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tirisan

IV Domenica di Pasqua: Dio-Pastore: un dramma, " un'esistenza" a lottare per il suo gregge, a rischiare per lui.

Buon PastoreQuanto è drammatico questo tema del pastore anche nellʼAntico Testamento!  
Vita dura quella del pastore, vita dura quella delle pecore: il caldo, la sete, la minaccia di non trovare lʼacqua  al momento giusto, le notti terribili, lʼurlo delle belve, la possibilità estrema che il pastore debba giocare lʼesistenza per salvarsi e per salvare il suo gregge. La lotta corpo a corpo con i nemici, con i lupi, con le belve: questʼombra percorre tutta la rivelazione e i salmi la indicano con un appellativo che non è per nulla attenuante: il leoncello in agguato (cfr. Sal 17,12; 104,21).
 Ecco lʼaltro aspetto di Dio pastore: un dramma, unʼesistenza impegnata a lottare per il suo gregge e a rischiare per lui.
 Dio sa che il suo gregge è consegnato alla morte non per scelta sua a causa del peccato, e perciò è deciso a lottare per ristabilire le cose come avrebbero dovuto essere, si impegna, rischia, lotta in una contraddizione continua anche lui, anche Dio, il pastore di Israele. E questa contraddizione poi esplode e si manifesta in Cristo: la sua vita, la sua morte.
 E se queste righe del Vangelo di oggi, una per una, ci commentano  il dramma, in realtà tutto il racconto evangelico presenta questo dramma, che Cristo percepisce fin dal principio.
 Comincia già nella prima parte delle narrazioni evangeliche a porsi come il pastore che sente le sue viscere appassionatamente commosse per questo gregge senza pastore (cfr. Mt 9,36; Me 6,34), anzi, per questo gregge che ha per pastore la morte (cfr. Sai 49,15), che è tutto circondato dalle belve che tentano di aggredirlo e di disperderlo.
Cristo sente drammaticamente il suo essere in mezzo a loro come lʼunico e sa che nella passione si verificherà che, colpito il pastore, le pecore si disperderanno (cfr. Mt 26,31).
 Dovrà risorgere per potere nuovamente riunire il gregge; se non risorgerà, nonostante tutti gli insegnamenti già dati nella sua vita, il gregge non si riunirà più.   (G. Dossetti, Omelie del tempo di Pasqua, 191-192, Ed. Paoline)
 
L’ esercizio pastorale avviene nella relazione del Pastore con l’intero gregge e con ciascuna delle pecore.
Dovrebbero ricordarlo i pastori della chiesa: se infatti il loro ministero non è vissuto come la relazione quotidiana di chi sta «in mezzo» (Lc 22,27) alla comunità, essi finiscono per diventare dei funzionari…
Purtroppo ciò accade sempre di più nella chiesa, e così i credenti, le pecore, si sentono sempre di più organizzati in gregge, impegnati in svariati servizi, trattati come «militanti», ma soffrono in realtà di mancanza di rapporto e di comunicazione con il pastore.
Ogni relazione autentica, invece, si nutre innanzitutto di presenza, poi di ascolto, comunicazione, amore, cura e dedizione, fino al dono della vita.
Sono questi gli atteggiamenti con cui va vissuta la pastorale, se non si vuole che essa scada a mera burocrazia, a un impegno da funzionari.    
Se il pastore ha con le pecore la relazione vissuta e insegnata dal «Pastore grande delle pecore» (Eb 13,20), allora egli sarà anche capace di aprire loro il rapporto con Dio, colui che lo ha voluto come pastore a immagine di Gesù….
Ecco in fondo a cosa servono i pastori nella chiesa, i vescovi, i presbiteri: ad aiutarci ad essere consapevoli che noi siamo custoditi nella mano di Gesù Cristo, il quale ci vuole collocare nella mano di Dio, da cui niente e nessuno ci può strappare.     ( Dal commento al vangelo di Enzo Bianchi )

III Domenica di Pasqua: Siate Pastori del gregge affidatovi!

app aposPasci i miei agnelli, le mie pecorelle”.
Blaise Pascal, …, fa lʼosservazione: “Gesù dice, pasci i miei agnelli, i miei, non i tuoi”, terribile!
Noi siamo agnelli di Cristo, non del papa, …. Chi pascola – “Pasci i miei agnelli” è lui pure un garzone, non è il padrone, il padrone del gregge è Gesù, il pastore è lui, gli agnelli e le pecorelle non sono di Pietro: Pietro è in servizio, non in comando. Tra noi niente piramide, ma fratellanza, perché apparteniamo direttamente a Cristo pastore, non a lui per il tramite di scansioni gerarchiche, che non siano un puro servizio (A. Bergamaschi, Andate e mostrate, 128).
 Pascete il gregge che vi è stato affidato …. Siate pastori !
La Chiesa perciò è di Dio, il gregge è di Cristo. Risulta chiaro che lui è il vero pastore, il pastore supremo (v. 4: archipoìmen). Il gregge è suo e di nessun altro, è lui che lo possiede e lo conduce; noi siamo vicari, collaboratori, aiutanti, delegati.
È fondamentale, per conservare la pace del cuore e liberarci dall’ ansietà, sapere che, pur sacrificandoci per il gregge, non ne siamo i responsabili ultimi. Siamo certamente responsabili davanti a Dio, ma ricordando che non potremo mai aver cura della nostra gente più di quanto ne abbia il Signore.
 È lui il padrone unico.
Noi abbiamo il compito di pascere «sorvegliando» (epi-skopountes), come chi vede dall’alto e non si lascia condizionare dalle situazioni, perché vede e giudica l’insieme, senza affannarsi o preoccuparsi per i particolari, ma valutando tutto in un ambito generale più vasto.
Le caratteristiche del pascere:
«Non per forza», non dando l’impressione di portare un peso.
Conosco presbiteri e anche Vescovi che vivono molto il loro ministero come fatica e quasi fanno sentire alla gente il rimprovero per il peso che devono portare.
Sovente raccomandavo ai parroci: guardate che il buon umore della gente dipende dal vostro buon umore. Se voi siete tristi, affaticati e di cattivo umore, i fedeli si accorgono immediatamente e non sanno in che modo aiutarvi. Se invece sorridete, siete contenti, vi seguono volentieri. E lo stesso vale per un Vescovo.
«Secondo Dio».  …. Chi è responsabile deve essere sempre conscio di non compiere la propria volontà, ma quella del Signore e quindi la vive con pace, serenità, tranquillità. È il Signore che lo guida e si rende in qualche maniera responsabile delle sue azioni.
«Non per vile interesse». Dobbiamo essere liberi da ogni interesse, sia di beni e di denaro, come pure di prestigio. Cito a chiarimento due passi della Scrittura.
Il primo si trova nel Discorso di Paolo a Mileto: «Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno. Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani» (At 20, 33-34).  …
È decisiva la testimonianza di disinteresse e la gente è molto sensibile nel cogliere qualunque segnale di avarizia nel prete o nel Vescovo.  ……
Non si nega ovviamente che si possa ricevere il giusto compenso per il proprio sostentamento, e però la gratuità è la caratteristica evangelica di fondo.
Ed è appunto la proprietà del responsabile che si spende nel servizio alla gente, senza calcolare troppo gli orari e le prestazioni. È certamente giusto fissare un orario, avere una regolarità, e però c’è differenza tra il darsi un orario e il ritirarsi in casa, facendo capire alla gente che non vogliamo essere disturbati.
«non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge».
…. L’autorità nella Chiesa è anzitutto l’autorità dell’ esempio, come ci insegna Gesù:
«Chiamati a sé i Dodici, disse: “I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti“» (Mt 20, 24-28).
E in una circostanza simile Gesù ha detto ancora:
«Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22, 27).
È questo l’ideale per un presbitero, per un Vescovo, per un responsabile di comunità: dare l’esempio, fare per primi ciò che chiediamo agli altri; insegnare, comandare col nostro modo di vivere. Allora le nostre parole saranno credibili.
Ritengo utile sottolineare che esiste un pericolo contrario allo spadroneggiare; è il caso del prete, del responsabile che non comanda affatto, facendosi anzi guidare dalla gente.
Eppure l’esperienza dimostra che la gente ha bisogno di una guida, non autoritaria, non imperiosa, non autocratica. Ha molto bisogno di riferirsi e anche di obbedire a persone che fanno crescere e danno fiducia di volere il vero bene, in modo da essere accompagnata soprattutto nelle scelte decisive della vita. E allora si fa disponibile ad ascoltare più di quanto non si pensi, pur se dobbiamo riconoscere che l’obbedienza è oggi qualcosa di estremamente difficile.   …( C..M. Martini ).

La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure !!!

Don-nToninoIn occasione della Pasqua un riflessione di Don Tonino Bello.
Se è lecito esprimere delle preferenze, quella che mi commuove di più è l’apparizione a Maria di Magdala, piangente accanto al sepolcro vuoto. Le si avvicina Gesù e le dice: “Perché piangi?”. Donna, le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che tu non pianga per gioia o per amore.
Vedi: la collina del Calvario, che l’altro ieri sera era solo un teschio coperto di fango, oggi si è improvvisamente allagata di un mare d’erba.
I sassi si sono coperti di velluto. Le chiazze di sangue sono tutte fiorite di anemoni e asfodeli. Il cielo, che venerdì era uno straccio pauroso, oggi è limpido come un sogno di libertà. Siamo appena al terzo giorno, ma sono bastate queste poche ore perché il mondo facesse un balzo di millenni.
No, non misurare sui calendari dell’uomo la distanza che separa quest’alba luminosa dal tramonto livido dell’ultimo venerdì. Non è trascorso del tempo: è passata un’eternità. Donna, tu non lo sai: ma oggi è cominciata la nuova creazione.
Cari amici, nel giorno solennissimo di Pasqua anch’io debbo rivolgere a ciascuno di voi la stessa domanda di Gesù: “Perché piangi?”
Le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che non siano l’ultimo rigagnolo di un pianto antico. O l’ultimo fiotto di una vecchia riserva di dolore da cui ancora la tua anima non è riuscita a liberarsi.
Lo so che hai buon gioco a dirmi che sto vaneggiando.
Lo so che hai mille ragioni per tacciarmi di follia.
Lo so che non ti mancano gli argomenti per puntellare la tua disperazione.
Lo so.
Forse rischio di restare in silenzio anch’io, se tu mi parli a lungo dei dolori dell’umanità: della fame, delle torture, della droga, della violenza.
Forse non avrò nulla da replicarti se attaccherai il discorso sulla guerra nucleare, sulla corsa alle armi o, per non andare troppo lontano, sul mega poligono di tiro che piazzeranno sulle nostre terre, attentando alla nostra sicurezza, sovvertendo la nostra economia e infischiandosene di tutte le nostre marce della pace.
Forse rimarrò suggestionato anch’io dal fascino sottile del pessimismo, se tu mi racconterai della prostituzione pubblica sulla statale, del dilagare dei furti nelle nostre case, della recrudescenza di barbarie tra i minori della nostra città.
Forse mi arrenderò anch’io alle lusinghe dello scetticismo, se mi attarderò ad ascoltarti sulle manovre dei potenti, sul pianto dei poveri, sulla miseria degli sfrattati, sulle umiliazioni di tanta gente senza lavoro.
Forse vedrai vacillare anche la mia speranza se continuerai a parlarmi di Teresa che, a trantacinque anni, sta morendo di cancro.
O di Corrado che, a dieci, è stato inutilmente operato al cervello.
O di Lucia che, dopo Pasqua, farà la Prima Comunione in casa perché in chiesa, con gli altri compagni, non potrà andarci più.
O di Nicola e Annalisa che, dopo tre anni di matrimonio e dopo aver messo al mondo una creatura, se ne sono andati ognuno per la sua strada, perché non hanno più nulla da dirsi.
Queste cose le so: ma io voglio giocarmi, fino all’ultima, tutte le carte dell’incredibile e dire ugualmente che il nostro pianto non ha più ragione di esistere.
La Resurrezione di Gesù ne ha disseccate le sorgenti. E tutte le lacrime che si trovano in circolazione sono come gli ultimi scoli delle tubature dopo che hanno chiuso l’acquedotto.
Riconciliamoci con la gioia.

La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi e perfino la morte, dal versante giusto: quello del “terzo giorno”.

Da quel versante, il luogo del cranio ci apparirà come il Tabor.
Le croci sembreranno antenne, piazzate per farci udire la musica del Cielo.
Le sofferenze del mondo non saranno per noi i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto.
E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse, saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo
 

OMELIA S. MESSA DEL CRISMA Basilica Cattedrale, Giovedì Santo 2013

CrismaQuesta suggestiva celebrazione che al mattino del Giovedì Santo vede raccolti attorno all’altare i presbiteri con il loro vescovo, in un certo senso, costituisce una “introduzione” al sacro triduo pasquale.
In essa vengono benedetti gli olii e il crisma che serviranno per l’unzione dei catecumeni, per il conforto dei malati e per il conferimento della cresima e dell’ordine sacro.
Gli olii e il crisma, intimamente collegati con il mistero pasquale, contribuiscono efficacemente al rinnovamento della vita della Chiesa attraverso i sacramenti.
Lo Spirito Santo, mediante questi segni sacramentali, non cessa di santificare il popolo cristiano.
Saluto tutti affettuosamente e vi ringrazio perchè ci siete con tutto l’impegno e l’entusiasmo che necessita per proseguire il cammino della storia e della Chiesa.
Con sincera gratitudine saluto soprattutto voi carissimi sacerdoti e diaconi che assieme al Vescovo portate il peso e la responsabilità del ministero.
Questo fraterno saluto raggiunga anche i sacerdoti anziani rammaricati perchè impediti per la loro condizione fisica a poter vivere con noi questo momento di comunione sacerdotale. Con grande commozione sono stato raggiunto telefonicamente da Mons. Musciotto il quale si scusava di non potere essere presente questa mattina a causa della sua infermità e intrattenendomi con i suoi ricordi legati a tutti gli incontri sacerdotali soprattutto all’appuntamento del giovedì santo, mi ha anche incaricato di porgervi il suo saluto e chiede a me e a voi una preghiera e una benedizione.
Non vi nascondo i sentimenti di tenerezza che la semplicità di mons. Musciotto ha suscitato in me.
Assieme a lui vogliamo ricordare gli altri fratelli anche loro impediti a motivo della loro salute: penso a don Rosolino La Mendola, a mons. Giovanni Di Giorgi, a Padre Domenico Castiglia, a mons. Giuseppe Scelsi, Don Nicola Cinquegrani, don Calogero Farinella, don Stefano Neglia, Mons. Raffaele Anselmo.
Un augurio particolare a quanti in quest’anno celebrano il loro anniversario giubilare: Don  Salvatore Di Marco e don Pietro Quattrocchi nel 50° anniversario e Mons. Gioacchino Duca nel 60°.
 Il Giovedì santo ci accomuna in un’unica realtà sacramentale in quanto ci ricorda il natale del nostro sacerdozio e ci riporta al giorno della nostra ordinazione sacerdotale.
Non possiamo nasconderci l’immensa gioia suscitata dalla fantasia dello Spirito Santo che ci ha regalato Papa Francesco.
Papa Francesco viene da una comunità povera ma percepiamo che sarà per tutta la Chiesa una vera ricchezza.
La pagina evangelica proclamata poc’anzi ci introduce nella sinagoga di Nazareth, dove Gesù aperto il rotolo di Isaia comincia a leggere: “Lo Spirito del Signore e su di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione” (Lc 4,18)
Gesù commenta le parole del profeta Isaia e afferma di essere lui l’unto del Signore, colui che il Padre ha mandato per annunziare ai poveri il lieto annunzio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista.
Noi sacerdoti con l’ordinazione presbiterale siamo stati chiamati a condividere la stessa missione di Cristo, ecco perchè siamo stati “unti” nel giorno della nostra ordinazione sacerdotale.
Come il Padre ha mandato il Figlio unto di Spirito santo, così il Figlio ha mandato i suoi dopo averli unti. La stessa unzione, dunque, per continuare nel mondo la sua presenza, la sua missione.
Gesù manda i suoi discepoli per continuare nel mondo la sua missione non un’altra missione, manda i suoi discepoli non per essere semplicemente segno della sua presenza ma per essere nel mondo la sua presenza.
Gesù applica a sé l’oracolo del profeta concludendo: “Oggi si è compiuta questa scrittura”.
Ogni qualvolta l’assemblea liturgica si raccoglie per celebrare l’Eucarestia si attualizza questo “oggi”. Si rende presente ed efficace il mistero di Cristo unico e sommo sacerdote della nuova ed eterna alleanza.
In questa luce, comprendiamo meglio quale valore abbia il nostro ministero sacerdotale.
Con l’animo colmo di gratitudine rinnoveremo tra poco le promesse sacerdotali. Questo rito ci riporta con la mente e il cuore al giorno indimenticabile in cui il Vescovo mediante l’imposizione delle mani e la preghiera ci ha introdotti nel sacerdozio di Cristo e noi abbiamo assunto l’impegno di unirci intimamente a lui, modello del nostro sacerdozio, e di essere fedeli dispensatori dei misteri di Dio, lasciandoci guidare non da umani interessi ma solo dall’amore per Dio e per il prossimo.
Ci chiediamo: siamo rimasti sempre fedeli a queste promesse? O dobbiamo riconoscere che in qualche momento si è affievolito l’entusiasmo spirituale di quel giorno in cui certamente con cuore sincero ci siamo impegnati per la vita?
Benedetto XVI salutando i Cardinali il 28 febbraio scorso aveva già manifestato al suo successore la sua incondizionata riverenza e obbedienza. Nell’incontro storico a Castel Gandolfo avrà avuto modo di rinnovare di persona questa promessa.
Chi crede nell’obbedienza la pratica senza tergiversare e senza arzigogolare con elucubrazioni mentali che conduco semplicemente a giustificare le proprie posizioni per fare quello che pare e piace.
Quanto esempio, anche in questo, ci ha dato Papa Benedetto che nel “servizio della preghiera” a cui si è votato sancisce la sua grande fede e, pur nella sua figura esile e fragile, rivela lo spessore e la statura dell’uomo di Dio.
Il forte rinnovamento che ci aspettiamo da Papa Francesco non potrà consistere in un colpo di bacchetta magica che come per miracolo risolva tutti i problemi che noi conosciamo.
Il rinnovamento avverrà solo se noi saremo docili all’azione santificatrice dello Spirito Santo che in questo momento soffia attraverso   l’ opera di Papa Francesco.
Il rinnovamento avverrà se torneremo ad essere più umili, più poveri, più casti come il poverello d’Assisi
e come la radicalità del Vangelo esige.
Il rinnovamento avverrà se tutto quello che ci è dato di cogliere in questo tempo di grazia non si riduce solo a un fatto mediatico che può pure commuoverci e stupirci ma non convertirci.
Il cambiamento avverrà se ci lasceremo toccare il cuore e saremo capaci di tornare al senso più genuino del nostro essere discepoli del Signore.
Simone di Cirene, passato alla storia come il Cireneo, è stato costretto a incarnare il ruolo del discepolo del Signore perchè obbligato a portare la croce di Gesù.
Povero Simone! Tornava a casa dalla campagna e lo caricarono della croce perchè la portasse dietro a Gesù (cfr. Lc 23,26).
Simone è stato costretto a portare la croce e in qualche modo la storia l’ha premiato.
Noi, invece, siamo stati invitati a prendere la croce: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (cfr. Mc 8,34). Ogni giorno… non di tanto in tanto… ogni giorno…
Invitati, dunque, non costretti. Invitati e liberamente abbiamo accettato di abbracciare la croce.
Quanto mi ha fatto riflettere l’omelia di Papa Francesco tenuta ai Cardinali nella Capella Sistina l’indomani della sua elezione. “Quando camminiamo senza croce, quando edifichiamo senza la croce, quando confessiamo un Cristo senza croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani… si! Possiamo essere vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore.
La strada che Papa Francesco sembra aver deciso di percorrere con sempre maggiore forza è quella della “purificazione”, una strada fatta propria anche da Benedetto XVI.
Non possiamo non imbroccare anche noi la stessa strada.
Non possiamo consentire che il Santo Padre resti solo a percorrere questa strada segnata certamente dalla volontà di Dio.
Chi sa leggere le pagine di storia attuale e quotidiana che stiamo vivendo può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento che attraverso forme inattese e gesti pieni di vita e di significato rende tangibile la vivacità di una Chiesa mossa dalla presenza e dall’azione efficace dello Spirito Santo.
Per una nuova fecondità occorrerà convincersi che la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento.
Occorrerà convincerci perchè la Chiesa vada avanti che solo un’autentica conformazione a Cristo ci libererà da una certa “mondanità spirituale” che ha offuscato l’immagine della Chiesa.
Questa espressione “mondanità spirituale” ce l’ha regalata Papa Francesco per metterci in guardia da uno stile che non è consono al nostro essere discepoli.
“Mondanità” è tutto ciò che di frivolo ci offre il mondo e noi siamo in questo mondo ma non siamo di questo mondo.
“Non conformatevi alla mentalità di questo mondo” (cfr. Rm 12, 1) ci esorta l’Apostolo Paolo.
Alla domanda su quale fosse la cosa peggiore che può accadere alla Chiesa l’allora Cardinale Bergoglio in una intervista rilasciata nel 2007 per la rivista “30 giorni” così rispondeva: “Il male peggiore in cui può incorrere la Chiesa è quello che Henri De Lubac, teologo Gesuita e poi Cardinale, chiama mondanità spirituale. È il pericolo più grande per la Chiesa, per noi che siano nella Chiesa; è peggiore, più disastrosa della lebbra”.
La mondanità spirituale è mettere al centro se stessi, è “il vivere per darsi gloria gli uni con gli altri”.
“Semplificando – spiega Bergoglio – ci sono due immagini di Chiesa. Da una parte la Chiesa evangelizzatrice che esce da sé, dall’altra la “Chiesa mondana  che vive in sé, da sé, per sé”.
Siamo chiamati a uscire dal recinto dell’orto delle proprie convinzioni considerate spesso inamovibili.
Perchè non riusciamo più a interessare il mondo con le nostre parole? Ma proprio perchè sono parole nostre!
Il mondo non è interessato alle nostre teorie e opinioni private ma è ancora interessato e sa ancora stupirsi di fronte alla autenticità e alla semplicità dell’annuncio della Parola di Dio.
È quello che è avvenuto con l’elezione di Papa Francesco.
A Maria, Regina degli Apostoli e Madre della Chiesa, affidiamo la nostra vita di consacrati, perchè nella fedeltà al Figlio suo Gesù, possiamo con gioia proseguire il nostro cammino nella Chiesa e per la Chiesa.
A lui, sommo ed eterno sacerdote, gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen (Ap 1,6).

I concili nei secoli
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I° CONCILIO DI NICEA



I° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



I° CONCILIO DI EFESO



I° CONCILIO DI CALCEDONIA



II° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



III° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



II° CONCILIO DI NICEA



IV° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



LETTERA A DIOGNETO


I° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



IV° CONCILIO LATERANENSE



I° CONCILIO DI LIONE



II° CONCILIO DI LIONE



CONCILIO DI VIENNA



CONCILIO DI COSTANZA



CONCILIO DI BASILEA



V CONCILIO LATERANENSE


CONCILIO DI TRENTO



CONCILIO VATICANO I°

Incontri sulla Dei Verbum
Incontri sulla “ DEI VERBUM” Comunità Itria dal 26 Novembre 2018. Per accedervi click sull’icona che scorre di seguito .
Introduzione alla lectio divina
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