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tirisan

La festa di halloween: puntualizzazioni del nostro Vescovo.

hall m

Ai Parroci, ai Rettori, ai Religiosi,
a tutti gli operatori pastorali della Chiesa di Cefalù

Fratelli e figli carissimi nel Signore,
 nella prossimità della Solennità di tutti i Santi e della Commemorazione dei defunti sento forte l’esigenza, come Pastore della Nostra amata Chiesa cefaludense, di consegnarvi delle indicazioni pastorali.
Anche quest’anno sicuramente ci ritroveremo ad assistere ad una carrellata di preparativi per la tanto pubblicizzata festa di halloween. Nel rispetto dei cambiamenti culturali e sociali del nostro tempo, ritengo che non possiamo fermarci ad essere semplici spettatori di fronte all’incalzare di mode che tendono a cancellare dai nostri calendari appuntamenti che sono le colonne portanti per il cammino di fede di ogni cristiano. La festa di halloween ne è una esplicitazione in modo inequivocabile. Pertanto, le mie puntualizzazioni sono dettate esclusivamente dal desiderio di trasmettere alle nuove generazioni i valori più preziosi della tradizione cristiana. Valori che vanno gelosamente custoditi e testimoniati con scelte personali. Sono da evitare possibili mimetizzazioni o innesti con feste pagane le cui origini si distanziano e si oppongono con le radici cristiane e il ricco patrimonio di fede dei nostri antenati.
Il 4 ottobre scorso in occasione dell’apertura del nuovo anno pastorale insieme abbiamo avuto modo di riflettere sulle tante emergenze educative del nostro tempo. Risvegliare la passione educativa è la bussola che deve guidare i percorsi pastorali delle comunità cristiane della nostra Diocesi.
Presbiteri, diaconi, religiosi, catechisti, insegnanti di religione, gli operatori pastorali tutti, devono sentirsi personalmente e direttamente chiamati e coinvolti, in una immediata opera di sensibilizzazione all’interno delle nostre comunità cristiane, che dia luce e identità alla Solennità di tutti i Santi e alla commemorazione dei fedeli defunti. Adolescenti e giovani hanno bisogno di comunità cristiane forti e mature che riescano ad indirizzarli verso traguardi di crescita consapevole e responsabile della fede cristiana.
Non diamo tregua alla nostra missione di educatori. Progettiamo con creatività, vivacità, dinamicità.
Nelle parrocchie risulterà opportuno organizzare incontri che aiutino a riflettere sul senso della vita, sulla vocazione alla santità, sulla speranza, sull’aldilà. Si creino momenti di riflessione anche attraverso la visione di film e letture di testi, che siano da stimolo per tutti per comprendere la storia del nostro tempo con i suoi travagli, i suoi bisogni ed essere educati a diventare cristiani che facciano della storia il luogo per eccellenza dove costruire il cammino di santità.
Infine, esorto i parroci a non concedere locali che vengano utilizzati anche da altri per incontri o serate legate alla festa di halloween anche con fini apparentemente innocui per i nostri bambini.
Affidandomi alla vostra opera educativa, vi assicuro la mia preghiera e vi benedico.
Cefalù 23 Ottobre 2013

firma manz m

XXIX Domenica del T.O. – la vedova ostinata diventa vedova orante, e quindi modello di comportamento per il credente, esempio incrollabile dell’intervento divino che farà giustizia.

vedova e il giudiceLa parabola del giudice e della vedova presenta il comportamento:    
* di un giudice iniquo che non teme Dio né il prossimo, ma che finisce per fare giustizia alla vedova;
 *  della vedova in questione, esempio tipico della gente povera e indifesa, che riesce ad averla vinta a forza di insistere.
 Il tema del diritto leso del povero da parte di giudici ingiusti appartiene al repertorio delle denunce profetiche ( Am 5; 12; Is 10,1-2; Ger 5, 20 etc..).
  La parabola mette quindi in scena un caso classico per invitare alla preghiera incessante, tema molto vicino all’applicazione della parabola dell’amico importuno ( Lc 11,5-8) , al punto che c’è chi parla di parabole gemelle.
   Il racconto proviene dalla tradizione propria; luca l’ha inquadrato con una introduzione ( v. 1) che manifesta come l’evangelista vuole che il lettore capisca la parabola , e con una finale ( v. 8b) che menziona il  Figlio dell’uomo e aggancia così la parabola al “ discorso escatologico” precedente …
La parabola serve da conclusione alla “ piccola apocalisse” ( lo conferma la scelta di una scena di giudizio): è del tutto normale che l’evangelista voglia concludere il discorso della venuta del Figlio dell’uomo con un appello alla preghiera e quindi con un richiamo alla vigilanza.
    Nello stesso tempo, Luca ha unito il nostro racconto alla parabola successiva del fariseo e del pubblicano ( vv 9-14) : le due parabole formano insieme un piccolo catechismo sulla preghiera: la necessità della preghiera incessante ( vv 1-8) e  un insegnamento sul modo di pregare bene ( vv 8-14) ( Gérard Rossé: Il vangelo di Luca: commento esegetico teologico )
 Credete, o fratelli, che Dio non sappia di che abbiamo bisogno?
Conosce e prevede i nostri desideri, lui che conosce bene la nostra povertà.
Perciò, quando insegnò a pregare, disse anche ai discepoli di non essere verbosi nelle loro preghiere: “Non dite molte parole; il Padre vostro sa già di che avete bisogno, prima che glielo chiediate” (Mt 6,7). Ma se il Padre nostro sa di che abbiamo bisogno già prima che glielo chiediamo, che bisogno c`è di chiederglielo, sia pur brevemente? Che motivo c`è per la stessa preghiera, se il Padre sa di che abbiamo bisogno?
Par che dica: Non chiedere a lungo; so già che cosa ti serve. Ma, Signore mio, se lo sai, perché dovrei chiederlo? Tu non vuoi ch`io faccia una lunga preghiera. Ma, mentre in un luogo si dice: “Quando pregate, non usate molte parole” (Mt 6,7), in un altro si dice: “Chiedete e vi sarà dato” (Mt 7,7), e perché non si pensi che sia una frase detta casualmente, viene anche aggiunto: Cercate e troverete (ibid.).
E poi ancora, perché si capisca che la cosa è detta di proposito, dice a modo di conclusione: “Bussate e vi sarà aperto (ibid.). Vuole, dunque, che tu chieda, perché possa ricevere; che cerchi, per trovare; che bussi, per entrare.
Ma se il Padre sa già di che abbiamo bisogno, perché chiedere perché cercare, perché bussare? Perché affaticarci a chiedere, a cercare, a bussare? Per istruire colui che sa tutto? In altro luogo troviamo le parole del Signore: “Bisogna pregare sempre, senza venir mai meno” (Lc 18,1).
Ma se bisogna pregare sempre, perché dice di non usar molte parole nella preghiera? Come faccio a pregar sempre, se devo finir presto? Da una parte mi si dice di pregar sempre, senza venir mai meno, e dall`altra di essere breve. Che cosa è questo? E per capire questo, chiedi, cerca, bussa.
E` astruso, ma per allenarti. Dunque, fratelli, dobbiamo esortare alla preghiera noi e voi. In questo mondo, infatti, non abbiamo altra speranza che nel bussare con la preghiera tenendo per certo che, se il Padre non dà qualche cosa, è perché sa che non è bene. Tu sai che cosa desideri, ma lui sa che cosa ti giova. Pensa di essere malato – e siamo malati, perché la nostra vita è tutta una malattia e una lunga vita non è che una lunga malattia. Immagina, allora, che vai dal medico.
Ti vien di chiedere che ti faccia bere del vino. Non t`è proibito di chiederlo, purché non ti faccia male. Non esitare a chiedere, non indugiare; ma se te lo nega, non ti scomporre. Se è cosí col medico della tua carne, quanto piú con Dio, Medico, Creatore e Redentore della carne e anima tua?       (Agostino, Sermo 80, 2)
 
Con il versetto introduttivo, l’evangelista vuole presentare la parabola come “ l’applicazione parenetica  del discorso escatologico “: è necessario pregare sempre e senza stancarsi.
La formulazione ricorda le raccomandazioni di Paolo ( 1 Ts 5,17) che sono entrate a far parte delle esortazioni tradizionali della Chiesa.
 Il versetto conclusivo ( v. 8b)  permette di cogliere in quale prospettiva Luca insite sulla preghiera: essa è necessaria nel tempo che precede la venuta del Figlio dell’uomo per non perdere la fede.
La preghiera è quindi vista non come un pio esercizio, ma come l’atteggiamento fondamentale del credente nel tempo prima della Parusia ( J Ernst, op.cit., p. 493); Luca sembra far coincidere la preghiera con la vita e l’essere del cristiano; essa costituisce  il contenuto dell’attesa escatologica, atteggiamento attuale della vigilanza che deve improntare il presente dell’esistenza. Beninteso, Luca non esorta a pregare ininterrottamente, ma ad una esistenza che non dimentichi mai la preghiera.
 Mediante questa introduzione, l’evangelista dà l’orientamento parenetico alla parabola stessa: la vedova ostinata diventa vedova orante, e quindi modello di comportamento per il credente, esempio incrollabile dell’intervento divino che farà giustizia.
 Segue la presentazione degli attori:
il giudice …. corrisponde al tipo dell’oppressore nel campo della giustizia sociale …e una vedova, persona debole, senza protezione ….la situazione della vedova simboleggia quella degli “ eletti”, della comunità in preda a alle tribolazioni che caratterizzano la fine dei tempi.
La comunità implora e grida senza stancarsi l’intervento prossimo di Dio, la venuta tanto desiderata del “ giorno del Figlio dell’uomo”
Di certo “ Dio farà giustizia”, egli libererà i suoi dalle tribolazioni che l’evangelista vede concretizzate nelle persecuzioni del suo tempo.
 Si riflette una situazione nella quale la Chiesa sperimenta il ritardo della Parusia ma rimane convinta della sua imminente venuta. …. L’intervento di Dio non solo è sicuro ma accadrà prontamente, in contrasto con il tergiversare del giudice della parabola. Dio farà giustizia entro poco: è una promessa fatta ai credenti, più che una minaccia contro gli oppressori.
   L’insieme termina con una domanda dove appare, inatteso, il motivo del “ Figlio dell’uomo” e della “ fede”; si tratta di una riflessione finale fatta dal redattore.
 Introducendo il titolo “ Figlio dell’uomo” al posto di Dio, Luca riaggancia la parabola alla “ piccola apocalisse” di Lc 17,22-37; e col tema della fede, si ricollega a quello della preghiera incessante che introduce la parabola…
  La preghiera mantiene il credente nella “ fede”, attento al futuro di Dio.
 Il termine “ fede” usato all’assoluto e con l’articolo, non si riferisce di conseguenza alla fede compresa come un corpo dottrinale, ma alla fede come esistenza del cristiano vissuta nella vigilanza e nella fedeltà: fedeltà al vangelo ( amore) e nelle prove ( persecuzioni, pericolo della ricchezza, minaccia di false dottrine)
  Con la riflessione del versetto 8b Luca mette per così dire un freno a un’attesa tutta concentrata sulla venuta nella Parusia: il problema non è se l’intervento divino avverrà presto, ma se il credente sarà pronto.
 La domanda conclusiva dell’evangelista rimane senza risposta: non è tuttavia una riflessione pessimista sul futuro della Chiesa, ma una conclusione che da alla parabola il tono di alla vigilanza e alla perseveranza. Importa essere pronti quando il Figlio dell’uomo verrà. ( Gérard Rossé: Il vangelo di Luca: commento esegetico teologico )
 

Messaggio dei Vescovi di Sicilia ai fedeli e agli uomini di buona volontà all’indomani della tragedia di Lampedusa.

Immigrazione: emergenza Lampedusa, ieri oltre mille migrantiRiuniti per la consueta sessione autunnale a Siracusa nel 60° anniversario della lacrimazione della Beata Vergine Maria, noi, Vescovi di Sicilia, abbiamo trattato i temi concernenti la vita delle nostre Chiese.
Da un lato, abbiamo avuto presente la catastrofe sconvolgente dei naufraghi nelle acque di Lampedusa e, dall’altro, i giovani che abbiamo incontrato in un’esperienza di fraternità e di comunione.
In questa città è stato immediato riandare con la memoria all’apostolo Paolo, qui approdato da Malta e rimasto per tre giorni (cfr At 28,11-12), e rivivere con lui, attraverso il racconto del libro degli Atti degli Apostoli, la forte tensione drammatica delle sciagure in mare con gravissimi e ripetuti rischi per la vita.
Ci siamo lasciati interrogare dalle migliaia di persone morte nel nostro mare Mediterraneo, provocati dai gesti e dalle parole di Papa Francesco nel corso della sua visita a Lampedusa dell’8 luglio scorso.
Il Papa continua a riproporci l’interrogativo: “Dov’è tuo fratello?” e torna a metterci in guardia dalla “globalizzazione dell’indifferenza che ci rende tutti «innominati», responsabili senza nome e senza volto”. E di fronte a tanti morti non ci siamo sottratti alla nostra responsabilità pastorale per rivolgere una parola accorata ai fedeli e alle persone di buona volontà.
 
Questi morti, e le migliaia che negli anni sono stati travolti in queste acque, chiedono verità, giustizia e solidarietà. È ora di abbandonare l’ipocrisia di chi continua a pensare che il fenomeno migratorio sia un’emergenza che si auspica ancora di breve durata. La consapevolezza che spregiudicati criminali speculano sul dolore di persone in fuga dalle persecuzioni e dalle guerre non può far pagare a questi ultimi la malvagità dei mercanti di morte. Il grido di aiuto e la domanda di soccorso non possono lasciare freddi o indifferenti noi e quanti, per cultura e per sensibilità, sentiamo forte a partire dal Vangelo il senso dell’accoglienza e del dialogo.
 
La gente di Lampedusa, alla quale va la nostra gratitudine e la nostra ammirazione per l’instancabile apertura di cuore nei confronti di quanti hanno cercato approdo tra loro, ha mostrato al mondo il valore e l’efficacia dei gesti semplici e significativi del quotidiano: la vicinanza, il soccorso, il pianto, la collera, la pazienza. E nello stesso tempo ha dimostrato l’inutilità controproducente di talune risposte istituzionali che non hanno contribuito a risolvere il problema, ma anzi hanno moltiplicato il numero delle vittime.
 
Di fronte a tanto dolore, che sembra non aver fine, occorre cambiare atteggiamento a partire dalle nostre comunità e coinvolgendo quanti si sentono interrogati da questa sfida umanitaria. A tal proposito invitiamo a vivere il prossimo Avvento come tempo di fraternità e di condivisione nella luce del mistero dell’incarnazione. Solo facendoci prossimi ai nostri fratelli ultimi, infatti, potremo dare un senso alla celebrazione liturgica del Figlio di Dio fatto uomo. Sarà un’occasione propizia per approfondire la conoscenza del fenomeno migratorio, liberandosi da pregiudizi e luoghi comuni; per studiare forme possibili di aiuto e di solidarietà verso gli immigrati; per sollecitare interventi politici ai diversi livelli che contribuiscano ad affrontare realisticamente il problema e a elaborare soluzioni efficaci.
 
Gli innumerevoli morti (uomini, donne, bambini), che sono seppelliti nel Mediterraneo con la loro speranza di vita e di libertà, scuotono le nostre coscienze con il loro grido di giustizia. Che il nostro silenzio e la nostra inerzia non vanifichino il loro sacrificio.
 
Ai nostri giovani, per primi, abbiamo affidato questo messaggio e questa consegna, certi che sapranno dare voce e cuore alla speranza. A loro ci rivolgiamo con le parole dei padri conciliari nel cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II perché saranno loro a raccogliere il meglio dell’esempio e dell’insegnamento dei genitori e dei maestri per formare la società di domani: “Costruite nell’entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!”.
 
Siracusa, 12 ottobre 2013                           
 
       I Vescovi delle Chiese di Sicilia
 

XXVIII Domenica del T.O. – Il lebbroso guarito che ritorna è il simbolo della creatura che Gesù predilige perché appartiene alla grande schiera delle beatitudini..

Gesù incontra i lebbrosiNella sua salita a Gerusalemme Gesù attraversa la Samaria e la Galilea, e mentre passa in un villaggio gli vengono incontro dieci persone affette da lebbra. ( E. Bianchi )
Quando nei vangeli appare il termine “villaggio”, si intende sempre ostilità, incomprensione o rifiuto del messaggio di Gesù.  Perchè il villaggio è il luogo ancorato alla tradizione, il luogo sottomesso alla città. … il luogo della tradizione ad oltranza e l’incomprensione o il rifiuto del messaggio di Gesù.  …
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi
Non è possibile. I lebbrosi non potevano stare in un villaggio. I lebbrosi, in quanto infetti, causa di infezione, dovevano stare fuori dal villaggio.
Come mai qui l’evangelista ci dice che questi lebbrosi stanno dentro al villaggio?
L’evangelista, al di là del racconto storico, ci vuole dare indicazioni preziose: quanti vivono all’interno della tradizione, quanti vivono sottomessi alla religione tradizionale, sono come i lebbrosi, cioè sono impuri. Non hanno nessuna possibilità di contatto con Dio. Questi sono lebbrosi proprio perché stanno dentro al villaggio.
E qui l’atteggiamento di questi lebbrosi è abbastanza strano. Si fermarono a distanza.
Da una parte l’evangelista ha detto che gli vennero incontro, e dall’altra si fermano a distanza.
 Da una parte trasgrediscono alla legge che impediva ad un lebbroso di avvicinarsi alle persone, ma dall’altra la osservano.
Attraverso l’immagine di questi lebbrosi l’evangelista vuol far vedere il difficile cammino dei discepoli, che sono affascinati dalla parola di Gesù, dalla libertà che il suo messaggio comporta, ma sono ancora schiavi della tradizione religiosa che hanno nel sangue.
 Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti»
Gesù non li guarisce,… li invita ad uscire dal villaggio …ad abbandonare il luogo della tradizione, della tradizione religiosa, dove vige l’imperativo, questa sì che è l’autentica lebbra che impedisce agli uomini il rapporto con Dio. Si è sempre fatto così, perché cambiare? ( A Maggi )
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù
…Io penso che tutte le nostre tristezze sono dovute alla incapacità di percepire la novità, l’evento non previsto dalla legge e non sottoposto a nessuna garanzia se non a quella della coscienza.
Questo samaritano solitario, che si sottrae al gruppo e va per gratitudine verso chi lo aveva salvato, è il simbolo della creatura che Gesù predilige perché appartiene alla grande schiera delle beatitudini.
E’ povero di spirito, umile, è un puro di cuore, è pacifico; vive cioè in questo mondo come uno straniero.
La verità evangelica è sempre straniera a questo mondo in quanto essa non trova mai, in nessun posto, il suo luogo di adempimento.
L’adempimento è nel futuro.
La sua legge interna di gravitazione la porta ad uscir fuori dal cerchio di coloro che sono relativamente o pienamente soddisfatti di sé, verso gli altri, verso il mondo dei lebbrosi.
          Questo è il mistero della parola di Dio che dentro ci insegue.
  Per poter inseguire questa parola dobbiamo sdivezzarci da quell’autentica lebbra dell’anima che è l’abitudine, la meccanica dei gesti sacri, la soddisfazione dell’esser secondo la legge, l’accettazione degli schemi di condotta fissati dalla morale dominante nel nostro ambiente.
Questa parola che corre ci dà appuntamento nello sterminato mondo di coloro che sono diversi, un mondo che ci lambisce i piedi, che non va perseguito soltanto lungo la carta geografica perché è in casa nostra, lo abbiamo con noi.
Per una omogeneità con la vastità del mondo, ciò che è vicino e mi inquieta perché non riesco a comprenderlo mi rimanda al vasto mondo dove la parola di Dio va come in un deserto, in attesa di fruttificare.
Questa ampiezza non è utopistica, vaga e irrazionale, ha i suoi punti di verifica concreti in ciò che noi sperimentiamo e in ciò che noi viviamo.
La parola di Dio è riconoscibile non nelle assimilazioni codificate dei testi sacri, non nelle elaborazioni utili ma ambigue e pericolose dei grandi intelletti che ci forniscono la formulazione teologica, ma nella sua corsa esistenziale.
Allora, io penso che una qualità – non posso dire molto di più – che dovremmo tener viva nella nostra coscienza è la capacità di aver stupore, di sorprenderci in uno stato di stupore dinanzi a ciò che avviene.
La parola di Dio nasce la mattina, non è di ieri.
I libri che leggo son tutti antichi, anche la Bibbia è un antichissimo libro che fa numero con gli antichi libri, ma il vero luogo della Parola non è la carta o il papiro o la pergamena, è la carne vera dell’umanità, questa parola c’è, corre ed io devo stupirmi nel riconoscerla.
Quando uno non è capace di esser grato vuol dire che è perfettamente integrato. La gratitudine vera è quella che ci coglie nell’intimo, anche di fronte ad un’alba, ad un cielo stellato, al sorriso di un bambino, ad un povero felice, a villaggi lontani che vivono nell’estrema miseria e cantano con gioia, … Qualcosa che non rientra nei nostri schemi mentali.
Se noi non riusciamo a stupirci dell’inatteso, che è il volto di Dio nel mondo, noi abbiamo già incatenato la parola, l’abbiamo fatta prigioniera ed essa è putrida.
Come la manna custodita oltre il giusto diventava insopportabile per il maleodore, casi la parola di Dio che abbiamo incatenato puzza, non sa di nulla, non dice nulla a nessuno per colpa nostra.
Dobbiamo riaprire l’animo allo stupore del corso della parola di Dio che segue vie impensabili. Ciascuno di voi forse, mentre dico alla meglio queste cose, nel filo della sua memoria ha punti di riferimento.
 La parola che ho colto oggi nel Vangelo, l’esaltazione della gratitudine, mi ha fatto venire in mente anche questo aspetto che vorrei raccomandarvi soprattutto perché – non so se sbaglio – mi sembra di avvertire nei segni pubblici e privati, l’alta marea della tristezza, della stanchezza e l’abbandono alla ripetizione del già saputo, del già detto e la mancanza della creatività.
Siamo una steppa che non ha più germogli.
Occorre dunque ritrovare i rivoli lontani della gratitudine verso il creato, o verso la creazione, o verso le cose che ci vengono incontro con la freschezza del mattino e che non sono codificate in nessun erbario, in nessuna enciclopedia.
Usciamo dalla tristezza quando ci accorgiamo che non è affatto vero che la creazione si è chiusa, non è affatto vero che noi abbiamo definito per sempre che cosa è la verità.
La verità non è nei nostri concetti vecchi, è nel palpito dei cuori, è nell’ansia della liberazione, è nell’amore reciproco fra l’uomo e la donna, è nel bambino che cresce, … La verità cammina e noi dobbiamo avere occhi adatti per questa alba che c’è.

(Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” vol. 3)

 
 
 

I concili nei secoli
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I° CONCILIO DI NICEA



I° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



I° CONCILIO DI EFESO



I° CONCILIO DI CALCEDONIA



II° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



III° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



II° CONCILIO DI NICEA



IV° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



LETTERA A DIOGNETO


I° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



IV° CONCILIO LATERANENSE



I° CONCILIO DI LIONE



II° CONCILIO DI LIONE



CONCILIO DI VIENNA



CONCILIO DI COSTANZA



CONCILIO DI BASILEA



V CONCILIO LATERANENSE


CONCILIO DI TRENTO



CONCILIO VATICANO I°

Incontri sulla Dei Verbum
Incontri sulla “ DEI VERBUM” Comunità Itria dal 26 Novembre 2018. Per accedervi click sull’icona che scorre di seguito .
Introduzione alla lectio divina
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