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tirisan

IV Domenica di Avvento: come Giuseppe lasciamoci sorprendere dall'INEDITO.

giuseppegiottoL’ultima domenica di Avvento preannuncia la memoria della nascita di Gesù il Messia attraverso il suo annuncio a Giuseppe (cf. Mt 1,18-24) , a Maria (cf. Lc 1,26-38) e a Elisabetta (cf. Lc 1,39-45).  
Nel vangelo secondo Matteo questo annuncio dell’angelo a Giuseppe viene presentato come generazione, genesi, da una donna, Maria, promessa sposa a Giuseppe.
Era dunque iniziata una storia d’amore tra un giovane e una ragazza, c’era stata una promessa reciproca che sanciva la loro fiducia reciproca. Si sarebbero uniti in matrimonio e avrebbero accolto come un dono di Dio i figli.
Ma in questa donna, Maria, l’amore gratuito di Dio aveva incontrato attesa, fede, umiltà. Sì, questa donna per grazia, e solo perché riempita dalla grazia che è lo Spirito santo, poteva diventare madre di un figlio che solo Dio ci poteva dare:  questo figlio di donna era anche suo Figlio, inviato nel mondo, Parola di Dio fatta uomo, fatta carne (cf. Gv 1,14) . Un Figlio così non poteva venire da volontà o da capacità umana.
Per narrare questa verità inenarrabile, ecco allora il racconto relativo a Giuseppe.
Il fidanzato di Maria è sorpreso dall’inedito: Maria è incinta senza che egli si sia unito a lei.
Secondo la Legge potrebbe denunciare Maria per tradimento della promessa nuziale (cf. Dt 22,23-24) , ma è un uomo buono e allora decide di ripudiarla in segreto, di non sposarla ma nemmeno di esporla alla pubblica vergogna e alla condanna.
E mentre egli è immerso in questa sofferenza, in questa ricerca di giustizia e di misericordia, Dio gli manda un messaggio, gli fornisce l’interpretazione della gravidanza di Maria.
Mentre dorme, l’angelo interprete gli sussurra, chiamandolo per nome: “Giuseppe, tu che sei figlio di David, che appartieni alla discendenza regale messianica, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino generato in lei viene dallo Spirito santo”.
Giuseppe era un artigiano, forse un falegname, di un piccolo villaggio della Galilea, ma è chiamato “figlio di David”, perché a questo titolo riceve ora una vocazione impensata: avrà un figlio ma non generato da lui, un figlio concepito da Maria ma generato dalla potenza di Dio, dal suo Spirito santo.
Aveva desiderato avere un figlio da Maria, ma ora, proprio perché deve essere padre secondo la Legge del Messia davidico, deve ricevere questo figlio non suo come dono di Dio.
Giuseppe rinuncia al figlio “secondo la carne” e riceve un figlio “secondo la promessa” (cf. Gal 4,23.28) . A questo bambino che nascerà da Maria egli dovrà dare il nome di Gesù, manifestandogli così la vocazione di Dio che lo chiama a essere salvezza del suo popolo.
La paternità di Giuseppe è una vera paternità umana: spetta a lui “far venire al mondo” questo piccolo che non è figlio della sua carne ma Figlio di Dio.
Risvegliatosi dal sonno, Giuseppe obbedisce in silenzio: nessuna sua parola è registrata nei vangeli, perché Giuseppe è il giusto che ascolta e obbedisce, realizzando puntualmente ciò che il Signore gli chiede.
Con questo racconto il vangelo cerca di narrarci il grande mistero dell’incarnazione e ci chiede di adorare, di accogliere, di credere e quindi di non temere mai.
Dio compie ciò che aveva promesso nei profeti, noi dobbiamo credere e negli eventi più quotidiani saper vedere i segni del suo amore fedele.
Anche nelle nostre vite a volte accade l’inedito, ciò che non avevamo previsto, ciò che può destabilizzarci, fino a farci mutare strada. Tutto allora può apparire un enigma; ma è proprio quella l’ora di metterci vigilanti in ascolto, come Giuseppe, e, sentita la voce di Dio, farle obbedienza. L’enigma diventerà un mistero.
Fr. Enzo Bianchi, Priore di Bose

III Domenica di Avvento – La notte di un credente che non vede come alle sue parole proferite in obbedienza a Dio seguano fatti, eventi coerenti con esse.

baptDomenica scorsa, se non ci fosse stata la coincidenza con la Festa dell’Immacolata Concezione, avremmo accolto le parole di Giovanni il Battista, che predicava la venuta vicinissima del regno di Dio, chiedeva la conversione e annunciava che alla sua sequela vi era uno più forte di lui, il Messia e il Giudice della fine dei tempi (cf. Mt 3,1-12): Gesù, che egli avrebbe battezzato indegnamente (cf. Mt 3,13-17)
Ma Matteo ci parla di Giovanni altre tre volte: quando è arrestato e Gesù inizia la sua evangelizzazione (cf. Mt 4,12-17); quando dalla prigione invia dei messaggeri a interrogare Gesù, il quale a sua volta parla di lui alle folle (cf. Mt 11,2-11, il vangelo odierno); infine viene narrato il suo martirio (cf. Mt 14,1-12).

Oggi ascoltiamo un Giovanni ben diverso da quello che era apparso nel vangelo quale predicatore e battezzatore delle folle numerose che accorrevano a lui. Giovanni è in prigione, solo, in balia della volontà del tetrarca Erode, nella fortezza di Macheronte a est del mar Morto.

È lontano dalla folla, ormai più nessuno sembra ricordarlo, eppure conosce la predicazione e le azioni di colui che aveva indicato come il Veniente, Gesù. La sua è un’ora di oscurità ed egli è assalito dai dubbi: si è forse sbagliato nel suo servizio profetico, nell’apprestare una voce al Signore in cui credeva?

Era tutta una sua personale costruzione l’annuncio del regno di Dio vicino e del Giudice ormai prossimo a instaurare la giustizia di Dio? Se Gesù è il Veniente – come Giovanni aveva predicato –, perché non lo libera dalle mani di Erode, perché i perversi trionfano e i giusti sono oppressi, senza che nessuno ne soffra?

È la notte di un credente che non vede come alle sue parole proferite in obbedienza a Dio seguano fatti, eventi coerenti con esse. Eppure le Scritture meditate e interpretate parlavano di un Figlio dell’uomo veniente nella gloria per giudicare e regnare (cf. Dn 7,13-14)

E invece Gesù si mostra molto differente, soprattutto nello stile: non vive nel deserto, non si ciba di radici e miele selvatico, ma con i suoi discepoli va ad alloggiare presso i peccatori, senza temere il contatto con gli impuri; va anche a pranzo dei farisei, che Giovanni aveva condannato con tanta indignazione.

Anche per il Battista Gesù appare un “Messia al contrario”, cioè un Messia depotenziato, povero, fragile, umile; non appare neanche come il Giudice escatologico perché, quando incontra quelli che sanno di essere peccatori, rimette loro i peccati. Ma anche in preda a questa esitazione, a questi dubbi, Giovanni resta un credente nella parola di Dio, e per questo lascia l’ultima parola a Gesù.

Manda alcuni suoi discepoli a interrogare colui che aveva battezzato e preannunciato, pronto a credere alle sue parole e a fargli obbedienza: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro Veniente da Dio? Sii tu a dirmelo, e alla tua parola io aderirò”. Ed ecco, in risposta, le parole di Gesù per Giovanni: “Andate a dirgli ciò che ascoltate e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi ascoltano, i morti risuscitano e ai poveri è annunciata la buona notizia”. Ecco l’azione e la parola del Veniente da Dio, di Gesù!

Non compie gesti come giustiziere, non agisce con potenza, non si impone e non mostra alcuna forza; no, la sua azione raggiunge i poveri, gli ultimi, quelli che soffrono e sono nel bisogno, e per tutti la sua presenza è una buona notizia. A Giovanni queste parole bastano: ora può andare verso la morte nella fede provata e faticosa, ma aderendo alle parole di Gesù.

Per questo Gesù proclama che Giovanni è ben più grande di un profeta, è il suo precursore, è colui che Dio ha inviato davanti a lui per preparargli la strada (cf. Es 23,20; Ml 3,1; Is 40,3). Giovanni è il più grande tra i nati di donna, ma Gesù, che si è fatto il più piccolo nel regno di Dio, è più grande di lui. Risuona ancora per noi l’ammonimento di Gesù: “Beato chi non si scandalizza di me”.

Sì, è difficile credere al “Messia al contrario”, credere nella necessità della croce per il Messia, credere al fallimento umano di chi è inviato da Dio. Giovanni ha conservato la fede fino alla fine, e noi come viviamo la nostra fede di fronte all’oscurità, alla croce?

Fr. Enzo Bianchi, Priore di Bose

Centenario della morte del Cardinale Mariano Rampolla del Tindaro

annullocentenarioIl 16 dicembre 2013, centenario della morte del cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, avvenuta il 16 dicembre 1913, la Parrocchia Maria SS. Assunta di Polizzi Generosa, unitamente al Monastero di Santa Cecilia in Roma, vuole rendere un grato omaggio all’illustre suo figlio, il cardinale Mariano Rampolla del Tindaro.
Significativa e doverosa riconoscenza a chi grandemente onora, come concittadino, la terra che gli ha dato i natali, e molto di più esalta la comunità che lo ha visto rinascere al suo fonte battesimale e gli ha offerto i primi e preziosi rudimenta fidei che ne segnarono, già nella primissima adolescenza, la scelta vocazionale e la tempra spirituale dell’intera vita.
La gratitudine verso chi ha fatto nobile il passato e il presente di questa comunità è d’obbligo; né può attenuarsi con il trascorrere degli anni. Anzi, questa comunità sente oggi – come da subito avvertirono già quanti nel tempo ne hanno celebrato la ricorrenza – il dovere di tesaurizzare pienamente una eredità tra le più preziose del passato ecclesiale e civile di questa terra; di ritrovare in tale commemorazione la sua ragion d’essere nel presente, ma anche un forte stimolo al suo sperare e progettare il futuro; un futuro, forte di questa eredità, auspicato sempre più ricco e fecondo nello Spirito, proteso alla piena e fedele realizzazione della missione che le viene dal Signore stesso.
 L’evento del centenario si svolgerà presso l’Auditorium San Francesco di Polizzi Generosa
 

Programma

 

ore 15,30 – 21.00 Annullo filatelico, a cura delle Poste italiane
ore 16.00 Momento commemorativo
S. Ecc.za Mons. Vincenzo Manzella, vescovo di Cefalù
Rappresentante Commissione Straordinaria del Comune di Polizzi Generosa
Mons. Giovanni Silvestri, parroco della Parrocchia M. SS. Assunta di Polizzi Generosa
M. Maria Giovanna Valenziano, Badessa del Monastero di Santa Cecilia in Roma
Prof.ssa Ida Rampolla del Tindaro
 
Presentazione di una presentazione in onore del card. Rampolla
Il cardinale di Polizzi: Mariano Rampolla del Tindaro. Sulle sue orme da Polizzi Generosa a Roma…
Prof.ssa Clara Aiosa
 
ore 18.00 Presentazione e inaugurazione di una mostra in onore del cardinale Rampolla
Prof.ssa Ida Rampolla del Tindaro
 
Ore 19.00 Concerto di musica classica
Francesca Librizzi, al pianoforte
Giusy Cascio, Gimmy Lampasona, Paolo Pellegrino, trio pianoforte, violino e violoncello
Coro Emiolia, diretto dal prof. Vincenzo Tumminello       
 
Il parroco

Mons. Giovanni Silvestri

rampolla locandina

Immacolata Concezione della B.V. Maria – Con Lei siamo chiamati a generare in noi Cristo per opera dello Spirito santo, ad essere dimora di Cristo.

www.ilconfronto.comCelebriamo oggi la festa che ricorda l’inizio della vita di colei che sarebbe diventata «la madre del Signore» (Lc 1,43).
Grazie alla sua disponibilità a obbedire senza indugio alla Parola di Dio, Maria predispone tutto il suo essere affinché possa compiersi nella storia l’incarnazione, l’umanizzazione di Dio in Gesù: e la venuta del Figlio di Dio nella carne è per noi pegno della sua venuta alla fine dei tempi.
Maria è figura di tutto il popolo dell’antica alleanza ormai gravido della grazia del Signore, fatto capace di generare il Messia promesso.
L’annuncio del profeta Sofonia: «Rallegrati, figlia di Sion … il Signore tuo Dio è nel tuo grembo» (Sof 3,14.17) si compie nell’annuncio dell’angelo a Maria: «Rallegrati, donna trasformata dalla grazia, il Signore è con te».
Questo saluto fa della vergine di Nazaret il segno di una realtà più ampia della sua persona: venuta alla luce nel contesto dei «poveri del Signore», dell’umile «resto di Israele» che confidava solo nel Signore (cf. Sof 3,12), grazie alla sua fede Maria diviene la manifestazione personale del popolo d’Israele, quella figlia di Sion che attendeva nelle sofferenze della storia il parto della sua speranza e della sua liberazione.
Ma il brano evangelico odierno, oltre a narrare l’annuncio della nascita del Messia Gesù rivolto a Maria, è anche il racconto della vocazione di Maria.
Ciò a cui questa ragazza di un’oscura borgata della Galilea è chiamata («concepirai un figlio, lo darai alla luce») è semplicemente impossibile a lei che è vergine e non ha relazioni con un uomo.
Nella sua vicenda essa è il segno manifesto e, insieme, paradossale del fatto che la chiamata di Dio esige la disponibilità ad aprirsi alla novità inaudita operata dalla potenza del suo Spirito; richiede la fiducia nel Dio cui «nulla è impossibile» (cf. Gen 18,14)…        
Ed ecco che, dopo il suo iniziale turbamento, Maria non teme di offrire a Dio la propria povertà e la propria piccolezza, pronunciando le straordinarie parole che fanno di lei la madre dei credenti: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la sua Parola».    
La Parola viva ed efficace (cf. Eb 4,12), compie prontamente ciò che annuncia; ha solo bisogno di un destinatario che le obbedisca puntualmente, lasciandosi trasformare da essa in una nuova creatura. Proprio in questo consiste la grandezza di Maria: essa accoglie risolutamente l’alleanza che Dio le offre e si dichiara pronta a rispondere con tutta la vita alla volontà del suo Signore, a vivere «a lode e gloria della sua grazia» (Ef 1,6).
Quale che sia la vocazione di ciascuno di noi, giunge per tutti l’ora dello sgomento, l’ora in cui la sequela pare impossibile. Ma ciò che è avvenuto a Maria ha valore paradigmatico per i credenti di ogni latitudine e di ogni tempo: «Non temere», «Il Signore è con te», sono le promesse che Maria si è sentita rivolgere e sono le parole in cui può dimorare il credente nella sua personale fatica di perseverare nella vocazione.
Ciò che infatti è fondamentale è celebrare la grazia di Dio rivelatasi definitivamente in Gesù Cristo e narrare la sua fedeltà, capace di sostenere anche la nostra.  
Sì, ogni cristiano è chiamato a generare in sé Cristo per opera dello Spirito santo, ad essere dimora di Cristo (cf. 2Cor 13,5), «tempio dello Spirito» (1Cor 6,19). Come Dio si è fatto carne in Maria così deve diventare presenza in noi: noi portiamo la nostra carne, il nostro essere a Dio affinché diventi la sua abitazione, e così possa essere benedizione per tutti gli uomini.

( Enzo Bianchi )

…Maria rappresenta la creatura che dinanzi a Dio si ricorda che niente è impossibile e dice: «Eccomi!».
Adamo si nasconde e dice: «Non ci sono».
Ecco l’alternativa.
Noi siamo nel peccato quando ci nascondiamo.
È la nostra grande astuzia.
Chi ha una qualche conoscenza della storia della fede è in grado di documentare questa deviazione. Perfino nella Chiesa, i simboli, le gerarchie, tutto serve a nascondersi a Dio.
Se uno, con occhio semplice, vedesse Dio rimarrebbe esterrefatto per tutte queste macchine simboliche che abbiamo costruito per attrarre la gente a Dio mentre Dio o è una parola semplice semplice, che sta prima dell’alfabeto, o non è più niente.
Ci nascondiamo a Dio proprio quando portiamo le bandiere di Dio.
Dire questo non vuol dire cadere in un pessimismo lugubre, vuol dire rendere onore a una verità che prepara quest’altra verità: noi vogliamo un altro rapporto con Dio, noi vogliamo un altro mondo. Noi vorremmo essere fratelli, ma vedete quante macchine ci sono tra di noi per impedirlo: l’economia, la politica, l’ideologia e perfino la religione.
Tutto fa in modo che noi troviamo la nostra verità nel rapporto antagonistico con l’altro.
Questo è quello che ci hanno insegnato.
Vorremmo un mondo diverso ma la nostra speranza ha quasi paura ad esprimersi e perciò, come dice Giobbe, ritorna in noi stessi e si riposa nel nostro seno, non ha ali per volare. Essere puri come Maria questo vuol dire: «sia fatto di me secondo la tua parola».
Abbandonarsi a questo rapporto con Dio vuol dire ritrovare il senso di tutte le cose, entrare veramente nel cuore del mondo.
Insomma, tutto quello che la fede devota ha detto di Maria dovremmo ricodificarlo in questo linguaggio nuovo liberandoci da una cultura vecchia (anche quella cristiana è diventata una cultura codificata) per ritrovare la fluidità vitale degli antichi messaggi.
Comprenderemmo meglio, allora, perché il mondo è pieno di peccato: non perché ci sono il film sporchi, le riviste pornografiche… ma perché tutta la geometria dell’insieme è deviata.
La Parola che ci svela il peccato è la stessa Parola che benedice la nostra speranza di un mondo diverso, che non è impossibile, è possibile, perché niente è impossibile presso il Dio nascosto e presso l’uomo nascosto.
Quando la fede sveglia in noi il sentimento che l’impossibile si capovolge nel possibile, diventa una forza che cambia il mondo.

 Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” vol. 1 – anno A

 

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CONCILIO DI VIENNA



CONCILIO DI COSTANZA



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CONCILIO DI TRENTO



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