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XXVII Domenica del T.O. – "i vignaioli che compiono l'uccisione sono una categoria teologica permanente non solo storica. Sono i capi ma sono anche tutto il popolo. Sono quelli che stanno davanti al Signore."

vignaioli  Un’analisi del testo fa vedere che le immagini non si possono ridurre a unità, si sommano. Dovremmo fare commenti secondo tanti successivi [elementi].
 In Is 5,1-7 le traduzioni dicono: canterò per il mio diletto il canto del mio diletto per la sua vigna.
Chi canta?
È il profeta che è eco del Diletto, è un puro riecheggiare del canto di Dio in modo tale che quella vigna diventa sua; il popolo si identifica con Dio e lo echeggia e quindi la vigna diventa sua.
Questa rappresenta una chiave generale per la nostra vita: lo Spirito Santo ci porta a riecheggiare il sentimento e il canto di Dio e la sua vigna diventa nostra cioè i suoi interessi per la vigna.
Il regno di Dio diventa talmente oggetto dei nostri pensieri che diventa il nostro regno.
Solo così ha senso la vita.
C’è indicata una chiave generale di interpretazione che fa capire qual è il senso della nostra vita: è vivere in profondità con il pensiero e il sentire di Dio.
Il resto del canto dice tutto l’amore gelosia e cura di Dio.  E questo è ripreso nell’immagine iniziale del Vangelo.
Mt 21,33 sg. I vignaioli riconoscono il Figlio ed è per questo che fanno quello che fanno. C’è quindi intuizione del Figlio e della sua signoria: egli è l’erede.
Nella punta della parabola (che però ha più punte, ora ne vediamo una sola) i vignaioli che compiono l’uccisione sono una categoria teologica permanente non solo storica. Sono i capi ma sono anche tutto il popolo. Sono quelli che stanno davanti al Signore.
Questa categoria teologica si rinnova nel tempo intermedio e quindi ci siamo dentro tutti perché nell’ultimo strato la vigna diventa il Regno di Dio.
Dio colloca nel Regno, ma nessuno può dire con sicurezza il Regno di Dio è collocato in noi, nel senso che non sappiamo se siamo coloro dai quali si aspetta molto frutto e non lo vogliamo dare e allora si apre il discorso della traslazione del Regno.
Quindi da un lato una grande gratitudine per quello che Dio ha fatto e dall’altro un senso più grande del timore santo di fronte alla nostra sterilità e non corrispondenza.
Se noi non sappiamo echeggiare questo cantico non vivremmo la nostra vita, d’altro lato la nostra vita è segnata da un’appropriazione del dono che sterilizza tutto.
Per noi il rischio ha una percentuale più alta che per altri.
Per altri si può dire che commettono errori più grossolani però ci sono dei ricuperi nella loro vita che non dà loro pace; per noi ben circondati dal muro ecc, con tutto ben custodito o costruito, i rischi sono sotto un certo aspetto minori ma più gravi: si può sbagliare tutto quando tutto in apparenza va bene o perfettamente bene.
Ad esempio sulle paginette delle norme a Monteveglio, voi avete attribuito un peso che io non ho dato.
È proprio quando si cerca di rinnovare che i rischi sono maggiori; questo va fatto ma in proporzione di una crescita di lucidità e umiltà per le immense e incolmabili lacune della nostra risposta. È rivolto a far vedere la consapevolezza del nostro peccato non tanto a mettere in risalto un perfezionismo. Le due cose devono procedere insieme altrimenti non hanno significato.
Si precipita di nuovo nel giudaismo e ci si mette  in quella strada sicura sulla quale il Signore ci toglie il Regno.
Certo il mondo ci fa assistere a uno spettacolo che sembra più tragico ma questo non può portarci a restaurare un certo giudaismo in noi.
La parabola di stamani viene ad ammonirci. Ogni tentativo che si faccia per custodire e rafforzare, tutto è animato da una supplica al Signore che ci difenda da ogni tentativo di ripiegamento giudaizzante.
Tutto serve per mettere in luce la nostra miseria e solo così speriamo che in noi nella famiglia e nella Chiesa la presenza del suo Regno santo.
Tutto deve avvenire con un controllo dell’intimo sentimento con cui agiamo e con la consapevolezza che in noi non c’è nulla se non il peccato.
E in questo il Signore ci esaudisce facendoci vedere il nostro male in un modo umile, mite, paziente. Il silenzio e il raccoglimento ha senso se ci sentiamo più peccatori e a confessarlo per la sua gloria: e allora il Regno, [al quale] per puro dono suo ci siamo consacrati, non ci viene tolto (Don Giuseppe Dossetti -Gerusalemme, 1 ottobre 1978)
 
 

Ammissione agli ordini sacri di Gioacchino Notaro.

eccomi Madre miaMons. Vincenzo Manzella Domenica 5 ottobre alle ore 11.00, presso la Basilica di S. Agata, di Montemaggiore Belsito   ammetterà tra i candidati agli ordini sacri  Gioacchino Notaro  della stessa comunità parrocchiale alla presenza della famiglia del Seminario di Cefalù e di Caltanissetta. Di seguito  una sua riflessione.
Tardi ti amai!”
“Mi hai cercato, eccomi o Madre mia”. Con queste parole inizia il mio cammino vocazionale.
Era la sera del 22 agosto del 2008 e ai piedi della Statua della Vergine Immacolata presso la grotta di Marsabielle a Lourdes ho “sentito” dentro di me la voce del Figlio che mi chiedeva di lasciare tutto per seguirLo.
Alzavo gli occhi e guardavo Maria, Sua Madre, e lì ho capito che la mia vita avrebbe preso un’altra direzione, non potevo più cercare scuse o fare finta che niente fosse successo. Dovevo dare una risposta.
Da allora, aiutato dal mio parroco e sorretto dalle preghiere di alcune persone che sapevano della mia decisione, ho iniziato un cammino che mi ha portato a riscoprire i sacramenti dell’Eucarestia e della Riconciliazione.
Quale gioia quando ogni giorno mi accosto alla Santa Comunione: il cibarmi del Corpo di Cristo diventa un’esigenza della quale non posso fare a meno; così come l’inginocchiarmi, quasi settimanalmente, davanti ad un confessore per pentirmi delle colpe commesse e del bene che non sono riuscito a fare.
Sono passati più di sei anni.
Domenica 5 ottobre il mio Vescovo mi ammetterà tra i candidati agli ordini sacri proprio nella mia comunità parrocchiale, alla presenza della famiglia del Seminario di Cefalù e di Caltanissetta.
Mi chiamo Gioacchino, un “giovane” di cinquant’anni innamorato di Gesù. Ho messo da parte il lavoro di assistente giudiziario per intraprendere questa meravigliosa avventura.
“Non tutti sanno quello che si prova a scoprire Dio… Quando ci s’immerge nel Suo amore si prova una gioia immensa, una felicità che le parole non riescono a spiegare… Scoprire Cristo è dare un senso alla propria vita”: queste frasi le scrivevo all’età di diciannove anni.
Già allora sentivo il desiderio di seguire Gesù, ma forse non ero ancora pronto per una svolta “radicale” e poi perché non c’era accanto a me qualcuno che mi indirizzasse nel discernimento. Solo un giovane sacerdote ha visto qualcosa in me e, nella sua pur breve vita, mi ha fatto capire che il donarsi al Signore vuol dire essere messaggero del Suo grande amore. Dopo la sua morte, mi sono distratto pensando ad altro e misi da parte la possibilità di essere suo “operaio”.
Sono passati quasi trenta anni da allora, e se faccio un rewind della mia vita vedo che Gesù mi è stato sempre vicino; mi ha donato il Suo amore incondizionato anche quando pensavo ad altro, e nei momenti più bui e tristi mi ha illuminato con la Sua luce.
Ora in seminario mi sento sereno, tranquillo: ho trovato quella giusta dimensione che andavo cercando da molti anni.
Quando arrivano certi momenti non facili, perché ci sono, m’inginocchio davanti al Tabernacolo e mi affido a Lui: pronto a rispondere con gioia al magnifico disegno che sta preparando per me e per il bene della Chiesa.
Questa Chiesa che ha tanto da dare ai suoi figli, questa Chiesa che amo e per la quale metto la mia vita al Suo servizio. Per essa spero un giorno di spezzare il Pane.
Oggi più che mai il Signore rivolge a noi l’invito più dolce e appagante “Vieni e seguimi”, non si può restare indifferenti a tali parole. E’ l’avventura più bella che ci sia data di vivere. Se Gli diciamo sì, non abbiamo che da seguirLo, per essere operai nella vigna del Signore. Egli ha bisogno di me, di te; ha bisogno del nostro corpo per raggiungere tutti gli uomini della terra, per annunciare a tutti che Cristo è risorto. Questa è la grande gioia che il mondo si aspetta da me e da tutti gli uomini di buona volontà.
Penso che nessun giovane, possa vivere come cristiano da solo, ma deve essere aiutato ad integrarsi in una comunità, nella quale possa condividere la propria fede, confrontare i propri dubbi e difficoltà, sostenere il lungo cammino di maturazione.
I giovani che sono in cerca della Verità devono sentirsi stimolati e motivati a vivere e approfondire la propria fede; allo stesso tempo, ci vogliono comunità aperte, dialoganti, che sappiano rispondere alle loro domande, che sostengano la loro ricerca.
Poiché, se vengono trovate comunità aperte, accoglienti, disponibili al dialogo e al confronto, si può fare una vera esperienza di fede e a impegnarsi in prima persona poiché «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe». (Lc 10,2)
Vorrei concludere con le parole del grande Sant’Agostino per essere d’aiuto a quanti vogliono dare un autentico senso alla propria vita: “Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo….Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità…mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace”.

FESTA DEL CIAO 2014

Festa Ciao 2014 aCari ragazzi … ciao a tutti!
Bentornati dalle vacanze estive dalle quali ci auguriamo abbiate tratto tutta la distensione necessaria per intraprendere un nuovo anno associativo con maggiore slancio.
I ragazzi che sono i destinatari principali del nostro servizio associativo si aspettano tanto da noi: grinta, entusiasmo, capacità di coinvolgimento, ma soprattutto aver testimoniato che “Bella è l’ACR” perché mi permette di vivere insieme agli altri e con essi di incontrare il Signore.
In questi mesi siamo venuti a trovarvi, abbiamo avuto il piacere di condividere con alcuni di voi una parte del nostro “TEMPO ESTATE ECCEZIONALE” e continueremo nell’impegno di raggiungervi tutti per conoscerci meglio, per dialogare con voi, per tessere legami di stima e amicizia reciproca, per metterci a vostra disposizione arricchendo il bagaglio formativo che già condividiamo negli incontri diocesani.
Siamo una squadra e nessuno deve pensare di potercela fare senza l’altro, ma soprattutto nessuno di noi può pensare di farcela senza il Signore, il nostro unico maestro, la sola via da seguire. Ci riusciremo?
Insieme sì, con il Signore sì, da soli no! Altrimenti correremo il rischio di essere animatori bravi, ma sterili, capaci, ma vuoti di contenuti, mestieranti dell’animazione, ma non educatori.
Allora si apre davanti a noi un anno in cui siamo chiamati a sperimentarci, a reinventarci … un anno in cui sarà … TUTTO DA SCOPRIRE!
Come sempre il primo appuntamento che apre il cammino dell’anno, e che vede i nostri ragazzi protagonisti è la FESTA DEL CIAO … “INVENTAMO INSIEME!” … che quest’anno si svolgerà a San Mauro Castelverde il prossimo 26 ottobre, e in sintonia con l’ambientazione del nuovo anno associativo vi invitiamo ad improvvisarvi tutti inventori, portando per quel giorno un vostro esperimento o una vostra invenzione.
Una giuria di “grandi menti” valuterà la migliore (altre indicazioni nelle note tecniche).
Ma non può essere vera festa senza gli invitati privilegiati: i POVERI verso i quali ogni giorno il Vangelo ci ricorda di avere attenzione e mostrare il nostro amore e la nostra carità, pertanto nella Celebrazione Eucaristica di quel giorno esprimeremo un gesto di carità alla missione di fratel Biagio Conte.
Un inizio ricco di tanti segni e tante attività che sicuramente ci daranno occasione di trasmettere ai nostri ragazzi la bellezza di appartenere all’Azione Cattolica e attraverso essa di conoscere il Signore.
Di seguito troverete il programma e le indicazioni per arrivare muniti di tutti gli strumenti necessari per fare festa insieme. Vi aspettiamo numerosi e nell’attesa di incontrarci ci mettiamo a vostra disposizione per qualsiasi necessità o chiarimento. Non mancate!
 
PROGRAMMA
Region Capture
NOTE TECNICHE:
ESPERIMENTO: Ogni gruppo parrocchiale è invitato a preparare un esperimento, (vedi regolamento in Allegato “A”)
SEGNO DI CARITA’: Ogni parrocchia può portare dei doni che verranno devoluti alla Missione Speranza e Carità di Biagio Conte a Palermo. (Vedi allegato “B”)
Il pranzo sarà a sacco. All’arrivo ogni responsabile parrocchiale consegnerà in segreteria l’elenco dei partecipanti (in allegato) e la quota di partecipazione di 1 € cadauno, educatori compresi.
Aspettiamo le vostre adesioni che vi preghiamo di comunicare entro il 19 ottobre alla Segretaria Diocesana Alessandra Forestiere (3273415896 – acr@acicefalu.it – segreteria@acicefalu)
Per ogni ulteriore richiesta/necessità potete contattare l’Assistente ed i Responsabili Diocesani ACR ai seguenti recapiti:
Don Giuseppe Amato 3894304517
Giuseppe Salvaggio 3397644333
Sofia D’Arrigo 3203669587
 

L’EQUIPE DIOCESANA ACR
Piazza Duomo 12, 90015 Cefalù (PA)
email: acr@acicefalu.it
 

 ALLEGATI

 Scheda Partecipazione  
 Allegato A >>> Concorso ” Siamo proprio dei geni … “  
 Allegato B  >>>>Missione Speranza e Carità” di fratel Biagio Conte – Palermo  

 

XXVI Domenica del T. O. – Nessuno che abbia peccato è rinchiuso per sempre nella sua rivolta, ma ha la possibilità di riprendere una relazione…

Gesù parla ai discepoliIl testo del vangelo odierno è molto breve: una parabola di due versetti, e altri due versetti che contengono considerazioni di Gesù sui destinatari delle sue parole.
La parabola è inquadrata da due domande, quella finale (“Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”) e quella introduttiva (“Che ve ne pare?”), presente anche altrove (Mt 18,12). Gesù intende intrigare, coinvolgere quanti lo ascoltano – in questo caso “i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo” (Mt 21,23) –, suscitando la loro risposta.
Sono dunque importanti non solo le sue parole, ma anche le parole dei suoi ascoltatori, quelli di allora e quelli di adesso, noi! Cerchiamo pertanto di ascoltare, di pensare, di indagare e di rispondere in verità.
Un padre, che ha due figli, comanda al primo di andare a lavorare nella vigna. Costui reagisce male, opponendosi a lui con un atteggiamento di disobbedienza: “Non ne ho voglia”. Poi però quel comando ascoltato, custodito nel cuore, lo porta alla consapevolezza di aver mancato verso il padre, e così egli decide di andare nella vigna. Si era opposto a parole ma poi, pentito (metameletheís, paenitentia motus), va a realizzare la volontà del padre e lavora nella vigna, come questi gli aveva chiesto. Lo stesso comando è rivolto al secondo figlio, il quale risponde subito: “Sì, signore”, ma in realtà non va nella vigna, disobbedendo nei fatti. Insomma, c’è una “volontà del padre” (tò thélema toû patrós: cf. anche Mt 7,21; 12,50) che è realizzata da chi dice “no” ed è contraddetta da chi dice “sì”.
Chi sbaglia, chi fa un errore, chi dice “no” a Dio, ha la possibilità di pentirsi, di ritornare a lui. Nessuno che abbia peccato è rinchiuso per sempre nella sua rivolta, ma ha la possibilità di riprendere una relazione, un rapporto venuto meno. Certo, uno sguardo fisso su quell’atto di disobbedienza, su quel “no”, può portarci a un giudizio negativo, di condanna, ma l’uomo va misurato nel tempo, sull’insieme del cammino compiuto, non sull’istante a volte cattivo. Dio, poi, pazienta perché vede e sente in grande, nella sua makrothýmia (cf. Mt 18,26; 2Pt 3,9), e quando ci giudicherà guarderà tutto il cammino percorso, tutta la fatica fatta, non si fermerà sulle nostre cadute…
Quanto al figlio che dice: “Sì, signore”, che appare pronto e obbediente al padre, ma poi non realizza la sua volontà, che dire di lui? Spesso noi siamo, ciascuno di noi è così! Purtroppo la nostra vita cristiana è fatta di tante confessioni di fede, di tante invocazioni: “Signore, Signore!” (Mt 7,21.22; Lc 6,46), di tante liturgie in cui ripetiamo continuamente: “Amen!”, cioè “Sì!” al Signore, e poi, abbandonata l’assemblea liturgica, nel quotidiano non facciamo ciò che Dio ci ha chiesto con la sua parola ma ciò che vogliamo noi…
Davanti a Dio conta non ciò che di noi appare agli altri, ma ciò che noi facciamo e siamo: Dio vede la nostra coerenza o la nostra ipocrisia di credenti che “dicono e non fanno” (Mt 23,3), come Gesù stesso ha ricordato; ovvero, la nostra doppiezza di persone che hanno in bocca il nome del Signore, mentre in verità il Signore determina poco o nulla del loro vivere e comportarsi. È l’atteggiamento di quei cristiani che dicono di amare Dio e si esercitano anche in “affetti spirituali” per lui, avendo sete di lui, cercandolo, dichiarando il loro ardente desiderio della sua presenza (tutte espressioni dei salmi), ma ignorando e contraddicendo la sua volontà. No – ha detto Gesù – “non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21); “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti … Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama … Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,15.21.23), la metterà in pratica. Alla fine non contano i “sì” o i “no” dichiarati, ma la realtà del nostro vissuto!
Ed ecco allora che Gesù fa un’applicazione della parabola per i suoi uditori. Egli dice che i pubblicani, cioè i peccatori manifesti, pubblici, riconosciuti tali da tutti, e le prostitute, donne visibilmente peccatrici, precederanno nel regno di Dio tanti credenti, tanti discepoli. Per quale motivo? Perché, a causa della vergogna per il loro peccato manifesto e del giudizio di condanna che ricevono da parte di molti, sentono il bisogno di cambiare vita, di dire “sì” con la loro vita. Al contrario, molti credenti, con i loro peccati nascosti, non visti, non giudicati, sono onorati da tutti come persone giuste e religiose; per questo non sentono il bisogno di convertirsi, ma anzi custodiscono i loro peccati, li amano e continuano a realizzarli: solo loro ne sono a conoscenza, perché dovrebbero cambiare? E così la loro vita, anche se apparentemente impeccabile, è di fatto un “no” a Dio!
Questo è successo con Giovanni il Battista – dice Gesù –, quando i peccatori pubblici hanno ascoltato la sua predicazione e gli hanno creduto; questo è successo anche con Gesù (non a caso definito dai suoi avversari “amico di pubblicani e di peccatori”: Mt 11,19; Lc 7,34) e la sua buona notizia; questo succede ancora oggi, tra di noi, nella chiesa. Sì, alla buona notizia di Gesù e del suo Vangelo rispondono più facilmente i peccatori pubblici, riconosciuti, che le persone religiose e apparentemente “giuste”, le quali non sono spinte a cambiare nulla della loro vita. ( E. Bianchi )

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