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Ascensione del Signore: ritorno di Gesù al Padre con la sua umanità, la sua realtà globale …ritorno al Padre da cui è uscito e in cui è da tutta l'eternità.

ascensione…. L’ascensione del Signore è veramente un mistero chiave per la comprensione dell’oggetto della nostra fede. …  se vera­mente non si e arrivati a stabilire un rapporto vitale con il mistero dell’ascensione del Signore, è difficile che il nostro rapporto globale con il mistero di Cristo sia nella luce. 
  …. Il Signore, nel discorso dell’ultima cena, con molta insistenza dice che l’atto di fede fondamentale è credere che egli è uscito dal Padre, che è venuto dal Padre. … in un modo tutto personale, assolutamente diverso da quello di ogni altra creatura, nel senso che egli è della stessa sostanza del Padre, che veramente lui e il Padre sono una cosa sola ed erano una cosa sola prima che il mondo fosse, prima quindi che tutte  le creature venissero dal Padre.
Ma allora l’ascensione che cosa è ?
..E’ il ritorno di Gesù  al Padre …. per cui lui, la sua umanità, la sua realtà globale, tutto il suo essere ritorna al Padre.
Come è venuto dal Padre senza mai uscirne, senza mai separa­rsi da lui quanto alla sostanza, cosi ora ritorna  al Padre nel senso che questo reingresso nel seno del Padre — da cui è uscito e in cui  è , a un tempo, da tutta l’eternità — si realizza pienamente in lui anche in un modo storico, per la sua umanità.     
 Ora, questo che è l’atto e il nucleo di fede fondamentale, … è complicato dalla presenza, nello stesso linguaggio della Scrit­tura, di un’altra coppia di concetti, quella di cielo-terra, simmetrica, in un certo senso, a questa di venuto-ritornato.
      Per capire un po’ di più il mistero, …  bisogna che andiamo oltre il diaframma che la coppia di concetti cielo-terra può rappresentare per noi.  Altrimenti se non riusciamo, … , a forare questa specie di parete, non entriamo nella comprensione del mistero. E pareti come questa non si bucano con il tra­pano della nostra parola, …  si bucano solo con la grazia stessa che ci deve essere data nel dono puro dello Spirito. 
… il Signore ci dia lo spirito di sapienza e di rivelazione proprio per la comprensione del mistero dell’ascensione, per comprendere che cosa voglia dire questo uscire di Cristo dal Padre e questo ritornare a lui, questo rap­porto cielo-terra, terra-cielo, … che sono  rispettivamente l’equi­valente di ciò che è Dio è di ciò che è tutt’altro da Dio.  
… Ritornando al Padre  … nell’atto stesso in cui sembra allontanarsi …  in realtà si fa massi­mamente intimo a noi e noi diventiamo massimamente intimi a lui.
Comprendere la glorificazione di Gesù, la sua risurrezione e la sua ascensione, vuol dire penetrare il mistero più intimo dell’essere di Dio e acquisire progressivamente, per il Cristo che è entrato in Dio, l’esperienza di tutti gli esseri in Dio: l’esperienza prima di tutto di noi stessi in Dio per il Cristo e poi l’esperienza di tutti gli altri esseri, per il Cristo, in Dio.     Di modo che non si può dare più nessun’altra unità con gli altri esseri, se non un’unità che sia mediata da quest’esperien­za del nostro rapporto col Cristo in Dio.  
   Ecco perché tutti gli altri no­stri rapporti divengono assorbibili e condizionati da quest’esperienza del Cristo in Dio.
  Noi non possiamo più avere un rapporto di unità con un’altra creatura, se non in modo mediato, per mezzo del Cristo stesso in Dio; non possiamo avere più esperienza della nostra perso­nalità e del suo dilatarsi, se non nell’esperienza di Cristo in Dio.
Tutta l’ascensione è qui, tutti gli aspetti dell’esistenza cristiana sono qui; ed è attraverso la comprensione sempre più profonda di queste coppie di concetti uscito da Dio-ritornato a Dio, terra-cielo, che noi ricomponiamo tutta l’unità del mistero cristiano e della no­stra esistenza, del mistero di Cristo e della nostra esistenza in Cristo.     (  Tratto da: “G. Dossetti, omelia registrata, 11.5.1972”).

Lettera pasquale per la misericordia di Dio Onnipotente di Giovanni X Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente.

Giovanni X( Il patriarca greco-ortodosso di Antiochia Giovanni X, in occasione della Pasqua ortodossa, ha pubblicato la seguente Lettera pasquale, che riportiamo quale rinnovato segno di amore per questa chiesa, sollecitati dall’invito di Gesù ” .. perché siano come Noi una cosa sola. …” )
A tutti i nostri amati nel Signore, figli della Santa Sede Antiochena, al clero e al popolo!
 Nel grande giorno della resurrezione, nel quale Cristo è risorto e ci ha innalzato con lui, vorrei ricordare con voi i significati della resurrezione e fare alcune riflessioni.
La resurrezione del Signore è una resurrezione di ciascuno di noi. Tramite la resurrezione svanisce la potenza del diavolo, il nostro nemico. Nonostante la morte incuta paura agli uomini, il Cristo l’ha vinta con la sua resurrezione vivificante.
Egli è sceso nella dimora della morte, l’inferno, l’ha espulsa dal suo interno annullando la sua azione. La morte è rimasta ed esiste tuttora, però essa è diventata un passaggio verso la vita vera, è diventata una liberazione dal temporaneo all’eterno.
La resurrezione ha portato la grazia al posto del peccato, l’eternità invece della mortalità e la vita invece della morte. Il regime del maligno è finito e il regno di Dio ha trionfato. La luce ha sostituito le tenebre.
La resurrezione è una nuova creazione, un uomo nuovo e un popolo nuovo. La resurrezione è una manifestazione evidente della potenza della vita, dell’energia del rinnovamento, del dominio della luce e della continuità della verità: “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, tutte le cose sono diventate nuove” (2 Cor 5, 17). Essa è la vittoria di Dio sulle potenze del peccato e della morte, che deformano l’uomo e vogliono distruggere la creazione. Essa è la grande vittoria che ha ispirato Paolo ad esclamare: “La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? (1 Cor 15, 54-55).
Con la sua morte, Cristo ha aperto la via della vita vera, la vita della gioia, della luce, dell’amore e del rinnovamento. Con la sua morte, Cristo ha rinnovato la nostra vecchia natura, perché essa diventasse dello stesso splendore della sua immagine e noi diventassimo “figli della resurrezione”. Se crediamo e lo desideriamo, la resurrezione di Cristo diventa la nostra pasqua personale. “Cristo è sepolto in noi, come in una tomba, egli unisce se stesso con noi, rialza le nostre vite e ci rialza con la sua potenza” (San Simeone il nuovo Teologo). Quando diventiamo vasi puri e buoni dello Spirito Santo, festeggiamo la pasqua continuamente e il mistero della pasqua si rinnova in noi in tutti i tempi.
La vera resurrezione non è separabile dalla croce, perché quest’ultima è la via che conduce alla resurrezione. La resurrezione non si sperimenta senza ricordare e portare la propria croce. Per il fatto che partecipiamo personalmente alla resurrezione del Signore, non dobbiamo dimenticare la croce che la precede. Senza la croce, non godremo della gloria del Cristo risorto. Se non comprendiamo e percepiamo la croce nella nostra vita, da che cosa risorgeremo? Se rimaniamo imprigionati nella nostra condizione terrena, dove saranno i segni della nostra resurrezione? Se il buio del peccato domina su di noi, come può la luce della resurrezione abitare in noi? Non possiamo celebrare la resurrezione di Cristo, se la luce del Salvatore non ha cacciato completamente le tenebre dei peccati dalle nostre vite!
Per il terzo anno consecutivo, celebriamo la pasqua e tuttavia la preoccupazione aumenta, la paura cresce, la distruzione si estende, il male e la morte dominano in ogni tempo e ovunque. Come possiamo festeggiare la resurrezione mentre il paese è nel disastro, gli affamati sono numerosissimi e i rifugiati aumentano? Come viviamo la resurrezione se la croce è sempre dominante?
È il mistero della croce, “tramite la quale è venuta la gioia a tutto il mondo”. Tramite la croce avviene la vera resurrezione, altrimenti essa è una poesia teorica e una bella canzone. Il mondo non ama la croce, esso vuole che la morte sia assente, ma le croci lo circondano da tutte le parti. Il fedele non chiude gli occhi dinanzi alla vista delle croci, ma le affronta con lo spirito della resurrezione, e da queste croci fa sorgere la nuova vita e le veste con la luce della vita. L’energia della resurrezione fa dalla croce uno strumento di gioia, una via di vita, una testimonianza dell’amore e un segno di partecipazione e di comunione.
Come possiamo vivere la resurrezione? Come la possiamo incarnare nella nostra vita? Come la possiamo trasferire dalle pagine dei libri alla nostra realtà vissuta?
Festeggiamo la resurrezione e la viviamo quando non lasciamo il male entrare in noi e dimorare nei nostri cuori, per quanto forte esso sia. Viviamo la resurrezione quando non confrontiamo il male con il male. La viviamo quando proviamo a purificare noi stessi, incessantemente, dai segni dell’odio. Fissiamo lo sguardo verso la verità alla quale siamo stati invitati, la verità che, scoperta, ci libera dalle catene del male. Scopriamo la verità che sta nell’altro e notiamola, piccola o grande che sia, perché da essa iniziamo e ci aiutiamo l’un l’altro per poter costruire la patria dell’uomo.
Siamo figli della resurrezione quando diventiamo ponti di collegamento fra i lontani, i diversi e i differenti, ponti sui quali si passa, come nostro Signore, che non ha chiesto nulla per sé stesso, ma ha dato tutto al mondo, ha sacrificato se stesso per la salvezza del mondo. Diventiamo allora vie di comunione fra tutti. L’amore, che si sacrifica e si realizza tramite il lavoro e la verità, costruisce le patrie.
Siamo figli della resurrezione nel momento in cui viviamo la nostra fede nella sostanza e in radice. Le espressioni esterne cambiano perché cambiano la cultura, l’educazione e i modi di vita, la sostanza originaria, però, si conserva fedele a quella consegnata un tempo ai santi, malgrado il cambio delle culture e delle condizioni. Imitiamo il coraggio di Cristo, che non ha avuto paura di niente, neanche della morte, ma ha affrontato la croce con amore e ci ha guidato alla resurrezione. Affrontiamo la croce di quest’Oriente crocifisso con grande amore per tutti i crocifissi, perché arriviamo con loro alla resurrezione attesa da tutti. Viviamo questi giorni di dolore in semplicità, avendo soltanto l’essenziale e sperimentando la vera ricchezza del vivere in comunione con Dio. La priorità sia data alla collaborazione, alla solidarietà e alla compartecipazione. I poveri sono molti, i danneggiati anche. Siamo una sola famiglia e una sola casa. Non dimentichiamo la parola del vangelo: “E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, l’avrà dato a me” (Mt 10, 42).
Ora indirizzo una parola ai nostri figli nella diaspora, augurando a loro buona festa e giorni benedetti. Invio loro la mia benedizione e raccomando il dovere di esprimere il loro amore verso i figli della stessa patria, i loro popoli e le loro patrie. Fratelli miei, potete anche voi aiutare, nel modo che giudicate opportuno!
Infine, noi non dimentichiamo che il Signore è il signore della storia, e cosi perseveriamo nella pazienza e nella speranza inestinguibili. Ricordiamoci quanti profeti hanno invitato alla penitenza e alla fedeltà affinché Dio intervenisse e eliminasse l’afflizione. Nei giorni di afflizione come i nostri, mancano i testimoni fedeli. Usciamo allora più fedeli e più puri dall’afflizione che viviamo! Nel momento in cui siamo convinti che Dio è sufficiente, gli effetti della resurrezione iniziano a manifestarsi in noi, così che l’interno e l’esterno dell’uomo si trasfigurano.
Cristo è risorto, è veramente risorto!
Miei amati,
questo discorso sulla croce e sulla resurrezione assume oggi, nella nostra vita attuale, un significato più profondo; tanti nostri fratelli hanno sofferto duramente a causa degli eventi dolorosi che sperimentiamo. Nostri fratelli, metropoliti, sacerdoti e laici sono trattenuti a tutt’oggi nelle mani dei rapitori. Alcuni presbiteri e laici hanno subito la morte in varie località, e migliaia sono divenuti rifugiati. Noi portiamo la croce di tutta quanta la sofferenza che hanno subito o subiscono fino ad oggi. Noi condividiamo la tragedia della diocesi di Aleppo e condividiamo anche la tristezza di ogni parrocchia e di ogni casa. Tale tristezza, però, va considerata come una via per una maggiore saldezza, e un’occasione per manifestare la nostra fede e il nostro credere nella resurrezione. Abbiamo fatto tanti sforzi presso tutte le autorità, internazionali e locali, chiedendo non solo la liberazione dei rapiti, ma anche il ristabilimento della pace nelle nostre regioni e la cessazione della violenza come metodo di condotta fra i cittadini. Non arretriamo davanti alla realtà, così come il Signore non è arretrato sulla via della croce. La strada, la percorriamo fino alla fine, e non ci stancheremo mai di continuare a chiedere una vita degna all’uomo, perché la resurrezione sicuramente avverrà. Ciò detto, vi invito, miei amati, ad essere sempre più uniti, a pregare di più, ad essere più saldi e stabili nella fede, ad amare di più la vostra terra e ad essere più aperti con chi condivide la vostra stessa patria, cosicché possiamo più efficacemente chiedere la cessazione dell’ingiustizia, il ritorno dei rapiti, sani e salvi, e asciugare le lacrime di coloro che sono nella tristezza.
Giovanni X
Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente
 

Messaggio dei Vescovi di Sicilia per la Beatificazione del servo di Dio Don Pino Puglisi

beat puglisiIl prossimo 25 maggio avrà luogo a Palermo[ Foro Italico Umberto 1°] il Rito di Beatificazione del Servo di Dio don Giuseppe Puglisi, sacerdote palermitano martire, ucciso dalla mafia in odio alla fede il 15 settembre 1993.
Presiederà  l’Eucarestia  S.E. R.ma Card. Paolo Romeo, Arcivescovo di Palermo; presiederà il rito di Beatificazione S.E. R.ma Card. Salvatore De Giorgi, rappresentante del Sommo Pontefice Francesco.
Notizie  utili

  • Sarà possibile accedere al Foro Italico Umberto I a partire dalle h. 7.30.
  • L’ingresso al  Foro Italico Umberto I è assolutamente gratuito.
  • I Reverendi Parroci sono pregati di sollecitare la partecipazione dei fedeli formando dei gruppi parrocchiali.
  • I presbiteri e i diaconi devono necessariamente segnalare la loro partecipazione presso la segreteria, dove ritireranno il pass per il settore loro riservato. Per la celebrazione porteranno con sé soltanto il camice. Al Foro Italico stadio riceveranno i necessari abiti liturgici.
  • I reverendi parroci e gli accompagnatori dei gruppi avranno cura di portare con sé l’acqua e quanto necessita per una celebrazione all’aperto.

Nel corso della Celebrazione non sarà consentito che i gruppi esibiscano striscioni, cartelli, poiché ciò non è consono con il clima di preghiera della Celebrazione stessa.
[La cerimonia di beatificazione sarà accompagnata  da altri eventi: 23 maggio, adorazione eucaristica nelle parrocchie; 24 maggio, ore 21, veglia di Preghiera Giovani presso il terreno dell’erigendo complesso parrocchiale di Brancaccio;  26 maggio, ore 18, messa di ringraziamento presso la Cattedrale ]
Di seguito il Messaggio dei vescovi di Sicilia.
Questo evento gioioso ci fa guardare ad un autentico testimone della fede e dà una connotazione particolarmente significativa all’Anno della fede che le nostre Chiese particolari stanno vivendo ricordando il 50° anniversario di inizio del Concilio Vaticano II e il 20° della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Quella di don Pino Puglisi è la vicenda di un sacerdote totalmente conformato a Cristo che visse il suo ministero presbiterale come servizio a Dio e all’uomo. Reso forte da una intensa vita spirituale, fatta di ascolto della Parola di Dio, di preghiera, di riferimento costante all’Eucaristia che celebrava quotidianamente, egli attuò un apostolato di promozione umana avendo come riferimento costante l’annuncio del Vangelo.
Promosse un’azione educativa che contribuiva al cambiamento della mentalità e della visione della vita, favorendo la maturazione della fede del popolo a lui affidato. Svolse instancabilmente il suo ministero sacerdotale per l’edificazione del Regno di Dio richiamando tutti alla conversione, al pentimento e all’incontro con la tenerezza di Dio Padre. Per questo volle che il Centro di accoglienza parrocchiale da Lui fondato fosse chiamato “Padre Nostro”. La sua mitezza e la sua incessante azione missionaria, evangelicamente ispirata, si scontrò con una logica di vita opposta alla fede, quella dei mafiosi i quali ostacolarono la sua azione pastorale, con intimidazioni, minacce e percosse fino a giungere alla sua eliminazione fisica, in odio alla fede.
Come Pastori delle Chiese di Sicilia, ispirandoci alla vita di don Pino, intendiamo rinnovare il nostro impegno per l’annuncio del Vangelo e la sua incarnazione nella nostra amata terra che da due millenni ha dato, e continua a dare, luminosi esempi di fedeltà a Cristo nei suoi figli migliori, tra cui i tanti martiri, il cui sangue ha fecondato e fatto crescere molteplici opere di carità e di promozione umana.
In quest’ottica desideriamo leggere la vita del Servo di Dio don Pino Puglisi. Il suo ministero sacerdotale, attento all’uomo e fedele al Vangelo, fu modellato sull’esempio di Cristo, che venne a portare il lieto annuncio della salvezza e a liberare l’uomo da ogni forma di costrizione fisica e di condizionamento morale, restituendogli la dignità di persona e di figlio di Dio. Egli cercò di realizzare quest’opera difficile con privilegiata sollecitudine verso le giovani generazioni, proponendo un cambiamento di mentalità che ha la sua forza nella potenza salvifica del Vangelo, convinto che la Parola di Gesù umanizza la società.
La sua azione pastorale nella logica dell’incarnazione si è svolta nella ferialità di una vita “normale”, senza compromessi, senza protagonismi, senza vetrine mediatiche, testimoniando nella quotidianità della vita la fedeltà al suo ministero sacerdotale e l’amore alle persone a lui affidate. Questo schietto modo di essere di don Pino Puglisi incoraggia tutti noi, vescovi, presbiteri, diaconi, consacrati e laici, ad attingere alla Parola di Dio e all’Eucarestia il sostegno necessario per la nostra missionarietà nella diffusione del Regno di Dio e per la promozione dell’uomo.
Nel fare ciò vogliamo valorizzare soprattutto il dialogo con cui coinvolgere anche quelli che sembrano più refrattari ad aprirsi alla conversione. Questa fu una delle vie perseguite dal nostro Beato. Diceva infatti don Pino in una sua omelia: “Mi rivolgo ai protagonisti delle inutili intimidazioni che ci hanno bersagliato. Parliamone, spieghiamoci, vorrei conoscervi e conoscere i motivi che vi spingono a ostacolare chi cerca di educare i vostri figli al rispetto reciproco, ai valori della cultura e della convivenza civile”.
Consapevole che la cultura mafiosa impera là dove ci sono bisogni primari ancora da soddisfare e che non ci può essere liberazione senza promozione umana, don Puglisi scriveva: “C’è nella parrocchia un buon fermento di persone impegnate in un cammino di fede, nel servizio liturgico, catechistico e caritativo, ma i bisogni della popolazione sono molto superiori delle risorse che abbiamo. Vi sono nell’ambiente molte famiglie povere, anziani malati e soli, parecchi handicappati mentali e fisici; ragazzi e giovani disoccupati, senza valori veri, senza un senso della vita; tanti fanciulli e bambini quasi abbandonati a se stessi che, evadendo l’obbligo scolastico, sono preda della strada dove imparano devianza, violenza e scippi”.
Le sue parole e soprattutto l’esemplarità della sua vita siano per tutti noi, uomini e donne di Sicilia, credenti o persone di buona volontà, uno stimolo per un rinnovato impegno sociale, civile e spirituale: “Non possiamo mai considerarci seduti al capolinea, già arrivati – scriveva ancora don Pino -. Si riparte ogni volta. Dobbiamo avere umiltà, coscienza di avere accolto l’invito del Signore, camminare, poi presentare quanto è stato costruito per poter dire: sì, ho fatto del mio meglio. Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno. Un segno per fornire altri modelli, soprattutto ai giovani. Lo facciamo per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa. E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto…”.
In questo momento, così critico ma carico di aspettative, possano le nostre Chiese locali e la Sicilia tutta guardare al presbitero Pino Puglisi, uomo di fede e di preghiera elevato agli onori degli altari come testimone autentico di Cristo Signore che diffonde su questa nostra terra tribolata una luce di speranza. Mente tutti paternamente esortiamo a guardare a Lui e ad imitarne l’audacia della martirya, confermiamo il nostro impegno per l’annuncio del Vangelo e per un servizio concreto all’uomo del nostro tempo.
Noto, 23 aprile 2013
( Click sull’icona per aprire il manifesto della Beatificazione di P. Giuseppe Puglisi)
 

VI Domenica di Pasqua: la dimora di Dio in noi è permanente.

vi do la mia pace gIl vangelo di questa domenica, al capitolo 14 di Giovanni, contiene un versetto – il 23 – che da solo, se compreso, cambia radicalmente la relazione con Dio, il concetto di Dio e di conseguenza il rapporto con gli altri.
 «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui »
 «…  la dimora di Dio in noi è permanente, anche se a noi può sembrare diversamente per una discontinuità psicologica, spesso, alla quale non corrisponde affatto una maggiore o minore presenza di Dio.
 Il mondo non lo può vedere perché è nella disobbedienza. Non può avere nessuna esperienza neppure iniziale dello Spirito; quindi, per questo noi non possiamo avere nessuna partecipazione con il cosmo, con le sue idee.
 Il punto decisivo dell’esperienza spirituale è quello di arrivare a percepire la presenza dello Spirito Santo in noi, quando ci accorgiamo che ci muoviamo non in noi ma nello Spirito. Il cammino è graduale: s’inizia con piccoli atti di obbedienza e così via. (D.G. Dossetti, appunti di omelia, Gerico, 22.11.75 )
 
 Nell’Esodo Dio aveva posto la sua dimora in una tenda in mezzo al popolo, e camminava con esso guidandolo verso la libertà. Poi Dio venne come sequestrato dalla casta sacerdotale e relegato in un tempio dove non a tutti era possibile l’accesso, alcuni erano esclusi e quelli che  erano ammessi lo erano soltanto a determinate condizioni, con determinati cerimoniali e soprattutto attraverso il pagamento di tributi e offerte.
 Con Gesù Dio ha abbandonato definitivamente il tempio e, come ha scritto Giovanni all’inizio  del suo vangelo, “ha posto la sua tenda fra noi”. E’ iniziato un nuovo Esodo, cioè un cammino nuovo di liberazione dove ogni discepolo del Cristo diventa la sua dimora divina.
L’uomo aveva sacralizzato Dio, mediante la comunicazione del suo Spirito Dio ora sacralizza l’uomo.
 Non esistono ambiti sacri al di fuori dell’uomo, la sacralizzazione dell’uomo compiuta da  Gesù quindi desacralizza tutto quello che prima veniva concepito o spacciato per sacro.
Dio no né una realtà esterna all’uomo o lontana da lui, ma è interiore e ora ha un nome: Padre.
Mentre la relazione con Dio aveva bisogno di mediazioni, l’intimità del credente con suo padre, con il Padre, le rende superflue.
 ….  Quando  l’uomo comprende questo cambia il rapporto con Dio; comprende che Dio non assorbe le energie dell’uomo, ma gli comunica le sue, un Dio che non diminuisce l’uomo ma che lo  potenzia, e soprattutto non chiede che l’uomo viva per lui – e questo è tipico della religione – ma che viva di lui, e sia con lui e come lui portatore di questa onda crescente di vita e d’amore per tutta l’umanità.  ( A. Maggi )
 
…. Un Dio che non chiede offerte all’uomo, ma che si offre all’uomo e chiede ad ogni uomo di accoglierlo, per fondersi con lui, e diventare l’unico vero santuario dal quale si irradia il  suo amore, la sua misericordia e la sua compassione.
Ora, Gesù sa che non potrà accompagnare per molto tempo i suoi discepoli; ma sa anche che c’è un altro modo, non necessariamente fisico, di stare con loro. Perciò li prepara perché imparino a sperimentarlo non più come una realtà materiale, ma in un’altra dimensione, nella quale potranno contare sulla forza, la luce, la consolazione e la guida necessaria per restare fermi e affrontare il cammino quotidiano con fedeltà. Gli promette quindi lo Spirito Santo, l’anima e motore della vita e del suo stesso progetto, perché accompagni il discepolo e la comunità.
In fine Gesù offre ai suoi discepoli il dono della pace: “vi lascio la pace, vi do la mia pace“, testamento spirituale che il discepolo dovrà cercare di coltivare come un progetto che permette di realizzare nel mondo la volontà del Padre, manifestata in Gesù. Nella sacra scrittura e nel progetto di vita cristiana la pace non si riduce a mera assenza di armi e violenza; la pace riassume tutte le dimensioni della vita umana e si traduce in un impegno permanente per i seguaci di Gesù.  ( O.Romero )
 
La pace non si impone: Non ve la do come la da il mondo; la pace si offre: lascio a voi la pace.
Essa è il primo frutto di quel comandamento sempre nuovo che la germina e la custodisce: Vi do un comandamento nuovo: amatevi l’un l’altro (Gv 13,34). …..
Cadono quindi le distinzioni tra guerre giuste e ingiuste, difensive e preventive, reazionarie e rivoluzionarie. Ogni guerra è fratricidio, oltraggio a Dio e all’uomo. O si condannano tutte le guerre, anche quelle difensive  e rivoluzionarie, o si accettano tutte. Basta un’eccezione, per lasciar passare tutti i crimini (P. Mazzolari, Tu non uccidere pp. 114-5).
 

I concili nei secoli
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I° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



I° CONCILIO DI EFESO



I° CONCILIO DI CALCEDONIA



II° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



III° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



II° CONCILIO DI NICEA



IV° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



LETTERA A DIOGNETO


I° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



IV° CONCILIO LATERANENSE



I° CONCILIO DI LIONE



II° CONCILIO DI LIONE



CONCILIO DI VIENNA



CONCILIO DI COSTANZA



CONCILIO DI BASILEA



V CONCILIO LATERANENSE


CONCILIO DI TRENTO



CONCILIO VATICANO I°

Incontri sulla Dei Verbum
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Introduzione alla lectio divina
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