Attualità
Carlos Murias, prete ucciso dal regime: Il primo beato di Papa Francesco ?
«La causa per la canonizzazione ‐ ci racconta padre Carlos Trovarelli, provinciale dei francescani in Argentina e Uruguay ‐ l’ha firmata proprio Bergoglio, nel maggio del 2011. E lo ha fatto con discrezione, per evitare che fosse bloccata da altri vescovi argentini, ancora contrari a simili iniziative basate sull’impegno sociale dei sacerdoti».
Carlos Murias era nato nel 1945 a Cordoba. Il padre era un ricco agente immobiliare e un politico assai noto nella regione. Per suo figlio aveva immaginato una carriera da soldato, e lo aveva iscritto al Liceo Militare, ma subito dopo gli studi Carlos era entrato in seminario e poco dopo era stato ordinato sacerdote da Enrique Angelelli, il vescovo militante di La Rioja, famoso per la sua pastorale dei campesinos.
La situazione in quella provincia era un ritratto fedele degli squilibri dell’intero Paese: poche famiglie ricchissime che controllavano tutto, e una marea di lavoratori ridotti quasi in schiavitù. Angelelli si era messo di traverso, e Murias era stato inviato ad aiutare i contadini di un paesino chiamato El Chamical, insieme al prete francese Gabriel Longueville. Doveva fondare una comunità francescana, quando i militari fecero il golpe.
Cominciò a ricevere avvertimenti, convocazioni in caserma, dove i soldati gli spiegavano che «la tua non è la chiesa in cui noi crediamo».
Carlos tirò dritto e il 18 luglio del 1976 venne rapito insieme a Gabriel. Fu rinchiuso nella Base de la Fuerza Aérea di Chamical, e due giorni dopo il suo cadavere fu trovato in mezzo ad un campo: gli avevano cavato gli occhi e tagliato le mani, prima di fucilarlo.
Angelelli celebrò il funerale attaccando i militari: «Hanno colpito dove sapevano che avrebbe fatto più male. Carlos lo avevo ordinato io, e io lo avevo messo in condizione di pericolo».
Due settimane dopo una Peugeot 404 affiancò l’auto di monsignor Angelelli, mentre viaggiava a La Rioja: la macchina del vescovo si ribaltò e lui morì.
La polizia archiviò l’episodio come un incidente, la magistratura ora sta finalmente indagando come se fosse un omicidio.
La parte meno conosciuta di questa storia è quella svolta da Bergoglio, che adesso è stata rivelata da padre Miguel La Civita, stretto collaboratore di Angelelli: «Lo avevo conosciuto durante gli studi. Pochi giorni dopo gli omicidi, prese i nostri seminaristi e li nascose al Colegio Máximo dei gesuiti, di cui era il provinciale. Non sono storie che ho sentito raccontare: le ho vissute, in prima persona. E sia chiara una cosa: io ero l’esatto prototipo di quelli che allora venivano chiamati preti terzomondisti, teologia della liberazione. Con la scusa dei ritiri spirituali, il Colegio era diventata una centrale per aiutare i perseguitati: li nascondevano, preparavano i documenti falsi e li facevano fuggire all’estero. Bergoglio era convinto che i militari non avrebbero mai avuto il coraggio di violare il Máximo».
Lo conferma anche Alicia Oliveira, famosa magistrata perseguitata dai militari e diventata poi attivista dei diritti umani: «Bergoglio propose anche a me di nascondermi in seminario: gli risposi che preferivo essere arrestata dai militari, piuttosto che vivere con dei preti. Si mise a ridere e disse che ero scema: a posteriori, riconosco che aveva ragione lui. Di sicuro so che una volta diede ad un uomo che gli somigliava i suoi documenti veri, e un vestito da sacerdote, per farlo scappare in Brasile. Se questo non significa mettere tutto in gioco, sotto la dittatura militare, spiegatemi voi cosa lo è».
La morte di Carlos Murias, però, è rimasta dentro a Bergoglio.
Difficile capire come certi episodi segnano l’animo umano, in situazioni dove il pericolo estremo diventa quotidianità.
«I gesuiti ‐ spiega Trovarelli ‐ sono l’avanguardia totale. Credo che la curia generale avesse ordinato attenzione a Bergoglio, e lui dovette trovare il modo di salvare le vite senza esporre troppo quelle dei colleghi».
Fatto sta che appena la diocesi di La Rioja ha avviato la pratica per la canonizzazione, il cardinale l’ha firmata subito.
Era il maggio del 2011, dunque in tempi non sospetti: nessuna campagna papale all’orizzonte.
«Bergoglio firmò e ci consigliò di essere discreti: molti vescovi argentini, soprattutto quelli più anziani, si oppongono alle cause basate sull’impegno sociale. Grazie alla sua cautela, il processo è andato avanti: le testimonianze sono finite e siamo arrivati alla preparazione della positio. E adesso Bergoglio è papa. La volontà di Dio fa miracoli: sarebbe commovente se il primo beato di Francesco fosse Carlos».
PAOLO MASTROLILLI
Papa Francesco è un dono anche per la Nostra amata Chiesa di Cefalù. Messaggio del nostro Vescovo Mons. Vincenzo Manzella.
Fratelli e figli carissimi nel Signore,
lo Spirito Santo continua a compiere meraviglie. Con puntualità sa donarci le Sue risposte che spiazzano ogni previsione umana. Ha donato alla Chiesa di Roma un nuovo Vescovo. Un Pastore che è chiamato a presiedere nella carità tutte le Chiese presenti nel mondo intero.
Alla notizia dell’elezione del nuovo Pontefice tutti siamo stati avvolti da una gioia “ecclesiale”. Intima. Personale. Ma che misteriosamente ha costruito un canale di comunione con le migliaia di fedeli presenti in Piazza San Pietro. Appiccicati dietro lo schermo televisivo siamo stati sedotti dal volto di una Chiesa viva che attendeva e accoglieva il Suo Pastore. Siamo stati subito conquistati dalla semplicità di Papa Francesco. Un Pontefice che arriva “dalla fine del mondo” ma che in pochi minuti è riuscito a consegnare al mondo intero, ad ogni uomo di buona volontà un chiaro messaggio di speranza. Con il Suo chinarsi di fronte alla Sua Chiesa chiedendo umilmente preghiera e benedizione è come se avesse voluto sottoscrivere di proprio pugno un testamento di fiducia su ogni battezzato chiamato a sostenerLo nella Sua missione. Senza un girotondo di parole ci ha indicato con risolutezza la via della preghiera come azione che coinvolge tutti. Ci ha chiamati ad essere popolo sacerdotale, regale e profetico. Con quei preziosi secondi di silenzio e raccoglimento ha permesso alla Sua Chiesa di presentarsi e di consegnarsi alla storia come Luce delle genti. La forza, il profumo del Concilio Vaticano II ritornavano ad aleggiare in Piazza San Pietro in un clima di palpabile unità tra fedeli e successore di Pietro. L’anno della fede, voluto da Benedetto XVI, dava i suoi primi frutti.
Ma prima ancora Papa Francesco con compostezza si è fermato a guardare con occhio attento la folla che lo acclamava. Ha osservato in silenzio. Nel suo sguardo vi era il Suo abbraccio di Pastore. La forza del Pastore. In tutti c’è la consapevolezza che Papa Francesco sia un dono di Dio per la Chiesa universale chiamata ad essere sempre più credibile scegliendo la via della croce, la via che ci rende testimoni della nostra fede in Cristo morto e risorto. Papa Francesco è un dono anche per la Nostra amata Chiesa di Cefalù, per il Suo Vescovo, i suoi presbiteri, diaconi, religiosi, per tutti i suoi battezzati e uomini di buona volontà. Vogliamo tutti ed insieme impegnarci a pregare per Papa Francesco affinché riesca ad essere nella Chiesa il primo missionario e testimone del Vangelo di Gesù Cristo che ha scelto la povertà come la via dell’Amore.
Affettuosamente vi benedico.
Cefalù, 15 marzo 2013
Commenti sulla stampa all'elezione di Jorge Mario Bergoglio : Papa Francesco
La Stampa, 14 marzo 2013 – IL VANGELO RADICALE – E. Bianchi
I cardinali hanno scelto il nuovo vescovo di Roma e come vescovo di Roma Francesco si è affacciato al balcone, chiedendo che il popolo della Chiesa «che presiede nella carità» invocasse su di lui, chinato in silenzio orante, la benedizione del Signore.
Solo dopo ha impartito lui stesso la benedizione di Dio sul popolo cristiano, ad affermare simbolicamente che ogni benedizione viene dall’alto, dal Signore della Chiesa che ascolta la preghiera dei semplici.
Accanto a lui il cardinale vicario per la diocesi di Roma, a sottolineare ancor di più la sua missione prioritaria, l’evangelizzazione della città, l’annuncio della buona notizia del Signore risorto che si dilata ai confini del mondo da Roma, città del martirio degli apostoli Pietro e Paolo.
Anche nel ricordare il suo predecessore, così come nel parlare di se stesso, è al suo ministero di vescovo di Roma, successore di san Pietro, che ha fatto riferimento.
Francesco – nome scelto per la prima volta da un papa e per di più dal primo gesuita della storia divenuto vescovo di Roma – è nome che da solo evoca un ritorno al Vangelo sine glossa, alla radicalità di una testimonianza di vita che diviene annuncio nel quotidiano, a uno stile semplice e povero che confida solo nel Signore.
Vedremo presto quali strade nuove e antiche questo aprirà per la Chiesa di Roma e la Chiesa universale: oggi, come ha detto papa Francesco, inizia un «cammino di chiesa», «vescovo e popolo, vescovo e popolo», un cammino di «fratellanza, amore e fiducia», un cammino intessuto di «preghiera per tutto il mondo perché ci sia grande fratellanza».
Questo giorno è davvero il giorno della gioia e dell’azione di grazie al Signore per il dono offertoci dallo Spirito che i cardinali hanno saputo discernere e accogliere.
Il Sole 24h – 14 Marzo 2013 ” L’ETERNA GIOVINEZZA DELLA CHIESA«POVERELLA» ” – Bruno Forte
La Chiesa non cessa di sorprendere: come diceva uno dei grandi Padri della fede dei primi secoli, San Giovanni Crisostomo, «essa è più alta del cielo e più grande della terra, e non invecchia mai: la sua giovinezza è eterna». Così ha dimostrato di essere ancora una volta, in questo sorprendente Conclave: la pluralità delle ipotesi fatte, i diversi giochi mediatici del “toto-Papa”, facevano pensare a un Collegio cardinalizio piuttosto disorientato, perfino diviso. E invece, in appena una giornata, ecco il nuovo Papa.
Un segno forte di unità, un messaggio lanciato al “villaggio globale” dall’unica realtà che lo abita dappertutto, sapendo coniugare universalità e identità locali, globalizzazione e presenza fedele fra la gente di tutte le latitudini
e di tutte le lingue e culture: la Chiesa cattolica. Peraltro, l’attesa del mondo intero, rappresentato dalle migliaia di operatori dei “media” accreditati in Vaticano, che hanno fatto partecipi in tempo reale donne e uomini di ogni angolo della terra di ciò che accadeva nella Cappella Sistina e sulla Loggia delle benedizioni, e le immagini eloquenti più di ogni parola della folla in attesa in Piazza San Pietro e del nuovo Papa affacciato con semplicità e stupore su Roma e sul mondo, fanno comprendere come ciò che è avvenuto ha un significato che va al di là della comunità cattolica e dello stesso popolo dei credenti. Proverò allora a guardare al nuovo Successore di Pietro muovendo da diversi angoli visuali, lasciando che la profondità del cuore di chi è stato chiamato si riveli con i giorni che verranno. Il primo sguardo non può che essere quello della fede: Francesco I, Jorge Mario Bergoglio, è il prescelto da Dio! Il nome stesso che ha voluto – lui, gesuita, ha scelto il nome del Poverello di Assisi – è un programma, quello che ha ispirato lo stile di vita dell’arcivescovo di Buenos Aires eletto Papa.
Francesco sarà il Vescovo della povera gente, il servitore degli umili, l’amico dei piccoli, che proprio così saprà contagiare pace e speranza vera a tutti. È il Papa che aiuterà la Chiesa a dare risposta alle domande decisive che un teologo latino americano, di grande profondità spirituale e a lui ben noto, così poneva: “In che modo parlare di un Dio che si rivela come amore in una realtà marcata dalla povertà e dall’oppressione? come annunciare il Dio della vita a persone che soffrono una morte prematura e ingiusta? come riconoscere il dono gratuito del suo amore e della sua giustizia a partire dalla sofferenza dell’innocente? con quale linguaggio dire a quanti non sono considerati persone che essi sono figli e figlie di Dio?” (Gustavo Gutierrez). Papa Francesco risponde col suo sorriso e la semplicità dei suoi gesti a queste domande, ricordandoci che Dio raggiunge tutti i cuori e parla tutte le lingue ed è vicino a ogni dolore perché la Sua è la lingua dell’amore!
Lo sguardo che su questo Papa verrà dagli altri cristiani, poi, non potrà che essere di grande fiducia: come è stato chiaro sin dalle sue prime parole, egli non si vuol presentare che come un fratello, il vescovo della Chiesa che presiede nell’amore, deciso a evangelizzare con nuovo slancio anzitutto il popolo della città di Roma, e proprio così a offrire un servizio di testimonianza e di carità a tutte le Chiese. Era quanto da anni il dialogo ecumenico e l’ecclesiologia del Vaticano II erano andati chiedendo nel pensare a un ministero universale di unità per tutti i discepoli di Cristo: proprio così, un’alba di luce e di speranza per chi vive la passione dell’unità fra i cristiani. Anche i credenti di altre religioni potranno guardare a Papa Francesco con fiducia: egli – lo ha detto dalla loggia delle benedizioni – vuole servire la “fiducia fra noi”, la “fratellanza” fra tutti. La Sua franchezza, il suo profondo senso di Dio toccherà tanti cuori e aprirà la strada a dialoghi e incontri veramente inediti. Anche chi non crede potrà trovare nei gesti e nelle parole di questo testimone di Gesù amico degli uomini, di questo Vescovo di Roma servo dei servi di Dio, un messaggio per la propria vita: sono certo che da lui tutti si sentiranno rispettati e accolti, capiti e amati. La Chiesa e il mondo avevano bisogno di un uomo così!
“La Repubblica” 14 marzo 2013 “Nel nome una missione” ( Vito Mancuso )
Forse è la volta buona. Forse oggi, a distanza di mezzo secolo, il rinnovamento all’insegna del Vangelo che papa Giovanni XXIII e il Vaticano II avevano voluto e intrapreso, può finalmente diventare realtà. Forse i cardinali elettori hanno veramente ascoltato lo Spirito Santo, operazione
che non contiene nulla di magico, ma è solo la pura disposizione della mente e del cuore a volere sempre e solo il bene, perché quando un uomo dispone la sua mente e il suo cuore nella ricerca del bene lo Spirito della santità agisce in lui, sia egli credente o non credente. E questo io sento che i cardinali elettori hanno fatto, allontanando ogni calcolo politico o diplomatico, ogni ragionamento all’insegna del potere, e scegliendo un uomo di Dio.
Si è trattato di una scelta assolutamente inaspettata, il nome di Jorge Mario Bergoglio non figurava quasi mai tra le liste dei principali papabili. Ma si è trattato soprattutto di una scelta completamente innovativa: da ieri abbiamo il primo papa non europeo, il primo papa latino-americano, il primo papa che ha scelto di presentarsi al mondo come “vescovo di Roma” e soprattutto il primo papa che ha scelto di chiamarsi Francesco.
Nell’unione di queste quattro assolute novità, unite alla preghiera che ha da subito caratterizzato la sua prima apparizione da papa, io intravedo quella speranza di rinnovamento all’insegna del Vaticano II che Francesco I può realizzare e di cui la Chiesa ha un immenso bisogno. Né si può tacere il fatto che Bergoglio nel Conclave del 2005 fu il principale antagonista di Ratzinger: i cardinali elettori quindi non solo non hanno scelto un ratzingeriano di ferro come Scola o come Schönborn, ma hanno scelto colui che a Ratzinger contese la maggioranza dei voti in Conclave. Questa scelta contiene un giudizio non del tutto positivo sugli otto anni di pontificato dell’attuale papa emerito?
Ma ciò che maggiormente colpisce è il nome che il nuovo pontefice ha scelto per sé.
Che cosa significa aver deciso di chiamarsi Francesco? Bergoglio non è un francescano, è un gesuita e se avesse seguito il suo cuore avrebbe dovuto chiamarsi Ignazio, visto che è sant’Ignazio di Loyola il fondatore dei gesuiti. Ma egli ha scelto di chiamarsi Francesco, sottolineando con questo non la sua
storia personale (anche se chi lo conosce racconta che vive da sempre in assoluta semplicità, lontano dal lusso che la qualifica di arcivescovo di Buenos Aires gli permetterebbe) ma l’intento animatore del suo programma di governo all’insegna della testimonianza profetica e della radicalità
evangelica. Francesco è il santo che più di ogni altro nel secondo millennio cristiano ha rappresentato l’ideale della purezza evangelica, l’ideale di vivere le beatitudini, lontano dalle seduzioni del potere e della gloria.
Penso che tutti abbiano in mente l’affresco di Giotto nella Basilica superiore di Assisi che rappresenta il sogno di Innocenzo III: egli vede un uomo vestito con un semplice saio che sorregge una chiesa che sta per cadere, e ovviamente quell’uomo è Francesco il poverello di Dio, di cui a Innocenzo III in sogno viene anticipata la venuta. Ora a nessuno è dato sapere che cosa abbia sognato in queste notti Jorge Mario Bergoglio quando sentiva approssimarsi la scelta dei cardinali elettori su di lui, ma certamente il fatto che egli abbia scelto di chiamarsi Francesco indica nel modo più esplicito la sua chiara percezione della gravità della situazione che la Chiesa cattolica sta
vivendo e soprattutto la sua convinzione riguardo alla via per uscirne: la radicalità evangelica, la povertà, la mitezza, la lontananza dal potere, l’amore per ogni uomo e per gli animali, la cura per tutto il creato.
Il primo, indispensabile passo che la Chiesa deve compiere è tornare a credere al Vangelo anzitutto nelle sue strutture di comando: l’evangelizzazione, prima di riguardare il mondo, riguarda la gerarchia della Chiesa, in primo luogo la Curia, e dalla scelta effettuata sembra che i cardinali abbiano capito alla perfezione tutto ciò e abbiano individuato chi, tra di loro, era l’uomo giusto per questa svolta all’insegna della mitezza e insieme del rigore.
Ieri, sentendo parlare per la prima volta il nuovo papa, mi ha molto colpito il suo rivolgersi ai fedeli e al mondo chiamandosi più di una volta “vescovo di Roma”. Anzi si può dire che ieri sera Bergoglio non si è presentato al mondo, infatti non ha detto una sola parola in spagnolo per la sua terra, non ha detto una sola parola in inglese rivolgendosi alla mondovisione. Si è presentato solo alla sua diocesi, alla città di Roma, e non a caso ha fatto il nome del suo vicario per la città, il cardinal Vallini, volendolo accanto a sé sul balcone. Questo è molto importante. Mostra infatti che le indicazioni del Vaticano II e soprattutto del Nuovo Testamento sono quanto mai chiare a papa Francesco I.
Da papa egli vuole anzitutto essere un vescovo, il vescovo di una città, e anzi sa che può essere veramente papa in fedeltà al Vangelo e al Vaticano II solo nella misura in cui non cesserà mai di essere vescovo, cioè una guida concreta a contatto con i problemi reali della gente reale.
Bergoglio è un gesuita, è mite e insieme austero, amante della semplicità, della povertà, di una vita all’insegna dell’essenziale, privo di decorazioni barocche e dal linguaggio semplice e asciutto.
Assomiglia molto a Carlo Maria Martini, di cui certamente era amico. E forse quei 200 anni con cui Martini nella sua ultima profetica intervista dell’8 agosto scorso segnò la distanza tra la Chiesa e il
mondo («la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni») con Francesco I sono destinati a essere colmati.
“La Repubblica” 14 marzo 2013 – “È la migliore scelta possibile ora non accetti compromessi”
intervista a Hans Küng, a cura di Andrea Tarquini
«Sono felice, è la migliore scelta possibile, conosce e ama la vita semplice, umile, reale, è esterno al sistema romano della Curia. Spero che vari le riforme necessarie, e in un radicale rimpasto ai vertici come primo segnale».
Il professor Hans Küng, massimo teologo cattolico critico oggi, esulta, sembra parlare di una possibile perestrojka vaticana.
Professor Küng, che ne dice?
«Sono felice. La scelta di quest’uomo, proprio lui, a sorpresa, è una vera scelta di qualità».
Cioè anche meglio dei previsti papabili riformatori?
«Sì, insisto, è la scelta migliore. Primo, è un latinoamericano, e di questo sono molto felice. Non solo: è anche un latinoamericano dalle vedute aperte. È un gesuita, che sicuramente dispone di una formazione e preparazione teologica molto solida. È un uomo che ha sempre condotto una vita semplice, non in grandi e sontuosi palazzi di potere. Un uomo abituato ad andare tra i fedeli anche a piedi scalzi, col bastone di pastore. Già con i primi gesti ha dato consigli e segnali: non ha chiesto né cercato applausi trionfali né parole pompose, bensì preghiera in silenzio».
Cioè anche un buon esordio?
«Sì, appunto, un esordio ben riuscito con segnali giusti. E infine, ma non ultimo, trovo significativa la scelta del nome: Francesco ».
Ecco, lei come la interpreta?
«Un cardinale che nel mondo d’oggi e sullo sfondo della grave crisi della Chiesa sceglie non nomi che richiamino suoi predecessori recenti, bensì proprio questo nome, sa esattamente di richiamarsi e riferirsi a San Francesco d’Assisi. Francesco d’Assisi fu l’alternativa al programma della Chiesa vista e vissuta come potere. Fu l’antitesi del più grande e importante Papa di potere del Medioevo, Innocenzo III, il quale incarnava la Chiesa del potere: Francesco visse e testimoniò la Chiesa degli uomini semplici, dei poveri, dei modesti. Spero solo che Francesco possa veramente realizzare nella Chiesa e nel rapporto tra la Chiesa e il mondo tutto quanto sicuramente si propone di fare».
Dunque non è il candidato della Curia?
«Sicuramente no, bensì candidato delle voci progressiste nella Chiesa, inclusi i progressisti tra i cardinali tedeschi».
Che significa per la Chiesa nella sua profonda crisi?
«È la domanda decisiva. La risposta dipende da se e come potrà riuscire a lanciare le riforme. Se e come le riforme necessarie e mancate, accumulatesi nella Chiesa d’oggi, verranno realizzate e s’imporranno, o se invece tutto continuerà come fino ad ora. Se il nuovo Papa le realizzerà, troverà un grande appoggio, ben oltre l’ambito della Chiesa cattolica e dei fedeli. Altrimenti, il grido “indignatevi!” si diffonderà anche all’interno della Chiesa e imporrà riforme dal basso. Io sono per riforme guidate dall’alto, ma ora la scelta è davvero nelle sue mani. La comunità della Chiesa non si accontenterà più di belle parole, la pazienza di molti cattolici è alla fine».
Che cosa lascia prevedere la sua biografia?
«Lascia spazi di speranza. Non nascondo che ha vissuto ai tempi della dittatura militare argentina. Certo non fu facile, come non lo fu vivere degnamente da fedeli in Germania sotto il nazismo. È stato a volte criticato, ma certo si spiegherà. Il punto non è questo, la domanda-chiave è cosa farà per la Chiesa e per il mondo. Se ha davvero lo spirito ecumenico e coinvolgerà le altre Chiese. Se riaprirà le finestre che il suo predecessore ha chiuso, se tornerà alla linea di Giovanni XXIII, allora sarà davvero Francesco I».
Quali potrebbero essere i suoi migliori primi segnali?
«Come segretario di Stato, quale primo segnale, potrebbe scegliere non un rappresentante del sistema romano, bensì una persona pronta alle riforme e dallo spirito ecumenico: non deve per forza essere un cardinale, ma deve essere pronta a realizzare la riforma della Curia. Spero che non vengano fatti compromessi col partito della Curia del tipo “tu sei il Papa ma la Curia resta in mano nostra”».
Vista anche la velocità dell’elezione, quanto è grande questo pericolo?
«Non faccio speculazioni. Indico cinque punti. Primo, il segretario di Stato appunto. Secondo, il nuovo Papa dovrebbe sostituire e non confermare i responsabili dei dicasteri vaticani. E scegliere personalità competenti, anche esterne al Collegio dei cardinali. Terzo, dovrebbe introdurre la collegialità nella Curia, costituire un Gabinetto responsabile di scelte collettive. Quarto, dovrebbe introdurre la collegialità con i vescovi, riattivare il Consiglio dei vescovi come organo decisionale e non solo consultivo. Quinto, dovrebbe vigilare che diocesi, comunità, singoli fedeli, abbiano riconosciuto un diritto di resistenza e critica. È conforme con il Vangelo. E i cattolici in tutto il mondo sono insoddisfatti di questo ritardo delle riforme».
È il punto più difficile?
«Vedremo se avrà la forza necessaria. Le riforme necessarie sono note: ruolo della donna, l’enciclica Humanae Vitae quindi la contraccezione, l’ordinazione di donne, l’ecumenismo con le altre Chiese, l’apertura della Chiesa ai drammi del mondo, dalla morale sessuale in Africa al resto».
Il primo Papa non europeo rafforzerà o indebolirà la Chiesa europea in crisi?
«Può solo aiutarla. I problemi della Chiesa, dal celibato alla crisi delle vocazioni, sono problemi mondiali. Cerchiamo di essere felici che un Papa extraeuropeo apra nuove prospettive».
Cercherà dialogo e incontro con lui?
«Non è la cosa più importante, deve occuparsi della Chiesa».
“La Repubblica” 14 marzo 2013 – “Ci farà riscoprire l’umiltà” –
(Intervista a Enzo Bianchi, a cura di Corrado Zunino)
«Voglio dirle la mia gioia straordinaria quando si è affacciato al balcone. Un’emozione fortissima, non le nascondo che mi sono messo a piangere».
Enzo Bianchi, priore di Bose, dopo tanti anni una commozione così forte?
«Jorge Mario Bergoglio è l’uomo che sembra, umile, e come si è presentato al mondo è stato bellissimo. Il nome che ha assunto dice che bisogna tornare al Vangelo, come chiese Francesco. Sono felice della scelta dei cardinali: hanno mostrato che la Chiesa tutta vuole un ritorno allo spirito del Vangelo».
Lei ha conosciuto Bergoglio?
«Ho avuto la fortuna di scoprire un uomo semplice ed evangelico. Lo si vede nel modo di vestirsi. Cercherà di essere un fratello degli uomini, lavorerà tra gli uomini e porterà fraternità all’interno della Chiesa. Le sue parole, dal balcone, erano pesate: il vescovo di Roma, la benedizione del popolo».
Il Papa di Buenos Aires era un amico del cardinale Martini.
«Era un gesuita come lui e come il preposto generale Nicolás e come Arrupe. Il loro mondo teologico spirituale era ed è quello della compagnia di Gesù: volevano un ritorno al Vangelo, una riforma della Chiesa. Nessun altro ordine può vantare uomini così collocati nel mondo e capaci di uno sguardo universale. Dobbiamo ringraziare i cardinali che hanno scelto Bergoglio, difficilmente diventa Papa un cardinale che è stato in lizza nel Conclave precedente».
Gli ultimi anni della chiesa sono stati difficili.
«Una grande fatica, la Chiesa aveva il fiato corto. Benedetto XVI ha fatto tutto quello che poteva, ma non ha trovato la sintonia che desiderava. Ne abbiamo sofferto in molti».
Benedetto XVI successore di Pietro più che mai nel suo " esodo"
Tanti i commenti tutti ispirati a proclamare il coraggio, l’umiltà, la forza di aprire la Chiesa al nuovo nella debolezza.
Riportiamo quello di Enzo Bianchi, priore di Bose apparso sulla ” Stampa” di stamani 12 Febbraio.
Per quasi tutti è stata una sorpresa, per chi lo conosceva anche solo un poco, come me, no. Perché Benedetto XVI è innanzitutto un uomo coerente tra il suo dire e l’operare.
Aveva detto più volte, e lasciato pubblicare nella sua intervista con Peter Seewald, che il papa avrebbe potuto dimettersi qualora giungesse “alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico” di successore di Pietro.
E così ha fatto, quando davanti a Dio ha esaminato la propria coscienza. Un gesto compiuto anche nella consapevolezza che nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti, occorre il vigore di chi è più giovane, “sia nel corpo sia nell’animo”. Così si è dimesso, ma preparando con cura questo giorno. Aveva celebrato un concistoro in novembre, per dare un volto maggiormente universale al collegio cardinalizio, aveva terminato la sua fatica di fede e di testimonianza nello stendere una lettura di Gesù morto e risorto, vissuto realmente negli anni della nostra storia, approfondendone i vangeli dell’infanzia. E speriamo che prima del 28 febbraio consegni – quasi come suo testamento – l’enciclica sulla fede, dopo le due luminose sull’amore e sulla speranza. Noi attendiamo ancora questo dono da lui.
Non è questo il momento di tracciare un bilancio, ammesso che si possa fare, sui quasi otto anni del suo ministero petrino: un pontificato che ha attraversato la nostra storia non facile, non semplice e a volte anche enigmatica, una storia piena di mutamenti globali nel mondo occidentale (l’aggravarsi di una crisi culturale e una crisi economica mai conosciuta nei tempi recenti) e di rivoluzioni nel mondo arabo che giudichiamo “primavere” ma che vediamo attraversate da gelate repentine; un tempo di incertezze e di mutamenti nell’etica, soprattutto nelle culture un tempo cristiane. Sono stati anni in cui Benedetto XVI ha continuato ad ammonire la chiesa, accettandone la condizione minoritaria, chiedendole di essere minoranza significativa, capace di esprimere la differenza cristiana in un mondo indifferente e nel contempo segnato dalla presenza simultanea di molte religioni nello stesso luogo.
Lo si è definito più volte un papa conservatore, ma questo gesto lo mostra come innovatore: rompe, infatti, una tradizione di duemila anni in cui tutti i vescovi di Roma sono morti di morte violenta o di malattia o di vecchiaia (papa Celestino V dimissionò, ma costretto da chi sarebbe diventato il suo successore). Così il cattolico è invitato a guardare più al ministero petrino che non alla persona del papa: questo è certamente un fatto rivoluzionario e, ritengo, anche più evangelico. Chi esercita l’episcopato o un servizio di presidenza nella chiesa, lo fa in comunione con Cristo Signore in misura del grado in cui è stato posto, ma una volta cessato l’esercizio del ministero, un altro può continuarlo e la persona che lo ha esercitato in precedenza scompare, diminuisce, si ritira.
La domanda che già sentiamo risuonare – come sarà con due papi viventi? – in realtà non sussiste, perché uno solo sarà il papa. Benedetto XVI tornerà a essere il cardinal Ratzinger e non possederà più quella grazia e quell’autorevolezza dello Spirito santo che saranno possedute da chi sarà eletto nuovo papa dal legittimo collegio cardinalizio. Su questo la dottrina cattolica è chiara e non permette che una persona sia più determinante del ministero che gli è stato affidato. In ogni caso, conoscendo l’umiltà di Benedetto XVI, siamo certi che egli – come promette nel messaggio rivolto ieri ai cardinali – si dedicherà alla preghiera e anche lui pregherà con la chiesa intera per Pietro, per il nuovo papa, ben sapendo di non esserlo più: avverrà per il vescovo di Roma, come per i vescovi emeriti delle altre diocesi.
Papa Benedetto ha compiuto un grande gesto, evangelico innanzitutto, e poi umano. In uno stupendo commento ai salmi, sant’Agostino – un padre della chiesa tra i più amati da Benedetto XVI – leggiamo: “Si dice che quando i cervi migrano in gruppo o si dirigono verso nuove terre, appoggiano il peso delle loro teste scambievolmente gli uni sugli altri, in modo che uno va avanti e quello che segue appoggia su di esso la sua testa… quello che sta in testa sopporta da solo il peso di un altro, quando poi è stanco passa in coda, giacché al suo posto va un altro a portare il peso che prima portava lui e così si riposa dalla sua stanchezza, poggiando la sua testa come la poggiano gli altri” (Commento al Salmo 41).
Così la presenza di Ratzinger nella chiesa non si conclude. Sarà un presenza altra e non meno significativa: una presenza di intercessione. Si metterà cioè tra Dio e gli uomini, non per compaginarli nella comunione cattolica – questo non sarà più il suo compito – ma per chiedere che Dio continui a inviare le energie dello Spirito santo sulla chiesa e i suoi doni sull’umanità. Molti oggi vorrebbero dire a papa Benedetto XVI: “Grazie, santo Padre!” per il suo disinteresse, per la sua sollecitudine affinché anche il papa sia decentrato rispetto a colui che dà il nome di cristiani a molti uomini e donne che hanno fede solo in lui: Gesù Cristo! Si diceva che questo papa ha grandi parole ed è incapace di gesti: il più bel gesto ce lo lascia ora, come Pietro che ormai anziano – dice il Nuovo Testamento – “se ne andò verso un altro luogo” continuando però a seguire il Signore. Benedetto XVI appare successore di Pietro più che mai, anche nel suo esodo.