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In cammino verso il Sinodo sulla Famiglia

sinodoPer il prossimo Ottobre del 2014 Papa Francesco ha convocato il Sinodo sulla Famiglia dal titolo ” Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione.
Per l’occasione la Santa Sede ha preparato un questionario ( scaricabile alla fine di questo post ) inserito nel documento preparatorio al sinodo.
Di seguito  il documento

I – Il Sinodo: famiglia ed evangelizzazione

La missione di predicare il Vangelo a ogni creatura è stata  affidata direttamente dal Signore ai suoi discepoli e di essa la Chiesa è  portatrice nella storia. Nel tempo che stiamo vivendo l’evidente crisi sociale e  spirituale diventa una sfida pastorale, che interpella la missione  evangelizzatrice della Chiesa per la famiglia, nucleo vitale della società e  della comunità ecclesiale.

Proporre il Vangelo sulla famiglia in questo contesto risulta  quanto mai urgente e necessario. L’importanza del tema emerge dal fatto che il  Santo Padre ha deciso di stabilire per il Sinodo dei Vescovi un itinerario di  lavoro in due tappe: la prima, l’Assemblea Generale Straordinaria del 2014,  volto a precisare lo “status quaestionis” e a raccogliere testimonianze e  proposte dei Vescovi per annunciare e vivere credibilmente il Vangelo per la  famiglia; la seconda, l’Assemblea Generale Ordinaria del 2015, per cercare linee  operative per la pastorale della persona umana e della famiglia.

Si profilano oggi problematiche inedite fino a pochi anni fa,  dalla diffusione delle coppie di fatto, che non accedono al matrimonio e a volte  ne escludono l’idea, alle unioni fra persone dello stesso sesso, cui non di rado  è consentita l’adozione di figli. Fra le numerose nuove situazioni che  richiedono l’attenzione e l’impegno pastorale della Chiesa basterà ricordare:  matrimoni misti o inter-religiosi; famiglia monoparentale; poligamia; matrimoni  combinati con la conseguente problematica della dote, a volte intesa come prezzo  di acquisto della donna; sistema delle caste; cultura del non-impegno e della  presupposta instabilità del vincolo; forme di femminismo ostile alla Chiesa;  fenomeni migratori e riformulazione dell’idea stessa di famiglia; pluralismo  relativista nella concezione del matrimonio; influenza dei media sulla cultura  popolare nella comprensione delle nozze e della vita familiare; tendenze di  pensiero sottese a proposte legislative che svalutano la permanenza e la fedeltà  del patto matrimoniale; diffondersi del fenomeno delle madri surrogate (utero in  affitto); nuove interpretazioni dei diritti umani. Ma soprattutto in ambito più  strettamente ecclesiale, indebolimento o abbandono della fede nella  sacramentalità del matrimonio e nel potere terapeutico della penitenza  sacramentale.

Da tutto questo si comprende quanto urgente sia che l’attenzione  dell’episcopato mondiale “cum et sub Petro” si rivolga a queste sfide. Se ad  esempio si pensa al solo fatto che nell’attuale contesto molti ragazzi e  giovani, nati da matrimoni irregolari, potranno non vedere mai i loro genitori  accostarsi ai sacramenti, si comprende quanto urgenti siano le sfide poste  all’evangelizzazione dalla situazione attuale, peraltro diffusa in ogni parte  del “villaggio globale”. Questa realtà ha una singolare rispondenza nella vasta  accoglienza che sta avendo ai nostri giorni l’insegnamento sulla misericordia  divina e sulla tenerezza nei confronti delle persone ferite, nelle periferie  geografiche ed esistenziali: le attese che ne conseguono circa le scelte  pastorali riguardo alla famiglia sono amplissime. Una riflessione del Sinodo dei  Vescovi su questi temi appare perciò tanto necessaria e urgente, quanto doverosa  come espressione di carità dei Pastori nei confronti di quanti sono a loro  affidati e dell’intera famiglia umana.

II – La Chiesa e il vangelo sulla famiglia

La buona novella dell’amore divino va proclamata a quanti vivono  questa fondamentale esperienza umana personale, di coppia e di comunione aperta  al dono dei figli, che è la comunità familiare. La dottrina della fede sul  matrimonio va presentata in modo comunicativo ed efficace, perché essa sia in  grado di raggiungere i cuori e di trasformarli secondo la volontà di Dio  manifestata in Cristo Gesù.

Circa il richiamo delle fonti bibliche su matrimonio e famiglia,  in questa sede si riportano solo i riferimenti essenziali. Così pure per i  documenti del Magistero sembra opportuno limitarsi ai documenti del Magistero  universale della Chiesa, integrandoli con alcuni testi del  Pontificio Consiglio  della Famiglia e rimandando ai Vescovi partecipanti al Sinodo il compito di dar  voce ai documenti dei loro rispettivi organismi episcopali.

In ogni tempo e nelle più diverse culture non è mai mancato né  l’insegnamento chiaro dei pastori né la testimonianza concreta dei credenti,  uomini e donne, che in circostanze molto differenti hanno vissuto il Vangelo  sulla famiglia come un dono incommensurabile per la vita loro e dei loro figli.  L’impegno per il prossimo Sinodo Straordinario è mosso e sostenuto dal desiderio  di comunicare a tutti, con incisività maggiore, questo messaggio, sperando così  che «il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il  cuore degli uomini» (DV 26).

Il progetto di Dio Creatore e Redentore

La bellezza del messaggio biblico sulla famiglia ha la sua  radice nella creazione dell’uomo e della donna fatti entrambi a immagine e  somiglianza di Dio (cf. Gen 1,24-31; 2, 4b-25). Legati da un vincolo  sacramentale indissolubile, gli sposi vivono la bellezza dell’amore, della  paternità, della maternità e della dignità suprema di partecipare così alla  opera creatrice di Dio.

Nel dono del frutto della loro unione assumono la responsabilità  della crescita e dell’educazione di altre persone per il futuro del genere  umano. Attraverso la procreazione l’uomo e la donna compiono nella fede la  vocazione all’essere collaboratori di Dio nella custodia del creato e nella  crescita della famiglia umana.

Il Beato  Giovanni Paolo II ha commentato quest’aspetto nella Familiaris Consortio: «Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza (cf.  Gen 1,26s): chiamandolo all’esistenza per amore, l’ha chiamato nello stesso  tempo all’amore. Dio è amore (1Gv 4,8) e vive in se stesso un mistero di  comunione personale d’amore. Creandola a sua immagine e continuamente  conservandola nell’essere, Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la  vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione  (cf. Gaudium et Spes, 12). L’amore è, pertanto, la fondamentale e nativa  vocazione di ogni essere umano» (FC, n. 11).

Questo progetto di Dio creatore, che il peccato originale ha  sconvolto (cf. Gn 3, 1-24), si è manifestato nella storia attraverso le vicende  del popolo eletto fino alla pienezza dei tempi, allorché, con l’incarnazione il  Figlio di Dio non solo confermò la volontà divina di salvezza, ma con la  redenzione offrì la grazia di obbedire a questa medesima volontà.

Il Figlio di Dio, Verbo fatto carne (cf. Gv 1,14) nel grembo  della Vergine Madre è vissuto e cresciuto nella famiglia di Nazaret, e ha  partecipato alle nozze di Cana di cui ha arricchito la festa con il primo dei  suoi “segni” (cf. Gv 2,1-11). Egli ha accettato con gioia l’accoglienza  familiare dei suoi primi discepoli (cf. Mc 1,29-31; 2,13-17) e ha consolato il  lutto della famiglia dei suoi amici a Betania (cf. Lc 10,38-42; Gv 11,1-44).

Gesù Cristo ha ristabilito la bellezza del matrimonio  riproponendo il progetto unitario di Dio, che era stato abbandonato per la  durezza del cuore umano persino all’interno della tradizione del popolo di  Israele (cf. Mt 5,31-32; 19.3-12; Mc 10,1-12; Lc 16,18). Tornando all’origine  Gesù ha insegnato l’unità e la fedeltà degli sposi, rifiutando il ripudio e  l’adulterio.

Proprio attraverso la straordinaria bellezza dell’amore umano –  già celebrata con accenti ispirati nel Cantico dei Cantici, e del legame  sponsale richiesto e difeso da Profeti come Osea (cf. Os 1,2-3,3) e Malachia (cf.  Ml 2,13-16) –, Gesù ha affermato l’originaria dignità dell’amore dell’uomo e  della donna.

L’insegnamento della Chiesa sulla famiglia

Anche nella comunità cristiana primitiva la famiglia apparve  come la «Chiesa domestica» (cf. CCC,1655): Nei cosiddetti “codici  familiari” delle Lettere apostoliche neotestamentarie, la grande famiglia del  mondo antico è identificata come il luogo della solidarietà più profonda tra  mogli e mariti, tra genitori e figli, tra ricchi e poveri (cf. Ef 5,21-6,9;  Col 3,18-4,1; 1Tm 2,8-15; Tt 2,1-10; 1Pt 2,13-3,7; cf. inoltre anche la Lettera a  Filemone). In particolare, la Lettera agli Efesini ha individuato nell’amore  nuziale tra l’uomo e la donna «il mistero grande», che rende presente nel mondo  l’amore di Cristo e della Chiesa (cf. Ef 5,31-32).

Nel corso dei secoli, soprattutto nell’epoca moderna fino ai nostri giorni, la  Chiesa non ha fatto mancare un suo costante e crescente insegnamento sulla  famiglia e sul matrimonio che la fonda. Una delle espressioni più alte è stata  proposta dal  Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes,  che trattando alcuni dei problemi più urgenti dedica un intero capitolo alla  promozione della dignità del matrimonio e della famiglia, come appare nella  descrizione del suo valore per la costituzione della società: «la famiglia,  nella quale le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a  raggiungere una saggezza umana più completa e ad armonizzare  i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale, è veramente il  fondamento della società» (GS 52). Di speciale intensità è l’appello a  una spiritualità cristocentrica per gli sposi credenti: «i coniugi stessi,  creati ad immagine del Dio vivente e muniti di un’autentica dignità personale,  siano uniti da un uguale mutuo affetto, dallo stesso modo di sentire, da comune  santità, così che, seguendo Cristo principio di vita nelle gioie e nei  sacrifici della loro vocazione, attraverso il loro amore fedele possano  diventare testimoni di quel mistero di amore che il Signore ha rivelato al mondo  con la sua morte e la sua risurrezione» (GS 52).

Anche i Successori di Pietro dopo il  Concilio Vaticano II hanno arricchito con  il loro Magistero la dottrina sul matrimonio e sulla famiglia, in particolare  Paolo VI con la Enciclica Humanae vitae,  che offre specifici insegnamenti di principio e di prassi. Successivamente il Papa Giovanni Paolo II nella  Esortazione Apostolica Familiaris Consortio volle insistere nel proporre  il disegno divino circa la verità originaria dell’amore sponsale e della  famiglia: «Il “luogo” unico, che rende possibile questa donazione secondo  l’intera sua verità, è il matrimonio, ossia il patto di amore coniugale o scelta  cosciente e libera, con la quale l’uomo e la donna accolgono l’intima comunità  di vita e d’amore, voluta da Dio stesso (cfr. Gaudium et Spes, 48), che  solo in questa luce manifesta il suo vero significato. L’istituzione  matrimoniale non è una indebita ingerenza della società o dell’autorità, né  l’imposizione estrinseca di una forma, ma esigenza interiore del patto d’amore  coniugale che pubblicamente si afferma come unico ed esclusivo perché sia  vissuta così la piena fedeltà al disegno di Dio Creatore. Questa fedeltà, lungi  dal mortificare la libertà della persona, la pone al sicuro da ogni  soggettivismo e relativismo, la fa partecipe della Sapienza creatrice»(FC 11).

Il Catechismo della Chiesa Cattolica raccoglie questi  dati fondamentali: «L’alleanza matrimoniale, mediante la quale un uomo e una  donna costituiscono fra loro un’intima comunione di vita e di amore, è stata  fondata e dotata di sue proprie leggi dal Creatore. Per sua natura è ordinata al  bene dei coniugi così come alla generazione e all’educazione della prole. Tra  battezzati essa è stata elevata da Cristo Signore alla dignità di sacramento [cf.  Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes, 48;  Codice di Diritto Canonico, 1055, 1]»  (CCC 1660).

La dottrina esposta nel Catechismo tocca sia i principi  teologici sia i comportamenti morali, trattati sotto due titoli distinti: Il  sacramento del matrimonio (nn. 1601-1658) e Il sesto comandamento (nn.  2331-2391). L’attenta lettura di queste parti del Catechismo procura una  comprensione aggiornata della dottrina della fede a sostegno dell’azione della  Chiesa davanti alle sfide odierne. La sua pastorale trova ispirazione nella  verità del matrimonio visto nel disegno di Dio che ha creato maschio e femmina e  nella pienezza del tempo ha rivelato in Gesù anche la pienezza dell’amore  sponsale elevato a sacramento. Il matrimonio cristiano fondato sul consenso è  anche dotato di propri effetti quali sono i beni e i compiti degli sposi,  tuttavia non è sottratto al regime del peccato (cfr. Gen 3,1-24) che può  procurare ferite profonde e anche offese alla dignità stessa del sacramento.

La recente Enciclica di  Papa Francesco, Lumen Fidei,  parla della famiglia nel suo legame con la fede che rivela «quanto possono  essere saldi i vincoli tra gli uomini quando Dio si rende presente in mezzo ad  essi» (LF 50). «Il primo ambito in cui la fede illumina la città degli  uomini si trova nella famiglia. Penso anzitutto all’unione stabile dell’uomo e  della donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore, segno e presenza  dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della  differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne (cf. Gn 2,24) e sono capaci di generare una nuova vita, manifestazione della bontà del  Creatore, della sua saggezza e del suo disegno di amore. Fondati su quest’amore,  uomo e donna possono promettersi l’amore mutuo con un gesto che coinvolge tutta  la vita e che ricorda tanti tratti della fede. Promettere un amore che sia per  sempre è possibile quando si scopre un disegno più grande dei propri progetti,  che ci sostiene e ci permette di donare l’intero futuro alla persona amata» (LF 52). «La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della  vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura  che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il  suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra  fragilità» (LF 53).

( Click  sull’icona accanto per leggere e/o scaricare il questionario )

 
 

XXXI Domenica del T.O. – Zaccheo vede il suo peccato e vede Gesù.

Gesù e Zaccheo m[ Il brano del vangelo di questa domenica XXXI del T.O ]possiamo definirlo un brano di incontro penitenziale tra l’uomo e Gesù: è un racconto storico singolare perché esprime una realtà permanente.
In questo incontro, l’uomo Zaccheo compie delle azioni successive, interne ed esterne, che sono, alcune, la premessa e, altre, la conseguenza della parola di perdono di Gesù.
 L’azione interna che Zaccheo compie è il suo desiderio di vedere Gesù.
È un desiderio forte, intenso, che potremmo quasi chiamare « estatico », che fa uscire cioè Zaccheo fuori di sé.
Non è infatti spiegabile che sia la semplice curiosità a farlo correre per vedere Gesù, ad imporgli di fare le cose che sta facendo! È un profondo desiderio che lo muove dal ‘di dentro e che è già amore, un amore incoativo, incipiente per Gesù, che lo spinge a compiere un’azione esterna.
 L’azione esterna che compie Zaccheo è quella di mettersi a correre e di salire su un albero.
Stupisce che un uomo come lui, un impiegato, si metta a correre per la strada, e salga poi su un albero, cosa che non avrebbe fatto in un momento ordinario. È una persona che sta vivendo un attimo di amore così forte da dimenticare le abitudini, le convenienze, il suo nome, il suo prestigio, la sua boria.
Su questo amore intenso di Zaccheo ecco allora che cade la parola di amicizia di Gesù: «Oggi vengo a casa tua ».
È una parola bellissima ….  Questa parola di familiarità sorprende Zaccheo e suscita in lui alcune nuove azioni che non sono più di premessa ma di conversione.
…..
La parola di Zaccheo: «Signore, do la metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto» è la risultanza penitenziale, sociale, civile, comunitaria del cammino di Zaccheo. È il frutto di « penitenza» della sua riconciliazione.

“Tuttavia ci sono ancora due sottolineature da fare in questo cammino di Zaccheo.
…..
Il primo frutto dell’incontro penitenziale è  la gioia, una gioia che deborda, trabocca intorno a noi e che ci fa compiere con facilità azioni anche difficili a cui non ci saremmo mai decisi prima di aver ascoltato la parola di Gesù.
La seconda sottolineatura del cammino di Zaccheo è che lui stesso propone a Gesù la «penitenza» che vuoi fare e Gesù l’approva.
Zaccheo propone ciò che è più adatto per un uomo avido, imbroglione, desideroso di possedere come è lui.
Ha saputo cogliere il proprio punto debole e su questo si rinnova.
 Per lui il frutto di « penitenza» è la generosità verso i poveri, la prontezza nel riparare i torti che ha arrecato agli altri (non lunghe formule di preghiera, non pellegrinaggi, non gesti esteriori che non toccano). … Gesù l’approva e gli dice: « Oggi la salvezza è entrata in questa casa » ( C. M. Martini: Riflessioni sul salmo “ miserere” )
 Qualcosa attirava irresistibilmente Zaccheo verso di lui; tuttavia qualcosa lo faceva sentire molto distante da lui.  A volte ci sentiamo piccoli, non ci sentiamo all’altezza delle situazioni, spesso siamo in pochi.
È necessario salire sull’albero, ascoltare la Parola del Signore, ricevere il suo invito ed entrare in un rapporto singolare con lui.
  Siate contenti di essere cristiani; chi si lascia raggiungere dal Signore è contento. Sostenete il primato della Parola e custodite la Bibbia nel cuore, ve la affido come il dono più bello: entrate con fiducia e con amore nel terzo millennio e portate questa preziosa eredità.
  Domandate il dono della preghiera per poter vedere Gesù, perché essa è luogo della comunione intima con Dio e fonte della gioia che ogni giovane è chiamato a dire con la propria vita. I sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione siano il sostegno della vostra fede. ( C. M. Martini: da  alcuni estratti di discorsi o testi rivolti ai giovani )

***

….. Il Vangelo rivela un nome e una persona: chi è Gesù?
Zaccheo vuol capire e a Zaccheo Gesù si rivela come l’amore di Dio fatto Persona e fatto Uomo. In questo testo il Signore non adduce i motivi della Sapienza (è creatura di Dio) ma dice è figlio di Abramo vi è un legame concreto, di una discendenza ben concreta vedi Mt 1,1.
È l’amore misericordioso attraverso un fatto concreto di generazione umana e fa sì che l’amore diventi Uomo.
Noi diventiamo figli di Dio in questo Figlio.
L’amore di Dio non è più ancorato all’operazione di Dio, ma all’essere intimo di Dio, di Dio Padre, di Dio Figlio, non è più nel rapporto creazionale, ma nel suo essere stesso, Padre del Figlio, Figlio che si è fatto Uomo, che Egli perdona.
… La conseguenza è forte: se per cogliere l’esistenza era necessario cogliere la misericordia di Dio, ora per cogliere Dio non solo devo riconoscere l’amore misericordioso di Dio ma cogliere il Figlio che è nel seno del Padre e che si è fatto Uomo e si è sacrificato per me.
Lui, essendo il Padre, ci ha dato il Figlio e lo ha crocifisso per me.
Se è così, deve essere grande il mio peccato: Gesù è morto per me, quindi indicibilmente grande deve essere il mio peccato.
Tutto l’episodio di Zaccheo è qui: gli altri mormorano per il peccato di Zaccheo e non vedono Gesù, Zaccheo vede il suo peccato e vede Gesù»

(d. Giuseppe Dossetti, appunti di omelia 31.10.1971)

***

Zaccheo è un ricco, anzi un ricco quasi emblematico. Non è ricco per natura – posto che si possa esser ricchi per natura – ma è ricco per scelta di vita. È un esattore delle tasse e nel sistema di allora le tasse venivano appaltate.
Uno appaltava la riscossione facendo un’offerta molto alta ai dominatori, e si rifaceva sui poveri per guadagnare quel che aveva speso e naturalmente molto di più.
Zaccheo era strutturalmente ricco iniquo.
Ecco perché il popolo considerava i pubblicani come peccatori pubblici. Contro di loro era il disprezzo, obiettivamente meritato, dobbiamo dire.
Ma questo è il limite del nostro cuore!
Il cuore di Dio è più grande del nostro.
Gesù combatte non solo i farisei che lo accusavano di sedere a tavola con i peccatori, di vivere insieme agli emarginati, anche alle prostitute, ma riprova il simmetrico atteggiamento di chi lo condanna perché va a mangiare con un ricco.
 Forse Gesù era un interclassista?
Forse a Gesù andavan bene tutti?
No: il suo giudizio sulla ricchezza è inequivocabile, anzi si potrebbe accusare di un eccesso di severità dato che Egli giudica la ricchezza sempre iniqua.
Come riuscì a sottrarre al giudizio dei farisei l’adultera, così egli sottrae Zaccheo al giudizio della folla.
Egli dice a Zaccheo: «Oggi sono in casa tua».
Invece di cercare Gesù, Zaccheo si sente cercato, Gesù si propone come ospite conviviale in casa sua.
L’atto di Gesù trova senso nel risultato: Zaccheo si converte prendendo una decisione chiara: «Do la metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato restituisco quattro volte tanto».
Zaccheo esce dalla struttura di uomo iniquo e si pone dalla parte di Gesù.
Un cambiamento che diventa, oltre che interiore, sociale.
Questo discorso che è – lo avete capito anche dall’ andamento del mio modo di parlare – faticoso, pieno di tranelli, è però necessario, in modo particolare in un momento come questo.

 (Tratto da: Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace”- vol. 3 )

Festa di Tutti i Santi – Le beatitudini sono la buona notizia … vivendole possiamo contribuire efficacemente a sciogliere le conflittualità , a ricucire le situazioni lacerate dalla violenza e dall'odio .

santiOggi facciamo memoria della comunione dei santi, contempliamo la mietitura di tutti i sacrifici viventi offerti a Dio, celebriamo la festa in cui risplende più che mai il corpo di Cristo nella storia.
Nella fede viviamo un grande mistero: i morti per Cristo, con Cristo e in Cristo sono con lui viventi e, poiché noi siamo membra del corpo di Cristo ed essi membra gloriose del corpo glorioso del Signore, siamo in comunione gli uni con gli altri, chiesa pellegrinante con chiesa celeste, insieme formanti l’unico e totale corpo del Signore.
Ma cos’è la santità, che oggi noi meditiamo e cantiamo quale vocazione di ogni uomo e di ogni donna?
La risposta a questa domanda ci viene dal brano evangelico delle beatitudini, le acclamazioni di Gesù con cui si apre il «discorso della montagna» (cf. Mt 5,1-7,27).
Le beatitudini non possono essere lette solo come un testo poetico o dai forti contenuti morali, o ancora come un brano sapienziale: in verità esse sono buona notizia, Vangelo, in quanto atteggiamenti vissuti radicalmente da Gesù e, come tali, devono diventare lo stile di vita del cristiano. ( E. Bianchi )
 

”Le beatitudini sono atteggiamenti che risanano l’umanità , soprattutto nel drammatico momento storico attuale. Se viviamo le beatitudini della povertà, della mitezza e della misericordia, possiamo contribuire efficacemente a sciogliere le conflittualità , a ricucire le situazioni lacerate dalla violenza e dall’odio ….

Se diventiamo operatori di pace  possiamo sconfiggere la violenza verbale con parole di bonta’.

Se abbiamo un cuore puro possiamo far risplendere la luce della speranza anche nella notte più oscura del mondo .

Tra i santi non ci sono solo i santi presso Dio.

E’ pure bello ricordare tutti quei santi non canonizzati, ma che sappiamo partecipi della gloria di Dio come i molti martiri del nostro tempo che sono morti per il nome di Gesù, fino agli ultimi uccisi in Pakistan qualche giorno fa. ( C.M.Martini )

 
Siamo  chiamati ad accogliere le beatitudini quale interrogativo e pungolo che mette in questione la nostra fede, la nostra sequela del Signore Gesù e, più precisamente, la nostra gioia e felicità nel vivere il Vangelo. Sì, perché le beatitudini riguardano il rapporto tra fede e felicità!
Ora, sappiamo bene che la beatitudine, la felicità deriva innanzitutto dall’avere un senso nella propria vita, dal possedere una direzione, una ragione per cui vivere: e solo quando gli uomini conoscono una ragione per cui vale la pena perdere la vita, cioè morire, essi trovano anche una ragione per vivere.
Ebbene, le beatitudini aiutano a scoprire questa ragione e così consentono di dare un «senso» alla vita, all’operare dell’uomo: per nove volte Gesù proclama beati quanti vivono alcune precise situazioni, in grado di facilitare il loro cammino verso la piena comunione con Dio. Egli ci rivela che la beatitudine non viene da condizioni esterne, non viene dal benessere, dal piacere, dal successo, dalla ricchezza; essa nasce invece da precisi comportamenti destinatari di una promessa di felicità da parte di Dio, comportamenti che vanno assunti nel cuore e manifestati nella vita quotidiana.
  Essere poveri nello spirito, nel cuore, cioè aderire alla realtà ed essere liberi al punto da accogliere le umiliazioni e accettare di sottomettersi ogni giorno ai fratelli; essere capaci di piangere, grazie a un cuore toccato dalla propria e altrui miseria; assumere in profondità la mitezza, lottare per rinunciare alla violenza in ogni sua forma; avere fame e sete che regnino la giustizia e la verità; essere puri di cuore, cioè avere su tutto e su tutti lo sguardo di Dio; praticare la misericordia e fare azione di pace; essere perseguitati e calunniati per amore di Gesù: tutto questo significa conoscere la beatitudine già qui, in questa vita, e poi nel «mondo che verrà», quello in cui Dio regna definitivamente.
Chi si trova in queste situazioni, chi a fatica cerca di assumere questi atteggiamenti, ascoltando le parole di Gesù può conoscere che l’azione di Dio è a suo favore: e così sperimenta la beatitudine, giunge alla consapevolezza che il giudizio di Dio è un giudizio beato, che sarà per lui gioia e buona notizia.
Nulla da temere dunque nel giorno del giudizio (cf. 1Gv 4,17-18), nel tempo della mietitura, ma anzi l’attesa che il giudizio si compia e siano finalmente stabilite la giustizia e la verità negate sulla terra.
Ecco la domanda decisiva: è possibile al cristiano trovare gioia nel vivere le beatitudini qui e ora?
Essa ha ricevuto e riceve una risposta positiva, non però in modo trionfale, non attraverso forme eclatanti agli occhi del mondo, bensì nelle vite quotidiane, sovente nascoste, di uomini e donne: i santi, persone che, nonostante le loro contraddizioni e il loro peccato, cercano di seguire Gesù vivendo il suo stesso stile di vita, lo stile delle beatitudini.
Davvero «noi non siamo soli, ma siamo avvolti da una grande nuvola di testimoni» (Eb 12,1), i santi: con loro formiamo il corpo di Cristo, con loro siamo i figli di Dio, con loro saremo una cosa sola con il Figlio nel Regno. ( E. Bianchi )

XXX domenica del T.O. – Consegnarsi interamente alla misericordia di Dio, non avendo niente da presentare che meriti il perdono.

fariseo e pubblicano rrLuca ha preso la parabola dalla tradizione propria, inquadrandola in una introduzione ( v 9 ) e una conclusione ( v. 14 b) redazionali, reinterpretandola così per i suoi lettori.
   In origine non si tratta di un insegnamento sulla preghiera; l’immagine di due uomini fotografati mentre pregano è soltanto il modo di coglierli nell’occasione più significativa per dire qualcosa a Dio, sul suo amore per gli emarginati, e nello stesso tempo criticare una pietà sbagliata.
         Luca invece da un orientamento parenetico al racconto, ponendo al centro dell’interesse il comportamento morale di questi due uomini ….  (Gérard Rossé: Il vangelo di Luca: commento esegetico teologico)
 L’evangelista scrive che Gesù disse questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti dove giusti significa “a posto con Dio” – e disprezzavano gli altri.
 E presenta gli antipodi della società di Israele, il Santo per eccellenza, il Fariseo, la persona che, come dice il nome (fariseo significa separato), si separa dagli altri attraverso la pratica religiosa, le osservanze, addirittura maniacali, e la persona ritenuta la più impura, la più distante da Dio, il pubblicano, un individuo che, anche se volesse, non può più cambiare quel mestiere che lo rende impuro. ( A. Maggi )
 Il fariseo innalza una preghiera di ringraziamento a Dio.
Nella prima parte ( v. 11b) mette in luce la sua impeccabilità nei confronti del decalogo: egli non ha trasgredito la legge. …
La preghiera del fariseo, nonostante le apparenze, è ben ambientata, e non ha dunque nulla di riprovevole, neppure quando aggiunge “ come questo pubblicano” dal quale prende giustamente le distanze…
  Il fariseo sa anche che questa sua vita così impeccabile, di cui può essere fiero, è un dono di Dio; per questo egli lo ringrazia.
         Nella seconda parte della preghiera, il fariseo elenca le sue prestazioni.
Non solo osserva i comandamenti della legge, ma fa di più di quanto la legge prescrive. Egli nomina due opere meritorie che corrispondono alla pratica farisaica del tempo di Gesù:
–         Digiuna due volte la settimana. Oltre al digiuno pubblico obbligatorio, il giorno dell’Espiazione ( Lv 16,29-31; Nm 29,7)  a qualche digiuno pubblico occasionale ( cf Ne 9,1) ; ai digiuni privati, esisteva anche un digiuno volontario regolato, per i giorni di lunedì e di giovedì. Questa pratica serviva a colmare eventuali omissioni e trasgressioni involontarie del fariseo, ed era anche intesa come espiazione per il popolo.
 –        La decima era richiesta al contadino su frumento, olio e vino, e sul primogenito del bestiame ( Dt 12,17; 14,22-29) . Nell’incertezza che il contadino abbia assolto a questo dovere, il fariseo paga la decima sui prodotti in questione, o più in generale, su tutti i prodotti della terra che compra al mercato ( Mt 23,23) , o addirittura paga la decima su tutto quanto acquista, come lascia intendere l’affermazione del v, 12b.
       Anche in questa enumerazione il fariseo non esagera, ma dice la verità.
La descrizione presenta dunque un condensato di osservanze e di prestazioni che permette all’ascoltatore della parabola di porre il fariseo nella definizione del “pio” o “ devoto”.
 Il pubblicano stava a “distanza”: inutile localizzare la sua posizione del tempio; è il posto che compete a chi è lontano da Dio.
  Due gesti dicono la sua condizione di grande peccatore:
    Non voleva, cioè non osava alzare gli occhi al cielo: atteggiamento spesso, ma non necessariamente ( cf 1 En 13,5) messo in relazione col pregare ( Mc 6, 41; Gv 11,41; 17,1) ; nel pubblicano, denota un o stato di vergogna, di confusione;
     Si batteva il petto , sia in segno di pentimento, sia come gesto di disperazione.
   La preghiera del pubblicano è molto concisa e ricorda l’inizio di Sal 51,1; egli si consegna interamente alla misericordia di Dio, non avendo niente da presentare che meriti il perdono.
   Il ritratto del pubblicano fatto da Gesù corrisponde all’opinione che il giudeo ha di Lui: un peccatore, non un uomo ingiustamente giudicato dalla società, un santo misconosciuto , anche se l’evangelista vi leggerà poi l’atteggiamento di un individuo particolarmente umile.
   Il pubblicano sa di essere  interamente  peccatore; non si dà neppure la pena di enumerare – in un parallelismo  antitetico con il fariseo – l’elenco dei suoi peccati.
Non ha altra scelta che riconoscersi tale e implorare la misericordia divina, l’unica cosa che può chiedere, non avendo nulla di buono da offrire a Dio, neanche la sua conversione, (perché, secondo l’opinione comune, essa aveva valore e poteva suscitare il perdono dopo una lunga preparazione; nel caso del pubblicano egli avrebbe dovuto abbandonare il suo mestiere e restituire al 120 per cento tutto ciò che aveva disonestamente acquisito. )
     Se non si fosse trattato di caricatura gli ascoltatori di Gesù non avrebbero avuto difficoltà a riconoscere nella descrizione del fariseo il tipo di uomo giusto davanti a Dio, un modello da ammirare; e un quella del pubblicano un peccatore senza scampo.
   Con un solenne “ vi dico” Gesù afferma di conoscere e di proclamare il giudizio di Dio: “ vi dico questi discese giustificato e non l’altro”.
    La risposta di Gesù doveva apparire sconcertante e scandalosa.

Il pubblicano che si riconosce  peccatore è proclamato gradito a Dio ( senza dover fare penitenza … ) ( Gérard Rossé: Il vangelo di Luca: commento esegetico teologico)

 Quella che Gesù ha presentato è una novità che forse ancora non riusciamo a comprendere ma che ci deve spingere a questo imperativo: Il Signore non ci chiede di essere santi, perché la santità separa dagli altri, forse avvicinerà a Dio, ma inevitabilmente allontana dal resto della gente (la santità intesa come osservanza di regole, di pratiche religiose).
Gesù ci chiede di essere la carezza compassionevole del Padre per ogni creatura; non amare l’altro per i suoi meriti, ma per i suoi bisogni. ( A. Maggi )
Sì, l’autentico incontro con Dio e con Gesù Cristo coincide … con la scoperta dell’abissale distanza che lo separa dal Signore.
Ecco perché la preghiera: «O Dio, abbi pietà di me peccatore» è quella che meglio esprime la nostra condizione: siamo chiamati a riconoscere le nostre cadute e ad accettare che Dio le ricopra con la sua inesauribile misericordia, l’unica cosa veramente necessaria nella nostra vita…   (E. Bianchi)

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