana.
Eravamo veramente tanti e insieme abbiamo proclamato l’apertura dell’anno pastorale con la consegna delle indicazioni pastorali 2014-2015 dal titolo: “Diremo la tua gloria. La dimensione missionaria della Chiesa alla luce della Evangelii Gaudium.”
Ci incontriamo adesso per l’istituzione, il rinnovo e il mandato degli operatori pastorali.
Siete presenti catechisti ed evangelizzatori, Accoliti e lettori, Ministri della Comunione, operatori liturgici e della caritas. Vi saluto tutti affettuosamente.
Nella vigna del Signore c’è posto per tutti, non esiste la disoccupazione, e solo chi non vuole lavorare non lavora.
Felicemente questa celebrazione coincide con la 88esina Giornata Mondiale Missionaria.
In tal senso vi ho fatto già pervenire un messaggio che facendo eco al messaggio del Papa, caldeggia la celebrazione della giornata sostenuta dalla preghiera e dalla solidarietà generosa.
Domani, 19 ottobre, alle ore 10.30 in Piazza San Pietro, il Santo Padre, Papa Francesco, celebrerà la Santa Messa in occasione della chiusura dell’Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi e presiederà il rito della beatificazione del Servo di Dio Paolo VI.
Il Sinodo dedicato alle “sfide pastorali sulla famiglia nel contesto della evangelizzazione” ci ha fatto respirare un’aria ecclesiale con il comune sentire della Chiesa.
Non si può ridurre il Sinodo alla dialettica sui divorziati risposati: troppo poco sarebbe.
Quel che è emerso in questi giorni è un atteggiamento di rispetto verso tutti e verso tutto.
Pure mettendo in luce l’accoglienza, la misericordia, l’ascolto delle famiglie ferite, disgregate, colpite dalla sofferenza dell’abbandono, non possiamo lasciare in ombra l’impegno di tante famiglie capaci di resistere ai tanti assalti nefasti del momento presente.
Ribadire con forza il ruolo delle coppie che non si arrendono e continuano a dare chiara testimonianza di fedeltà e coraggiosa perseveranza, mi sembra un atto dovuto di onestà che fa onore alla verità.
Soffermarsi e condensare tutto il dibattito sulle due linee di tendenza, cioè pro e contro la riammissione ai sacramenti per i divorziati risposati, significa far torto alla verità.
C’è il Sinodo dei Padri Sinodali e c’è il Sinodo dei mezzi di comunicazioni sociali. Noi preferiamo il Sinodo dei Padri e il loro confronto, ripartendo dalla bellezza del matrimonio e della famiglia.
Ben a proposito coincide la pagina del Vangelo che ci obbliga a far chiarezza dando a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.
La felice coincidenza della beatificazione di Paolo VI ci invita a riscoprire il suo magistero sulla famiglia e sull’amore coniugale espresso con lucidità profetica nella Enciclica Humanae vitae. Fu la Humanae Vitae il gesto più rivoluzionario del ‘68
I lavori del Sinodo non si concluderanno domani con delle decisioni ma con delle proposte.
Sarà il Santo Padre a valutare, a discernere e a dire l’ultima parola che noi sapremo accogliere e accettare con senso ecclesiale e spirito di fede.
Rivolgendomi direttamente a voi carissimi fratelli e figli che mi collaborate nell’azione pastorale della nostra Santa Chiesa di Dio che e in Cefalù, proprio in qualità di operatori pastorali, sento innanzitutto di ringraziarvi per il generoso e prezioso servizio che rendete.
La vostra è una presenza per servire e il servizio risulta sempre più qualificato nella misura in cui ci si e convenientemente preparati a renderlo e nella misura in cui ci si rende conto della nostra appartenenza ecclesiale e, pertanto, nessuno agisce e opera per conto proprio.
Il prossimo 21 novembre ricorderemo i cinquant’anni della costituzione dogmatica sulla Chiesa: Lumen Gentium.
Mi piace ricordare che proprio in forza di questa appartenenza alla Chiesa ci sentiamo particolarmente chiamati a vivere la comunione ecclesiale che riscopre nel proprio Vescovo che manda la voce stessa di Cristo che lui sacramentalmente rappresenta.
Alla fine del numero 20 della Lumen Gentium leggiamo cosi: “Il sacro Concilio insegna che i Vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli apostoli quali pastori della Chiesa, e che chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo”.
Il mandato, dunque, si pone in una visione di fede prima ancora che in una dimensione di semplice organizzazione pastorale.
Essere chiamati e inviati come operatori pastorali ci inserisce in quella innumerevole schiera di operai della vigna del Signore che nella continuità con le prime comunità cristiane perdura ad oggi.
Qualunque sia il settore dove siete chiamati e inviati a operare siete sempre tenuti a dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che e di Dio.
Cioè siamo tutti coinvolti nella costruzione del Regno di Dio che passa anche attraverso le vicende temporali dalle quali non possiamo sottrarci.
La fede, se vissuta intensamente, è fermento della storia.
L’Apostolo Paolo scrivendo ai Tessalonicesi elogia la Comunità e parla della “operosità della fede, della fatica della carità e della fermezza della speranza”.
L’impegno umano, all’interno della Comunità di Tessalonica, è espresso dalle tre virtù teologali che fioriscono tra i credenti: fede, speranza e carità. Una fede operosa, una speranza costante, una carità matura.
Come Paolo per i Tessalonicesi, anch’io voglio rendere sempre grazie a Dio per tutti voi, ben sapendo che siete stati scelti da lui per il Vangelo.
“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi — dice il Signore — perchè portiate frutto e il vostro frutto sia abbondante”.
Con questa certezza nel cuore e con l’auspicio di proseguire con entusiasmo nella via del Signore, ci impegniamo a risplendere come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita.
Domenica XXIX del T.O. – Cesare è il Signore della moneta … Dio è il Signore dell'uomo.
[Il vangelo di questa Domenica XXIX del T.O anno A ] ci presenta i farisei che intendono intrappolare Gesù e gli pongono quindi una domanda tranello: “Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?”.
Il tributo era il “censo”, l’imposta personale e fondiaria: pagarla significava riconoscere la signoria dei romani.
Se Gesù rispondeva che bisognava pagarla, si inimicava il popolo che mal sopportava la signoria dei romani, se rispondeva diversamente, gli erodiani, appositamente invitati, lo avrebbero denunciato all’autorità come sovversivo.
Una domanda per incastrarlo. ….
Al Signore viene detto che Egli non guarda in faccia a nessuno. Ma in certo senso Egli guarda in faccia e a questo ci invita quando appunto domanda di chi sono ”l’immagine” e l’iscrizione della moneta.
Ci possiamo domandare qual è l’immagine che esprime e rivela quello che non deve essere dato a Cesare ma a Dio.
E viene avanti l’ipotesi che questa “immagine” sia l’umanità stessa, ogni uomo e donna della terra, perché nella creazione sono stati fatti “a immagine di Dio” (Genesi 1,27)!
Ascoltiamo che cosa dice il Vangelo: “Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: Ipocriti! Perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo. Essi gli pre-sentarono un denaro. Ed egli domandò loro: Di chi è questa immagine e l’iscrizione? Risposero: di Cesare. Allora disse loro: Rendete dunque ciò che è di Cesare a Cesare, e a Dio quel che è di Dio” (Mt 22, 18-21).
La moneta che viene mostrata a Gesù portava l’immagine dell’imperatore Tiberio e di sua madre. Sulla moneta vi era scritto: “Tiberio Cesare Imperatore, figlio del Divino Augusto” da una parte e dall’altra “Pontefice Massimo”.
La moneta era di Cesare e gli andava restituita. Fin qui tutto chiaro.
Ma Gesù aggiunse: “Date a Dio quello che è di Dio”.
Di Dio è l’uomo.
L’uomo è immagine di Dio. “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”, leggiamo in Gen 1, 26; “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen 1, 27).
Gesù è venuto a rendere a Dio ciò che è di Dio; a restituire all’uomo la sua libertà di figlio.
Nessuno può esercitare una signoria sull’uomo. L’uomo è restituito alla sua libertà, alla sua dignità.
…. Cesare è il Signore della moneta. Dio è il Signore dell’uomo. A Cesare non si può dare-pagare-restituire la creatura umana perché quella assolutamente non è sua!! Diamogli la moneta, ma opponiamoci assolutamente a che egli pretenda di essere il “signore” dell’umanità.