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Leggiamo, una pagina al giorno, il libro “ PREGARE LA PAROLA” di Enzo Bianchi. Per accedervi click sulla voce del menu “ PREGARE LA PAROLA” o sull’icona che scorre di seguito .

Attualità

LO STEMMA DI S. E. REV.MA MONS. GIUSEPPE MARCIANTE, VESCOVO DI CEFALÙ

Blasone
D’azzurro, cappato d’oro, all’aratro sormontato da una stella di 8 punte, il tutto dello stesso; a destra un ramo fiorito di mandorlo posto in sbarra, a sinistra un fascio di 6 ceri accesi legati da cordicelle, il tutto al naturale; col capo passante di rosso, al libro aperto d’argento, caricato delle lettere maiuscole A e Ω del campo.
Lo scudo accollato alla croce astile trifogliata gemmata di 5 pezzi di rosso, e timbrato da un cappello prelatizio di verde con 6 fiocchi per lato dello stesso.
Motto: AMORE AMORIS TUI Continua a leggere

Messaggio di saluto al Vescovo Vincenzo dal Delegato ad omnia Don Calogero Falcone

Una delle più belle esperienze di libertà che la fede ci dona è la possibilità di ringraziare sempre, in ogni circostanza della vita.
         Non perché tutto quanto accade sia bello e buono – la fede non ci rende né ingenui né superficiali – ma perché sappiamo che Dio nutre su di noi pensieri di pace e di consolazione e che, nella sua sapienza e potenza, Egli “fa servire ogni cosa al bene di coloro che lo amano” (cfr. Rm 8,28).
         Se pure il male è dolorosamente presente nella vita di ogni essere umano, al bene spetta la prima parola e l’ultima; la parola che fa nascere e la parola che porta l’esistenza a compimento.
         Al termine di quasi nove anni di episcopato vissuti nella nostra Chiesa di Cefalù, desideriamo rivolgerLe il nostro filiale saluto e ringraziare innanzitutto il Signore che Lo ha chiamato a questo servizio attento e generoso,ringraziarLo per tutti i doni che attraverso di Lei ha fatto giungere alla nostra Chiesa e continuare a dire grazie al Signore perché anche adesso La chiama a consegnare questo sevizio nelle mani del Suo successore che lo continuerà con altre iniziative ed altre energie.
         Il servizio episcopale come dice l’Apostolo Paolo a Timoteo è “una cosa bella”; non sempre un compito facile, ma è un dovere fecondo, una provocazione a maturare ogni giorno nel senso del servizio evangelico.
         Grazie carissimo Vescovo Vincenzo, perché fino all’ultimo ci ha dato testimonianza della Sua fedeltà nell’obbedienza a Cristo e alla Chiesa.
         Lei mi ha ripetuto in questi mesi durante i quali mi ha chiesto di collaborarLa più da vicino, che così come è grazia di Dio diventare vescovi, è grazia di Dio lasciare per obbedienza il ministero di vescovo a servizio di una Chiesa locale.Obbedienza: concetto al contempo semplice, ricco di significato, atto del fidarsi di Dio nella propria vita, ma anche concetto complesso se è vissuto come un peso, fatto di sterili atti che si subiscono.
         Grazie per la Sua attenzione premurosa e generosa verso quanti vivono nella povertà; in tanti modi e sempre nel silenzio,ha fatto in modo che a tanti giungesse una “carezza” come Lei ama dire, una semplice “carezza”, per esprimere la vicinanza di Cristo  e dare un sollievo alle famiglie.
         Grazie per la Sua umiltà. Per come ha vissuto nella nostra Chiesa: con semplicità, senza ricercare titoli e onorificenze, ma lasciando alla storia e a Dio il compito di giudicare e di dare le ricompense.
Di certo non è stato un vescovo “populista”; che dà il contentino, che lascia correre, che affida tutto al caso; anzi mentre alcuni hanno parlato dei problemi, dilazionando i tempi, Lei ha voluto affrontarli con ferma decisione, nel silenzio e nel rispetto; ama ripetere che la prima forma di carità è il silenzio, soprattutto nei confronti dei confratelli.
Un silenzio che è attesa; rispetto dell’uomo nelle sue fragilità, nelle sue insicurezze. I limiti degli uomini ci insegnano ad amare sempre di più la Chiesa, mi ripete sempre.
Carissimo Vescovo Vincenzo, i legami di conoscenza e di affetto che costruiamo nel tempo rimangono come memoria di cui essere grati, e nel Signore, la nostra speranza è la comunione. Il dinamismo della fede infatti, ci strappa al nostro egocentrismo e ci fa trovare un nuovo, più alto equilibro, nell’appartenenza a Cristo Risorto: a Lui siamo legati da gratitudine senza misura, a Lui apparteniamo con tutto noi stessi.
Siamo tutti costretti, lo vogliamo o no, ad obbedire alla vita e la vita è una scuola esigente. Ma la scuola non basta a creare persone intelligenti: bisogna apprendere personalmente quello che la vita ci insegna; bisogna vivere ciascuna età per le opportunità che offre (e c’è spazio per gioie autentiche).
La “paternità” è la chiave di lettura per comprendere il Suo stile, il Suo ministero, il Suo travaglio, la Sua ansia, persino il suo carattere. E per questa paternità, noi tutti, soprattutto noi presbiteri la ringraziamo, ognuno di noi in cuor suo sa di cosa rendere grazie. Certo è stata una paternità esigente, perché ci ha ricordato la fedeltà a Cristo e all’uomo.
Concludo: voglia accogliere quest’oggi una promessa e un suggerimento; la promessa: che conserveremo accesa nei nostri cuori la lucerna della riconoscenza; l’umile suggerimento: “scriva sulla polvere il male eventualmente ricevuto e incida sul marmo il Bene operato”.
E mi permetta ancora una cosa. Abbiamo pensato ad un dono semplice, ma ricco di significato. Sono delle casule. Indossandole per celebrare l’Eucarestia si ricordi di noi e preghi per noi, per questa santa Chiesa che è in Cefalù. Per i suoi ammalati, per i poveri, per i bambini, per i giovani, per gli adulti, per coloro che credono e per coloro che sono ancora alla ricerca della loro fede; preghi per tutti coloro che svolgono un servizio nelle nostre comunità: ministranti, seminaristi, lettori e accoliti, catechisti, confrati, donne e uomini del volontariato, operatori sanitari, per coloro che hanno scelto la politica come servizio di carità, per le forze dell’ordine e preghi per noi, per noi sacerdoti e diaconi affinché insieme, senza invidie e gelosie, ma nella comunione possiamo continuare nel nostro cammino di santità ad annunciare il Vangelo di Cristo.
Ancora grazie Eccellenza da tutta questa santa Assemblea.

L'intervista di Mons. Manzella e il suo Episcopato

Sono tanti e differenti tra loro i ricordi che albergano nel cuore di Mons. Vincenzo Manzella a conclusione dei suoi nove anni di ministero episcopale nella Chiesa di Cefalù. Percorrere insieme al Vescovo questa galleria significa mettere al centro di ogni sua azione il verbo servire.
«Tutti i miei ricordipuntualizza il Vescovosono legati al ministero, alla mia presenza nel territorio vissuta sempre come servizio».
Intanto, nella memoria del Pastore si fa strada un convegno promosso dalla Cesi negli anni ottanta “Una presenza per servire”. Poi con acuta determinazione prosegue: «Servizio, non è un elenco, una scaletta di cose da fare. Io mi sono sforzato di vivere il servizio come un gesto di donazione quotidiana. Dietro fogli, pratiche, situazioni ci sono sempre persone con le loro attese, speranze, ferite e sensibilità».
In questi anni Mons. Manzella ha sempre valorizzato il ruolo del Vescovo come colui che è chiamato a curare la speranza nella consapevolezza che: «La speranza non è solo una virtù teologale; c’è una speranza sociale, antropologica. La speranza accompagna l’uomo, gli dona il coraggio per andare avanti. La speranza umana va coltivata senza bisogno di disturbare la fede».
Alla domanda: «Come ha vissuto in questi anni i munera di santificare, insegnare e governare?» Così risponde: «Nei miei 27 anni di episcopato ho fatto camminare insieme questi tre verbi. Poi mi ha sempre guidato la Parola di Dio, in special modo il capitolo 5 di Isaia. Il Signore resta il guardiano della vigna. È Lui che la irriga, è Lui che ne ha cura giorno e notte. Ma ci vuole anche chi vigili su di essa. Ci vuole una torretta per il guardiano. Al Vescovo compete vigilare: è lui l’angelo della Chiesa di cui parla l’Apocalisse». E prosegue:«Le difficoltà più grandi si presentano nel governare. Le doti di governo non si inventano, nè si possono improvvisare; tirano in ballo le tue doti personali come uomo, prima ancora che come padre spirituale di una comunità. Il coraggio è come il buon senso, chi non ce l’ha non se lo può dare».
Mons. Manzella ricorda ancora quanto ha detto nella sua omelia della Santa Messa di insediamento a Vescovo di Cefalù il 14 Novembre del 2009: «Vengo in mezzo a voi senza un programma stampato, ma con l’audacia e il coraggio di chi sa di avere posto nel Signore ogni speranza e che pertanto non sarà confuso in eterno. Col salmista da sempre ripetiamo: «In te Domine speravi non confundar in aeternum» (Te Deum, 31).
Tra le tante azioni di governo esercitate, Mons. Manzella parla dei trasferimenti dei tanti parroci affermando che: «Ad un’azione di governo, quale ad esempio il trasferimento di un parroco, possono seguire meccanismi impensabili, imprevedibili: dietro un trasferimento si attivano dinamiche che coinvolgono il Vescovo, le comunità, la Chiesa».
    Sono 27 gli anni di episcopato di Mons. Vincenzo, 9 vissuti a Cefalù e 18 vissuti a Caltagirone. Alla domanda: «Quali le differenze dei suoi episcopati in due Chiese diverse?». Il Vescovo afferma: «Sicilia orientale e occidentale sono due realtà diverse. Questo lo può attestare solo chi vi ha vissuto e lavorato. La terra di Sicilia è una sola, ma le mentalità le tradizioni sono differenti». E continua: «Quando arrivai a Caltagirone avevo 48 anni. Divenni Vescovo di Cefalù a 67 anni con un bagaglio di esperienze maturato in ben 19 anni di episcopato. Cambiano i volti, la gente, le situazioni. Ma mi sono sempre lasciato guidare da una prudenza “sapienziale”adattata caso a caso». E puntualizza: «Ho chiesto continuamente al Signore il dono di farmi accettare con serenità le cose che non possono cambiare; il coraggio per cambiare quello che può essere cambiato e la saggezza per capire la differenza tra quello che può essere cambiato e quello che non può». E ancora aggiunge:«Non ci seduce la prospettiva ingenua che di fronte alle sfide del nostro tempo ci possa essere una formula magica. No, non ci salverà una formula magica né un programma per quanto articolato possa essere; ci salverà una Persona: Gesù Cristo, che ci ripete ancora una volta: «Io sono con voi».
Il ministero episcopale di Mons. Manzella nel tempo ha visto il susseguirsi di tre Pontefici. Su una analisi pastorale relativa ai tre Papi così si esprime: «Ognuno di noi è irripetibile nella storia, anche se siamo tutti sostituibili. Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco hanno alle spalle esperienze di vita molto differenti tra di loro che chiaramente hanno anche influito nelle loro azioni pastorali. San Giovanni Paolo II rimane un gigante irripetibile. A Lui sono poi particolarmente legato perché da Lui nominato Vescovo. ».
Altrettanto forte è il legame con il Papa emerito. Sulla vicenda delle dimissioni del Papa tedesco puntualizza: «Sono state un gesto di coraggio e di onestà. Mi hanno ricordato con particolare emozione l’esperienza vissuta da prete giovanissimo con le dimissioni del Cardinale Francesco Carpino della Chiesa di Palermo. Allora ero il segretario del Cardinale, gli stavo accanto. Ed anche questo per me fu un vero atto di coraggio e lealtà».«A Papa Benedetto mi accompagna il caro e gradito ricordo dello striscione comparso in piazza San Pietro il giorno della morte di Giovanni Paolo II con la scritta:“Santo subito”. Oggi il mio pensiero va a Benedetto XVI e mi viene da ripetere nel mio cuore: “Santo ora”».
«Con Papa Francesco – dice Manzella – si evidenzia lo sforzo immane di un cambiamento di mentalità. La voglia di voltare pagina. Ma dietro questa sua apprezzabile spinta non c’è sempre il lodevole impegno di quanti sono chiamati a cogliere il suo monito».
Prima di essere Vescovo Mons. Manzella è stato Rettore del Seminario arcivescovile di Palermo. È questa un’esperienza che ha segnato fortemente tutta la sua vita e che lo ha sempre condotto a riversare una continua e puntuale attenzione alle vocazioni e alla formazione dei futuri presbiteri. In diverse circostanze ha affermato e continua ad essere convinto che: «Non si debba parlare di crisi vocazionale ma di crisi di risposte. Il Signore ha chiamato, chiama e chiamerà. Ma è cambiato il volto delle nostre famiglie cristiane, dove oggi manca il silenzio e il raccoglimento. E dove talvolta, anche se dovesse spuntare un germe vocazionale, difficilmente viene incoraggiato; mentre tanti anni fa era ritenuto un onore. Per i giovani di oggi troppe sono le distrazioni e i rumori. La chiamata si confonde tra le mille voci dei tanti social-network utilissimi ma che catturano e ingannano». Manzella crede ancora nel futuro dei seminari e nel loro ruolo formativo e confessa un suo sogno coltivato nello scorrere del tempo:«La nascita anche sotto l’aspetto giuridico, e non solo come dato di fatto, di un seminario interdiocesano». A tal proposito, prosegue: «Ho rilanciato più volte questo progetto all’interno della Conferenza Episcopale Siciliana, e finalmente se ne parlerà in maniera più puntuale, pensando ad una possibile istituzionalizzazione nella prossima sessione che si terrà dal 16 al 18 aprile a Piazza Armerina».
La formazione per Manzella non si limita ai soli anni del Seminario e non riguarda solo i presbiteri. «Ci si educa insieme – afferma con vigore – facendo guerra ai centri di potere. La formazione dura tutta la vita e senza la formazione non si va da nessuna parte. Ogni contributo mirato alla formazione è legato al successo dell’evangelizzazione e al cammino di tutta la Chiesa.Occorre valorizzare tutti i momenti formativi. Ogni forma di latitanza produce solo danni. Nella vigna del Signore non c’è posto per i liberi battitori o per i navigatori solitari, si lavora in rete, in comunione».
Il Vescovo si ferma; e con una voce che lascia cogliere la passione educativa del pastore, conclude: «Nessuno può dare agli altri quello che non ha».
Alla domanda: «Quali sono gli insegnamenti che il Vescovo vorrebbe lasciare alla Chiesa di Cefalù?». Così risponde: «Ilpastore ama con responsabilità e fermezza. C’è una paternità responsabile che interpella continuamente il pastore. Ma occorre sinergia, collaborazione, comunione coordinamento. Ci vuole chi coordina e chi si lascia coordinare. Non bisogna dare spazio all’individualismo, tipico di noi meridionali. Occorre accettare di voler essere coordinati perché, come era solito affermare il Cardinale Pappalardo:«Tutti vogliono coordinare, ma nessuno vuole essere coordinato».
Ad accompagnare il futuro del Vescovo di Cefalù c’è un ‘immagine efficace ed eloquente, quella del sole che quando tramonta non va mai a riposare. Per il suo futuro Mons. Manzella non ha un programmagià stabilito nei dettagli: «Sicuramente non starò a riposare. Non concepisco l’ozio. Troverò una dimensione pastorale. Penso al mio paese, a Palermo, al santuario di Altavilla Milicia dove c’è tanto bisogno di confessori».
Sicuramente anche nelle nuove pagine del libro della vita del Vescovo Vincenzo continueranno ad essere presenti i suoi genitori: «Ho avuto genitori che hanno segnato la mia vita. Papà era un esperto in umanità, uomo saggio, forte, deciso, coraggioso. Con la sua saggezza da buon contadino mi ha inculcato l’andare avanti con forza e tenacia, rivedendo la mia vita in tantissimi aspetti rivedo in me gli insegnamenti di mio padre. Riguardo a mia madre, mi impongo di imitarne quelle virtù che nel costruire le sue relazioni umane l’hanno sempre contraddistinta per eleganza, nobiltà d’animo, pacatezza e per quel temperamento mite riservato e discreto che ha sempre orientato ogni sua azione».
Come uomo e Pastore attento a curare la speranza, dal cuore di Mons Manzella sgorgano gli auguri per il suo Successore e per la sua amata diocesi: «AMons. Giuseppe Marciante auguro che possa “marciare” sempre. Andare avanti “marciando” nella gioia e nella speranza». E continua: «A tutta la Chiesa di Cefalù che fino ad oggi ho servito, auguro di crescere ogni giorno sempre più nella fede, speranza e carità, lasciandosi guidare dalla Parola di Dio. Una Chiesa che non si rinnova continuamente, o si fermasse a contemplare il suo passato per quanto fulgido possa essere, è una chiesa destinata a morire. Noi siamo gli uomini della speranza e i cultori della vita».
Mons. Manzella si allontana per qualche minuto. Ritorna con dei fogli tra le mani e legge ad alta voce un passaggio ultimo dell’omelia del suo insediamento a Vescovo di Cefalù: «Questa vigna vorrei riconsegnarla, quando sarà, come il giardino di Dio, più che consegnarla vorrei “cantarla” così come ha profetato Isaia: “In quel giorno la vigna sarà deliziosa: cantatela”.(Is 27,2). Ed io potrò così insieme all’Apostolo esclamare: “Ho terminato la mia corsa, ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede”». (2Tm 4,7).
C’è un’icona che Mons. Manzella porta nel suo cuore relativamente al Buon Pastore. È quella che si trova scolpita in un capitello nella Chiesa di Santa Maria Maddalena a Versailles.«In quel capitello– afferma il Vescovo- da una parte c’è Giuda impiccato, ma dall’altra c’è il Buon Pastore che se lo carica sulle spalle e lo porta via. Le labbra del Buon Pastore accennano ad un sorriso, ma non è certamente un sorriso ironico, è un sorriso un po’ complice». Ed è col sorriso del Buon Pastore che il Vescovo Vincenzo vuole salutare la Sua Chiesa. A Lui tutti i Suoi figli che ha arricchito e ha curato con il dono della Sua paternità, augurano che tra le pagine della storia della diocesi cefaludense resti viva la testimonianza del Pastore che ha saputo caricare “col sorriso” sulle spalle ogni sua pecora.
 

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