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Leggiamo, una pagina al giorno, il libro “ PREGARE LA PAROLA” di Enzo Bianchi. Per accedervi click sulla voce del menu “ PREGARE LA PAROLA” o sull’icona che scorre di seguito .

tirisan

Campo diocesano per giovani e giovanissimi.

Piedi per 2014 mCarissimi,   l’estate è ormai alle porte!   Il periodo estivo è per eccellenza il tempo del riposo, ma anche il tempo favorevole per incontrarsi e poter godere della bellezza e della ricchezza dell’ “altro”.
 Al termine dell’anno della testimonianza, riconosciamo che ogni incontro è momento privilegiato per la missione, ma anche occasione propizia per accrescere la nostra fede e per sperimentare la bellezza di “credere insieme”.
 Proprio per questo, anche quest’anno abbiamo pensato di riproporre l’esperienza del campo scuola diocesano.
 Chi negli anni ne ha fatto esperienza, sa che il campo è un’occasione di crescita personale e una volta concluso lo porta nel cuore come una memoria preziosa.
 Il campo scuola rappresenta, un’esperienza forte nel cammino di formazione, è un momento prezioso in cui, uscendo dalla routine della quotidianità, si ha possibilità di mettersi in ascolto, di pregare, di condividere, di fraternizzare e creare nuove relazioni umane e cristiane nella gioia che il Signore ci dona nello stare insieme. Inoltre è un’occasione imperdibile da cui poter attingere le energie necessarie per vivere pienamente il prossimo anno associativo.
Per questo crediamo in questa esperienza e desideriamo proporla a tutti i giovanissimi dai 15 ai 18 anni e ai giovani dai 19 ai 30 anni, certi che possa essere il modo migliore per (ri)partire.
Il campo scuola diocesano “PIEDI PER” si terrà nei giorni 1,2,3 AGOSTO, presso la “Domus Agathae” di CATANIA.
Essendo chiamati a condividere con tutti, la gioia che ci viene dalla nostra fede e dalla nostra appartenenza all’Azione Cattolica, vogliamo estendere l’invito non solo ai tesserati ma anche ai simpatizzanti, e a tutti i quei giovani che pensiate possano essere interessati a vivere questa esperienza.
Il costo del campo è di 60 euro , comprensivo del trasporto in pullman, che partirà da Cefaliu -­‐ Tremonzelli.
Per coloro che non sono tesserati si richiede il costo aggiuntivo di 3,50 euro per l’assicurazione.
Per motivi logistici, il pranzo del 1 agosto è al sacco.
Per poter organizzarci al meglio, vi chiediamo di farci pervenire entro il 2 luglio, le vostre adesioni tramite via e.mail o telefonica e 20 euro di anticipo per ogni aderente.
Per maggiori informazioni circa le note tecniche ed organizzative potete contattare i l’assistente e i responsabili diocesani:

Nell’attesa di vivere insieme quest’esperienza e nella speranza di essere numerosi, vi mandiamo un caloroso abbraccio!
L’equipe diocesana giovani
NB: la quota di anticipo di 20 euro potrà essere versata direttamente nel conto corrente diocesano tramite bonifico intestato a Azione Cattolica Italiana Diocesi di Cefaliu, presso
Poste Italiane SPA IBAN: IT68 F076 0104 6000 0001 2692 901
oppure tramite conto corrente postale n. 12692901 intestato a Azione Cattolica Italiana Diocesi di Cefalù, piazza Duomo 12 -­‐ Cefalù.
In entrambi i casi specificare la causale “Campo Diocesano Giovani 2014 parrocchia di _______ ” , dovrà essere inviata una copia del versamento effettuato all’indirizzo giovani@acicefalu.it.
In alternativa la quota potrà essere consegnata a uno dei due responsabili.
 
 

Santa Trinità: l’unità divina non può essere quella solitaria dell’autocrate, ma l’unità della comunione, nella quale la distinzione arricchisce, non indebolisce l’unità.

Trinità BIl “mistero della Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo” sembra all’uomo occidentale una sorta di algebra divina: come l’uno può essere tre e il tre uno?
Tuttavia, dovrebbe interrogarci il fatto che proprio questa dottrina, e non il velo delle donne, ci divide dall’Islam.
Il deismo al quale siamo abituati, un Dio unico, giudice sovrano, legislatore, “grande orologiaio del mondo”, è debole non solo di fronte al monoteismo radicale del Corano, ma anche alle domande angosciose dell’uomo contemporaneo, all’uomo che vive dopo Auschwitz. ….   
Per Gesù, Dio è amore, e l’amore, ci ricorderà S.Agostino, è per natura sua trinitario: in esso c’è l’Amante, l’Amato e l’Amore.
E l’unità divina non può   essere   quella   solitaria   dell’autocrate,   ma giuseppe-dossetti   l’unità della comunione, nella quale la distinzione arricchisce, non indebolisce l’unità. …  
  L’amore è di natura sua inclusivo: Dio vuole dunque che l’uomo partecipi alla Sua vita,  vuole  essere  il  Tu  presente  in  ogni storia umana.   Ma questa “eudokìa”, “buona volontà”divina non può non prendere, nel mondo segnato dal male e dalla morte, la forma della Croce: la croce di Gesù è l’atto supremo della comunione, ….
Senza comunione non c’è gioia: ma la comunione non può essere selettiva.   Se la mia sicurezza, il mio benessere dipendono dall’esclusione dell’altro uomo, non avrò né gioia né sicurezza.    Forse anche oggi la fede nella Trinità può avere conseguenze politiche.  (Don Giuseppe Dossetti )
 
Alberto Maggi1Dio non è un Dio pessimista, un Dio nauseato dall’umanità, ma un Dio innamorato dell’umanità.
Ed è  talmente innamorato, ha talmente amato il mondo, da dare il proprio figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”.  .. Chiunque vive mettendo nella sua vita un amore simile a quello che Dio ha per noi, cioè un amore totale, incondizionato e illimitato, ha già una vita di una qualità tale che si chiama eterna, non tanto per la durata, ma proprio per la qualità, che è indistruttibile: la morte non la potrà neanche scalfire. Dio non ha mandato il figlio per giudicare, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. …. L’idea di un giudizio è estranea al vangelo di Giovanni.
Chi crede non va incontro a nessun giudizio, ma è già nella pienezza della vita. Al contrario, chi non crede è già stato giudicato, “perché non ha creduto nel nome dell’unigenito”.  E’ l’uomo che si giudica da solo, rifiutando questa pienezza di vita, questo amore.  Il rifiuto della pienezza di vita, che è Gesù, comporta la pienezza della morte. Quanti, pur vedendo brillare la luce del Signore se ne ritraggono, rimangono sotto l’ambito della morte. Quanti, invece, vengono attratti da questo cono di luce, entrano nella pienezza di vita. (A. Maggi )
  
balducci
Ogni vero credente è un credente in crisi per il divario obiettivo tra la realtà della Parola di Dio e le forme in cui essa storicamente si è espressa, e con cui l’abbiamo assimilata. Questo divario è il divario oscuro della nube di Dio.
Ma dovremmo amarla – se posso dire così, paradossalmente – questa oscurità.
Essa non è un segno, necessariamente, del venir meno dalla fede: è un segno dell’appello di Dio ad avere una fede più radicale, più misurata sulla sua volontà e quindi più aperta a considerare la sua presenza nella storia al di fuori dei miti, delle leggi e delle consuetudini.
Chi ha questa fede è pronto a riconoscere i segni del tempo e non ha più la paura storica; scende dal Sinai irradiato di potenza, come Mosè; scende dalla contemplazione del mistero di Dio senza più temere nessuno, perché si ripeterà: «Non avrai altro Dio fuori di me”.
Non dipenderà più da nessuno, perché l’unica dipendenza che non ci fa schiavi ma ci costituisce signori del mondo, è la dipendenza dalla Parola che ci è stata data.
Questa Parola la riconosciamo nelle parole di Gesù Cristo.
Senza questa Parola anche le parole di Gesù Cristo sono parole umane, interne alla cultura umana, non hanno niente di speciale se non fosse una certa eminenza per bellezza e per ricchezza morale.
È la Parola che dà ricchezza alle parole. E questa Parola con cui Dio proclama i suo Nome (modo semitico per dire: rivela se stesso, la sua peculiarità), l’ascolta l’uomo di fede.
L’uomo di fede ha ascoltato la parola.
 E non chiedetegli conto di che parola sia, perché egli non la può tradurre adeguatamente nelle parole; potrà anche dire che Dio è Uno in tre Persone; potrà spiegare il concetto di natura e il concetto di persona, ma a mezza strada si stancherà perché sentirà che queste parole l’imbrogliano, sono una cattura dell’intelligenza, rischiano di giocare con l’intelligenza debole per stupirla, ma non dello stupore del mistero, piuttosto dello stupore delle complicazioni intellettuali, che è alienante, avvilente, che rende infantili.
Ma la Parola che ha ascoltato il credente, la porta con sé, forte come la punta di un diamante che non si scalfisce, non si corrompe.
Questo bisogno di ritrovare il mistero del Signore oggi è potentissimo. Forse siamo vicini a un tempo – sono molti i segni che lo fanno pensare – in cui le nostre complicazioni, anche di cristiani progressisti, aperti, saranno bruciate da una richiesta di fede prorompente.
E allora non saranno più le nostre parole, le nostre tattiche a dare la risposta, ma semplicemente e soltanto la presenza in noi della fede nel Dio di Gesù Cristo, nel Dio dello Spirito Santo. Questo è il tempo che stiamo vivendo. Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – vol 1 – Anno A )
 
Bianchi m Ma soffermiamoci sul brano evangelico.
Siamo nel contesto del colloquio notturno tra Gesù e Nicodemo (cf. Gv 3,1-21), un “maestro di Israele” (Gv 3,10) che rappresenta la sapienza giudaica in dialogo con Gesù. È questo un dialogo faticoso per Nicodemo, che ha fede in Gesù ma fatica ad accogliere la novità della rivelazione portata da questo rabbi “venuto da Dio”. Gesù risponde alle domande del suo interlocutore, ma l’ultima risposta, quella più lunga, sembra contenuta all’interno di una meditazione dell’autore del quarto vangelo. Dunque, nei versetti che oggi la chiesa ci offre è Gesù a parlare oppure si tratta di una meditazione dell’evangelista? In ogni caso sono parole di Gesù non certo riportate tali e quali, ma meditate, comprese e ridette nel tessuto di una comunità cristiana che ha cercato di crederle e di viverle. Così si apre il brano: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui … abbia la vita eterna”.
Subito prima sta scritto: “Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14-15). Queste due affermazioni sono parallele e si spiegano a vicenda. Affinché ogni uomo possa credere, aderire al Figlio dell’uomo e mettere la propria fiducia in lui, occorre che conosca l’amore di Dio per ogni uomo, per tutta l’umanità, per questo mondo. Tale amore di Dio si è manifestato in un atto preciso, databile, localizzabile nella storia e sulla terra: il 7 aprile dell’anno 30 della nostra era un uomo, Gesù di Nazaret, nato da Maria ma Figlio di Dio, è stato innalzato sulla croce, dove è morto “avendo amato fino alla fine” (cf. Gv 13,1), e in quell’evento tutti hanno potuto vedere che Dio ha talmente amato il mondo da consegnargli il suo unico Figlio, da lui “inviato nel mondo”.
Ecco il dono dei doni di Dio: dono gratuito, dono di se stesso, dono irrevocabile e senza pentimento. Dono fatto solo per un amore folle di Dio, il quale ha voluto diventare uomo, carne fragile e mortale (cf. Gv 1,14), per essere in mezzo a noi, con noi, e così condividere la nostra vita, la nostra lotta, la nostra sete di vita eterna. Ecco ciò che è accaduto con la venuta nella carne del Figlio di Dio e con la discesa dello Spirito che sempre è il compagno inseparabile del Figlio; ecco il mistero dell’amore di Dio vissuto in comunione, comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito santo.
Quel mondo (kósmos) che a volte nel quarto vangelo è letto sotto il segno del male, del dominio di Satana, “il principe di questo mondo” (Gv 12,31; 16,11; cf. 14,30), qui è letto come umanità, come universo che Dio vide “cosa buona” (Gen 1,4.10.12.18.21.25) e “molto buona” (Gen 1,31), che egli ha amato fino alla follia, fino al dono di se stesso, dono che gli ha richiesto spogliazione, povertà, umiliazione. Questo dono folle di Dio al mondo non ha come scopo il giudizio del mondo ma la sua salvezza: Dio vuole che l’umanità conosca la vita per sempre, la vita piena, che soltanto lui può darle.
Ma di fronte al dono resta la libertà umana. Il dono è fatto senza condizioni, dunque può essere accolto o rifiutato. Chi lo accoglie sfugge al giudizio e vive la vita per sempre, ma chi non lo accoglie si giudica da se stesso. Certamente troviamo qui espressioni di Gesù molto dure, radicali, ma esse vanno decodificate e spiegate. Se Gesù dice che “chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”, non lo dice manifestando una condanna per le moltitudini di uomini e donne che non hanno potuto incontrarlo nella storia, perché appartenenti ad altri tempi o ad altre culture.
Costoro, se avranno vissuto la loro esistenza in conformità all’esistenza umana di Gesù, contraddistinta dall’amore dei fratelli e delle sorelle, è come se avessero vissuto, pur con tutti i limiti umani, la vita di Gesù; e così, senza conoscerlo, senza professare il suo Nome nella fede cristiana, conosceranno la vita eterna in lui e con lui. Ma chi ha avuto una vita gravemente difforme dalla vita umana di Gesù, e anzi in contraddizione con essa, non conoscendo l’amore, costui è già giudicato e condannato: non c’è per lui vita eterna. E. Bianchi )
 

Pentecoste. – II primo uomo si riduce in cenere, in polvere, ritorna alla terra: la prima creazione deve essere incene­rita dal fuoco; il secondo uomo, l'uomo nuovo, alitato dallo Spirito di Dio, è definitivo, costituito signore esso stesso.

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Dal cielo un fragore … un vento che si abbatte impetuoso … lingue di fuoco (At 2,2-3).
Non è sempre facile questo linguaggio per noi uomini e donne che abitiamo questo nostro tempo e questo nostro mondo, da noi letti in modo molto diverso rispetto all’epoca in cui è stato scritto il Nuovo Testamento. La descrizione di questi eventi straordinari e miracolosi rischia di urtarci e di non essere più eloquente ai nostri orecchi. Occorre dunque sforzarsi di decodificare il linguaggio delle Scritture, per riuscire ad accogliere il messaggio contenuto nel racconto della Pentecoste.
Che cosa è accaduto?
Mentre i discepoli di Gesù erano riuniti tutti insieme nello stesso luogo, hanno fatto esperienza di quella forza che li ha abilitati a proclamare la buona notizia, il Vangelo, in molte lingue e culture: il Vangelo in cui avevano creduto ascoltando le parole e i gesti di Gesù poteva riguardare non solo loro, figli di Abramo, figli di Israele, provenienti dalla Galilea, ma tutte le genti della terra (cf. At 2,4-11). Bianchi m
Sì, in quel giorno di Pentecoste molti uomini e donne hanno compreso e sperimentato la forza e la luce del Vangelo di Gesù, il Messia crocifisso e risorto. Gli eventi della passione, morte e resurrezione di Gesù avvenuti in quella Pasqua del 30 d.C. trovano a Pentecoste una pienezza di forza.
Questa, del resto, era la promessa e il dono del Risorto, perché Gesù era stato annunciato da Giovanni il Battista come colui che doveva venire a rinnovare l’alleanza attraverso un’immersione nello Spirito santo (cf. Mc 1,8 e par.). E poi Gesù stesso aveva promesso ai discepoli il dono dello Spirito, del Soffio santo di Dio, in modo da non lasciare orfani quelli che l’avevano seguito (cf. Gv 14,18), e aveva profetizzato che lo Spirito sarebbe stato dato ai credenti come un fiume di acqua viva (cf. Gv 7,37-39). Ecco cosa si è compiuto a Pentecoste, quella che per gli ebrei era ed è la festa del dono della Torah, data a Israele in mezzo a tuoni, fuoco e tremore della terra (cf. Es 19,16-18).
Il brano odierno del quarto vangelo racconta il medesimo evento in altro modo, ma il significato è lo stesso. I discepoli sono riuniti tutti insieme nello stesso luogo e stanno “chiusi in casa”, per paura di coloro che avevano condannato e suppliziato Gesù alla vigilia della Pasqua. Da quella crocifissione sono passati tre giorni, tutto sembra finito. Ma ecco che “Gesù venne, stette in mezzo a loro e disse: ‘Shalom, pace a voi!’”. In quella situazione di paura, di chiusura, di sofferenza, Gesù “viene” come aveva promesso: “Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete” (Gv 16,16); “Io verrò di nuovo … verrò a voi” (Gv 14,3.18). Il Veniente si fa vedere come il Vivente risorto da morte, e per lui nulla è di ostacolo. La sua presenza è quella del corpo di Gesù di Nazaret, ma ormai corpo trasfigurato, non più votato alla morte e alla fragilità, corpo glorioso, cioè ripieno della gloria di Dio. Ma è il corpo di Gesù nato da Maria, vissuto nella terra di Israele, morto a Gerusalemme, è il corpo dal quale la passione e la sofferenza non possono essere cancellate: le mani, i piedi e il costato trafitti dalla crocifissione testimoniano la sua identità (cf. Gv 20,25.27).
“E i discepoli gioirono al vedere il Signore”, il Kýrios della chiesa in mezzo a loro vivente per sempre. Allora Gesù soffia su quel gruppo di uomini per ricrearli, per infondere in loro la vita nuova, una vita animata dal Soffio di Dio. Come Dio aveva soffiato sul volto di Adamo, il terrestre, per infondergli vita (cf. Gen 2,7), così Gesù soffia lo Spirito creatore su quei discepoli, che non solo diventano la sua chiesa ma il suo corpo stesso vivente grazie alla potenza dello Spirito santo. Comprendiamo allora come le parole di Gesù: “Prendete, mangiate, bevetene tutti” (cf. Mc 14,22-24 e par.; 1Cor 11,23-25), parole che chiedono di riceverlo, sono spiegate compiutamente da questo comando: “Ricevete lo Spirito santo”. Il dono di Gesù è lo stesso: ricevendo lo Spirito diventiamo il suo corpo, mangiando il suo corpo e bevendo il suo sangue riceviamo lo Spirito santo!
Lo Spirito santo è vita in pienezza, dunque è remissione dei peccati, cioè liberazione da tutto ciò che contraddice e ferisce, a volte mortalmente, la vera vita. Questo Spirito che i discepoli ricevono e che li assolve dai peccati, li rende a loro volta capaci di rimettere i peccati. Ecco cosa c’è alla radice della loro missione: perdonare e annunciare il perdono. Può sembrare poco, ma in verità è decisivo. In ogni caso, è l’unica esperienza di Dio e del suo amore che noi possiamo fare prima della morte, prima di vedere Dio faccia a faccia. Proprio come la chiesa ci fa cantare ogni mattina nel Benedictus: “Il Signore ci ha dato la conoscenza della salvezza nella remissione dei nostri peccati” (cf. Lc 1,77).   [E. Bianchi]

***

giuseppe-dossetti
Mentre gli Atti degli Apostoli parlano dell’effusione dello Spirito Santo come di un evento accaduto cinquanta giorni dopo la Pasqua, Giovanni dice che il Signore ha effuso lo Spirito sugli apostoli riuniti nel cenacolo la sera stessa di Pasqua, in occasione della manifestazione collegiale,
….La Pentecoste non è av­venuta solo in quell’istante supremo che Luca descrive come il cul­mine di tutti gli eventi della storia della salvezza, ma permane in una continuità stabile e ordinaria perchè ormai si identifica con tutto il tempo della Chiesa e, attraversandolo tutto, già s’inserisce nell’eter­nità.
Questa è la prospettiva di Giovanni. Come è espressa questa stabilità? E’ espressa con un atto che sem­brerebbe essere il massimo dell’inconsistenza: Gesù alita.
Che cosa c’è di più  inconsistente dell’alito?
Eppure questo soffio ha il massimo d’intensità, di solidità, perche non è il soffio dell’uomo ma è il soffio di Dio, è l’equivalente del soffio di cui si parla nel cap. 2 della Genesi: ” E il Signore Iddio formò l’uomo dalla polvere della terra e alitò nel­le sue narici un soffio vitale e l’uomo divenne anima vivente “ (v. 7). …  Il soffio di Gesù è in parallelo con il “ sof­fio vitale “ della creazione, ma ha un potere enormemente più grande e trasformante del soffio di Dio che ha alitato l’esistenza nel primo Adamo.    
Il primo soffio aveva dato origine al mondo e al primo uomo  iI soffio di Gesù, in quanto è II Signore risorto nella pienezza della sua divina signoria, costituisce sulle sue basi ormai incrollabili la nuova creazione.   
Secondo la prospettiva di Giovanni, è precisamente questo soffio che fa del dono dello Spirito, nel giorno stesso di Pasqua, qualcosa che crea una stabilità definitiva.  … 
II primo uomo si riduce in cenere, in polvere, ritorna alla terra: la prima creazione deve essere incene­rita dal fuoco; il secondo uomo, l’uomo nuovo, alitato dallo Spirito di Dio, è definitivo, costituito signore esso stesso, e il nuovo mondo è ormai costituito  su basi solide che non subiranno pia nessun crol­lo.     
Oltre al rapporto tra la prima e la seconda creazione, c’e anche un rapporto tra la prima creazione e il peccato e tra la  seconda crea­zione e la riconciliazione.
Il rapporto tra la prima creazione e il peccato è richiamato dello stesso Giovanni: “E dopo aver così parlato, alitò su di essi, dicendo loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno loro rimessi…” (Gv 20,22-23). 
…. Il peccato degli uomini potrà reinserirsi nella vi­cenda umana solo nella misura in cui ci si stacca da lui; ma quando si rimane in lui, lo Spirito che egli stesso ha effuso è tale che non si può peccare.  … Ancora dalla Prima lettera di Giovanni:   “ Da questo dovete conoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che confessa Gesù Cristo venuto in carne, è da Dio “ (1 Gv 4,2).  
Ecco il discernimento dello Spirito!   
  Lo Spirito è dato ed è ricevu­to, e produce quest’effetto: confessando che Gesù è il Figlio, si par­tecipa del suo Spirito; e se questa confessione non è solo verbale ma di tutto I’essere, non solo il peccato è rimesso, ma non si può pecca­re.     
II nostro peccato infatti non è altro che la conseguenza di una in­termittenza di contatto con Gesù nella fede; ma quando c’e la con­fessione integrale che Gesù è il Figlio, l’uomo è impeccabile, perché partecipa dello Spirito che è stato alitato su di lui. ( G. Dossetti )
 

Ascensione: ritorno di Gesù al Padre. Con lui la sua umanità, la sua realtà globale, totale, tutto il suo essere, venuto dal Padre, ritorna al Padre.

ascensione
…. L’ascensione del Signore è veramente un mistero chiave per la comprensione dell’oggetto della nostra fede. …  se vera­mente non si e arrivati a stabilire un rapporto vitale con il mistero dell’ascensione del Signore, è difficile che il nostro rapporto globale con il mistero di Cristo sia nella luce.   ….
Il Signore nel discorso dell’ultima cena con molta insistenza dice che l’atto di fede fondamentale è di credere che Egli è uscito dal Padre.
 Ora noi sappiamo bene che venuti dal Padre siamo anche tutti, tutti noi siamo venuti dal Padre.
 Ê stata la volontà del Padre che ci ha fatto essere e che ci fa vivere in questa vita, quindi c’è un senso in cui tutti noi siamo venuti dal Padre.
 Ma allora che cosa vuol dire il Signore quando dice che l’atto di fede fondamentale -e ci gira intorno incessantemente in tutti i capitoli dal 13 in avanti di Giovanni -è il credere che Egli è venuto dal Padre?
 Vuol dire che Egli è venuto dal Padre in un modo tutto personale, assolutamente diverso da quello in cui ogni altra creatura, noi compresi, è venuto dal Padre.
Cioè che egli è venuto dal Padre nel senso che è della stessa sostanza del Padre.
Che veramente Lui e il Padre sono ed erano una cosa sola, ed erano una cosa sola prima che il mondo fosse, prima quindi che tutte le creature venissero dal Padre.
Questo è il nostro atto di fede fondamentale: credere che Gesù è venuto dal Padre in questo senso.
 Allora l’Ascensione che cos’è nella sua immediatezza più diretta in rapporto alla base della rivelazione?
 L’Ascensione è il ritorno di Gesù al Padre in questo senso tutto particolare e fortissimo. Per cui Lui, la sua umanità, la sua realtà globale, totale, tutto il suo essere, venuto dal Padre, ritorna al Padre.
 Come è venuto dal Padre senza mai uscire dal Padre, senza mai separarsi da Lui in quanto alla sostanza, così ora ritorna al Padre nel senso che si realizza pienamente in Lui anche in un modo storico, per la sua umanità, questo reingresso nel seno del Padre, da cui è uscito e in cui è, a un tempo, da tutta l’eternità.
 Dunque il mistero dell’Ascensione è il ritorno di Gesù al Padre, di cui noi possiamo misurare la portata nella stessa misura in cui noi crediamo che Gesù è uscito dal Padre.
 Quanto più per noi si precisa, si approfondisce, diventa non solo pensiero, ma vita, l’esperienza di questa unicità della venuta di Gesù dal Padre, in questo modo assolutamente unito e personalissimo in cui Lui è venuto dal Padre, tanto più noi possiamo capire l’Ascensione, capire cosa vuol dire l’Ascensione come ritorno di Gesù al Padre.
 Questo è l’atto di fede fondamentale.
 Gesù è venuto dal Padre, Gesù ritorna al Padre in questo senso assolutamente unico e personalissimo.
 Ora questo che è l’atto di fede fondamentale, nel suo proprio nucleo, quello che poi conta che noi crediamo conta che soprattutto noi viviamo sperimentiamo nella nostra vita di fede, si complica nello stesso linguaggio della Scrittura con un’altra coppia di concetti che in un certo modo è simmetrica a questa: venuto, ritornato; cielo e terra
 
Ed ecco perché è molto importante renderci conto di che cosa vuol dire questa “Ascensione” di Gesù al “cielo”, di questa attesa da parte dei discepoli e dei cristiani di Gesù dal cielo …
 Quindi a che cosa noi siamo chiamati?
 Ce lo dice Paolo in quel brano al quale dobbiamo sempre tornare, l’inizio del cap. 1,17 fino al 20: Affinché Iddio di nostro Signore Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia lo Spirito di sapienza e di rivelazione per meglio conoscerlo, e illumini gli occhi del vostro cuore, sicché comprendiate qual è la speranza della sua chiamata, quali tesori di gloria la sua eredità riserva a voi tra i santi e qual è, verso di noi che crediamo, la smisurata grandezza della sua potenza, secondo l‘operazione dell‘efficacia della sua forza, che egli dimostrò nel Cristo, risuscitandolo dai morti e facendolo sedere alla sua destra nelle regioni celesti.
 Comprendere la Risurrezione di Gesù, la sua Glorificazione e la sua Ascensione, vuol dire penetrare il mistero più intimo dell’essere di Dio, sentire tutti gli esseri esistenti il Lui, acquisirne progressivamente, per il Cristo che è entrato in Dio, l’esperienza di tutti gli esseri in Dio.
La nostra esperienza prima di tutto, di noi stessi in Dio per il Cristo, e poi l’esperienza di tutti gli altri esseri, per il Cristo, in Dio. Di modo che non si può dare più nessun’altra unità con gli altri esseri, se non un’unità che sia adeguata da questa esperienza del nostro rapporto col Cristo in Dio.
Ecco perché tutti gli altri nostri rapporti divengono assorbiti e condizionati da quest’esperienza del Cristo in Dio. Noi non possiamo più avere rapporti di unità con un’altra creatura, se non mediatamente al Cristo stesso. Anzi al Cristo in Dio. Ed ecco allora non possiamo avere più esperienza della nostra personalità e del suo dilatarsi, se non nell’esperienza di Cristo in Dio.
Ed ecco perché allora di qui vengono ricavati i principi regolatori della nostra possibilità di dilatare il nostro essere (il problema dell’ebbrezza) e di entrare in comunione con un’altra creatura, se non nel mistero stesso fondante in Cristo e con la mediazione sua diretta e personale (il mistero del sesso).
Tutta l’Ascensione, tutti gli aspetti dell’esistenza cristiana, sono in questo; ed è attraverso la comprensione sempre più fonda di questa coppia di concetti: uscito da Dio -ritornato a Dio; terra e cielo (ma cielo è come Dio, non al di fuori e al di sopra, ma dentro di noi, negli spessori più intimi e più profondi del nostro stesso essere) che noi riconfermiamo tutta l’unità del mistero cristiano e della nostra esistenza, del mistero di Cristo e della nostra esistenza in Lui.
Diventa veramente il mistero chiave, non solo della realtà, ma il mistero chiave anche della comprensione della realtà e quindi dell’illuminarsi della nostra fede. Ê soltanto un abbozzo questo che abbiamo tracciato stamani, ma adesso dobbiamo chiedere al Signore che cancelli le parole e le faccia completamente tacere e che cancelli anche la loro eco nella mente e nei cuori, e invece parli soltanto Lui con la potentissima attrattiva del suo essere che è in noi e del suo essere in noi in Lui»   (Tratto da: “G. Dossetti, omelia registrata, 11.5.1972”).

I concili nei secoli
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I° CONCILIO DI NICEA



I° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



I° CONCILIO DI EFESO



I° CONCILIO DI CALCEDONIA



II° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



III° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



II° CONCILIO DI NICEA



IV° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



LETTERA A DIOGNETO


I° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



IV° CONCILIO LATERANENSE



I° CONCILIO DI LIONE



II° CONCILIO DI LIONE



CONCILIO DI VIENNA



CONCILIO DI COSTANZA



CONCILIO DI BASILEA



V CONCILIO LATERANENSE


CONCILIO DI TRENTO



CONCILIO VATICANO I°

Incontri sulla Dei Verbum
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Introduzione alla lectio divina
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