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Attualità

Ritiro d'Avvento per giovani e famiglie

Region CaptureCarissimi,
l’Avvento, come tempo di preparazione al Natale, ci invita ad accogliere nella nostra casa il Verbo che si fatto carne ed a venuto ad abitare in mezzo a noi (cf. Gv 1, 14).
È tempo di attesa e di vigilanza che ci prepara ad accogliere il Verbo che si fa carne, è tempo di «incontro con Lui e la sua Parola viva…Chi incontra Cristo vivo e crede in Lui può incontrare con amore e misericordia tutti gli uomini e tutte le donne» (V. Manzella, Diremo la tua gloria. La dimensione missionaria della Chiesa alla lute della Evangel Gaudium, p. 30)
II recente Sinodo Straordinario sulle sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione celebratosi a Roma dal 5 al 19 ottobre u.s. ci invita a guardare alle famiglie, piccole chiese domestiche, ringraziandole e incoraggiandole per la testimonianza che ci offrono.
Nella famiglia matura la prima esperienza ecclesiale della comunione, in cui si riflette, per grazia, il mistero della Trinità: «È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, I’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1657).
La Chiesa, famiglia di famiglie, è chiamata ad esercitare l’arte dell’accompagnamento, perchè tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cf. Es 3, 5), intravedendone la presenza del Verbo (cf. EG 169).
II ritiro spirituale per giovani, giovanissimi e famiglie che vivremo a Caltavuturo domenica 14 dicembre p.v. ci offrirà la possibilità di scorgere la presenza di Cristo povero e umile nell’altro, sperimentando ancora una volta la sua misericordia.
Invitiamo, dunque, i responsabili dei gruppi giovani e famiglie e i parroci a comunicare entro domenica 7 dicembre le adesioni inviando una mail ai seguenti indirizzi di posta elettronica: pgcefalu@gmail.com; pastoralefamiglia@vahoo.it; licctheo@libero.it.
Nell’attesa di incontrarci, Vi salutiamo affettuosamente.
don Calogero Cerami Direttore del Servizio Diocesano per la Pastorale Giovanile
don Domenico Sausa Delegato Vescovile per la Pastorale Familiare
Martin e Maria Milone Direttori dell’Ufficio per la Pastorale Familiare
don Giuseppe Licciardi Direttore del Centro Diocesano Vocazioni
 
Programma
Ore 9.30        Accoglienza presso la Sala parrocchiale della Chiesa S. Maria di Gesù al Convento
Ore 10.00      Momento di preghiera presieduto dal nostro vescovo mons. Vincenzo Manzella
Ore 10.30      Meditazione dettata dalla prof.ssa Ina Siviglia, docente di teologia dogmatica presso la Facoltà Teologica di Sicilia
Ore 11.30      Divisione in gruppi per la condivisione:

  • -­‐    Famiglie (guidate dall’Ufficio di Pastorale Familiare)
  • -­‐    Giovani (guidati dal settore Giovani di Azione Cattolica) -­‐ Giovanissimi (guidati dal Centro Diocesano Vocazioni)

Ore 13.00      Pranzo a sacco
Ore 14.30      Adorazione Eucaristica in Chiesa Madre e Celebrazione del Sacramento della Riconciliazione
Ore 16.00      Celebrazione Eucaristica presieduta dal nostro Vescovo
Ore 17.00      Saluti e partenze
 
 

Le Chiese non diventino mai case di affari, la redenzione di Gesù è sempre gratuita"

pafra( Da l’Osservatore Romano 21 Nov 2014)
Parroci e laici che hanno responsabilità pastorali devono «mantenere pulito il tempio» e «accogliere ogni persona come fosse Maria», badando a non «dare scandalo al popolo di Dio» ed evitando di trasformare la chiesa in un giro di soldi, «perchè la salvezza è gratuita».
È questa la raccomandazione fatta dal Papa venerdì mattina, 21 novembre, festa della presentazione della beata Vergine Maria al tempio, durante la messa celebrata nella cappella della Casa Santa Marta. «Il gesto di Gesù nel tempio» — che come scrive Luca nel suo Vangelo (19, 45-48) «si mise a scacciare quelli che vendevano» — secondo Francesco «è proprio una cerimonia di purificazione del tempio».
Il popolo di Israele «conosceva queste cerimonie: tante volte ha dovuto purificare il tempio quando era stato profanato». Basti pensare, ha ricordato il Papa, «ai tempi di Neemia nella ricostruzione del tempio».
C’era «sempre quello zelo per la casa di Dio, perché il tempio per loro era proprio la dimora di Dio, era il “sacro”, e quando venne dissacrato, dovette essere purificato».
Dunque «Gesù, in questo momento, fa una cerimonia di purificazione» ha ribadito il Papa, confidando: «Pensavo oggi quanta differenza tra questo Gesù, zelante della gloria di Dio, frusta in mano, e quel Gesù dodicenne, che parlava con i dottori: quanto tempo è passato e come sono cambiate le cose!».
Infatti «Gesù, mosso dallo zelo per la gloria del Padre, fa questo gesto, questa cerimonia di purificazione: il tempio era stato profanato».
Ma «non solo il tempio: con il tempio, il popolo di Dio, profanato con il peccato tanto grave che è lo scandalo».
Riferendosi sempre all’episodio evangelico, Francesco ha rimarcato che «la gente è buona, andava al tempio, non guardava queste cose: cercava Dio, pregava».
Però «doveva cambiare le monete per fare le offerte, e lo faceva lì».
È proprio per cercare Dio che «il popolo di Dio andava al tempio; non per quelli che vendevano». La gente «andava al tempio per Dio». E «lì c’era la corruzione che scandalizzava il popolo».
A questo proposito, il Papa ha ricordato «una scena della Bibbia tanto bella» che si ricollega anche con la festa della presentazione di Maria: «Quando la mamma di Samuele è andata al tempio, pregava per la grazia di un figlio. E bisbigliava in silenzio le sue preghiere. Il sacerdote, vecchio, poveretto, ma tanto corrotto» le disse «che era un’ubriaca».
In quel momento «i suoi due figli sacerdoti sfruttavano la gente, sfruttavano i pellegrini, scandalizzavano il popolo: il peccato dello scandalo». Ma la donna, «con tanta umiltà, invece di dire due parole forti a questo sacerdote, ha spiegato la sua angoscia». Così «in mezzo alla corruzione, in quel momento» c’era «la santità e l’umiltà del popolo di Dio».
Pensiamo, ha proseguito il Pontefice, a «quanta gente guardava Gesù che faceva la pulizia con la frusta».
Scrive Luca: «Tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo».
Proprio alla luce del gesto di Gesù, «penso allo scandalo — ha affermato Francesco — che possiamo dare alla gente con il nostro atteggiamento, con le nostre abitudini non sacerdotali nel tempio: lo scandalo del commercio, lo scandalo delle mondanità».
Infatti «quante volte vediamo che entrando in una chiesa, ancora oggi, c’è lì la lista dei prezzi: battesimo, tanto; benedizione, tanto; intenzioni di messa, tanto…».
E «il popolo si scandalizza».
Il Papa ha raccontato anche una vicenda che lo ha toccato da vicino:
«Una volta, appena sacerdote, ero con un gruppo di universitari e una coppia di fidanzati che voleva sposarsi. Erano andati in una parrocchia, volevano farlo con la messa. E lì, il segretario parrocchiale ha detto: No, no: non si può — Ma perché non si può con la messa? Se il concilio raccomanda di farlo sempre con la messa? — No, non si può, perché più di venti minuti non si può — Ma perché? — Perché ci sono altri turni — Ma noi vogliamo la messa! — Ma, pagate due turni!».
Così «per sposarsi con la messa hanno dovuto pagare due turni».
Questo, ha rimarcato il Papa, «è peccato di scandalo».
E «noi sappiamo quello che dice Gesù a quelli che sono causa di scandalo: meglio essere buttati nel mare».
È un fatto: «quando quelli che sono nel tempio — siano sacerdoti, laici, segretari che hanno da gestire nel tempio la pastorale del tempio — divengono affaristi, il popolo si scandalizza».
E «noi siamo responsabili di questo, anche i laici: tutti».
Perché, ha spiegato Francesco, «se io vedo che nella mia parrocchia si fa questo, devo avere il coraggio di dirlo in faccia al parroco», altrimenti «la gente soffre quello scandalo».
Ed «è curioso», ha aggiunto il Papa, che «il popolo di Dio sa perdonare i suoi preti, quando hanno una debolezza, scivolano su un peccato».
Ma «ci sono due cose che il popolo di Dio non può perdonare: un prete attaccato ai soldi e un prete che maltratta la gente.
Non ce la fa a perdonare» lo scandalo della «casa di Dio» che diventa una «casa di affari».
Proprio come è accaduto per «quel matrimonio: si affittava la chiesa» per «un turno, due turni di affitto…».
Nel passo del Vangelo, Luca non dice che «Gesù è arrabbiato». Piuttosto Gesù «è lo zelo per la casa di Dio, qui: è più della rabbia».
Ma, si è chiesto il Pontefice, «perché Gesù fa così? Lui l’aveva detto e lo ripete in un’altra maniera qui: non si possono servire due signori. O rendi il culto a Dio vivente, o rendi il culto ai soldi, al denaro».
E «qui la casa del Dio vivente è una casa di affari: c’era proprio il culto al denaro».
Dice invece Gesù: «Sta scritto: la mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Così «distingue chiaramente le due cose». Dunque «non si possono servire due signori: Dio è assoluto». Ma c’è anche un’altra questione: «perché Gesù ce l’ha con i soldi, ce l’ha con il denaro?». Perché — ha risposto Francesco — «la redenzione è gratuita: la gratuità di Dio».
Gesù, infatti, «viene a portarci la gratuità totale dell’amore di Dio».
Perciò «quando la Chiesa o le chiese diventano affariste, si dice che non è tanto gratuita la salvezza».
Ed è proprio «per questo che Gesù prende la frusta in mano per fare questo rito di purificazione nel tempio».
La festa liturgica della presentazione di Maria al tempio ha suggerito al Pontefice una preghiera.
Ricordando che la Vergine entra nel tempio da «donna semplice», Francesco ha auspicato che questo «insegni a tutti noi — a tutti i parroci, a tutti quelli che abbiamo responsabilità pastorali — a mantenere pulito il tempio» e «a ricevere con amore quelli che vengono, come se ognuno di loro fosse la Madonna».

La religione cattolica a scuola

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 Dalla rilevazione degli studenti di tutte le scuole statali del territorio diocesano che si sono avvalsi dell’insegnamento della religione cattolica nell’anno scolastico 2013-2014 emerge il seguente prospetto( Vedi Tabella e grafico  >> click per ingrandire )

  Sono dati importanti, che indicano senza ombra di dubbio la valenza  culturale e formativa che le famiglie  e gli stessi studenti della Secondaria Superiore attribuiscono all’insegnamento della Religione Cattolica  al momento dell’iscrizione scolastica.

Gli alunni che non si avvalgono dell’insegnamento della Religione Cattolica sono appena l’1,9% (122/11.117), il cui 18,03 % (22/122) a sua volta è costituito da stranieri nella maggior parte d’altra religione.
         Nei primi tre livelli di scuola, la scelta di avvalersi o non avvalersi di tale insegnamento viene fatta dai genitori, ma bisogna giungere alla scuola media per superare l’1% di non avvalentesi; nella Secondaria superiore, ove tale  scelta viene controfirmata dallo studente, i non  avvalentesi non superano l’1,50%.
Da altra indagine, condotta  negli ultimi due anni scolastici su una fascia specifica d’età degli studenti dell’ultimo livello, risulta che solo per  il 12,07% (pari  a 74/612) hanno deciso i genitori.
Con buona pace degli scettici, si tratta di una scelta libera che trova conferma tra gli stessi studenti che la frequentano e tra i genitori per altro molto attenti, per non dire esigenti, alla valutazione che nella disciplina viene attribuita dall’insegnante di Religione a ciascun alunno, esattamente come in tutte le altre discipline.
Succede anche il fenomeno inverso: si chiede all’insegnante di Religione di non essere esigente e di largheggiare nella valutazione proprio per consentire a tutti di godere di un maggior punteggio di credito. Tali richieste offendono l’insegnante e sviliscono la disciplina.
Ad onor del vero non poche sono state e sono le difficoltà perché all’insegnamento della Religione nelle singole Istituzioni scolastiche venga riconosciuta la pari dignità e funzione formativa con la altre discipline,  soprattutto se nella Scuola Secondaria Superiore si chiede che la sua frequenza concorra alla definizione del Credito scolastico, dal momento che il voto di Religione non fa media e quindi non concorre alla determinazione del Credito formativo.
I Collegi dei docenti non  sempre hanno chiari i termini della questione e a volte  sconoscono le proprie prerogative  lasciando ogni decisione ai dirigenti scolastici che a loro volta si lasciano guidare dalla loro ‘ideologia’  (o finta tale!) anziché dalla normativa vigente. Nel merito si è giunti persino a strumentalizzare il Consiglio d’Istituto facendogli deliberare l’annullamento di una decisione del Collegio dei docenti, che ammetteva la valutazione di Religione a concorrere alla definizione del credito scolastico, commettendo un illecito amministrativo. Un dirigente scolastico non può sconoscere le competenze dei singoli Organi Collegiali di cui egli stesso è presidente o componente di diritto.
Appaiono poi infruttuosa  retorica le prese di posizione ‘pseudo-culturali’ di chi  vorrebbe addirittura abolire tale insegnamento per sostituirlo con una generica Storia delle Religioni che  nella comparazione  offrirebbe maggiori spunti culturali e garantirebbe piena libertà di scelta religiosa.    
Si tratta di affermazioni ‘pseudo-laiche’ che tradiscono una mentalità più clericale di quella che ai chierici d’altri tempi consentiva la violenza morale e fisica nei confronti del pensiero libero e della libertà di coscienza individuale. Avviene infatti esattamente il contrario: in nome di una laicità  per sua natura rispettosa e promotrice di libertà individuale, si scivola facilmente nel laicismo che nega ogni sacralità e non riconosce, come nel nostro caso, il diritto di istruirsi e formarsi nella propria Religione.
Forse, però, il motivo dell’opposizione è molto più banale di quel che appare e mette a nudo la povertà culturale dei contesti in cui  maturano tali convincimenti. Per un discutibile senso di giustizia scolastica, si dovrebbe privare di un diritto costituzionalmente accertato (Costituzione della Repubblica, art. 7 per la Religione Cattolica e art. 8 per le Confessioni Religiose non cattoliche) e regolamentato da Intese (l’ultima del 28 giugno 2012 tra MIUR e CEI) perché la Scuola non è in grado di offrire attività alternative all’insegnamento della RC agli studenti che non se ne avvalgono (ne godono soltanto 6/59).
E’ contro ogni principio giuridico che si possa negare  un diritto a qualcuno (che poi questo qualcuno potenzialmente è il 98,90% della popolazione scolastica) solo perché non  si riesce ad offrire una pari opportunità  ad un altro!
         E’ opportuno tuttavia precisare che la scuola non riesce ad offrire attività alternative per difficoltà oggettive quali l’esiguo numero degli studenti non  avvalentesi, la dispersione di questi nelle varie classi in orari diversi, la mancanza di insegnanti da utilizzare allo scopo.
E non è un lampo di genio programmare un corso di Lingua straniera o di altra disciplina, quindi qualcosa di strutturato che nell’organigramma ordinamentale delle discipline si può pensare venga istituzionalizzato, in alternativa all’insegnamento della Religione. Lo studente non ha facoltà di scegliere tra  due discipline, ma sceglie di avvalersi o non avvalersi dell’IRC. Più che un lampo di genio sarebbe l’espressione della leggerezza con cui a volte si affrontano i problemi e anziché risolverli o accettarli come insolubili si crea disorientamento e incertezza nella interpretazione e applicazione delle norme.

                                                                      Prof. G. Riggio  –  Direttore dell’Ufficio per l’IRC

A scuola di Religione Cattolica

scuola religioneAccertare che il 98,90% degli studenti di tutte le  scuole statali del territorio diocesano di Cefalù, all’atto dell’iscrizione a scuola, scelgano di frequentare le lezioni di Religione Cattolica, ai fini statistici può essere gratificante; mentre, infatti, siamo perfettamente in linea con  dati CEI relativi all’Italia meridionale, contribuiamo in modo significativo ad elevare la media nazionale che si attesta intorno all’88 %.
Una lettura responsabile dei dati, tuttavia, pone la necessità di una attenta verifica sull’efficacia di tale massiccia frequenza in termini di gradimento della disciplina e in termini di profitto sia didattico  che formativo.
Per tale verifica e per  il secondo anno consecutivo è’ stata scelta la fascia di studenti, mediamente sedicenni, frequentanti la III Classe delle Scuole Secondarie superiori di tutto il territorio diocesano, convinti che, a metà del percorso dell’ultimo grado di scuola, dovrebbe apparire piuttosto strutturata la loro personalità, hanno una adeguata  coscienza di sé ed una sufficiente consapevolezza  delle proprie potenzialità, hanno quasi  definito una scala di valori,  si orientano nella vita di relazione, hanno maturato un’idea di Dio e del posto che Egli occupa nella loro esistenza, anche se situazioni contingenti e difficoltà di percorsi possono fare pensare l’esatto contrario.
        E’ stato somministrato loro un Questionario strutturato secondo i criteri usati nei test scolastici cui i ragazzi sono abituati, anche se là dove verte su competenze che evidenzino il livello formativo fa appello a capacità meta-cognitive, all’esercizio delle quali non sono generalmente formati, pur utilizzandole normalmente senza la necessaria consapevolezza.
        Non viene qui riportato il Questionario pulito, ma nell’analisi delle risposte vi si fa dettagliato riferimento risultandone una lettura piuttosto chiara.
        Anche quest’anno. l’iniziativa ha ottenuto un ottimo accoglimento tra  gli studenti: hanno compilato il Questionario tutti i presenti in classe nel giorno della sua distribuzione (658 studenti), giorno scelto liberamente dai docenti di Religione.
Non tutti invece hanno risposto a tutte le domande  del Questionario. Due classi per esempio ne hanno lasciato decisamente in bianco  alcune parti, come i docenti interessati hanno potuto constatare  visionando il tabulato della propria scuola.
La quantità di risposte date  oscilla tra l’ 83% e il 100%. Solo la Domanda n. 4, sul totale disinteresse nei confronti dell’insegnamento della RC, ha una percentuale di risposte pari al 22,64% degli intervistati. Ma sono ben 150 studenti!
        Quanto alla tabulazione preciso che le percentuali  riportate nelle singole voci vanno rapportate al totale delle risposte date a quella stessa voce, mentre la percentuale riportata sotto il totale delle  risposte di ogni domanda va rapportato al numero degli intervistati (658).
 
Domande 1-5:
         Su 658 intervistati, mediamente il 94,22 %. ha risposto alle prime tre domande, dalle cui risposte si evince che l’85,64% ha scelto autonomamente di frequentare l’insegnamento della Religione, a fronte di  un 12,07% per i quali hanno scelto i genitori; irrilevanti i dati riguardanti l’influenza dell’insegnante di RC o dei compagni.
        Piuttosto varia la  valutazione di tale scelta: è intelligente per l’11,11%, culturalmente interessante per il 38,27%, utile per il 23,05%,  consequenziale alla propria fede per il 19,13%, mentre l’8,48% la considera inutile e improduttiva.
        La bontà della scelta (n.3) viene motivata dal pluralismo culturale nel quale l’insegnante inquadra la disciplina (33,00 %) , ovvero dall’esclusione del pluralismo (4,33%). Sale al 62,66% il gradimento delle lezioni che risultano aperte ai problemi generalmente culturali e all’attualità.
        Il 22,64 % non ha interesse per la disciplina (n.4). Va  tuttavia precisato che molte  delle risposte alla domanda 4 appartiene a studenti che hanno già espresso gradimento nella domanda 3, e pertanto esprimono quando la disciplina, che pur piace, diventa noiosa; l’altra parte, invece, spiega i motivi della risposta alla domanda 2d (inutile e improduttiva).
Di fatto i motivi del non gradimento, totale o parziale, sono: la ripetitività delle tematiche (46,97 %), il taglio eminentemente morale dell’insegnamento (30,87 %), la mancanza di confronto culturale (22,14 %).
La partecipazione attiva alla lezione coinvolge il 71,40%, mentre il 20,40% pur restando in classe fa assolutamente  altro, il 3,51% chiede di allontanarsi dalla classe. Il 4,68% afferma che molti compagni escono dalla classe. Il 28,60 % di disinteresse, malgrado la libera scelta al momento dell’iscrizione, dovrebbe far pensare molto.
 
Domande 6 – 15:
 Alla domanda n.6, quasi il 26 % degli studenti attribuisce la riuscita della propria ‘crescita’ a fattori esterni, come l’avere tanti soldi (13,31%) o tanti amici (12,50%), mentre il 25,48%  punta sulla propria intelligenza che, ovviamente lega ad un progetto di vita (64,93%).
        Le risposte alla domanda 7 sono le più numerose e le più svariate: ha risposto il 100% degli intervistati, per un totale di 1541. Cosa ti fa pensare all’esistenza di Dio?
In ordine decrescente viene dichiarata una spiccata sensibilità alla nascita di un bambino (39,05%), alla guarigione da un tumore maligno (34,09%), alla morte di una persona cara (32,52%), all’esistenza del male nel mondo (30,54), al perdono dei nemici (26,29%), alla solidarietà tra le persone (24,92%), alla ricchezza della vita (18,08%), al cielo stellato (12,91 %), alla bellezza di un tramonto (12,76 %),  alla scoperta di un vaccino (2,73%).
        Seguono le domande (8-15) sull’apprendimento specifico della disciplina:
l’88,70 % conosce i Quattro Evangelisti, il 6,87%  non conosce Marco ma vi inserisce Paolo, il 3,43% non conosce Marco e Luca ma vi aggiunge Pietro e Paolo. Solo lo 0,98% scherza con Aldo – Giovanni e Giacomo!
        La divisione della Bibbia in Antico e Nuovo Testamento è conosciuta dal 91,61%, irrisorie le percentuali delle risposte errate.
        Con il termine ‘Chiesa’ l’83,14% intende la Comunità di tutti i battezzati; il 9,56% l’insieme  dei gruppi parrocchiali; il 5,34% il Papa con i Vescovi e i Preti; l’1,94% la identifica con la struttura architettonica.
        Solo l’85,10% ( 560/658!) risponde alla domanda  n. 11 sulla SS. Trinità: per il 58,75% il Mistero ci propone un Dio di relazione interpersonale, per il 34,20 % ha una funzione strumentale a giustificare la divinità di Cristo, mentre per il  6,42% è un retaggio dell’antico politeismo.
        Anche sulla persona e sulla funzione dello Spirito Santo il numero complessivo delle risposte  (vero-falso  per singola domanda) risulta piuttosto basso: si va da un minimo di 505/658 ad un massimo di 586/658. Queste le risposte:  il 16,02% non lo considera Dio con il Padre e con il Figlio; per il 23,23% è il fondatore del  Movimento dello Spirito; per il 26,53%  lo Spirito non ha niente a che fare con la comunicazione della salvezza ai cristiani; per il 35,22% non è Lui che ci fa conoscere il Figlio; non è vero che lo abbiamo ricevuto nel Battesimo e nella Cresima per il 19,72%; per il 27,14%  lo Spirito è sottoposto al Figlio, ed infine ne potremmo fare a meno per il 23,89%.
        Alla domanda n. 13, sulla fede in Gesù Cristo, non rispondono 68/658 intervistati. Per l’89,32%  dei restanti  i cristiani credono  che Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo; per il 6,44% è lo Spirito Santo divenuto uomo; per il 2,03% è il salvatore della Palestina; intorno all’1%  quelli che lo definiscono il narratore dei Vangeli o l’ultimo dei profeti.
        Alla domanda n. 14 rispondono in 620/658. Per l’80%  Gesù è morto e risorto il terzo giorno, per il 17,25% Gesù dalla croce è salito al cielo, per il 2,58% Gesù è risorto la notte di Natale, solo  per 1 alunno Gesù è morto dopo le apparizioni.
Dalle risposte alla  domanda n.15  apprendiamo come l’intervistato definisce e vive la realtà parrocchiale:  rispondono ben 620 ragazzi (98,02%). Di essi, il 67,28% sostengono che la realtà parrocchiale è costituita da un gruppo  di persone che vivono  la stessa fede; per il 23,58%  la Parrocchia è il luogo dove si celebrano i Sacramenti e i Sacramentali; per il 5,27% un luogo ove  si svolgono riunioni e si va a giocare; per finire con il 3,87% che la  considera come la casa dei Sacerdoti.
 
Domanda 16.
 Piuttosto complessa, la domanda intende fare emergere l’idea di come Dio si rapporta all’uomo e di conseguenza di come l’intervistato si colloca dinanzi a Lui.
Le risposte vanno da un minimo di 593 ad un massimo di 652/658.
Rifiuta un Dio severo e punitivo  il’80,68% degli intervistati, che invece va bene per il 4,70%. Un ulteriore 14,61% non sa. Piace un Dio protettivo e paterno (75,88%), che tuttavia non piace al 6,43 %, mentre sale al 17,68 % il numero dei dubbiosi.
Dio non detesta gli atei per il 69,25 %, li detesta invece  per il 3,637%, non sa rispondere il 27,10%. Egli rispetta la nostra libertà per il 65,64 % , in modo contrario la pensa il 12,31 %, non ne ha idea il 22,04 %. Non detesta i peccatori per il 66,66 %; li detesta per il 12,39%,  non sanno rispondere  il 20,99 %.
 L’idea di un Dio paterno e materno piace al 57,69%,  non piace al 13,23 %,  non ne ha idea il 27,06%.
Più netta appare la posizione nei confronti di un Dio terribile e capriccioso verso gli uomini. Lo rifiuta l’81,09 %, lo considera tale il 6,13 %, non ne ha idea il 12,76 %.  Non disdegna che Dio veda tutto il 69,13 %, non lo accetta l’8,93 %, non sa il 21,92 %.
L’affermazione sulla bontà di Dio verso di noi anche quando siamo cattivi  trova il consenso del 79,18 %:  non la condivide  il il 4,75%, non sa il 16,06%.
L’affermazione sull’amore  di Dio verso ogni uomo e verso tutti a prescindere dalla correttezza morale, dalla posizione sociale , dalla stessa confessione religiosa di appartenenza  è condivisa dall’80,21%. Solo il 5,21% non la condivide; il 14,57% non sa rispondere.
 Trova in forte imbarazzo gli intervistati, tra l’altro con  una altissima  percentuale di risposte (92,85 %), l’affermazione che la giustizia di Dio sarebbe la migliore garanzia per tutti gli uomini. Non è d’accordo il 12,27%, è d’accordo il 39,27%, non sa rispondere il 48,44%.
 E’ innegabile che il problema più serio è l’alta percentuale di coloro che non sanno dare una risposta, o meglio, della carenza di risposta un po’ da parte di tutti, perché ovviamente non si tratta di due gruppi distinti dei quali l’uno dà risposte, l’altro non sa darne. C’è un gran numero di studenti che non ha metabolizzato tutti gli insegnamenti acquisiti o che non si è posto determinate domande sulla propria  esistenza e sul proprio rapporto con Dio, ovvero che attribuire a Dio determinati atteggiamenti nei confronti degli uomini significa compromettere se stessi.
 
Domanda 17
         L’articolazione delle risposte a questa domanda dà la misura della serietà con cui gli studenti hanno compilato l’intero questionario e questa parte in particolare. Chi non ha voluto cimentarsi nell’attenta analisi di sé, ha tagliato dall’alto in basso l’intera pagina del questionario, altri, invece, l’anno lasciata in bianco.
        Le percentuali  riportate sono relative al numero di risposte date per ogni singola voce, pertanto succede che non sempre tra le varie voci a percentuale maggiore corrisponda un numero maggiore di risposte. Per una più facile lettura, anziché riportare le percentuali preferisco i numeri interi Pertanto, mentre nel tabulato trovate le percentuali, nella presente relazione preferisco riportare i numeri interi perché il discorso risulti più agevole ala lettura.
        La media complessiva delle risposte è del 93,36% sui 658 intervistati, con l’avvertenza che la  differenza in negativo (6,64%) non va riferita agli studenti ma al numero complessivo delle risposte.
I valori verso i quali gli studenti mostrano in maggioranza molto (primo numero) e in parte abbastanza (secondo numero) interesse sono: la Famiglia (592+ 31/ 631), segue la Libertà (518 + 98 / 624), la Salute (531 +69 / 605), l’Amore (456+ 137 / 617), l’Amicizia (476 + 117 / 600), l’Onestà (437 + 147/ 596), La solidarietà (Aiutare gli altri) (343 +225/613), la Giustizia (326 + 220/611), il Divertimento (316 + 262 / 598), la Sessualità (281 + 227/658). La sessualità interessa poco a 79 ragazzi, per niente  a 21, non sanno 50!
 Prevale l’abbastanza sul molto o differiscono di poco nei seguenti valori:
Osservare le Regole (344 + 162 /600), lo Studio (332+171/598) la Bellezza fisica (306+109/ 629); il Lavoro (302+286/ 609); la Religione (282+ 157/587); che tuttavia interessa poco o niente  a 147 studenti  e 31 nemmeno lo sanno.  La Patria (281+150/626, ma non interessa a 157; Fare carriera (274+264/ 634); Andare a Messa (223+89/598, ma ben  270 ne ha poco o alcun interesse, mentre 13 nemmeno ci pensano. Le Attività parrocchiali  non interessano a 350  studenti, sono invece interessanti per 147, mentre  31 nemmeno lo sanno. L’interesse per la Politica è radicalmente capovolto: non interessa a 412 studenti, sono interessati 174, non lo sanno 22.
 
Domanda 18
         Gli studenti appaiono più diffidenti (53,89%) che fiduciosi (24,70%) nei confronti degli altri, mentre il 21,39 % resta nel dubbio;
Nei confronti del proprio futuro risulta ottimista il 45,91%, pessimista il 39,82 %, non ne ha idea il 14,26;
La capacità progettuale e la voglia di affrontare la vita con una certa grinta  è presente nel 74,18 %, manca nel 20,75 %, mentre il 5,06% non si è posto il problema;
In ordine alle scelte importanti della vita il 29,10 % mostra il convincimento che sia necessario farlo presto, mentre il 56,85% è timoroso e attendista.. Non si pone il problema il 14,04 %;
Ha un atteggiamento d’impegno e sa di dover puntare soprattutto sulle proprie forze il 60,70%, crede nella fortuna e non sulle proprie capacità e sul proprio impegno il 19,89%. Non ha ancora una visione del proprio futuro il 19,39 %;
Mostrano consapevolezza della realtà in cui vivono ed hanno fiducia in se stessi aprendosi alla possibilità di rischiare il 59,03 %, hanno paura ma si ritengono saggi il 32,87 %. L’8,08 % non sa che pesci pigliare;
Credono che nella vita non ci sia nulla di definitivo, ma che tutto è suscettibile di cambiamento il 47,52 %, sanno che ci sono cose essenziali che si scelgono una volta sola il 39,27 %. Non prendono posizione il 13,20 %.
Mediamente  il 13,63 % (Risposta ‘non so’ ) non ha le idee chiare o non si è mai posto questi problemi.
 
Riflessioni
 Da un sommario confronto con i dati rilevati nell’anno scolastico precedente complessivamente non appaiono differenze sostanziali: la maggioranza degli studenti possiede le conoscenze essenziali della Disciplina, pur essendo alto il numero di chi ha carenze dottrinali sulla SS. Trinità, sullo Spirito Santo in particolare  e sulla natura della Comunità cristiana locale (la Parrocchia).
Ciò dovrebbe far  riflettere non solo gli insegnanti di Religione, ma anche Parroci e Catechisti in considerazione del fatto che un giovane di 16 anni ha alle spalle almeno 10 anni di lezioni di Religione a scuola, una preparazione catechistica per la Prima Comunione e una per la Cresima!
Analoga riflessione va fatta per l’interesse dichiarato nei confronti della Religione, della Santa Messa in particolare, per la sua importanza nella vita cristiana e nella pratica religiosa,  e della partecipazione alle attività parrocchiali: 220/658 studenti hanno poco o nessun interesse nei confronti della Religione; 346/658 non amano andare a Messa; 511/658 non  frequentano le attività parrocchiali. Sono dati da bancarotta!
Cosa offriamo ai ragazzi  in termini culturali o  anche solo ricreativi? Perché nella formazione dell’iniziazione cristiana continuiamo a suscitare emozioni deboli che vengono sistematicamente spazzate via dalle  emozioni forti dell’età adolescenziale? Stiamo tentando percorsi nuovi in campo formativo dopo averci riflettuto per un intero anno pastorale con proiezione decennale? E, nell’anno della missionarietà della Chiesa, quali Progetti stiamo elaborando in concreto per  ‘uscire’ culturalmente e fisicamente  incontro a questi giovani, che si raccontano nella loro sincerità quasi totalmente avulsi da interessi religiosi ed estranei alle proposte che rivolgiamo loro? In cosa consiste la nuova evangelizzazione ? Urgono risposte concrete, operatività pastorale capillare che va dalla ricerca dell’individuo, all’ascolto, allo studio del suo habitat, alla valorizzazione delle sue aspirazioni o alla  rimozione delle sue frustrazioni…mettendo al bando gli assemblearismi
 e le tematiche astratte, che spesso sfociano in moralismi che banalizzano il vissuto di chi ascolta.
Il primato del disinteresse dei giovani  è detenuto dalla Politica. Oltre i  due terzi delle risposte  ne dichiarano poco o nessun interesse. Sarebbe semplicistico vederne la causa solo nella grave crisi che la politica ha attraversato negli ultimi 30 anni, totalmente priva di capacità progettuale del bene comune mentre veniva perseguito l’interesse privato in termini di corruzione e latrocini. Ciò ovviamente ha confermato i giovani nel loro disinteresse convincendoli che fanno bene a disinteressarsene.
La vera causa invece va cercata nella gravissima mancanza di una educazione alla democrazia partecipata che, viceversa, dovrebbe indurli a critiche mirate e all’impegno formativo nel sociale per prepararsi a sostituire una classe politica nella maggior parte degna solo di essere rottamata.
E questi giovani ne avrebbero anche i numeri perché, contrariamente ai luoghi comuni che hanno determinato il nostro giudizio negativo nei loro confronti facendoceli assimilare alla ‘gioventù bruciata’ degli  anni ‘70-’80 del secolo scorso, possiedono una scala di valori ben definita che appare quasi capovolta  rispetto alla tradizione dei benpensanti.
Sta crescendo una generazione nuova che mette il divertimento all’ottavo posto della sua scala di valori, al primo posto la famiglia; quasi a dire di essere stufa d’aver giocato troppo e di cercare nella famiglia il punto di riferimento certo ed immediato, mentre  gli adulti continuiamo a disquisire sulla sua irreversibile crisi.
Non sarà il nostro un giudizio di facciata mentre i giovani puntano diritto alla sostanza delle relazioni familiari da cui attingono sicurezza, superando a volte veri e propri traumi  mostrando tuttavia una grande capacità di adattamento? Fino a qualche anno addietro si considerava l’adolescenza come il momento della ‘fuga’ dalla famiglia per affermare la propria personalità e libertà, loro preferiscono essere liberi (2° posto) all’interno della famiglia, in buona salute (3° posto), amando e coltivando amicizia (al 4° e 5° posto), con la sicurezza del lavoro (6° posto), onesti (7°), solidali (9°), giusti (10°).
Non voglio apparire  edulcorato né interpretare i giovani come i protagonisti di un romanzo rosa tutto da scrivere. Nell’enfasi quasi voluta della mia narrazione, tuttavia, non posso non vedere l’inizio, la riproposizione di un umanesimo che nasce esattamente dalla profonda crisi in cui noi eravamo precipitati.,..facendo tabula rasa, (noi !), di quei valori che loro pongono ai primi posti della scala.
Quando i Giovani si raccontano fanno crollare i nostri pregiudizi e, se siamo onesti, ci mettono in crisi. La loro scala di valori che, ribadisco,  nasce dallo sfascio in cui noi abbiamo ridotto la nostra,  è certamente una controproposta forgiata dal disagio generazionale  che li accomuna nella ricerca di riferimenti certi su cui costruire il loro futuro.
Noi abbiamo assunto  atteggiamenti di facciata che al mutare delle circostanze hanno fatto crollare l’edificio, ma abbiamo mantenuto la sicumera del giudizio severo nei loro confronti, valutando superficialmente i loro comportamenti senza approfondirne  le motivazioni esistenziali, ambientali, generazionali. Abbiamo gestito un potere discriminatorio che ha finito per discriminare noi da loro, come se noi fossimo di un altro pianeta.
Nella fretta del giudizio ci è sfuggito che nasceva un nuovo modo di pensare, un nuovo modo di relazionarsi, un capovolgimento della scala dei valori che mette al primo posto quelli sociali, un modo di concepire la vita come gratifica personale da cui eventualmente discende un codice morale che a sua volta  non può essere fine a se stesso.
Quei valori sono i punti di forza di questa nuova generazione e sono per noi strumento di approccio fecondo se, tuttavia, sapremo ascoltarli e ci asterremo dal tentativo di voler mettere in discussione le loro visioni e l’ordine d’importanza che vi danno. Torneremmo ad essere i moralizzatori di sempre.
Quanto alle criticità, e ce ne sono tante, va usato lo stesso metodo: l’ascolto e il confronto. Dobbiamo aborrire anche solo di pensare: “adesso te lo insegno io !”.
Dal loro racconto capiremo le motivazioni della mancata elaborazione, la  carenza culturale di riferimento, il contesto sociale e ambientale che genera convincimenti e comportamenti…la loro difficoltà di problematizzare e di pervenire a sintesi culturali capaci di determinare la propria esistenza.
        Tale difficoltà di problematizzare e di pervenire a sintesi culturale è la criticità di maggiore importanza. Essa emerge dalle numerose non-risposte, dall’incertezza  delle scelte proposte nelle domande dei gruppi 13 e 15, dalle numerosissime risposte  “Non so”. Tanti  percorsi personali non appaiono ancora definiti.
         Che tali problematiche emergano da un Questionario sul gradimento e sull’efficacia dell’insegnamento della Religione cattolica è quanto di più normale ci si potesse aspettare proprio perché quei valori e quelle visioni mentre sono obiettivi traversali di tutte le discipline sono invece obiettivi specifici dell’IRC.
Ma non sarebbe  affatto normale se si pensasse che tali problematiche interessino solo l’insegnamento della Religione cattolica.
Questo spaccato della situazione giovanile interessa e coinvolge tutti e ciascuno nella misura in cui ognuno svolge un  ruolo formativo e possiede gli strumenti per operare.
In primo luogo la famiglia che, per i legami naturali e la prossimità è e resta il primo punto di riferimento certo  per i figli. E’ una presenza per un certo verso appagante, ove innanzitutto si coltivano gli affetti e si ammortizzano le frustrazioni di una società plurale che disorienta  e tende ad omologare   tutto e tutti. Per altro, proprio in tale considerazione da parte dei figli, la famiglia può ritrovare la sua funzione, il suo stile, l’autostima e la motivazione di un suo riscatto da tutte le banalità che aveva fatto diventare importanti. Fino a qualche anno fa la famiglia ‘delegava’ la formazione dei  figli alla Scuola, alle Associazioni, alla comunità parrocchiale… il tempo delle deleghe è finito! La famiglia deve riappropriarsi del suo ruolo primario, mentre le altre istituzioni devono concorrere con gli strumenti propri alla realizzazione del progetto formativo della famiglia.
La Scuola non ha fatto mai del problema formativo il suo compito primario, e forse a ragione. Ovviamente non mi riferisco alla formazione professionale che sostanzialmente si esaurisce nel possesso da parte degli allievi di competenze specifiche inquadrate in un contesto culturale  mediamente sufficiente.   Preoccupata di istruire e di trasmettere il sapere ufficiale, la Scuola valuta gli studenti  quasi esclusivamente sul possesso delle conoscenze disciplinari accompagnato da un generico e soggettivo giudizio di maturità. Essa di fatto resta fuori dal circuito delle problematiche educative, non è e non è stata attenta al mutamento che ha caratterizzato con impressionante velocità e globalità questo passaggio di secolo e di millennio, restando cristallizzata e incartapecorita   in schemi culturali d’altri tempi.
A livello  istituzionale la cultura non ha prodotto i suoi frutti, perché anziché essere promotrice di cambiamento o per lo meno capace di gestirlo, lo ha subito con mal celata rassegnazione considerandolo una iattura.
Manca alla Scuola la conoscenza della fenomenologia della Società contemporanea, quella che gli esperti chiamano “Società impersonale” intendendo con ciò affermare che le manca la coscienza di sé e di quello che le  succede intorno, mentre vive tutto come fosse un paesaggio, bello o brutto che sia, che non chiede partecipazione né azione. Con la gonfiatura di tre grandi temi enfatizzati dalla modernità (il primato dell’io, del nuovo, del successo), la società propende al voyeurismo, non all’impegno, ed è destinata al populismo del guardare.
Per tornare alle tematiche formative, la Scuola oggi deve assolutamente rendersi operativamente capace di decifrare nelle nuove generazioni, che per altro si ritrova tra i banchi, la sindrome del complesso di Telemaco che si manifesta nella ricerca del padre, di punti di riferimento certi, delle proprie radici, nel desiderio di costruirsi un futuro che non sia catastrofico come il nostro presente; non può ripetere l’errore del passato, quando non seppe decifrare la sindrome del complesso opposto, quello di Edipo che ci ha spinti nella spasmodica ricerca del nuovo, più in termini di moda che di sostanza, uccidendo il padre, rinnegando il passato, trascurando le tradizioni, calpestando i valori sociali in nome dell’affermazione individuale.
Urge un grande dibattito su tutte le superiori problematiche anche solo per capire cosa sta succedendo tra le nuove generazioni e per non trovarci a disagio o sorpresi dinanzi alle loro proposte.

                                                           Prof. Giuseppe Riggio        Ufficio diocesano per l’IRC

 

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