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P. Giuseppe Puglisi: una testimonianza di P. Giuseppe Bellia

P Giuseppe BelliaAvvicinandosi il giorno della beatificazione di P. Giuseppe Puglisi, una testimonianza don pinodi Padre Giuseppe Bellia, docente di teologica biblica presso la Pontificia facoltà “San  Giovanni evangelista” di Palermo, e parroco di Santa Maria della Mercede in pieno centro a Catania, pubblicata su LiveSicilia-Catania.
Spiega don Giuseppe:“ Lui ha tentato di togliere quella manovalanza su cui l’ignoranza fa progredire i futuri uomini di mafia, ma non fu  un prete antimafia”. ….. “La gente mi sembra indifferente, non c’è il seguito popolare degno di un martire
Di seguito il testo dell’intervista.
Quale insegnamento ci consegna la beatificazione di Don Pino Puglisi?
“Dovrebbe essere innanzitutto un incoraggiamento per la Chiesa, per le chiese di Sicilia. Un incoraggiamento che ha gradualità diverse, a seconda di come viene recepito dai vescovi, dai preti, dai cristiani che frequentano le comunità. E poi, così, dei siciliani in genere. Ognuno dovrebbe trarne uno stimolo a capire che tutto ciò che si fa per la giustizia, per la verità, per il bene, è gradito a Dio. Ed è gradito pure agli uomini. Questo è l’insegnamento minimale. C’è un rischio però…”
Quale?
 “Quello cioè che queste celebrazioni possano ingessare i nostri martiri, quasi imbalsamandoli. Sa come si dice: lui è stato bravo, noi invece continuiamo a fare la nostra vita. Invece bisogna cogliere l’elemento dell’ordinarietà quotidiana”.
Catania ha sant’Agata, una martire, come patrona. Esiste qui una educazione alla martiria, alla testimonianza, allo stesso martirio di sangue?
“In passato sì. Catania ha offerto molte vocazioni. Ad esempio, tra le primissime petit soeur di Charles De Foucauld c’erano appunto delle catanesi. Ultimamente mi sembra però una città, una chiesa, addormentata. Mi sembra che condivida le sorti di tutta la Chiesa italiana e siciliana in particolare. A cui si aggiungono quelle caratteristiche tipicamente catanesi di sonno e di distrazione. Su questo bisognerebbe saper indagare con lealtà e con coraggio”.
Al momento Don Puglisi è l’unico prete vittima della mafia. In una terra dalla profonda tradizione cattolica questo dato non suona come un paradosso?
“Certo. Questo ci interpella. Ci interroga. Ci dovrebbe pure inquietare. Eppure in Sicilia c’è stato un forte movimento dei preti antimafia. Su questo si dovrebbe fare chiarezza. Puglisi non era un prete antimafia. Si può essere un po’ salottieri nell’essere antimafia, si può essere secondo le tendenze, mentre ciò che sconfigge la mafia è una onesta di fondo. Appunto perché uno vuole rendere a Dio di ciò che fa. Ogni volta che uno vuole rendere conto a Dio si trova contro il muro del male, della menzogna e della violenza”.
Padre Puglisi cosa ha fatto nel concreto?
“Lui ha tentato di togliere quella manovalanza su cui l’ignoranza fa progredire i futuri uomini di mafia. Uomini che, il più delle volte, come nel caso del pentito che ha ucciso Puglisi, sono delle semplici marionette. L’opera di Padre Puglisi è stata quella appunto di seminare speranza. Perché tutte le volte che un uomo, ed in particolare un prete, può fare credere che una situazione di invivibilità può cambiare, lì c’è profezia”.
Come predicare un Dio ai mafiosi visto che ne conoscono già uno dai tratti molto prossimi a quello del cristianesimo?
“Sì, molto simili, diciamo, nella coreografia esterna, nel ritualismo, non nella liturgia profonda. Non basta avere santini. Semmai c’è una duplice lettura che si può fare. Da una parte è vero, ci sono alcuni scritti, penso a Cavadi, che si sono occupati di questa mimesi mafiosa di aderire ad una ritualità culturalmente condivisa. Dall’altra parte però noi cristiani sappiamo che i rivali di Dio sono tre falsi dei”.
Quali sarebbero?
“Semplice: il potere violento, militare, il primo; il potere economico, il secondo; il potere religioso, il terzo. Corrispondo alle tre tentazioni di Gesù. Non possiamo quindi stupirci che ci sia una volontà da parte del maligno, e di quelli che ne sono volontari e generosi mediatori, di voler in qualche modo prendere il posto di Dio. La tradizione della Chiesa ci insegna che Satana non è originale, è un grande scimmione. Gioca sempre sul denaro, il potere e il sesso”.
Ultimamente Giuliano Ferrara, parlando di Sicilia, ha parlato di connivenze storiche tra mafiosi e “vescovi di Palermo”. Come commenta?
“Vescovi no. Del clero sì. Ci sono dei casi appurati. Ci sono mafiosi che si sono potuti sposare segretamente in chiesa. Alcuni mafiosi avevano addirittura il cappellano privato che gli celebrava la messe mentre loro gestivano i loro affari. La mia sensazione è che la maggioranza del clero fosse distratto. Più che una complicità attiva, parliamo di peccati di omissioni”.
Sulla lotta alla Mafia, la Chiesa ha da imparare qualcosa dai laici e dagli atei?
“Il problema degli atei va rivisto. Si può esserlo in termini ideologici, ma sono davvero in pochi. In generale abbiamo a che fare con degli agnostici. Per noi cristiani, quando uno ricerca sinceramente la giustizia, il bene, ma anche il bello estetico, che lo sappia o no, sta cercando Dio. Tutti gli uomini hanno una immagine originaria di Dio, tutti. Noi cristiani dovremmo avere in più l’immagine del Cristo crocifisso. Spesso ci troviamo compagni di strada con quelli che si dicono atei, che hanno però un forte senso di giustizia maggiore rispetto ad altri che sono assidui frequentatori di sagrestie”.
Vent’anni fa, Giovanni Paolo II, da Agrigento, ha lanciato un monito durissimo contro i mafiosi, appellandosi al “giudizio di Dio”. Qual è l’eredità di quello slancio?
Innanzi tutto va ricordato che fu un fuori testo. Il discorso preparato non prevedeva quelle parole. Ma lo Spirito, per fortuna, non agisce secondo il copione clericale. Dobbiamo ricordare questo dettaglio. Fu l’incontro con i genitori di Rosario Livatino, che gli dissero qualcosa sulla vita cristiana del figlio, che impressionò il Papa. Quel grido, “convertitevi”, è il grido della Chiesa, ma è anche il grido dello Spirito a tutti.
In che accezione Puglisi non fu un prete antimafia?
Noi, anche quando abbiamo a che fare con i nemici, non dobbiamo essere lì per punirli o condannarli. La nostra predicazione ha senso affinché possa provocare una crisi di coscienza. Il profeta deve annunciare in vista di una conversione. La differenza con i preti antimafia e il non fermarsi all’indignazione e alla condanna, ma offrire una speranza.
Padre Puglisi fu definito, quando era ancora in vita, una “prete rosso”, un comunista. Da vivo che immagine si aveva di lui?
A quei tempi, chiunque si occupava di ingiustizia era subito un “comunista”. Come si può caratterizzare a destra, chiunque voglia mettere un po’ di ordine. Certo, c’era un certo sentire diffuso nel clero palermitano, convinto che, infondo, se la fosse cercata, quasi fosse un fanatico. Anche santo Stefano era però un fanatico, mentre Pietro se ne stava tranquillo nel tempio.
Crede dunque che il clero sia immobile?
É lo spirito che deve agire. Anche qui, mi lasci dire una cosa, la celebrazione di padre Puglisi non mi pare abbia una seguito popolare degno di un martire. Oggettivamente la gente è indifferente.
Sono parole dure, non trova?
Guardi, io ho preso la decisione di tornare in Sicilia esattamente il 15 settembre 1993, quando ammazzarono Puglisi. Sono tornato un mese dopo. Ho pensato che una Chiesa con un martire è una grande Chiesa.
Padre Puglisi è un modello per i giovani?
Gli effetti del martirio di Puglisi li vedranno le prossime generazioni, che sono un po’ più insofferenti e meno supine rispetto ai giovani di allora.
Si riferisce agli ultimi fenomeni politici che hanno dato un certo successo al movimento Beppe Grillo?
Non voglio che si crei confusione su questo punto. Non è che chi più grida ha più ragione o chi più s’indigna è più onesto o competente degli altri. Esistono le mediazioni, quelle vanno percorse. Esiste una professionalità, e quella va percorsa. Esiste una gradualità nell’impegno per gli altri e quello va provato. Non si nasce olimpionici, ma c’è un esercizio che va compiuto quotidianamente.
( Ferdinando Massimo Adonia – 18 Maggio 2013 )

Domenica di Pentecoste: " È possibile incontrarsi a Babele ?"

Pentecoste Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole” (Gen 11, 1).
Così la Bibbia idealizza quei primordi felici in cui gli uomini si potevano intendere con facilità e spontaneità. Ma impegnati in un gigantesco sforzo che avrebbe dovuto consacrare la loro onnipotenza tecnologica, gli uomini non seppero reggere alla tensione: si confusero e poi si dispersero.
Tale confusione è considerata dalla Bibbia un castigo divino, che lega per sempre al nome di una città il simbolo della confusione dei linguaggi e della fatica che gli uomini e le culture fanno a intendersi tra loro: “La si chiamò Babele, perché il Signore confuse la lingua di tutta la terra” (Gen 11, 9).
Babele rappresenta dunque l’impossibilità di tutti gli umani a parlare tra loro con un unico linguaggio. Essa evoca segnali che si accavallano, si confondono ed elidono a vicenda. Babele è il luogo degli appuntamenti; mancati: le lingue non si intendono, gli equivoci si moltiplicano e la gente non si incontra. Al massimo ci si urta, ci si irrita a vicenda, ciascuno si lamenta perché l’altro non l’ha capito.
Babele è il simbolo della non-comunicazione della fatica e delle ambiguità a cui è soggetto il comunicare sulla terra.
Babele è anche il simbolo di una civiltà in cui la moltiplicazione e la confusione dei messaggi porta al fraintendimento.
Nasce di qui la domanda angosciosa: come ritrovare nella Babele di oggi una comunicazione vera, autentica, in cui le parole, i gesti, i segni corrano su strade giuste, siano raccolti e capiti, ricevano risonanza e simpatia?
E’ possibile incontrarsi in questa Babele, inserire anche in una civiltà confusa luoghi e modi di incontro autentico? è possibile comunicare oggi nella famiglia, nella società, nella Chiesa, nel rapporto interpersonale? come essere presenti nel mondo dei mass-media senza essere travolti da fiumi di parole e da un mare di immagini? come educarsi al comunicare autentico anche in una civiltà di massa e di comunicazioni di massa?
 ….  Dio è comunione e comunicazione: si comunica a noi e ci abilita a entrare in comunicazione gli uni con gli altri, risanando i nostri blocchi comunicativi.
Potremmo esprimere questo grande tema sinfonico con molti motivi e richiamarlo con molte icone e simboli. Accennerò solo ad alcuni di essi, perché il lettore sia invogliato a cercare nella Bibbia e a trovare ciò che interiormente lo nutre. Non c’è niente che risani tanto il cuore come la contemplazione del comunicarsi divino nelle sue diverse forme
Il racconto della discesa dello Spirito santo sugli Apostoli e della conseguente loro capacità di esprimersi e di farsi capire in tutte le lingue, superando la confusione di Babele (At 2, 1-47), è una delle icone più efficaci del dono del comunicare che Dio elargisce al suo popolo.
Il brano degli Atti si compone di tre parti. Nella prima (2, 1-3) vengono descritti alcuni segni di una teofania, cioè di un intervento divino: “venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo”, “…apparvero loro lingue come di fuoco”. Questi segni richiamano quelli della grande teofania del Sinai (cf Es 19,16-19), dove il popolo ricevette la legge e l’alleanza. Ma qui il fuoco assume la figura di lingue, simbolo del comunicare umano.
Nella seconda parte (2, 3-12) si descrive il miracolo delle lingue, sia nell’esperienza dei discepoli (“cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”) sia in quclla degli ascoltatori (“com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?”).
Nella terza parte (2, 14-47) Pietro spiega che cosa è avvenuto: si tratta del dono dello Spirito santo, inviato da Gesù Cristo che è stato crocifisso e che è risorto. Vengono anche ricordati gli effetti “contagiosi” di questo dono; da esso ha origine la prima comunità cristiana: “quel giorno si unirono a loro circa tremila persone” (2, 41).
Il dono dello Spirito santo a Pentecoste suscita dunque una straordinaria capacità comunicativa, riapre i canali di comunicazione interrotti a Babele e ristabilisce la possibilità di un rapporto facile e autentico tra gli uomini nel nome di Gesù Cristo. Esso suscita la Chiesa come segno e strumento della comunione degli uomini con Dio e dell’unità del genere umano.
….  Alcuni segni del racconto della Pentecoste (rombo, vento, fuoco) richiamano la pagina dell’Esodo in cui viene descritta l’alleanza tra Dio e il suo popolo. Ora l’alleanza è il fondamentale evento comunicativo tra Dio e l’uomo. Nell’Esodo essa è introdotta così: “Ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me. Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19, 4-5).
Numerose sono nella Bibbia le formulazioni affini a questa: “Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa d’Israele…: porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò nel loro cuore” (Ger 31, 33); “Il mio diletto è per me e io per lui” (Ct 2,16; cf 6, 3).
Con diverse formule si esprime una realtà fondamentale: Dio vuole entrare in comunione con il suo popolo, vuole comunicare con lui in uno spirito di reciprocità e dì mutua appartenenza. Promette ed esige fedeltà. Tutte le pagine della Scrittura risuonano di questa volontà divina: Dio vuole donare, donarsi.
L’iniziativa è sempre di Dio, il quale offre, per puro amore e in perfetta gratuità, liberazione, sicurezza, certezza per il futuro: “Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli – ma perché il Signore vi ama. Riconoscete dunque che il Signore vostro Dio è Dio, il Dio fedele” (Dt 7, 7-9).
Alla radice della comunicazione sta dunque la gratuità. L’evento comunicativo che regge tutta la storia è un evento gratuito e libero: Dio decide di comunicarsi all’uomo entrando con lui in alleanza. A tale iniziativa libera e gratuita del Dio vivente è chiesta una risposta libera e grata: la risposta della fede.
La comunicazione di Dio, che si attua nell’alleanza, suscita un popolo: esso è il frutto di tale azione divina. Di quì appare che i raggruppamenti umani avvolti da questa onda comunicativa di Dio (famiglia, comunità, popolo, comunità dei popoli) sono luoghi del comunicare umano primordiale e sono garantiti e sostenuti dalla grazia del mistero di Dio, che li muove a essere canali di comunicazione autentica fra esseri umani.
( C.M. Martini – Effatà, apriti : lettera di presentazione del Sinodo – 1990-91 )

Veglia di Pentecoste in Cattedrale

pentecVescovo Cefalù
Ai Presbiteri e Diaconi; a tutte le Comunità parrocchiali; ai Religiosi e alle Religiose; alle Associazioni, Gruppi e Movimenti ecclesiali; a tutti i fedeli in cristo della santa Chiesa Cefaludense.
 
Carissimi fratelli e sorelle, pace a voi!
In questo tempo di letizia pasquale sono tanti i modi con i quali il Signore risorto si accosta a noi e ci fa sperimentare la forza della sua presenza. A noi la docilità per ascoltarlo e il coraggio per seguirlo. In questo cammino di sequela il Risorto non ci lascia mai soli ma ci accompagna con la promessa e il dono del suo Spirito, come ci insegna i1 nostro amato papa Francesco:
Questo fa lo Spirito Santo: ci apre il cuore per conoscere Gesù. Senza di Lui non possiamo conoscere Gesù. Ci prepara all’incontro con Gesù. Ci fa andare per la strada di Gesù.   Lo Spirito Santo agisce in noi durante tutta la giornata, durante tutta la nostra vita, come testimone che ci dice dove è. Chiediamo la grazia di abituarci alla presenza di questo compagno di strada, lo Spirito Santo, di questo testimone di Gesù che ci dice dove è Gesù, come trovare Gesù, cosa ci dice Gesù. Avere una certa familiarità: è un amico. Gesù l’ha detto: “No, non ti lascio solo, ti lascio Questo”. Gesù ce to lascia come amico. Abbiamo l’abitudine di domandarci, prima che finisca la giornata: “Cosa ha fatto oggi lo Spirito Santo in me? Quale testimonianza mi ha dato? Come mi ha parlato? Cosa mi ha suggerito?”. Perché è una presenza divina che ci aiuta ad andare avanti nella nostra vita di cristiani. (Omelia del 5 maggio 2013)
Come comunità cristiana diocesana vogliamo anche quest’anno attendere e invocare insieme il dono dello Spirito Santo perché Gesù ascolta sempre la preghiera dei suoi discepoli che riuniti nel suo nome gli chiedono il dono dello Spirito.
 Pertanto sabato 18 maggio ci ritroveremo alle ore 18 nella nostra Basilica Cattedrale di Cefalù per celebrare insieme e concordemente la Veglia di Pentecoste.
 Questa convocazione ecclesiale coinvolge tutte le realtà della nostra Chiesa. Quindi, nel pomeriggio di sabato 18 maggio in nessuna chiesa della Diocesi ci saranno celebrazioni eucaristiche per consentire a tutti di convergere numerosissimi nella nostra Basilica Cattedrale.

 A questa Veglia parteciperanno tutte le comunità cristiane parrocchiali, i cresimandi, coloro che svolgono ministeri laicali istituiti e di fatto, le comunità religiose, le Associazioni, i Gruppi e i Movimenti ecclesiali, le Confraternite.

Vescovo, presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, laici e laiche, piccoli e grandi: tutti ci ritroveremo nel Cenacolo della nostra Diocesi, ovvero la Basilica Cattedrale, e nella polifonia delle voci e dei carismi e dei ministeri invocheremo per tutta la nostra Chiesa Cefaludense una rinnovata effusione di Spirito Santo.
Carissimi, discepoli di Cristo, abbiamo urgente bisogno di invocare e accogliere, assecondare e seguire lo Spirito Santo! Ne ha bisogno la nostra Chiesa per uscire allo scoperto e recuperare l’entusiasmo delle prime generazioni cristiane in questo mondo che si deprime per la crisi e non riesce più a progettare per il domani. I1 nostro territorio madonita ha urgente bisogno della vivacità dello Spirito per riscoprire le sue risorse e rialzarsi per riprendersi la propria dignità. Le nostre famiglie hanno bisogno di una rinnovata Pentecoste per ristabilire le relazioni infrante e procedere con caparbietà nel cammino della vita. Tutti abbiamo bisogno dello Spirito Santo per convertirci ogni giorno alla freschezza della novità evangelica per abbandonare definitivamente strategie o logiche “del mondo” che potrebbero trasformarci diabolicamente in una organizzazione ma non farci vivere da Chiesa di Gesù Cristo che e la storia d’amore di Dio con noi, del nostro Dio con gli uomini.
Attendo con impazienza e trepidazione di accogliervi in Cattedrale, invocare con voi la forza dello Spirito Paraclito e celebrare con voi l’eucarestia.
In questa fervida attesa rivolgo a voi il mio augurio e invoco su di voi la benedizione del Signore: pace a voi!
 
Cefalù, 8 Maggio 2013Manzella col
Nella memoria di santa Maria, madre della Chiesa

63 Settimana nazionale di aggiornamento pastorale

Region Capture m Dal 24 al 27 Giugno 2013 appuntamento a Termoli per la 63 Settimana Nazionale di aggiornamento pastorale.
Soltanto ad una certa distanza nel tempo è dato scoprire appieno l’effettiva portata di un documento; i suoi effetti di senso e la fecondità nella vita dei suoi lettori rifluiscono continuamente su di esso e ne mettono in rilievo le potenzialità nascoste che, in prossimità della sua redazione, erano difficili da individuare.
Era, del resto, questo l’auspicio dei Padri conciliari nell’ultimo numero della Dei Verbum, quando, riprendendo un testo paolino, auguravano che «”la parola di Dio compia la sua corsa e sia glorificata” (2Ts 3,1) e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini… » (DV 26).
 
I 50 anni che ci separano dal Concilio Vaticano II danno la possibilità di una prima verifica di quanto nelle nostre chiese l’ascolto (religiose audiens) e l’annuncio (fidenter proclamans) della Parola – voluti dalla Dei Verbum – abbiano inciso sulla prassi pastorale.
 La nostra settimana di aggiornamento pastorale vuol essere, pertanto, una riflessione sulle diverse dimensioni della “declinazione della Parola di Dio”: la sua voce, ovvero la Rivelazione; la sua casa, cioè la Chiesa e le sue strade e, infine, il credente chiamato ad essere “uditore della Parola”.
Le raccomandazioni di Paolo «Custodisci il deposito» (1Tm 6,20) e «rimani saldo in quello che hai imparato» (2Tm 3,14) al discepolo Timoteo – le cui reliquie riposano nella Cattedrale di Termoli – saranno motivo per «sperare nuovo impulso di vita spirituale dall’accresciuta venerazione della Parola di Dio che “rimane in eterno” (Is 40,8)» (DV 26).
 
A questo link la possibilità di iscrizione on-line  Iscrizione on-line  LXIII Settimana di Aggiornamento Pastorale
A quest’altro link la Brochure con il programma  Brochure-programma LXIII Settimana di Aggiornamento Pastorale
 

I concili nei secoli
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I° CONCILIO DI NICEA



I° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



I° CONCILIO DI EFESO



I° CONCILIO DI CALCEDONIA



II° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



III° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



II° CONCILIO DI NICEA



IV° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



LETTERA A DIOGNETO


I° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



IV° CONCILIO LATERANENSE



I° CONCILIO DI LIONE



II° CONCILIO DI LIONE



CONCILIO DI VIENNA



CONCILIO DI COSTANZA



CONCILIO DI BASILEA



V CONCILIO LATERANENSE


CONCILIO DI TRENTO



CONCILIO VATICANO I°

Incontri sulla Dei Verbum
Incontri sulla “ DEI VERBUM” Comunità Itria dal 26 Novembre 2018. Per accedervi click sull’icona che scorre di seguito .
Introduzione alla lectio divina
Cliccando sulla copertina del libro o sulla voce del menu “ pregare la parola” leggiamo ogni giorno una pagina del libro di Enzo Bianchi per entrare nello spirito della Lectio Divina.
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