Attualità
Ritiro di Quaresima a Lascari
Carissimi,
con il solenne rito dell’imposizione delle ceneri abbiamo iniziato il tempo forte della Quaresima. Papa Francesco nel messaggio inviato alla Chiesa intera ci esorta a riflettere sul tema della povertà:
La povertà di Cristo che ci arricchisce è il suo farsi carne, il suo prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, comunicandoci la misericordia infinita di Dio.
La povertà di Cristo è la più grande ricchezza: Gesù è ricco della sua sconfinata fiducia in Dio Padre, dell’affidarsi a Lui in ogni momento, cercando sempre e solo la sua volontà e la sua gloria.
È ricco come lo è un bambino che si sente amato e ama i suoi genitori e non dubita un istante del loro amore e della loro tenerezza…Ad imitazione del nostro Maestro, noi cristiani siamo chiamati a guardare le miserie dei fratelli, a toccarle, a farcene carico e a operare concretamente per alleviarle.
Invitiamo pertanto i giovanissimi, i giovani e le famiglie a partecipare numerosi al ritiro di Quaresima che faremo a Lascari domenica 23 Marzo 2014.
Il nostro vescovo presiederà la Celebrazione Eucaristica e parteciperà al nostro incontro per stimolarci a vivere la fraternità e l’amore vicendevole. La presenza e la testimonianza di don Vincenzo Sorce, presbitero della Diocesi di Caltanissetta e fondatore dell’Associazione Casa Famiglia “Rosetta” sarà per tutti monito per un impegno concreto e fattivo a favore delle nuove povertà.
Invitiamo i responsabili dei gruppi giovani e famiglie e i parroci a comunicare entro mercoledì 19 marzo 2014 le adesioni inviando una mail ai seguenti indirizzi di posta elettronica: pgcefalu@gmail.com; pastoralefamiglia@yahoo.it; licctheo@libero.it.
Nell’attesa di incontrarci, Vi salutiamo affettuosamente.
Quaresima. – Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.
Riflessioni di Enzo Bianchi : Avvenire, 23 febbraio 2014
( Nella riflessione molti i riferimenti al Messaggio di Papa Francesco per la quaresima 2014, scaricabile alla fine della riflessione)
Si avvicina il tempo della quaresima, tempo dei quaranta giorni precedenti la Pasqua, tempo da viversi come penitenziale, impegnati nel rinnovamento della conversione, tempo che la chiesa vive e celebra dalla metà del IV secolo d.C.
La quaresima – che la chiesa con audacia chiama “sacramento” (“annua quadragesimalis exercitia sacramenti”: colletta della I domenica di Quaresima), cioè realtà che si vive per partecipare al mistero – è un tempo “forte”, contrassegnato da un intenso impegno spirituale, per radunare tutte le nostre energie in vista di un mutamento del nostro pensare, parlare e operare, di un ritorno al Signore dal quale ci allontaniamo, cedendo costantemente al male che ci seduce. La prima funzione della quaresima è il risveglio della nostra coscienza: ciascuno di noi è un peccatore, cade ogni giorno in peccato e perciò deve confessarsi creatura fragile, sovente incapace di rispondere al Signore vivendo secondo la sua volontà.
Il cristiano non può sentirsi giusto, non può ritenersi sano, altrimenti si impedisce l’incontro e la comunione con Gesù Cristo il Signore, venuto per i peccatori e per i malati, non per quanti si reputano non bisognosi di lui (cf. Mc 2,17 e par.). Con l’Apostolo il cristiano dovrebbe dire: “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io” (1Tm 1,15). Ecco, riconoscere il proprio peccato è il primo passo per vivere la quaresima, e i padri del deserto a ragione ammonivano: “Chi riconosce il proprio peccato è più grande di chi fa miracoli e risuscita un morto”.
Il cammino quaresimale si incomincia con questa consapevolezza, e perciò la chiesa prevede il rito dell’imposizione delle ceneri sul capo, con le parole che ne esprimono il significato: “Sei un uomo che, tratto dalla terra, ritorna alla terra, dunque convertiti e credi alla buona notizia del Vangelo di Cristo!”. Così si vive un gesto materiale, una parola assolutamente decisiva per la nostra identità e la nostra chiamata.
Di conseguenza, nei quaranta giorni quaresimali si dovrà intensificare l’ascolto della parola di Dio contenuta nelle sante Scritture e la preghiera; si dovrà imparare a digiunare per affermare che “l’uomo non vive di solo pane” (Dt 8,3; Mt 4,4; Lc 4,4); ci si dovrà esercitare alla prossimità all’altro, a guardare all’altro, a discernere il suo bisogno, a provare sentimenti di com-passione verso di lui e ad aiutarlo con quello che si è, con la propria presenza innanzitutto, e con quello che si ha.
Lo stile di Dio
Per la quaresima di quest’anno papa Francesco ha inviato, com’è consuetudine, un messaggio ai cattolici, ispirandosi significativamente a un testo, anzi a un solo versetto densissimo di cristologia della Seconda lettera di Paolo ai Corinzi: “Conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9).
Anche Benedetto XVI nel messaggio quaresimale del 2008 si era lasciato ispirare dallo stesso versetto, che è davvero un’affermazione decisiva perché condensa in sé l’incarnazione del Figlio di Dio, mettendone nel contempo in risalto lo stile. Sì, la fede della chiesa di Corinto, fondata dall’Apostolo da pochissimi anni, confessa che Dio si è fatto uomo in Gesù, confessa che Gesù il Cristo, che era Figlio di Dio, che era Dio, al quale tutto apparteneva – potenza, eternità, ricchezza, gloria –, si è spogliato di tutte queste prerogative e si è dunque fatto uomo tra di noi, uomo fragile, mortale, per essere in mezzo a noi, uno di noi, un figlio di Adamo come noi.
Ecco lo stile del nostro Dio, non di un qualsiasi Dio. Io amo dire che il nostro Dio è un “Dio al contrario” perché si rivela nella debolezza, nella povertà, nell’insuccesso secondo il mondo, nel servire noi anziché chiedere il nostro servizio. Questo è scandaloso, perché noi abbiamo l’immagine – che gli uomini sempre fabbricano e rinnovano – di un Dio potente, che regna, che si impone. Se il nostro Dio è un “Dio al contrario” rispetto alle nostre attese mondane, anche suo Figlio, l’Inviato nel mondo, il Messia, è un “Messia al contrario”.
Non è venuto nello splendore, nella gloria, nella straordinarietà di teofanie che abbagliano, ma nella povertà, nascendo non a caso in una stalla, come uno che non ha trovato un luogo in cui venire al mondo neppure in un caravanserraglio (cf. Lc 2,7).
Questo, lo sappiamo, è “lo scandalo della croce” (Gal 5,11), è ciò che lo stesso Paolo confessa nella Lettera ai Filippesi, in quell’inno che contiene il medesimo movimento: dal cielo alla terra, dalla condizione di Dio a quella mortale, da Signore a schiavo, da Onnipotente a crocifisso in una morte ignominiosa, “obbediente fino alla morte, e alla morte di croce” (cf. Fil 2,6-8). Citando il concilio, papa Francesco ricorda: “Dio in Gesù ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” (Gaudium et spes 22).
È in questa povertà che Gesù, il Figlio di Dio, ha voluto stare con noi, essere l’Emanuele, il Dio-con-noi (cf. Is 7,14; Mt 1,23). Questa sua povertà, che era kénosis, svuotamento, abbassamento, ha permesso a Gesù la prossimità a noi, il condividere la nostra condizione, e dunque gli ha permesso di amare nell’empatia e nella simpatia per noi. E così ci ha insegnato la via della fiducia, del servizio, dell’“amore fino alla fine” (cf. Gv 13,1), della compassione e del perdono. Quella povertà che il Messia ha assunto è diventata per noi una via di ricchezza, certo non mondana, ma una ricchezza di comunione con Dio stesso e con tutti gli uomini.
In questo messaggio, dunque, papa Francesco non fa soltanto un’esortazione morale ai cristiani, ma ricorda innanzitutto la fonte di ogni azione cristiana: la fede. Dalla fede, infatti, scaturisce l’autentica carità; è conoscendo veramente Gesù Cristo che noi possediamo la vita per sempre (cf. Gv 17,3); è conformandoci a lui nella nostra vita, è vivendo come lui ha vissuto e con il suo stile che possiamo seguirlo e partecipare al suo Regno. Questo riguarda ciascuno di noi e riguarda la chiesa tutta. Sempre nel concilio Vaticano II si legge un passo purtroppo poco ricordato, ma profondamente ispirato alla lettura dell’incarnazione fatta da Paolo: “Come Cristo ha realizzato la sua opera di redenzione nella povertà e nelle persecuzioni, così pure la chiesa è chiamata a percorrere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza, … e benché per eseguire la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, la chiesa non è fatta per cercare la gloria sulla terra” (Lumen gentium 8).
Lo stile del cristiano
Dopo la confessione della fede, ossia il fondamento teologico, papa Francesco richiama brevemente la necessaria testimonianza dei cristiani. Come Dio ha voluto salvare gli uomini con la povertà, così la chiesa e ogni cristiano devono percorrere la stessa via, perché la “ricchezza di Dio” può essere accolta e operare là dove c’è la povertà umana.
E dove c’è la povertà umana – lo constatiamo ogni giorno a partire dalla conoscenza di noi stessi – là c’è anche la miseria. La povertà è la nostra condizione umana fragile e la miseria si insinua in essa minacciando fortemente l’humanitas, il nostro cammino di umanizzazione. La povertà è la condizione in cui è possibile conoscere la beatitudine (“Beati voi poveri”: Lc 5,20); la miseria è il degrado della povertà, è l’alienazione, l’oppressione e la schiavitù che in essa si può insinuare, contraddicendo la dignità e la vocazione dell’uomo.
Il nostro Dio, rivelatosi ai figli di Israele con la loro liberazione dalla schiavitù d’Egitto, è un Dio che “ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza …, guardò la loro condizione e se ne diede pensiero” (Es 2,24-25). Così si è rivelato Dio e così noi dobbiamo fare. Innanzitutto “ascoltare” l’altro, gli altri: ascoltarli nel loro essere uomini e donne, fratelli e sorelle in umanità. È decisivo l’ascolto dell’altro, prima di ogni nostra scelta o comprensione di lui: là dove c’è un uomo, una donna, io devo mettermi in ascolto.
Dopo l’ascolto dell’altro il cristiano “ricorda” che anche lui è stato ascoltato da Dio, anzi che Dio lo ha preceduto in ogni sua ricerca di comunione, e dunque deve riconoscere la paternità di Dio che fonda nella fede la fraternità e la sororità. Ecco allora il “guardare”, che non significa solo vedere, ma avvicinarsi e guardare l’altro negli occhi, volto contro volto, negando ogni lontananza. Soprattutto oggi, immersi come siamo nella comunicazione in tempo reale, ma senza incontrare nella realtà l’altro, dobbiamo vigilare che la prossimità sia sempre esercitata come un passo che decidiamo per rendere l’altro prossimo (cf. Lc 10,36). E infine, quando sappiamo guardare l’altro e discernere il suo bisogno, la sua sofferenza sempre diversa, quando riconosciamo la sua singolarità nel patire, allora “ci diamo pensiero”, ci prendiamo cura di lui, come fa il nostro Dio!
Così facendo, scopriremo la miseria materiale, il bisogno di cibo, vestito e casa, presente nell’altro; scopriremo la miseria morale, l’alienazione al vizio, la degradazione delle persone in cammini di schiavitù, che spingono uomini e donne sulla via della morte, vittime della storia e dell’egoismo umano; scopriremo anche la miseria spirituale di chi è alienato agli idoli, non conosce una vita interiore, non dà senso alla propria vita. Il papa ci invita dunque alla diakonía, parola del Nuovo Testamento che indica il servizio agli altri. Se il Figlio di Dio si è fatto povero per stare in mezzo a noi, per essere come noi, si è fatto anche “servo” per servirci, per piegarsi davanti a noi, per lavarci i piedi (cf. Gv 13,1-15): “io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27), ha detto Gesù.
Questo il denso messaggio delle parole di papa Francesco, che così conclude, citando ancora una volta Paolo: “Sì, noi siamo come afflitti, ma sempre lieti; come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non possiede nulla e invece possediamo tutto” (2Cor 6,10). Se davvero tutti i cristiani cattolici, sulla traccia fornita da papa Francesco, tentassero con risolutezza di vivere questa quaresima, allora la riforma della chiesa che tanti aspettano e chiedono a Francesco potrebbe muovere i primi passi. Ma si smetta di chiedere al papa di operare lui ciò che riguarda tutti noi e che dovrebbe farci mutare qualcosa della nostra vita cristiana: dovrebbe farci operare la conversione, nulla di più, nulla di meno.
Messaggio di Papa Francesco per la quaresima 2014
Quando il Papa ritornò "solo" un uomo.
( Da ” la Stampa” 11 febbraio 2014 di ENZO BIANCHI )
Un anno fa «un fulmine a ciel sereno», come disse il cardinal Sodano, raggiunse la chiesa cattolica, impreparata a vivere una situazione inedita da molti secoli: un vescovo emerito di Roma vivente sotto un nuovo pontificato.
Cosa aveva condotto Benedetto XVI a compiere il gesto delle dimissioni?
La situazione di conflittualità, di scandali nella curia romana stimolava ancor di più le domande che assumevano anche contorni inquieti.
In verità Benedetto XVI nella sua breve dichiarazione di rinuncia aveva affermato l’essenziale: in ragione dell’età avanzata, essendo venute meno le forze necessarie, non si sentiva più adeguato all’esercizio del suo ministero e perciò, in obbedienza alla sua coscienza esercitata nell’ascolto della parola di Dio e nella preghiera, si ritirava nel nascondimento per essere intercessore per la chiesa.
Una novità, questa icona di preghiera nella chiesa assunta da un successore di Pietro, una novità eloquente per tutti i cattolici che hanno amato e ascoltato questo papa come per quelli che hanno accolto magari con fatica il suo magistero. Nella messa che il cardinale Ratzinger, allora arcivescovo di Monaco, aveva celebrato in occasione della morte di papa Paolo VI nel lontano 1978 così aveva affermato: «Possiamo immaginare come poteva essere pesante il pensiero di non poter appartenere a se stesso… essere incatenato fino alla fine, con il suo corpo che l’abbandonava, a un compito che esige, giorno dopo giorno, l’impegno vivo e pieno di tutte le forze umane». Ratzinger dunque era abitato da un pensiero chiaro, maturato da tempo sulla doverosa rinuncia da compiere al venir meno delle forze: come aveva detto a se stesso, così ha fatto.
Ma c’era in lui anche un’altra ragione che lo ha condotto alla rinuncia: la sua convinzione teologica – piuttosto rara per un pontefice – che, pur diventato papa, restasse una distinzione profonda tra il suo ministero e la sua dimensione di semplice uomo e cristiano. Non a caso, quando ha pubblicato la sua trilogia su Gesù di Nazareth, ha voluto firmare i libri come semplice autore teologo, senza munirli del magistero papale. Possiamo dire che Benedetto XVI non ha mai dimenticato ciò che Bernardo di Chiaravalle scriveva a papa Eugenio III: «Ricordati che sei un uomo, nato da una donna…». Così anche nella rinuncia Ratzinger ha saputo mostrare la sua umiltà, il suo volere innanzitutto il bene della chiesa, il confessare la propria debolezza e fragilità, l’accettare di veder ridotte tutte le competenze a un solo mandato: l’intercessione. D’altronde questo esito di una vita nel ministero pastorale è conosciuto ormai da decenni da tanti vescovi che, raggiunti i settantacinque anni, lasciano l’esercizio della presidenza episcopale nella chiesa locale e si ritirano – «fanno anacoresi», nel linguaggio biblico – e continuano a essere intercessori.
Benedetto XVI ha avuto un pontificato relativamente breve, solo otto anni, ma è stato altamente significativo per tutte le chiese in virtù della qualità teologica del suo magistero in cui la parola di Dio, Gesù Cristo era il solo centro. Ho conosciuto il teologo Ratzinger in convegni internazionali, l’ho incontrato più volte in occasione della stesura di un volume sull’esegesi da lui voluto e per il quale fu chiesto che un contributo mio e uno dell’esegeta De la Potterie si affiancassero a quello di Ratzinger. Ho poi avuto il dono, poco dopo la sua elezione a papa, di una lunga e per me memorabile udienza i cui temi di riflessione sono stati l’ecumenismo, la vita monastica e la liturgia. Gli sono grato per avermi nominato esperto ai due sinodi dei vescovi sulla parola di Dio e sulla nuova evangelizzazione.
Anche quando alcuni suoi atti chiedevano alla chiesa obbedienza e io faticavo a comprenderne le ragioni, temendone una ricezione distorta, non per questo la mia obbedienza è venuta meno. Sono sempre più convinto che Benedetto XVI purtroppo sia stato letto nell’ottica di molti che, pur dicendosi a lui fedeli, in realtà ne deformavano l’immagine finendo per strumentalizzarlo per loro battaglie non dettate da spirito evangelico.
Oggi, anche grazie alla rinuncia di un anno fa, è vescovo di Roma e papa Francesco, che ha inaugurato una primavera in tutta la chiesa. C’è molta attesa e il suo annuncio del vangelo nella mitezza, nel rispetto di tutti, nell’affermazione del primato dell’amore misericordioso di Dio – che ci ama senza che noi dobbiamo meritarlo – di fatto raggiunge e tocca molti uomini e donne finora indifferenti alla fede. È arrivata un’altra stagione e la chiesa ancora una volta sente sete di rinnovamento e di riforma, come ai giorni di papa Giovanni: non a caso il segretario di quest’ultimo, Loris Capovilla, è stato creato cardinale da papa Francesco a 98 anni…
Ma non mi stanco di ripetere che se ci sarà una riforma evangelica della chiesa tutta, di tutte le membra del corpo, allora però la vita cristiana sarà più difficile, più contraddetta dalle potenze mondane: la testimonianza resa a Gesù Cristo sarà maggiormente segno di contraddizione perché ogni volta che il vangelo appare con più evidenza nella storia, anche la croce che ogni cristiano deve abbracciare e portare emerge più manifesta. Nessuna illusione: il regno di Dio deve ancora venire e i cristiani devono attenderlo e annunciarlo con la vita, a caro prezzo, anche a costo della vita stessa.
02 Febbraio 2014 – XXII° Giornata Mondiale del Malato
Carissimi Pace!
Quest’anno la Consulta Nazionale di Pastorale Sanitaria ci invita a riflettere sul tema della Giornata Mondiale del Malato proposto dal Santo Padre: Fede e carità – ” … anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1 Gv 3,16)
Parole antiche, ma sempre attuali, quelle di Gesù che alle volte anche noi corriamo il rischio di dare per scontato, di “sapere già”! Ma tutti sappiamo l’attualità della Parola di Dio che interpella la nostra sensibilità e ci richiama ad un impegno sempre più autentico e decisivo per rendere credibile ogni nostra azione pastorale.
Già lo scorso anno vi avevo accennato della volontà del nostro Vescovo e di questo Ufficio, di rendere tale celebrazione un momento di riflessione e di preghiera comunitaria da condividere e celebrare insieme a Cefalù. In questo anno tale celebrazione l’abbiamo anticipata a Domenica 02 febbraio p.v. sfruttando l’occasione di avere in mezzo a noi la Reliquia di Santa Bernadette Soubirous.
Ed è ai piedi della Reliquia di Santa Bernadette che siamo invitati a riflettere e a rileggere il nostro ministero pastorale di accompagnamento dell’uomo sofferente.
Ci ritroveremo per condividere insieme questi momenti a Cefalù in Piazza Duomo alle ore 10,30 per l’accoglienza della reliquia e a seguire per la Concelebrazione Eucaristica presso la Basilica Cattedrale di Cefalù presieduta dal nostro Vescovo Vincenzo alle ore 11,00.
Vi invio anche il materiale perché ogni comunità possa celebrare la ricorrenza dell’11 febbraio come è propria consuetudine.
Grati al Signore per le ricchezze di cui ogni giorno ci fa dono, affidiamo tutto alle mani amorevoli di Maria nostra Madre.
Cefalù 20 gennaio 2014
Il Delegato Vescovile
Don Calogero Falcone