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tirisan

Sabato santo – Quando Dio sembra assente.

assenteSabato santo, giorno dopo la morte, tempo in cui davanti ai discepoli c’era solo la fine della speranza, un’aporia, un vuoto su cui incombeva il non senso, l’insopportabile dolore di una ferita mortale: dov’è Dio?
Questa la muta domanda del sabato santo. Un giorno intero passa e non c’è intervento di Dio…
Eppure Dio non ha abbandonato Gesù: se l’abbandono appare l’amara verità per i discepoli, Dio in realtà ha già chiamato a sé Gesù, anzi, lo ha già risuscitato nel suo Spirito santo e Gesù vivente è agli inferi ad annunciare anche là la liberazione.
Giorno vuoto il sabato santo, silenzioso per i discepoli e per gli uomini, ma giorno in cui il Padre attraverso il Figlio porta negli inferi la salvezza: “Oggi – recita un’omelia attribuita a Epifanio – sulla terra c’è un silenzio grande: Il Signore è morto nella carne ed è disceso a scuotere il regno degli inferi. Va a cercare Adamo, il primo padre, come la pecorella smarrita. Il Signore scende e visita quelli che giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte”.
La discesa agli inferi diventa allora estensione della salvezza a tutto il cosmo e all’essere umano nella sua interezza. Che ne è degli inferi dopo questa “visita” del Cristo glorioso? Cirillo di Alessandria afferma che questa predicazione di Cristo agli inferi ha significato la spoliazione dell’inferno: “Subito Cristo, spogliando l’intero inferno e spalancandone le impenetrabili porte agli spiriti dei morti, vi lasciò il diavolo solo!”. “Dov’è, o inferno, la tua vittoria?”, canta dunque la liturgia pasquale.
Il cristiano oggi non dovrebbe dimenticare questo mistero del grande e santo sabato, vero preludio alla Pasqua ma anche lettura della discesa di Cristo nel cuore della terra e della creazione, nel profondo di ogni esistenza lontana da Dio, nelle regioni infernali che abitano anche ogni cristiano, nonostante il suo desiderio di sequela di Gesù.
Chi non riconosce in sé la presenza di questi inferi? Regioni non evangelizzate della nostra esistenza, territori di incredulità, luoghi dove Dio pare assente e nei quali ognuno di noi nulla può se non invocare la discesa di Cristo perché li evangelizzi, li illumini, li trasformi da spazi di morte assoggettati alla potenza del demonio in terreno fertile capace di germinare vita in forza della grazia. Così il sabato santo non è un giorno vuoto ma è come il tempo della gravidanza, è una crescita del tempo verso il parto, trionfo della vita nuova: il suo silenzio non è mutismo ma raccoglimento carico di energie e di vita.
Il sabato santo è stata ed è l’esperienza di molti credenti in Gesù e di tanti uomini e donne la cui fede solo Dio conosce e giudica. Sabato santo: Dio sembra assente, il male prevalere, il dolore senza senso… Chi ha saputo narrarlo nei nostri giorni post-moderni è stato il grande pittore William Congdon con i suoi spazi di oscurità dai quali emerge la luce della croce e l’oro del Crocifisso/Risorto. Sabato santo: tempo di enigma e di opacità che non riesce a intravedere lo sbocco nel mistero pasquale; tempo di tenebre anche per il credente, ora di buio in cui la fede vacilla, la speranza si fa incerta, la carità si raffredda; giorno di insensibilità, in cui ogni fiducia sembra inaccessibile, ogni abisso troppo grande per essere colmato…
Sabato santo: a volte grido muto ma disperato per l’uomo gravato dal male, dalla sofferenza, dalla morte nelle loro varie forme, per l’essere umano fragile, che non riesce nemmeno più a protestare e ribellarsi a voce alta e con grida angosciate. Ma sabato santo anche come tempo in cui il sangue dei martiri e delle vittime cade come seme a terra per fecondarla in vista di un frutto abbondante, tempo in cui il disfacimento del nostro essere esteriore fa spazio alla crescita del nostro uomo interiore… Ognuno allora potrà dire del suo sabato santo: “Dio veramente era qui accanto a me, ma io non lo sapevo!” (Gen 28,16). Davvero non c’è aurora di Pasqua senza sabato santo.
(Avvenire, 19 aprile 2014 ENZO BIANCHI)

Pasqua di Risurrezione – Cercate di capire la vostra fede nella Risurrezione. Cristo è risorto, veramente risorto.

ResurrezioneSe Maria di Màgdala si fosse recata al sepolcro un giorno prima, avremmo celebrato la Pasqua un giorno prima.
Scrive Giovanni nel capitolo 20 “Il primo giorno della settimana”, letteralmente “nel primo dopo il sabato”, “Maria di Màgdala si recò al sepolcro”.
Perché Maria di Màgdala non si è recata al sepolcro subito dopo la sepoltura di Gesù, ma ha atteso il primo giorno dopo il sabato?
 Perché è ancora condizionata dall’osservanza della legge del riposo del sabato.
E quindi l’osservanza della legge ha impedito di sperimentare subito la potenza della vita che c’era in Gesù, una vita capace di superare la morte.
 L’evangelista, attraverso questa indicazione, vuole segnalare ai suoi lettori che l’osservanza della legge ritarda l’esperienza della nuova creazione che viene inaugurata da Gesù.
L’espressione “il primo della settimana” richiama infatti al primo giorno della creazione. In Gesù c’è una nuova creazione, quella veramente creata da Dio non conosce la morte, non conosce la fine. Ma la comunità, rappresentata da Maria di Màgdala, è ancora condizionata dall’osservanza della legge. Per questo ritarda l’esperienza della risurrezione.
“Si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio”.
Le tenebre sono immagine dell’incomprensione della comunità che ancora non ha compreso Gesù, che si è definito “luce del mondo”, il suo messaggio, la sua verità. “E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro”.
Ebbene la prima reazione di Maria di Màgdala è correre da Simon Pietro e “dall’altro discepolo”.
Gesù aveva detto: «Viene l’ora in cui vi disperderete, ciascuno per conto suo»”.
Ebbene, l’evangelista attribuisce a questa donna, Maria di Màgdala, il ruolo del pastore che raduna le pecore che si erano disperse. “E annunciò loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!»
Non parla di un corpo, ma parla del Signore. E quindi già c’è l’allusione che è vivo questo Gesù.
Ebbene, Pietro e l’altro discepolo cosa fanno?
Si recano al sepolcro, l’unico posto dove non dovevano andare.
Nel vangelo di Luca sarà espresso molto chiaramente dagli uomini che frenano le donne che vanno al sepolcro, «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?»
Ebbene Pietro e l’altro discepolo vanno in cerca del Signore nell’unico posto dove lui non c’è, cioè nel luogo della morte.
Come Maria, per l’osservanza del sabato ha ritardato l’esperienza di una vita più forte della morte, perché Gesù non può essere trattenuto nel sepolcro, luogo di morte.
Lui è vivente.
Così i discepoli vanno al sepolcro, l’unico posto dove non si può trovare Gesù.
 Se si piange la persona come morta, cioè se ci si rivolge al sepolcro, non la si può sperimentare viva e vivificante nella propria esistenza.
 
Corrono tutti e due i discepoli, giunge per primo il discepolo amato, quello che ha l’esperienza dell’amore di Gesù.
Pietro, che ha rifiutato di farsi lavare i piedi e quindi non ha voluto accettare l’amore di Gesù espresso nel servizio, arriva più tardi. Ma l’altro discepolo si ferma e permette che sia Pietro il primo ad entrare.
Perché?
 E’ importante che il discepolo che ha tradito Gesù e per il quale la morte è la fine di tutto – e questo era il motivo del tradimento – faccia per primo l’esperienza della vita.
E poi entra anche l’altro discepolo, “vide e credette”.
Ma il monito dell’evangelista molto importante è che “non avevano ancora compreso le scritture che cioè egli doveva risorgere dai morti”. La preoccupazione di Giovanni è che si possa credere alla risurrezione di Gesù solo vedendo i segni della sua vittoria sulla morte. No!
La risurrezione di Gesù non è un privilegio concesso a qualche personaggio duemila anni fa, ma una possibilità per tutti i credenti.
Come?
Lo dice l’evangelista. “Non avevano ancora compreso le scritture che cioè egli doveva risorgere dai morti”.
L’accoglienza della scrittura, la parola del Signore, nel discepolo, la radicalizzazione di questo messaggio nella sua vita, e la sua trasformazione, permettono al discepolo di avere una vita di una qualità tale che gli fa sperimentare il risorto nella sua esistenza.
Non si crede che Gesù è risorto perché c’è un sepolcro vuoto, ma soltanto se lo si incontra vivo e vivificante nella propria vita.  ( A. Maggi )

***

« Di fronte a questo brano che la Chiesa ha fermato al v. 9 mi sono detto: strana questa comunità (?) del Cristo che in questi giorni ci fa leggere vangeli monchi nei quali la persona non appare. Ci può essere una questione liturgica (continuano poi); invece il motivo è detto: la Chiesa ci vuole subito dire: «Cercate di capire la vostra fede nella Risurrezione. Cristo è risorto, veramente risorto», ma non ce lo fa vedere e ci chiede di aderire con la nostra fede a questo. Ricordiamo quello che Gesù dice a Tommaso: «Beati quelli che crederanno senza aver visto» (20,29).
E vide e credette, cioè interpreta nello Spirito Santo non solo il messaggio ma anche una sequenza di cose -Sepolcro vuoto, bende -e il sudario in un altro luogo.
Scatta la scintilla del rapporto con il nostro proprio.
La fede nasce, scaturisce, si dilata, si trasmette (Cantico di Mosè: il Dio di mio padre) è trasmissibile di generazione in generazione per via delle nostre potenze invisibili; la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio.
Sono atti più semplici, … e forti di infima semplicità, come rileggere spesso il brano d‘oggi; farà crescere la nostra fede più di ogni altra cosa!
Questa è stata la mia esperienza e dei fratelli di questi anni ogni volta che andiamo al sepolcro li rileggiamo, cosa possiamo dire di nuovo?
Eppure creano.
Ê la scelta d‘oggi; è la responsabilità di noi presbiteri che dobbiamo fare per primi questo salto.
E poi cominciare a sperimentare la fecondità e la consolazione attraverso la via segreta della vita nascosta, che è Cristo.
«Io ho provato» dobbiamo poter dire, se no la nostra bocca deve chiudersi; qualsiasi altra parola che diciamo è dal maligno, dobbiamo tacere se non possiamo dire, senza privilegio ma per il battesimo che ogni cristiano ha ricevuto, «Un pochino ho esperimentato e forse posso dirti qualche mezzo che puoi usare anche tu».
Non avevano ancora capito, è detto del primo degli apostoli e del più amato.
Poi per illuminazione dello Spirito vedono e non possono fare altro che chiedere al Signore grazia.
E questo dobbiamo poterlo fare sempre farlo per esperienza: c‘è una cosa che rovescia la posizione, dissipa le tenebre.
Vi è la richiesta umile a Dio che non sappiamo se esiste, a Gesù che non sappiamo che è morto ed è risorto, perché se esiste, se è nato morto e risorto mandi lo Spirito in virtù del quale possiamo dire: Gesù è il Risorto a gloria del Padre» (d. G. Dossetti, appunti dell‘omelia di Pasqua, 14 aprile 1974).

Dalla fecondazione ai primi anni di vita: biologia, epigenetica, eugenetica,etica. – Incontro Medici Cattolici a Polizzi Generosa.

Associazione medici cattolici copiaL’Associazione dei Medici Cattolici della nostra Diocesi di Cefalù ha tenuto un incontro di formazione culturale venerdì 4 aprile u.s. a Polizzi Generosa presso la sala parrocchiale della Chiesa Madre, sulla tematica: “Dalla fecondazione ai primi anni di vita: biologia, epigenetica, eugenetica,etica.
     Sono intervenuti il Dott. Antonio Sorrentino, già primario di ginecologia dell’Ospedale di Petralia Sottana, il Dott. Salvino Leone, ginecologo all’Ospedale Buccheri La Ferla di Palermo e Docente di bioetica alla Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia, il Dott. Vincenzo Antona, docente all’Università di Palermo.
Ha introdotto i lavori il Dott. Giuseppe Intrivici, Presidente dell’Associazione.
Ha svolto il compito di moderatore l’Avv. Stefano Farinella.
Il Vescovo S.E. Mons. Vincenzo Manzella, che ha presenziato all’incontro, ha rivolto alla fine parole di compiacimento per la trattazione di argomenti di un certo spessore, sottolineando il valore inestimabile della vita, con gli aspetti etici radicati nella parola di Dio e nell’insegnamento della Chiesa.
All’incontro erano presenti medici dell’Associazione e anche coppie di fidanzati e di giovani sposi della comunità di Polizzi, sensibilizzati dal parroco Don Giovanni Silvestri, che ha curato gentilmente l’ospitalità.

Domenica delle palme.

PalmemNella liturgia della domenica delle Palme due sono i vangeli che l’assemblea cristiana ascolta: il racconto dell’entrata di Gesù in Gerusalemme (quest’anno Mt 21,1-11) e, nella messa, il racconto della passione del Signore, dal tradimento di Giuda fino alla sepoltura del crocifisso.
L’omelia normalmente è ispirata a questo secondo testo, anche se, per la sua lunghezza, non può essere commentato per intero nella celebrazione. Vorrei dunque semplicemente mettere in evidenza nel racconto della passione secondo Matteo – quello proclamato nell’annata A – alcuni tratti che si differenziano rispetto ai racconti di Marco, che pure ne è la fonte primaria, e di Luca.
Innanzitutto la passione che Gesù soffre fino alla morte non è né un destino né un caso nella sua vita. Matteo mette in evidenza come Gesù, seppur “consegnato”, dunque oggetto di un’azione determinata da parte di altri (Giuda, i sacerdoti, Pilato), resti sempre soggetto, protagonista del racconto: la passione è vissuta da Gesù nella libertà e per amore. Gesù sa, e lo dice, che “il suo tempo è vicino” (cf. Mt 26,18), ma è un tempo, un’ora alla quale potrebbe sottrarsi.
Invece va con decisione verso la passione, dispone che i suoi discepoli facciano i preparativi per la cena pasquale (cf. Mt 16,17-19) e poi la presiede (cf. Mt 26,20-29). Mentre sono a tavola, annuncia che sarà tradito, perché sa che uno dei Dodici è giunto a quella situazione di non-fiducia in lui; ma pur conoscendo l’identità del traditore, non lo denuncia, non lo ferma, non lo isola dagli altri. Non lo giudica né lo condanna, ma rinvia Giuda alla sua coscienza, alla sua responsabilità. “Tu l’hai detto” di essere il traditore, ponendomi la domanda: “Sono forse io?” (Mt 26,25).
Gesù sa e domina ogni situazione, ed eccolo spezzare e dare il pane, segno del suo corpo, ai Dodici; eccolo prendere il calice del vino, segno del suo sangue, e darlo loro da bere come “sangue dell’alleanza sparso per le moltitudini in remissione dei peccati” (Mt 26,28). Secondo Matteo l’eucaristia è appunto “in remissione dei peccati”, remissione che non si ottiene più attraverso i sacrifici al tempio, ma bevendo il sangue di Cristo.
L’eucaristia è offerta a tutti i discepoli: tutti peccatori, traditori come Giuda, rinnegatori come Pietro, increduli come gli altri. Gesù non ha escluso nessuno dalla sua cena pasquale: l’eucaristia è dunque la cena per i peccatori, la chiesa è un’assemblea di peccatori che nell’eucaristia sono perdonati e fatti santi. Sì, le moltitudini degli uomini segnati dal peccato, nel sangue di Gesù, amore offerto fino all’estremo, trovano il perdono dei loro peccati.
E dopo la cena pasquale – Matteo lo evidenzia particolarmente – Gesù prega. Al Getsemani Gesù è tutto preghiera (per ben cinque volte nei vv. 36-44 ritorna il verbo “pregare”), preghiera che vorrebbe fosse condivisa dai tre discepoli che egli porta con sé, Pietro, Giacomo e Giovanni. Ma nonostante tenti per tre volte di farli pregare con sé, ogni suo sforzo è inutile: i discepoli, anche quelli più vicini a Gesù, nella preghiera lo lasciano solo. E come potranno non lasciarlo solo nella passione?
Poco prima di essere arrestato Gesù annuncia il suo essere colpito come pastore e la conseguente dispersione del suo gregge (cf. Mt 26,31; Zc 13,7), ma anche il nuovo raduno in Galilea dopo la resurrezione (cf. Mt 26,32). E quando uno dei discepoli tenta di reagire con la violenza al suo arresto, per esprimere nuovamente la sua libertà di fronte a quella cattura vergognosa Gesù interroga l’autore di quel gesto sulla sua fede in lui: “Credi che io non possa pregare il Padre mio, che mi manderebbe subito più di dodici legioni di angeli?” (Mt 26,53). Occorre credere in Gesù, nelle sue parole, in ciò che fa o sceglie di non fare, perché una sola è la sua volontà: realizzare la volontà del Padre, volontà testimoniata dalle Scritture.
In tutto il processo Gesù continua a essere protagonista degli eventi, continua a essere il mite che non condanna né giudica quando è ingiuriato e ingiustamente giudicato. Al sommo sacerdote che lo scongiura di dire se egli è il Cristo, Gesù non svela né nasconde ma, come aveva fatto con Giuda, richiama chi lo interroga alla propria responsabilità: “Tu l’hai detto” (Mt 26,64). E così fa nell’incontro con Pilato, quando alla domanda: “Sei tu il re dei giudei?”, risponde: “Tu lo dici” (Mt 27,11), e poi ritorna al silenzio.
In questo racconto della passione secondo Matteo, dove mi pongo io, discepolo? Sono come uno dei Dodici i quali, abbandonato tutto per seguire Gesù (cf. Mt 4,20-22), giunta la passione, “tutti lo abbandonarono e fuggirono” (Mt 26,56)? Sono come Pietro, che ha seguito Gesù ma “per vedere come sarebbe andata a finire” (ideîn tò télos: Mt 26,58), e quindi, non coinvolto nella vita di Gesù, finisco per smettere di conoscerlo e per conoscere solo me stesso (cf. Mt 26,34-35.69-75)?
Sono come Giuda, che non ha più fiducia in Gesù, che non lo dichiara Kýrios, Signore, come invece fanno gli altri undici (cf. Mt 26,22), ma lo chiama “rabbi, maestro” (cf. Mt 26,25.49), anche quando Gesù lo chiama “amico” (Mt 26,50), amato da lui fino a quell’ora, amato anche nel momento in cui lo tradisce? Sarò capace di vedere nella passione di Gesù non solo una morte ignominiosa, ma la morte del giusto, l’evento cosmico della morte del Figlio di Dio (cf. Mt 27,51-53)? A me la responsabilità della risposta!
Enzo Bianchi
 

I concili nei secoli
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I° CONCILIO DI NICEA



I° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



I° CONCILIO DI EFESO



I° CONCILIO DI CALCEDONIA



II° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



III° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



II° CONCILIO DI NICEA



IV° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



LETTERA A DIOGNETO


I° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



IV° CONCILIO LATERANENSE



I° CONCILIO DI LIONE



II° CONCILIO DI LIONE



CONCILIO DI VIENNA



CONCILIO DI COSTANZA



CONCILIO DI BASILEA



V CONCILIO LATERANENSE


CONCILIO DI TRENTO



CONCILIO VATICANO I°

Incontri sulla Dei Verbum
Incontri sulla “ DEI VERBUM” Comunità Itria dal 26 Novembre 2018. Per accedervi click sull’icona che scorre di seguito .
Introduzione alla lectio divina
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