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Attualità

Benedetto XVI è in LIbano. Il fondamentalismo è sempre una falsificazione delle religioni perché Dio invita a creare pace nel mondo e compito delle fedi nel modo è creare la pace.


Benedetto XVI è  in Libano.
E’ atterrato alle 12,45 italiane ( le 13,45 locali)
Ad accoglierlo all’aeroporto internazionale Rafiq Hariri, per dettato costituzionale,  i rappresentanti di tre diverse confessioni religiose: il presidente Michel Suleiman, cristiano maronita, il premier Najib Mikati, musulmano sunnita e il presidente dell’Assemblea dei deputati Nabih Berr, musulmano sciita.
 Presenti anche  tutti i patriarchi e vescovi del Libano, personalità ortodosse e musulmane.
 Il video dell’arrivo al seguente link.  Arrivo di Benedetto XVI in Libano. Di seguito il discorso pronunciato all’arrivo.
Signor Presidente della Repubblica,
Signori Presidenti del Parlamento e del Consiglio dei Ministri,
Care Beatitudini,
Autorità civili e religiose presenti, cari amici!

Ho la gioia, Signor Presidente, di rispondere al cortese invito che Ella mi ha rivolto a recarmi nel vostro Paese, come pure a quello che ho ricevuto dai Patriarchi e dei Vescovi cattolici del Libano. Questo duplice invito manifesta, qualora fosse necessario, il duplice scopo della mia visita al vostro Paese. Essa sottolinea le eccellenti relazioni che da sempre esistono tra il Libano e la Santa Sede, e vorrebbe contribuire a rafforzarle. Questa visita è anche la risposta a quelle che Lei mi ha fatto in Vaticano nel novembre 2008 e, più recentemente, nel febbraio 2011, seguita nove mesi più tardi da quella del Signor Primo Ministro.
E’ durante il secondo dei nostri incontri, che la maestosa statua di San Marone è stata benedetta. La sua presenza silenziosa presso la Basilica di San Pietro ricorda il Libano in modo permanente nel luogo stesso in cui fu sepolto l’apostolo Pietro. Essa manifesta un patrimonio spirituale secolare, confermando la venerazione dei libanesi per il primo degli Apostoli e i suoi successori. E’ per evidenziare la loro grande devozione a Simon Pietro, che i Patriarchi maroniti aggiungono al loro nome quello di Boutros. E’ bello vedere che dal santuario petrino, San Marone intercede continuamente per il vostro Paese e per l’intero Medio Oriente. La ringrazio fin d’ora, Signor Presidente, per tutti gli sforzi compiuti in vista della buona riuscita del mio soggiorno tra voi.
Un altro motivo della mia visita è la firma e la consegna dell’Esortazione apostolica post-sinodale dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, Ecclesia in Medio Oriente. Si tratta di un importante evento ecclesiale. Ringrazio tutti i Patriarchi cattolici che sono qui convenuti, in particolare il Patriarca emerito, il caro Cardinale Nasrallah Boutros Sfeir, e il suo successore, il Patriarca Bechara Boutros Rai. Saluto fraternamente tutti i Vescovi del Libano, come pure quelli che hanno viaggiato per pregare con me e ricevere dalle mani del Papa questo documento. Attraverso di loro, saluto con affetto paterno tutti i cristiani del Medio Oriente. Destinata al mondo intero, l’Esortazione si propone di essere per loro una tabella di marcia per gli anni a venire. Mi rallegro inoltre di poter incontrare in questi giorni numerose rappresentanze delle comunità cattoliche del vostro Paese, di poter celebrare e pregare insieme. La loro presenza, il loro impegno e la loro testimonianza sono un contributo riconosciuto e molto apprezzato nella vita quotidiana di tutti gli abitanti del vostro amato Paese.
Mi è caro salutare anche con grande deferenza i Patriarchi e Vescovi ortodossi che sono venuti a ricevermi, come pure i rappresentanti delle diverse comunità religiose del Libano. La vostra presenza, cari amici, dimostra la stima e la collaborazione che desiderate promuovere tra tutti nel rispetto reciproco. Vi ringrazio per i vostri sforzi e sono sicuro che continuerete a ricercare vie di unità e di concordia. Non dimentico gli eventi tristi e dolorosi che hanno afflitto il vostro bel Paese per lunghi anni. La felice convivenza tutta libanese, deve dimostrare a tutto il Medio Oriente e al resto del mondo che all’interno di una nazione possono esistere la collaborazione tra le varie Chiese, tutte parti dell’unica Chiesa cattolica, in uno spirito di comunione fraterna con gli altri cristiani, e, al tempo stesso, la convivenza e il dialogo rispettoso tra i cristiani e i loro fratelli di altre religioni. Voi sapete come me che questo equilibrio, che viene presentato ovunque come un esempio, è estremamente delicato. Esso rischia a volte di rompersi allorquando è teso come un arco, o sottoposto a pressioni che sono troppo spesso di parte, interessate, contrarie ed estranee all’armonia e alla dolcezza libanesi. E’ qui che bisogna dar prova di reale moderazione e grande saggezza. E la ragione deve prevalere sulla passione unilaterale per favorire il bene comune di tutti. Il grande Re Salomone, che conosceva Hiram re di Tiro, non riteneva che la saggezza fosse la virtù suprema? Per questo la domandò a Dio insistentemente, e Dio gli diede un cuore saggio e intelligente (1 Re 3, 9-12).
Vengo anche per dire quanto sia importante la presenza di Dio nella vita di ognuno e come il modo di vivere insieme, questa convivenza di cui il vostro Paese vuole dare testimonianza, sarà profonda solo se si basa su uno sguardo accogliente e un atteggiamento di benevolenza verso l’altro, se è radicata in Dio che vuole che tutti gli uomini siano fratelli. Il famoso equilibrio libanese che vuole continuare ad essere una realtà, può prolungarsi grazie alla buona volontà e all’impegno di tutti i Libanesi. Solo allora sarà un modello per gli abitanti di tutta la regione, e per il mondo intero. Non si tratta di un’opera solamente umana, ma di un dono di Dio che occorre domandare con insistenza, preservare a tutti i costi e consolidare con determinazione.
I legami tra il Libano e il Successore di Pietro sono storici e profondi. Signor Presidente e cari amici, vengo in Libano come pellegrino di pace, come amico di Dio, e come amico degli uomini. «سَلامي أُعطيكُم»: «Vi do la mia pace», dice Cristo (Gv 14,27). E al di là del vostro Paese, vengo oggi idealmente anche in tutti i Paesi del Medio Oriente come pellegrino di pace, come amico di Dio, e come amico di tutti gli abitanti di tutti i Paesi della regione, qualunque sia la loro appartenenza e il loro credo. Anche a loro Cristo dice: «سَلامي أُعطيكُم». Le vostre gioie e i vostri dolori sono continuamente presenti nella preghiera del Papa e chiedo a Dio di accompagnarvi e di consolarvi. Posso assicurarvi che prego particolarmente per tutti coloro che soffrono in questa regione, e sono molti. La statua di San Marone mi ricorda ciò che vivete e sopportate.
Signor Presidente, so che il vostro Paese mi prepara una bella accoglienza, un’accoglienza calorosa, l’accoglienza che si riserva a un fratello amato e rispettato. So che il vostro Paese vuole essere degno dell’ «Ahlan wa Sahlan» libanese. Lo è già e lo sarà ancora di più. Sono felice di essere con tutti voi. Che Dio vi benedica tutti. (ِيُبَارِك الربُّ جميعَكُم). Grazie.
 

Nel dramma della disoccupazione i giovani protagonisti del mondo che cambia

Disoccupazione giovanile da record in Italia nel secondo trimestre del 2012. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è infatti salito, nel secondo trimestre 2012, al 33,9%, dal 27,4% dallo stesso periodo 2011.
 Scrive  Mons. Bruno Forte (Il Sole 24 Ore, 9 settembre 2012)
  “È drammatico il dato sulla disoccupazione giovanile nel nostro Paese.
Un giovane su tre, fra chi ne avrebbe le potenzialità, è senza lavoro, con prospettive incerte anche sull’immediato avvenire. Impegnarsi per creare opportunità occupazionali ai giovani è compito prioritario nell’agenda delle cose da fare, come ha riconosciuto con chiarezza il Presidente Monti.
 Il Governo dovrà certo fare la sua parte, ma sarebbe illusorio pensare che il problema si risolva unicamente dall’alto. Mai come in questo campo si richiede una sinergia ampia e convinta, che vada dalle famiglie alla scuola, dalla società civile alla comunità ecclesiale, dalle imprese ai sindacati, dalle amministrazioni locali alle diverse agenzie che operano sul territorio al servizio del bene comune. È importante, però, che i primi protagonisti di questo sforzo corale siano proprio i giovani.”
Come?
 Vorrei rispondere a questa domanda partendo da un’immagine biblica, tratta dal libro dei Numeri (cap.13), dove si narra degli esploratori mandati da Mosè a visitare la terra promessa. Ritornando, essi portano il grappolo d’uva, il melograno e il fico e, nel raccontare quello che hanno visto, trasmettono una tale, convinta emozione, che tutto il popolo decide di affrontare il rischio di entrare in una terra dove abitano i giganti.
 È l’immagine di quello che dovrebbero fare i giovani di fronte alle sfide della crisi in atto. Come gli esploratori, i giovani non sono i capi del popolo, non sono Mosè, né Aronne; essi non sono neanche i sacerdoti o i leviti, e neppure la grande massa costituita dalle famiglie, dagli anziani, dai bambini.
 I giovani sono per loro natura gli esploratori, mandati a scoprire il futuro di tutti.
Chi entrerà nella terra promessa, chi la vedrà e la farà sua?
Chi ne intuisce già i tratti, ne avverte il sapore e il profumo? Sono i giovani. In questo senso, aveva ragione Giovanni Paolo II nel dire che sono loro le sentinelle del mattino, che annunciano con i loro sogni e le loro attese il giorno che verrà.
 Sono loro i primi destinatari di quel sì di Dio al mondo, di cui parla spesso Benedetto XVI. I giovani anticipano il futuro, ce lo fanno assaggiare.
Ecco perché un adulto che abbia perso il contatto coi giovani diventa presto vecchio; e chi è rimasto a contatto con loro conserva una carica stupefacente di giovinezza e di speranza.
 Mi chiedo, allora, quali caratteristiche dovranno avere questi esploratori della terra promessa.
 Come agli inviati del libro dei Numeri, è chiesto ai giovani di raccontare un mondo ai più sconosciuto: essi devono essere dei narratori.
Narrare non significa aver capito tutto, voler spiegare tutto, descrivere ogni dettaglio.
Narrare vuol dire comunicare un’esperienza vissuta in maniera così intensa da risultare contagiosa di futuro.
È questo che mi aspetto dai giovani: che aiutino tutti noi a conoscere, attraverso i loro racconti  –  che sono i loro “sogni diurni”, le loro attese e speranze –  un mondo che per tanti aspetti non conosciamo, quello che condividono ogni giorno nelle scuole, negli ambienti di vita, con i loro amici, con quanti sanno dialogare con loro.
Da questo mondo ci separa spesso una distanza, che ci rende difficile capirlo. È evidente, peraltro, che non si può imparare la lingua degli altri senza conoscerli.
Chi conosce la lingua dei giovani, chi sta esplorando il mondo che deve venire, sono anzitutto loro, i giovani stessi.
 Perciò, noi adulti abbiamo bisogno di loro, perché senza di loro non potremo parlare al futuro; è grazie a loro, se accettano di coinvolgersi nell’avventura di sognare insieme e di organizzare la speranza, che anche noi potremo parlare al domani e costruirlo con loro.
 Il mio appello è allora a coinvolgere i giovani nello sforzo creativo del progetto, necessario ad aprire le vie del domani di tutti.
 Gli organismi di partecipazione (ad esempio scolastica) sono importanti, ma non bastano. Occorre un livello ulteriore di ascolto e di condivisione.
Oltre a essere i narratori della speranza, i giovani, come gli esploratori della terra di Canaan, sono chiamati a considerare lucidamente il desiderio e le sfide della conquista.
Quando presentano il melograno, il fico e l’asta con i grappoli d’uva, gli esploratori lo fanno per dire: “Guardate che bello, questi sono i frutti della terra promessa”, una terra di cui si sono innamorati. Essi descrivono qualcosa per cui vale la pena di rischiare.
  Vorrei chiedere allora ai giovani: non narrateci l’ovvio, lo scontato; narrateci, invece, quello che nella vita vi fa sognare. Narrateci le vostre speranze, i vostri desideri; siate i trasmettitori di un’esperienza che solo l’amore dischiude, perché solo se si guarda con amore la terra della promessa di Dio, si può anche vedere il grappolo d’uva e il melograno e il fico. Aiutateci a sognare con voi un sogno anche arduo, ma possibile!
Proprio per questo, come fecero gli esploratori della terra promessa, non tacete a voi stessi e agli altri le difficoltà dell’impresa.
Il vostro sogno sia a occhi aperti, tanto da risultare interprete lucido e razionale della realtà!
 Bisogna scommettere sulle capacità dei giovani: ad essi non dobbiamo solo chiedere di trasmetterci un’emozione, ma anche di aiutarci a pensare, di proporci delle sfide, di farci valutare senza ambiguità le difficoltà dell’impresa.
Nella terra promessa ci sono i giganti, le grandi agenzie che puntano solo al profitto e non esitano a scarificare ad esso i più deboli, a cominciare dai giovani! Non si può, né si deve tacere sulle difficoltà, le sfide, le prove che vanno affrontate.
Amare i giovani significa chiedere loro sacrifici sensati, impegnarli a prepararsi, a studiare, a esercitarsi nel dono di sé.
Guai a stimolarli solo a fare bella figura, ad apparire! I giovani vanno educati e devono educarsi a capire i problemi, a esaminarli e ad affrontarli insieme con gli altri, a lavorare sodo per superarli.
 Da questo consegue una svolta decisiva: da semplici destinatari, più o meno raggiunti dalle nostre analisi e dai nostri progetti, i giovani vanno riconosciuti e trattati da veri protagonisti e interlocutori.
 Qui c’è il nuovo cui aprirsi: normalmente si parla dei giovani, si progetta sui giovani, ma i giovani non ci sono. In tutti gli organismi decisionali i giovani sono una rarità: si studiano i loro problemi, ma loro sono assenti, non convocati.
Ovviamente, con questo non intendo entrare nel dibattito intorno ai cosiddetti “rottamatori” e alle loro ragioni, ma stimolare tutti, specialmente gli adulti e quanti hanno responsabilità di azione, ad ascoltare seriamente il mondo dei giovani, con mente lucida e cuore aperto.
 Ai giovani, infine, perché siano protagonisti del loro domani, chiederei di sentirsi caricati di un invio, coscienti di una responsabilità, portatori di speranza e di fede, innamorati della bellezza, che salverà il mondo. Giovani luminosi, capaci di guardare agli altri non con indifferenza, ma con attenzione d’amore, col desiderio di raggiungere tutti con un sogno comune, pronti a pagare il prezzo necessario per fare della speranza il dono di un presente possibile.
Don Lorenzo Milani proponeva ai ragazzi di Barbiana il motto “I care”, mi sta a cuore: abbiamo bisogno di giovani che credano in questo, che amino i deboli e i poveri, che regalino un po’ del loro tempo agli altri, che non si risparmino nel prepararsi seriamente al domani, che soprattutto non si chiudano mai a quelle che i credenti chiamano – con discernimento e umile consapevolezza – le sfide e le sorprese di Dio.
È quello che auguro a tutti i nostri giovani e in modo speciale a chi in questi giorni inizia un nuovo anno scolastico, perché sia cammino fecondo verso un futuro più giusto e bello per tutti.

La strage di Bengasi: una violenza inaccettabile.

Attacco ieri sera al consolato Usa a Bengasi da un gruppo di uomini armati che hanno distrutto e bruciato l’edificio. 
Possibilmente dietro l’attacco, un film blasfemo realizzato negli Usa e prodotto dall’israelo americano Sam Bacile , film giudicato  blasfemo e insultante per il profeta Maometto.
 Un altro attacco per lo stesso motivo anche all’ambasciata Usa al Cairo.
Il commento del portavoce vaticano, padre Federico Lombardi,  dopo la strage di ieri sera, è all’insegna della massima prudenza, criticando duramente, invece, le “ingiustificate offese e provocazioni” contro la sensibilità dei fedeli dell’Islam.
«Le conseguenze gravissime delle ingiustificate offese e provocazioni alla sensibilità dei credenti musulmani sono ancora una volta evidenti in questi giorni, per le reazioni che suscitano, anche con risultati tragici, che a loro volta approfondiscono tensione e odio, scatenando una violenza del tutto inaccettabile…  
Il rispetto profondo per le credenze, i testi, i grandi personaggi e i simboli delle diverse religioni  è una premessa essenziale della convivenza pacifica dei popoli»
Anche il Vicario Apostolico di Tripoli, Mons.  Giovanni Martinelli definisce terribile l’uccisione dell’Ambasciatore Shris Stevens che era arrivato nel pomeriggio nella capitale della Cirenaica per raccogliere gli umori alla vigilia della nomina del nuovo premier libico, prevista oggi. Con lui hanno trovato la morte anche tre funzionari dell’ambasciata.
Occorre , dice Mons. Martinelli, «evitare di offendere la sensibilità religiosa delle popolazioni. «Già i Paesi arabi sono in presa a sconvolgimenti epocali, versare la benzina dell’oltraggio religioso è veramente pericoloso».
Luci ed ombre sul triste avvenimento, forse non è solo una coincidenza che la strage si sia perpetrata l’11 Settembre !!

La potenza dei semplici per cambiare la durezza di una legge

Ieri  Paul Bhatti, [consigliere per le minoranze del primo ministro del Pakistan, parlando ai giornalisti a Sarajevo, dove partecipa all’incontro internazionale per la pace ,ospite della comunità di S. Egidio] a proposito del  caso di Rimsha Masih, la bambina di 12 anni con ritardo mentale che in Pakistan e’ stata incarcerata con l’accusa di blasfemia per aver bruciato alcune pagine del corano ed e’ stata rilasciata nei giorni scorsi su cauzione ha dichiarato: 
Un caso che ha cambiato il pensiero islamico, un positivo passo verso la convivenza tra le diverse comunita’ religiose presenti nel Paese. … La cosa che da’ incoraggiamento   è’ che la maggior parte degli ulema e degli imam mi hanno comunicato direttamente la loro volontà di agire perchè cambi l’abuso della legge e sono determinati ad agire affinchè non avvengano più episodi di questo genere che fanno vittime innocenti colpite a nome dell’Islam. E’ motivo d’incoraggiamento che avvenga questo. E’ la prima volta nella storia del Pakistan. …. 
 La bambina  e’ traumatizzata. Quando sono andato a prenderla dalla polizia, vedendo tutti i soldati attorno a lei per proteggerla, non capiva di essere stata liberata. Continuava a dire, ‘ho sbagliato, ho sbagliato’, pur essendo innocente”.
“Adesso  voglio che vengano fuori tutte le verità di questo caso in modo che la società pakistana e le persone di buona volontà capiscano che questa legge puo’ essere usata in maniera scorretta per scopi personali'”
“Spero con il cuore e prego Allah  che sia fatta giustizia e che i veri colpevoli siano perseguiti. Tutti gli studiosi religiosi del Pakistan e gli esperti di Islam si sono seduti attorno a un tavolo e hanno deliberato che sono contro chi ha accusato Rimsha e sono per una soluzione positiva di questo caso”.
 Nel frattempo Rimsha, che si trova in una località segreta, alla CNN  ha risposto alle domande del gionalista con timidi “ sì” e “no” e ha dichiarato :
Ho paura che qualcuno possa ucciderci’ …. Amo il Pakistan”.  Alla domanda se avesse bruciato lei le pagine del testo sacro, ha smentito con determinazione: ”No, no”.

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