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A scuola di Religione Cattolica

scuola religioneAccertare che il 98,90% degli studenti di tutte le  scuole statali del territorio diocesano di Cefalù, all’atto dell’iscrizione a scuola, scelgano di frequentare le lezioni di Religione Cattolica, ai fini statistici può essere gratificante; mentre, infatti, siamo perfettamente in linea con  dati CEI relativi all’Italia meridionale, contribuiamo in modo significativo ad elevare la media nazionale che si attesta intorno all’88 %.
Una lettura responsabile dei dati, tuttavia, pone la necessità di una attenta verifica sull’efficacia di tale massiccia frequenza in termini di gradimento della disciplina e in termini di profitto sia didattico  che formativo.
Per tale verifica e per  il secondo anno consecutivo è’ stata scelta la fascia di studenti, mediamente sedicenni, frequentanti la III Classe delle Scuole Secondarie superiori di tutto il territorio diocesano, convinti che, a metà del percorso dell’ultimo grado di scuola, dovrebbe apparire piuttosto strutturata la loro personalità, hanno una adeguata  coscienza di sé ed una sufficiente consapevolezza  delle proprie potenzialità, hanno quasi  definito una scala di valori,  si orientano nella vita di relazione, hanno maturato un’idea di Dio e del posto che Egli occupa nella loro esistenza, anche se situazioni contingenti e difficoltà di percorsi possono fare pensare l’esatto contrario.
        E’ stato somministrato loro un Questionario strutturato secondo i criteri usati nei test scolastici cui i ragazzi sono abituati, anche se là dove verte su competenze che evidenzino il livello formativo fa appello a capacità meta-cognitive, all’esercizio delle quali non sono generalmente formati, pur utilizzandole normalmente senza la necessaria consapevolezza.
        Non viene qui riportato il Questionario pulito, ma nell’analisi delle risposte vi si fa dettagliato riferimento risultandone una lettura piuttosto chiara.
        Anche quest’anno. l’iniziativa ha ottenuto un ottimo accoglimento tra  gli studenti: hanno compilato il Questionario tutti i presenti in classe nel giorno della sua distribuzione (658 studenti), giorno scelto liberamente dai docenti di Religione.
Non tutti invece hanno risposto a tutte le domande  del Questionario. Due classi per esempio ne hanno lasciato decisamente in bianco  alcune parti, come i docenti interessati hanno potuto constatare  visionando il tabulato della propria scuola.
La quantità di risposte date  oscilla tra l’ 83% e il 100%. Solo la Domanda n. 4, sul totale disinteresse nei confronti dell’insegnamento della RC, ha una percentuale di risposte pari al 22,64% degli intervistati. Ma sono ben 150 studenti!
        Quanto alla tabulazione preciso che le percentuali  riportate nelle singole voci vanno rapportate al totale delle risposte date a quella stessa voce, mentre la percentuale riportata sotto il totale delle  risposte di ogni domanda va rapportato al numero degli intervistati (658).
 
Domande 1-5:
         Su 658 intervistati, mediamente il 94,22 %. ha risposto alle prime tre domande, dalle cui risposte si evince che l’85,64% ha scelto autonomamente di frequentare l’insegnamento della Religione, a fronte di  un 12,07% per i quali hanno scelto i genitori; irrilevanti i dati riguardanti l’influenza dell’insegnante di RC o dei compagni.
        Piuttosto varia la  valutazione di tale scelta: è intelligente per l’11,11%, culturalmente interessante per il 38,27%, utile per il 23,05%,  consequenziale alla propria fede per il 19,13%, mentre l’8,48% la considera inutile e improduttiva.
        La bontà della scelta (n.3) viene motivata dal pluralismo culturale nel quale l’insegnante inquadra la disciplina (33,00 %) , ovvero dall’esclusione del pluralismo (4,33%). Sale al 62,66% il gradimento delle lezioni che risultano aperte ai problemi generalmente culturali e all’attualità.
        Il 22,64 % non ha interesse per la disciplina (n.4). Va  tuttavia precisato che molte  delle risposte alla domanda 4 appartiene a studenti che hanno già espresso gradimento nella domanda 3, e pertanto esprimono quando la disciplina, che pur piace, diventa noiosa; l’altra parte, invece, spiega i motivi della risposta alla domanda 2d (inutile e improduttiva).
Di fatto i motivi del non gradimento, totale o parziale, sono: la ripetitività delle tematiche (46,97 %), il taglio eminentemente morale dell’insegnamento (30,87 %), la mancanza di confronto culturale (22,14 %).
La partecipazione attiva alla lezione coinvolge il 71,40%, mentre il 20,40% pur restando in classe fa assolutamente  altro, il 3,51% chiede di allontanarsi dalla classe. Il 4,68% afferma che molti compagni escono dalla classe. Il 28,60 % di disinteresse, malgrado la libera scelta al momento dell’iscrizione, dovrebbe far pensare molto.
 
Domande 6 – 15:
 Alla domanda n.6, quasi il 26 % degli studenti attribuisce la riuscita della propria ‘crescita’ a fattori esterni, come l’avere tanti soldi (13,31%) o tanti amici (12,50%), mentre il 25,48%  punta sulla propria intelligenza che, ovviamente lega ad un progetto di vita (64,93%).
        Le risposte alla domanda 7 sono le più numerose e le più svariate: ha risposto il 100% degli intervistati, per un totale di 1541. Cosa ti fa pensare all’esistenza di Dio?
In ordine decrescente viene dichiarata una spiccata sensibilità alla nascita di un bambino (39,05%), alla guarigione da un tumore maligno (34,09%), alla morte di una persona cara (32,52%), all’esistenza del male nel mondo (30,54), al perdono dei nemici (26,29%), alla solidarietà tra le persone (24,92%), alla ricchezza della vita (18,08%), al cielo stellato (12,91 %), alla bellezza di un tramonto (12,76 %),  alla scoperta di un vaccino (2,73%).
        Seguono le domande (8-15) sull’apprendimento specifico della disciplina:
l’88,70 % conosce i Quattro Evangelisti, il 6,87%  non conosce Marco ma vi inserisce Paolo, il 3,43% non conosce Marco e Luca ma vi aggiunge Pietro e Paolo. Solo lo 0,98% scherza con Aldo – Giovanni e Giacomo!
        La divisione della Bibbia in Antico e Nuovo Testamento è conosciuta dal 91,61%, irrisorie le percentuali delle risposte errate.
        Con il termine ‘Chiesa’ l’83,14% intende la Comunità di tutti i battezzati; il 9,56% l’insieme  dei gruppi parrocchiali; il 5,34% il Papa con i Vescovi e i Preti; l’1,94% la identifica con la struttura architettonica.
        Solo l’85,10% ( 560/658!) risponde alla domanda  n. 11 sulla SS. Trinità: per il 58,75% il Mistero ci propone un Dio di relazione interpersonale, per il 34,20 % ha una funzione strumentale a giustificare la divinità di Cristo, mentre per il  6,42% è un retaggio dell’antico politeismo.
        Anche sulla persona e sulla funzione dello Spirito Santo il numero complessivo delle risposte  (vero-falso  per singola domanda) risulta piuttosto basso: si va da un minimo di 505/658 ad un massimo di 586/658. Queste le risposte:  il 16,02% non lo considera Dio con il Padre e con il Figlio; per il 23,23% è il fondatore del  Movimento dello Spirito; per il 26,53%  lo Spirito non ha niente a che fare con la comunicazione della salvezza ai cristiani; per il 35,22% non è Lui che ci fa conoscere il Figlio; non è vero che lo abbiamo ricevuto nel Battesimo e nella Cresima per il 19,72%; per il 27,14%  lo Spirito è sottoposto al Figlio, ed infine ne potremmo fare a meno per il 23,89%.
        Alla domanda n. 13, sulla fede in Gesù Cristo, non rispondono 68/658 intervistati. Per l’89,32%  dei restanti  i cristiani credono  che Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo; per il 6,44% è lo Spirito Santo divenuto uomo; per il 2,03% è il salvatore della Palestina; intorno all’1%  quelli che lo definiscono il narratore dei Vangeli o l’ultimo dei profeti.
        Alla domanda n. 14 rispondono in 620/658. Per l’80%  Gesù è morto e risorto il terzo giorno, per il 17,25% Gesù dalla croce è salito al cielo, per il 2,58% Gesù è risorto la notte di Natale, solo  per 1 alunno Gesù è morto dopo le apparizioni.
Dalle risposte alla  domanda n.15  apprendiamo come l’intervistato definisce e vive la realtà parrocchiale:  rispondono ben 620 ragazzi (98,02%). Di essi, il 67,28% sostengono che la realtà parrocchiale è costituita da un gruppo  di persone che vivono  la stessa fede; per il 23,58%  la Parrocchia è il luogo dove si celebrano i Sacramenti e i Sacramentali; per il 5,27% un luogo ove  si svolgono riunioni e si va a giocare; per finire con il 3,87% che la  considera come la casa dei Sacerdoti.
 
Domanda 16.
 Piuttosto complessa, la domanda intende fare emergere l’idea di come Dio si rapporta all’uomo e di conseguenza di come l’intervistato si colloca dinanzi a Lui.
Le risposte vanno da un minimo di 593 ad un massimo di 652/658.
Rifiuta un Dio severo e punitivo  il’80,68% degli intervistati, che invece va bene per il 4,70%. Un ulteriore 14,61% non sa. Piace un Dio protettivo e paterno (75,88%), che tuttavia non piace al 6,43 %, mentre sale al 17,68 % il numero dei dubbiosi.
Dio non detesta gli atei per il 69,25 %, li detesta invece  per il 3,637%, non sa rispondere il 27,10%. Egli rispetta la nostra libertà per il 65,64 % , in modo contrario la pensa il 12,31 %, non ne ha idea il 22,04 %. Non detesta i peccatori per il 66,66 %; li detesta per il 12,39%,  non sanno rispondere  il 20,99 %.
 L’idea di un Dio paterno e materno piace al 57,69%,  non piace al 13,23 %,  non ne ha idea il 27,06%.
Più netta appare la posizione nei confronti di un Dio terribile e capriccioso verso gli uomini. Lo rifiuta l’81,09 %, lo considera tale il 6,13 %, non ne ha idea il 12,76 %.  Non disdegna che Dio veda tutto il 69,13 %, non lo accetta l’8,93 %, non sa il 21,92 %.
L’affermazione sulla bontà di Dio verso di noi anche quando siamo cattivi  trova il consenso del 79,18 %:  non la condivide  il il 4,75%, non sa il 16,06%.
L’affermazione sull’amore  di Dio verso ogni uomo e verso tutti a prescindere dalla correttezza morale, dalla posizione sociale , dalla stessa confessione religiosa di appartenenza  è condivisa dall’80,21%. Solo il 5,21% non la condivide; il 14,57% non sa rispondere.
 Trova in forte imbarazzo gli intervistati, tra l’altro con  una altissima  percentuale di risposte (92,85 %), l’affermazione che la giustizia di Dio sarebbe la migliore garanzia per tutti gli uomini. Non è d’accordo il 12,27%, è d’accordo il 39,27%, non sa rispondere il 48,44%.
 E’ innegabile che il problema più serio è l’alta percentuale di coloro che non sanno dare una risposta, o meglio, della carenza di risposta un po’ da parte di tutti, perché ovviamente non si tratta di due gruppi distinti dei quali l’uno dà risposte, l’altro non sa darne. C’è un gran numero di studenti che non ha metabolizzato tutti gli insegnamenti acquisiti o che non si è posto determinate domande sulla propria  esistenza e sul proprio rapporto con Dio, ovvero che attribuire a Dio determinati atteggiamenti nei confronti degli uomini significa compromettere se stessi.
 
Domanda 17
         L’articolazione delle risposte a questa domanda dà la misura della serietà con cui gli studenti hanno compilato l’intero questionario e questa parte in particolare. Chi non ha voluto cimentarsi nell’attenta analisi di sé, ha tagliato dall’alto in basso l’intera pagina del questionario, altri, invece, l’anno lasciata in bianco.
        Le percentuali  riportate sono relative al numero di risposte date per ogni singola voce, pertanto succede che non sempre tra le varie voci a percentuale maggiore corrisponda un numero maggiore di risposte. Per una più facile lettura, anziché riportare le percentuali preferisco i numeri interi Pertanto, mentre nel tabulato trovate le percentuali, nella presente relazione preferisco riportare i numeri interi perché il discorso risulti più agevole ala lettura.
        La media complessiva delle risposte è del 93,36% sui 658 intervistati, con l’avvertenza che la  differenza in negativo (6,64%) non va riferita agli studenti ma al numero complessivo delle risposte.
I valori verso i quali gli studenti mostrano in maggioranza molto (primo numero) e in parte abbastanza (secondo numero) interesse sono: la Famiglia (592+ 31/ 631), segue la Libertà (518 + 98 / 624), la Salute (531 +69 / 605), l’Amore (456+ 137 / 617), l’Amicizia (476 + 117 / 600), l’Onestà (437 + 147/ 596), La solidarietà (Aiutare gli altri) (343 +225/613), la Giustizia (326 + 220/611), il Divertimento (316 + 262 / 598), la Sessualità (281 + 227/658). La sessualità interessa poco a 79 ragazzi, per niente  a 21, non sanno 50!
 Prevale l’abbastanza sul molto o differiscono di poco nei seguenti valori:
Osservare le Regole (344 + 162 /600), lo Studio (332+171/598) la Bellezza fisica (306+109/ 629); il Lavoro (302+286/ 609); la Religione (282+ 157/587); che tuttavia interessa poco o niente  a 147 studenti  e 31 nemmeno lo sanno.  La Patria (281+150/626, ma non interessa a 157; Fare carriera (274+264/ 634); Andare a Messa (223+89/598, ma ben  270 ne ha poco o alcun interesse, mentre 13 nemmeno ci pensano. Le Attività parrocchiali  non interessano a 350  studenti, sono invece interessanti per 147, mentre  31 nemmeno lo sanno. L’interesse per la Politica è radicalmente capovolto: non interessa a 412 studenti, sono interessati 174, non lo sanno 22.
 
Domanda 18
         Gli studenti appaiono più diffidenti (53,89%) che fiduciosi (24,70%) nei confronti degli altri, mentre il 21,39 % resta nel dubbio;
Nei confronti del proprio futuro risulta ottimista il 45,91%, pessimista il 39,82 %, non ne ha idea il 14,26;
La capacità progettuale e la voglia di affrontare la vita con una certa grinta  è presente nel 74,18 %, manca nel 20,75 %, mentre il 5,06% non si è posto il problema;
In ordine alle scelte importanti della vita il 29,10 % mostra il convincimento che sia necessario farlo presto, mentre il 56,85% è timoroso e attendista.. Non si pone il problema il 14,04 %;
Ha un atteggiamento d’impegno e sa di dover puntare soprattutto sulle proprie forze il 60,70%, crede nella fortuna e non sulle proprie capacità e sul proprio impegno il 19,89%. Non ha ancora una visione del proprio futuro il 19,39 %;
Mostrano consapevolezza della realtà in cui vivono ed hanno fiducia in se stessi aprendosi alla possibilità di rischiare il 59,03 %, hanno paura ma si ritengono saggi il 32,87 %. L’8,08 % non sa che pesci pigliare;
Credono che nella vita non ci sia nulla di definitivo, ma che tutto è suscettibile di cambiamento il 47,52 %, sanno che ci sono cose essenziali che si scelgono una volta sola il 39,27 %. Non prendono posizione il 13,20 %.
Mediamente  il 13,63 % (Risposta ‘non so’ ) non ha le idee chiare o non si è mai posto questi problemi.
 
Riflessioni
 Da un sommario confronto con i dati rilevati nell’anno scolastico precedente complessivamente non appaiono differenze sostanziali: la maggioranza degli studenti possiede le conoscenze essenziali della Disciplina, pur essendo alto il numero di chi ha carenze dottrinali sulla SS. Trinità, sullo Spirito Santo in particolare  e sulla natura della Comunità cristiana locale (la Parrocchia).
Ciò dovrebbe far  riflettere non solo gli insegnanti di Religione, ma anche Parroci e Catechisti in considerazione del fatto che un giovane di 16 anni ha alle spalle almeno 10 anni di lezioni di Religione a scuola, una preparazione catechistica per la Prima Comunione e una per la Cresima!
Analoga riflessione va fatta per l’interesse dichiarato nei confronti della Religione, della Santa Messa in particolare, per la sua importanza nella vita cristiana e nella pratica religiosa,  e della partecipazione alle attività parrocchiali: 220/658 studenti hanno poco o nessun interesse nei confronti della Religione; 346/658 non amano andare a Messa; 511/658 non  frequentano le attività parrocchiali. Sono dati da bancarotta!
Cosa offriamo ai ragazzi  in termini culturali o  anche solo ricreativi? Perché nella formazione dell’iniziazione cristiana continuiamo a suscitare emozioni deboli che vengono sistematicamente spazzate via dalle  emozioni forti dell’età adolescenziale? Stiamo tentando percorsi nuovi in campo formativo dopo averci riflettuto per un intero anno pastorale con proiezione decennale? E, nell’anno della missionarietà della Chiesa, quali Progetti stiamo elaborando in concreto per  ‘uscire’ culturalmente e fisicamente  incontro a questi giovani, che si raccontano nella loro sincerità quasi totalmente avulsi da interessi religiosi ed estranei alle proposte che rivolgiamo loro? In cosa consiste la nuova evangelizzazione ? Urgono risposte concrete, operatività pastorale capillare che va dalla ricerca dell’individuo, all’ascolto, allo studio del suo habitat, alla valorizzazione delle sue aspirazioni o alla  rimozione delle sue frustrazioni…mettendo al bando gli assemblearismi
 e le tematiche astratte, che spesso sfociano in moralismi che banalizzano il vissuto di chi ascolta.
Il primato del disinteresse dei giovani  è detenuto dalla Politica. Oltre i  due terzi delle risposte  ne dichiarano poco o nessun interesse. Sarebbe semplicistico vederne la causa solo nella grave crisi che la politica ha attraversato negli ultimi 30 anni, totalmente priva di capacità progettuale del bene comune mentre veniva perseguito l’interesse privato in termini di corruzione e latrocini. Ciò ovviamente ha confermato i giovani nel loro disinteresse convincendoli che fanno bene a disinteressarsene.
La vera causa invece va cercata nella gravissima mancanza di una educazione alla democrazia partecipata che, viceversa, dovrebbe indurli a critiche mirate e all’impegno formativo nel sociale per prepararsi a sostituire una classe politica nella maggior parte degna solo di essere rottamata.
E questi giovani ne avrebbero anche i numeri perché, contrariamente ai luoghi comuni che hanno determinato il nostro giudizio negativo nei loro confronti facendoceli assimilare alla ‘gioventù bruciata’ degli  anni ‘70-’80 del secolo scorso, possiedono una scala di valori ben definita che appare quasi capovolta  rispetto alla tradizione dei benpensanti.
Sta crescendo una generazione nuova che mette il divertimento all’ottavo posto della sua scala di valori, al primo posto la famiglia; quasi a dire di essere stufa d’aver giocato troppo e di cercare nella famiglia il punto di riferimento certo ed immediato, mentre  gli adulti continuiamo a disquisire sulla sua irreversibile crisi.
Non sarà il nostro un giudizio di facciata mentre i giovani puntano diritto alla sostanza delle relazioni familiari da cui attingono sicurezza, superando a volte veri e propri traumi  mostrando tuttavia una grande capacità di adattamento? Fino a qualche anno addietro si considerava l’adolescenza come il momento della ‘fuga’ dalla famiglia per affermare la propria personalità e libertà, loro preferiscono essere liberi (2° posto) all’interno della famiglia, in buona salute (3° posto), amando e coltivando amicizia (al 4° e 5° posto), con la sicurezza del lavoro (6° posto), onesti (7°), solidali (9°), giusti (10°).
Non voglio apparire  edulcorato né interpretare i giovani come i protagonisti di un romanzo rosa tutto da scrivere. Nell’enfasi quasi voluta della mia narrazione, tuttavia, non posso non vedere l’inizio, la riproposizione di un umanesimo che nasce esattamente dalla profonda crisi in cui noi eravamo precipitati.,..facendo tabula rasa, (noi !), di quei valori che loro pongono ai primi posti della scala.
Quando i Giovani si raccontano fanno crollare i nostri pregiudizi e, se siamo onesti, ci mettono in crisi. La loro scala di valori che, ribadisco,  nasce dallo sfascio in cui noi abbiamo ridotto la nostra,  è certamente una controproposta forgiata dal disagio generazionale  che li accomuna nella ricerca di riferimenti certi su cui costruire il loro futuro.
Noi abbiamo assunto  atteggiamenti di facciata che al mutare delle circostanze hanno fatto crollare l’edificio, ma abbiamo mantenuto la sicumera del giudizio severo nei loro confronti, valutando superficialmente i loro comportamenti senza approfondirne  le motivazioni esistenziali, ambientali, generazionali. Abbiamo gestito un potere discriminatorio che ha finito per discriminare noi da loro, come se noi fossimo di un altro pianeta.
Nella fretta del giudizio ci è sfuggito che nasceva un nuovo modo di pensare, un nuovo modo di relazionarsi, un capovolgimento della scala dei valori che mette al primo posto quelli sociali, un modo di concepire la vita come gratifica personale da cui eventualmente discende un codice morale che a sua volta  non può essere fine a se stesso.
Quei valori sono i punti di forza di questa nuova generazione e sono per noi strumento di approccio fecondo se, tuttavia, sapremo ascoltarli e ci asterremo dal tentativo di voler mettere in discussione le loro visioni e l’ordine d’importanza che vi danno. Torneremmo ad essere i moralizzatori di sempre.
Quanto alle criticità, e ce ne sono tante, va usato lo stesso metodo: l’ascolto e il confronto. Dobbiamo aborrire anche solo di pensare: “adesso te lo insegno io !”.
Dal loro racconto capiremo le motivazioni della mancata elaborazione, la  carenza culturale di riferimento, il contesto sociale e ambientale che genera convincimenti e comportamenti…la loro difficoltà di problematizzare e di pervenire a sintesi culturali capaci di determinare la propria esistenza.
        Tale difficoltà di problematizzare e di pervenire a sintesi culturale è la criticità di maggiore importanza. Essa emerge dalle numerose non-risposte, dall’incertezza  delle scelte proposte nelle domande dei gruppi 13 e 15, dalle numerosissime risposte  “Non so”. Tanti  percorsi personali non appaiono ancora definiti.
         Che tali problematiche emergano da un Questionario sul gradimento e sull’efficacia dell’insegnamento della Religione cattolica è quanto di più normale ci si potesse aspettare proprio perché quei valori e quelle visioni mentre sono obiettivi traversali di tutte le discipline sono invece obiettivi specifici dell’IRC.
Ma non sarebbe  affatto normale se si pensasse che tali problematiche interessino solo l’insegnamento della Religione cattolica.
Questo spaccato della situazione giovanile interessa e coinvolge tutti e ciascuno nella misura in cui ognuno svolge un  ruolo formativo e possiede gli strumenti per operare.
In primo luogo la famiglia che, per i legami naturali e la prossimità è e resta il primo punto di riferimento certo  per i figli. E’ una presenza per un certo verso appagante, ove innanzitutto si coltivano gli affetti e si ammortizzano le frustrazioni di una società plurale che disorienta  e tende ad omologare   tutto e tutti. Per altro, proprio in tale considerazione da parte dei figli, la famiglia può ritrovare la sua funzione, il suo stile, l’autostima e la motivazione di un suo riscatto da tutte le banalità che aveva fatto diventare importanti. Fino a qualche anno fa la famiglia ‘delegava’ la formazione dei  figli alla Scuola, alle Associazioni, alla comunità parrocchiale… il tempo delle deleghe è finito! La famiglia deve riappropriarsi del suo ruolo primario, mentre le altre istituzioni devono concorrere con gli strumenti propri alla realizzazione del progetto formativo della famiglia.
La Scuola non ha fatto mai del problema formativo il suo compito primario, e forse a ragione. Ovviamente non mi riferisco alla formazione professionale che sostanzialmente si esaurisce nel possesso da parte degli allievi di competenze specifiche inquadrate in un contesto culturale  mediamente sufficiente.   Preoccupata di istruire e di trasmettere il sapere ufficiale, la Scuola valuta gli studenti  quasi esclusivamente sul possesso delle conoscenze disciplinari accompagnato da un generico e soggettivo giudizio di maturità. Essa di fatto resta fuori dal circuito delle problematiche educative, non è e non è stata attenta al mutamento che ha caratterizzato con impressionante velocità e globalità questo passaggio di secolo e di millennio, restando cristallizzata e incartapecorita   in schemi culturali d’altri tempi.
A livello  istituzionale la cultura non ha prodotto i suoi frutti, perché anziché essere promotrice di cambiamento o per lo meno capace di gestirlo, lo ha subito con mal celata rassegnazione considerandolo una iattura.
Manca alla Scuola la conoscenza della fenomenologia della Società contemporanea, quella che gli esperti chiamano “Società impersonale” intendendo con ciò affermare che le manca la coscienza di sé e di quello che le  succede intorno, mentre vive tutto come fosse un paesaggio, bello o brutto che sia, che non chiede partecipazione né azione. Con la gonfiatura di tre grandi temi enfatizzati dalla modernità (il primato dell’io, del nuovo, del successo), la società propende al voyeurismo, non all’impegno, ed è destinata al populismo del guardare.
Per tornare alle tematiche formative, la Scuola oggi deve assolutamente rendersi operativamente capace di decifrare nelle nuove generazioni, che per altro si ritrova tra i banchi, la sindrome del complesso di Telemaco che si manifesta nella ricerca del padre, di punti di riferimento certi, delle proprie radici, nel desiderio di costruirsi un futuro che non sia catastrofico come il nostro presente; non può ripetere l’errore del passato, quando non seppe decifrare la sindrome del complesso opposto, quello di Edipo che ci ha spinti nella spasmodica ricerca del nuovo, più in termini di moda che di sostanza, uccidendo il padre, rinnegando il passato, trascurando le tradizioni, calpestando i valori sociali in nome dell’affermazione individuale.
Urge un grande dibattito su tutte le superiori problematiche anche solo per capire cosa sta succedendo tra le nuove generazioni e per non trovarci a disagio o sorpresi dinanzi alle loro proposte.

                                                           Prof. Giuseppe Riggio        Ufficio diocesano per l’IRC

 

"….Dov'è tuo fratello…. " – Incontro a Campofelice di Roccella a cura dell'Ufficio Regionale per la famiglia della Conferenza Episcopale Siciliana.

Dov'è tuo fratelloIl 21-22 2 23 Novembre a Campofelice di Roccella incontro a cura dell’Ufficio Regionale per la famiglia della Conferenza Episcopale Siciliana   in collaborazione con l’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Famiglia della CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA  sul tema ” Dov’è tuo fratello”  ( Gn 4,9 a).  Il Mediterraneo crocevia e via crucis di un nuovo Esodo. Le famiglie si interrogano su: itinerari, dinamiche e progetti di accoglienza e di evangelizzazione.
Risuona ancora nel nostro cuore l’esclamazione di Papa Francesco a Lampedusa l’8 luglio 2013:
«Adamo dove sei?, Dov’è il tuo fratello?, sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi.
Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?,
Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle?
Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca?
Per le giovani mamme che portavano i loro bambini?
Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazio-ne dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!»
Di seguito la locandina, la brochure, le note organizzative e la scheda di adesione.
 

 Locandina  
 Bochure  
 Note organizzative  
 Scheda di adesione  

 

Solennità di Tutti i Santi – Il santo è l'uomo o la donna delle beatitudini.

tutti i santi bose mLa parole “beati” costituisce un’antropologia, una descrizione di che cosa è davvero l’uomo felice, vero, autentico.
Le beatitudini sono la proclamazione del modo di essere uomini evangelici, discepoli autentici di Gesù, uomini e donne fortunati e felici.
Esse rivelano un misterioso capovolgimento antropologico che consiste nel passare dall’avere all’essere, dall’essere al dare, dall’avere per sé all’essere per gli altri.
Cogliendo la dinamica di questo guado, che è importantissimo per l’uomo, possiamo raggiungere il segreto di Dio, e insieme il vero segreto dell’uomo: donarsi. ( card. Martini )
In questi ultimi decenni sono stati proclamati tanti santi e beati: mai c’è stata nella chiesa una stagione così ricca di canonizzazioni, segno anche di un’estesa “cattolicità” raggiunta dalla testimonianza cristiana.
Eppure molti, all’interno e attorno alla chiesa, hanno la sensazione di non conoscere dei santi “vicini”, di non riuscire a discernere “l’amico di Dio” – questa la stupenda definizione patristica del santo – nella persona della porta accanto, nel cristiano quotidiano.
…..  Ecco il forte richiamo che risuona per noi oggi: riscoprire il santo accanto a noi, sentirci parte di un unico corpo. E’ questa consapevolezza che ha nutrito la fede e il cammino di santità di molti credenti, dai primi secoli ai nostri giorni: uomini e donne nascosti, capaci di vivere quotidianamente la lucida resistenza a sempre nuove idolatrie, nella paziente sottomissione alla volontà del Signore, nel sapiente amore per ogni essere umano, immagine del Dio invisibile.
Il santo allora diviene una presenza efficace per il cristiano e per la chiesa: “Noi non siamo soli, ma avvolti da una grande nuvola di testimoni” (Eb 12,1), con loro formiamo il corpo di Cristo, con loro siamo i figli di Dio, con loro saremo una cosa sola con il Figlio.
In Cristo si stabilisce tra noi e i santi una tale intimità che supera quella esistente nei nostri rapporti, anche quelli più fraterni, qui sulla terra: essi pregano per noi, intercedono, ci sono vicini come amici che non vengono mai meno.
E la loro vicinanza è davvero capace di meraviglie perché la loro volontà è ormai assimilata alla volontà di Dio manifestatasi in Cristo, unico loro e nostro Signore: non sono più loro a vivere, ma Cristo in loro, avendo raggiunto il compimento di ogni vocazione cristiana, l’assunzione del volere stesso di Cristo: “Non la mia, ma la tua volontà sia fatta, o Padre” (Lc 22,42).
Sostenuti da quanti ci hanno preceduto in questo cammino, scopriremo anche i santi che ancora operano sulla terra perché il seme dei santi non è prossimo all’estinzione: caduto a terra si prepara ancora oggi a dare il suo frutto. “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19). ( E. Bianchi )
Tutti siamo chiamati alla santità; … e il “ desiderio dell’altare” è – forse—solo una “umana esigenza” … perché l’aspirazione di chi è in cammino verso la santità è “ abitare nella comunione Trinitaria e contemplare il volto di Dio.. ( Tirisan)
Purtroppo oggi questa memoria dei santi, così come quella dei morti il giorno seguente, è svuotata dalla celebrazione, sempre più popolare, di Hallowen: un altro, triste segnale di come nella nostra società si scivoli con facilità e insensibilmente dal reale al virtuale. A un mondo invisibile, autentico e reale, il mondo della comunione dei santi, viene sostituito un mondo invisibile ma immaginario, una fiction fabbricata con le nostre mani per autoconsolazione. No, la comunione dei santi è sperimentabile, vivibile: noi non siamo soli qui sulla terra perché nel Cristo risorto siamo “communicantes in unum”! ( E.Bianchi )
 
… Il termine greco “makários” significa “benedetto, fortunato, felice”: esso esprime la condizione dell’uomo su cui si è posata la benevolenza divina e che ha così realizzato le aspirazioni più ambite. Proprio così questa creatura è felice, perché si sente amata da un amore fedele e percepisce che la dignità del suo essere è riconosciuta,  valorizzata, esaltata.
È la meta cui aspira ogni essere umano: siamo fatti per la felicità, e quando essa manca ci sentiamo frustrati,  incompiuti, irrealizzati, non amati, tristi della tristezza più grande, la tristezza di vivere.
Beato è invece chi percepisce di essere avvolto da un amore grande e profondo, rivolto al suo cuore in modo proprio e personale, un amore sicuro e affidabile, a cui potersi abbandonare senza paura e senza rimpianti, un amore che ti fa sentire utile e importante e ti fa apparire la vita bella e degna di essere vissuta.
Chi non vorrebbe incontrare un simile amore?
Chi non vorrebbe essere beato così?
Parlando di beatitudini Gesù parla a tutti i candidati alla felicità, a tutto l’uomo, in ogni uomo. Egli annuncia la meta bella e la via per arrivarci, la gioia e il cammino da percorrere per farne esperienza.
 Proprio così quanto sta per dire ci interessa tutti da vicino: il Maestro parla a noi, al nostro cuore inquieto, alla nostra sete d’amore, al nostro bisogno incancellabile di felicità, alla necessità che è nel profondo di ognuno di noi di essere riconosciuti nella nostra identità più vera, amati con un affetto puro, totale, bello e che duri per sempre.
Proprio da qui parte la rivoluzione di Gesù: dicendo “beati” egli richiama il mondo delle nostre aspirazioni più grandi, mentre ciò che aggiunge di volta in volta ci sconcerta e ci interroga, perché sembra indicare proprio l’opposto di ciò che avremmo immediatamente voluto o cercato…
 
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Chi chiamerebbe beato un povero? La povertà non è amabile, appare anzi ripugnante: richiama bisogni insoddisfatti, emarginazione e rifiuto, solitudine e abbandono, e l’impossibilità di fare ciò che avresti desiderato o voluto.
La povertà non è bella, né attraente: e Gesù chiama “beati” i poveri!
È vero che il testo di Matteo aggiunge “in spirito”, precisazione che manca nel passo parallelo del Vangelo di Luca (6,20): ma questa aggiunta, che sottolinea la necessità di una povertà scelta e voluta dal di dentro di te stesso, sembra rendere ancora più grave e inaudita la parola di Gesù. È come se egli dicesse che non basta essere poveri per essere beati, ma occorre scegliere e amare questa povertà, occorre volerla, anche se con l’aiuto e la forza che solo lo Spirito di Dio può darci. Insomma, Gesù ci mette in crisi su tutti i fronti: la via della gioia che ci indica è opposta a quella del successo in questo mondo, del denaro, del piacere, del potere ambiti come beni preziosi. Quello che il Maestro vuole dirci è che nulla di penultimo può riempire la sete infinita d’amore che ci portiamo dentro, e che solo se diventiamo vuoti di tutto possiamo lasciarci riempire da Dio, dalla Sua signoria, che illumina, trasforma e riscalda di vero amore tutto ciò che raggiunge.
 
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
….. Il dolore è l’esperienza che  unisce tutti, prima o poi, in un modo o nell’altro: parlando di “quelli che sono nel pianto” il   Maestro non sembra riferirsi a sofferenze fugaci, ad attimi passeggeri di dolore o di tristezza, ma   a quella condizione prolungata, sorda, costante, che a volte sembra soffocare l’anima.
Il paradosso   che Gesù annuncia si comprende proprio a partire da qui: nell’abisso del tuo dolore puoi essere  beato, se riconosci accanto a Te la compagnia del dolore divino, dell’amore di Dio per il mondo   come ci è stato rivelato nel Figlio.
Quando sei “nel pianto” non sei solo: Lui è con te. ….
 
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
 Mite è chi crede nell’efficacia della non-violenza ed è pronto a porgere l’altra guancia a chi lo schiaffeggia, a far del bene a quanti gli fanno del male, anche contro ogni calcolo e misura di successo.
Mite è chi è pronto a chiedere e dare il perdono, perché è convinto che le ragioni del cuore che crede e che ama sono più durature ed efficaci di quelle della forza.
Mite è chi preferisce sempre l’ascolto, il dialogo, l’accoglienza e la riconciliazione alla chiusura, al rifiuto, al desiderio di rivalsa e alla vendetta.
La soluzione dei conflitti non si otterrà col ricorso alle armi: il mite non crede nella guerra e non riconosce alcuna guerra giusta, tale cioè che le distruzioni operate e le vite umane sacrificate possano essere proporzionate allo scopo da conseguire.
La “non violenza” è l’espressione coraggiosa ed esemplare di questa mitezza, che sulla bocca di Gesù attinge alla profondissima fonte del rapporto vitale della persona che la pratica con Lui, il mite e umile di cuore. …
 
 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
La giustizia è il dare a ciascuno il suo, a Dio come a ognuno dei nostri fratelli in umanità. È giusto chi ama il Signore con tutto il cuore e a Lui solo vuole piacere e dare gloria. Chi agisce così, rispetterà ogni essere umano,  riconoscendo nel volto d’altri, di ogni altro, un’esigenza infinita d’amore, il diritto inalienabile di ciascuno ad essere riconosciuto nella propria dignità di figlio di Dio, fatto a immagine del Creatore e Signore del cielo e della terra, un fratello per cui Cristo è morto.
Impegnarsi per la giustizia, averne fame e sete, vuol dire tendere in ogni scelta e comportamento alla piena  realizzazione di ogni essere umano secondo il disegno di Dio e quindi al bene maggiore possibile per ognuna delle Sue creature. Chi agisce con giustizia e per la giustizia riconosce nell’altro non un avversario o un pericolo, ma un appello e un dono, specialmente se non può darti nulla in cambio. Ha fame di giustizia chi ama il povero, chi vede nel volto del misero il volto di Gesù ed è pronto a pagare di persona perché il diritto dell’umile non sia calpestato e la sua dignità sia sempre rispettata e promossa. Se veramente chi ha fame e sete di giustizia sarà saziato, come assicura il Maestro, possiamo essere certi che il Dio del Vangelo è un Dio “di parte”, vindice dei poveri e degli oppressi, dalla parte dei deboli e dei senza speranza. L’umile non sarà dimenticato dal Padre che è nei cieli, e chi si impegna per garantirne il diritto conoscerà la beatitudine anche nell’apparente sconfitta, in ogni prova e fatica, al di là di ogni calcolo o evidenza umana. Pagare il prezzo dell’amore per la giustizia è già essere partecipi della vittoria di Dio, difensore dei poveri e dei deboli.
 
Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia.
Misericordioso è chi ha un cuore compassionevole, che ama non a motivo dei meriti dell’altro, ma per il solo fatto che l’altro c’è. L’immagine più trasparente della misericordia è quella dell’amore di una madre per la sua creatura: amore viscerale, che non fa il calcolo del dare e dell’avere, ma dà senza motivazione e senza misura.
In ebraico – lingua in cui batte particolarmente il sangue caldo della vita – il termine per dire misericordia è “rahamim”, che vuol dire “viscere”, “grembo” di donna che custodisce e genera la vita. Dio ama così: è Padre e Madre nell’amore.
Saperlo è sorgente di pace, perché ci libera da tutto l’affanno di cercare motivi – sempre improbabili – per meritare il Suo amore. Chi anche una sola volta nella vita ha fatto esperienza della misericordia divina, sa quanto è bello esserne avvolti, lasciarsene inondare e trasformare, e come essa ci chieda di non metterci mai sul trono del giudice riguardo a gli altri, ma sempre e solo nell’atteggiamento di chi accoglie, comprende e ama. La misericordia genera misericordia: chi l’ha conosciuta, impara ad essere per l’altro porto e sorgente di misericordia e di perdono, a prescindere da ogni merito e da ogni reciprocità. E chi offre misericordia, amando senza attendersi alcun ritorno per sé, entra sempre più negli abissi trasfiguranti delle divina misericordia: è dando che si riceve; è morendo a se stessi, che si resuscita a vita eterna, immersi nell’infinita misericordia di Dio.
 
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
È puro di cuore chi non considera assoluto ciò che è relativo, chi sa riconoscere il penultimo e valutarlo nell’orizzonte dell’ultimo, che è solo Dio e la Sua gloria.
Impuro è il cuore attaccato alle cose che passano, che cerca di goderne illudendosi che esse possano dare la gioia e la felicità che non passano. In un mondo che assolutizza ciò che è relativo e giustifica ogni mezzo per possedere il bene fugace e fragile come se dovesse restare per sempre, la purezza di cuore non sembra essere di moda, né attuale né attraente.
Eppure, sembra dirci Gesù, è questo l’abbaglio capace di rovinare il cuore e la vita! Solo chi ha un cuore puro potrà vedere Dio, oggi riconoscendone i segni e la presenza nei frammenti del mondo che passa, domani contemplandone senza veli il volto nella bellezza del mondo che non avrà fine.
La purezza del cuore è allora la condizione per la realizzazione del desiderio più profondo del nostro essere creature chiamate ad amare, il desiderio di vedere Dio e di poterlo amare essendone infinitamente amati. Il puro di cuore vive alla presenza di Dio e Dio vive in lui, negli abissi della sua anima assetata di luce, di bellezza, di amore. Custodire il cuore, vigilare perché nessuna sporcizia ed egoismo appannino gli occhi dell’anima, vuol dire aprirsi alla gioia grandissima che solo la visione di Dio può darci. In tutto ciò che sei e fai, che scegli o che rifiuti, non dimenticare di cercare e realizzare la condizione decisiva della felicità, che nasce dal vedere accanto a Te e per Te la presenza dell’Amato e dal cogliere il senso e il valore di tutto nella Sua luce.
 
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
La pace non potrà mai venire dalla paura del più forte o dalla fiducia nella potenza delle armi: quanti sono stati nella storia i giganti dai piedi di argilla, per i quali è bastato un sassolino a far crollare la macchina impressionante del loro potere!
Opera per la pace non chi pone la sua fiducia nello spettro della guerra, ma chi segue sempre e fino in fondo la via del dialogo, della giustizia per tutti e del perdono.
Non si risolveranno i conflitti chiudendosi all’ascolto dell’altro, accecati dalle proprie ragioni: solo chi si sforzerà di capire le ragioni dell’altro potrà costruire la pace con lui.
Solo chi si impegnerà a rispettare la giustizia per tutti, aprirà la strada all’incontro e alla riconciliazione delle parti in gioco. Solo chi saprà chiedere e offrire perdono, sarà un costruttore di pace.
Chi vuole servire la pace dovrà imparare a riconoscere nell’altro il compagno in umanità, figlio dell’unico Padre Signore della terra e del cielo, il fratello per cui Cristo è morto.
Ecco perché gli operatori di pace saranno riconosciuti come figli dell’unico Padre, figli che generano altri figli per Dio costruendo ponti di pace nella comune obbedienza alla verità che libera e salva.
La gioia di chi edifica la pace è la felicità di chi si scopre amato dall’Altissimo e reso in questo medesimo e unico amore fratello universale, fratello di tutti al servizio del bene di ciascuno e dell’intera famiglia umana.
 
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Chi veramente ama è pronto a pagare il prezzo perché nessuno sia calpestato e offeso. Il Signore crocifisso ne è la prova luminosa e perfino conturbante: Gesù non ha mai fatto violenza a nessuno, preferendo piuttosto consegnarsi alla morte per amore di tutti, perfino dei suoi persecutori.
Chi vuol seguire il Maestro sa che non c’è altra strada per essere felici e rendere gli altri felici: preferire di essere perseguitati per la giustizia, piuttosto che fare del male a qualcuno o ricorrere a mezzi ingiusti per far trionfare la propria causa.
Chi crede in Gesù, crede nella potenza della debolezza.
Il discepolo del Dio crocifisso sa che nessuna giustizia potrà essere costruita sull’ingiustizia, nessuna riconciliazione sulla vendetta, nessuna pace sulla violenza e la sopraffazione.
A che servirebbe guadagnare il mondo intero, se poi si dovesse perdere la propria anima? Beato è chi soffre per causa della giustizia, accettando di amare anche chi lo perseguitasse. L’impotenza di Dio è più forte della potenza degli uomini!
La debolezza dell’amore, vissuto in unione all’offerta del Figlio abbandonato, è la sola vittoria che vincerà il mondo. Saperlo è già profondissima pace.
 
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.
Gesù si rivolge ora direttamente a noi, suoi discepoli.
Non ci pensa come trionfatori, ma come l’umile Chiesa della Croce che porta a tutti il Suo Vangelo e che per questo trova incomprensioni, offese, persecuzioni e calunnie.
Il Maestro sa che il Suo messaggio è scomodo, perché capovolge la logica del mondo: e le beatitudini ne sono prova evidente! Sovvertire la gerarchia dei valori e dei gusti, anteporre a tutto l’obbedienza a Dio e il dono di sé fino alla fine, non solo appare a molti follia, ma dà anche fastidio, perché smaschera le false verità del mondo e inchioda i potenti alle loro responsabilità, mentre esalta il diritto dei poveri e dei deboli e il loro primato nella gerarchia del cielo.
Seguire Gesù non è mai stato facile, come prova la vita dei santi. Eppure, è veramente bello: chi, come Lui, potrà darci la gioia di cui il nostro cuore inquieto ha tanto bisogno?
Chi ci darà l’amore di cui abbiamo fame e sete, o chi riconoscerà la dignità del nostro povero essere, se non Lui che ci ha amati e ha consegnato se stesso alla morte per noi? Cristo non è solo la verità che illumina e il bene che riscalda, ma è anche l’infinita bellezza che salva, fonte di gioia e di pace.
Perciò il Maestro ci dice: “Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”. E ci assicura che, seguendo Lui, entriamo nella grande schiera dei profeti e dei santi e partecipiamo sin da ora alla bellezza che un giorno ci sarà data senza misura nella città celeste.
L’uomo nuovo delle beatitudini, il discepolo amato, non sarà mai solo e proprio così vincerà il Maligno e le potenze della morte.
La sua gioia non avrà mai fine: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi”.
 
Il santo è chi ha compreso e vissuto tutto questo: è l’uomo o la donna delle beatitudini. Egli vive la gioia promessa da Gesù alle condizioni indicate da Gesù.
Perciò, chi vuol tendere alla santità – umanità piena e felice, in cui il progetto di Dio è portato a compimento – chiederà pregando con cuore umile e fiducioso che si realizzi sempre più in lui la verità delle beatitudini: “O Signore, fa’ di me uno strumento della Tua Pace. Dove c’è odio, ch’io porti l’amore, dove c’è offesa, ch’io porti il perdono, dove c’è discordia, ch’io porti l’unione, dove c’è dubbio, ch’io porti la fede, dove c’è errore, ch’io porti la verità, dove c’è disperazione, ch’io porti la speranza, dove c’è tristezza, ch’io porti la gioia, dove ci sono le tenebre, ch’io porti la luce. O Maestro, fa’ ch’io non cerchi tanto di essere consolato, quanto di consolare; di essere compreso, quanto di comprendere; di essere amato, quanto di amare. Poiché è dando che si riceve, è perdonando che si è perdonati, è morendo che si risuscita a vita eterna. Amen! Alleluja!”. ( Bruno Forte )

L’inizio del mondo non è opera del caos …ma deriva direttamente da un Principio supremo che crea per amore.

papa franDiscorso di Papa Francesco nella sessione plenaria della pontificia accademia delle scienze in occasione dell’inaugurazione di un busto in onore di papa Benedetto XVI.
“…. Alla conclusione della vostra Sessione plenaria, cari Accademici, sono felice di esprimere la mia profonda stima e il mio caloroso incoraggiamento a portare avanti il progresso scientifico e il miglioramento delle condizioni di vita della gente, specialmente dei più poveri.
State affrontando il tema altamente complesso dell’evoluzione del concetto di natura.
Non entrerò affatto, lo capite bene, nella complessità scientifica di questa importante e decisiva questione. Voglio solo sottolineare che Dio e Cristo camminano con noi e sono presenti anche nella natura, come ha affermato l’apostolo Paolo nel discorso all’Areopago: «In Dio infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28).
Quando leggiamo nella Genesi il racconto della Creazione rischiamo di immaginare che Dio sia stato un mago, con tanto di bacchetta magica in grado di fare tutte le cose. Ma non è così.
Egli ha creato gli esseri e li ha lasciati sviluppare secondo le leggi interne che Lui ha dato ad ognuno, perché si sviluppassero, perché arrivassero alla propria pienezza.
Egli ha dato l’autonomia agli esseri dell’universo al tempo stesso in cui ha assicurato loro la sua presenza continua, dando l’essere ad ogni realtà. E così la creazione è andata avanti per secoli e secoli, millenni e millenni finché è diventata quella che conosciamo oggi, proprio perché Dio non è un demiurgo o un mago, ma il Creatore che dà l’essere a tutti gli enti.
L’inizio del mondo non è opera del caos che deve a un altro la sua origine, ma deriva direttamente da un Principio supremo che crea per amore.
Il Big-Bang, che oggi si pone all’origine del mondo, non contraddice l’intervento creatore divino ma lo esige. L’evoluzione nella natura non contrasta con la nozione di Creazione, perché l’evoluzione presuppone la creazione degli esseri che si evolvono.
Per quanto riguarda l’uomo, invece, vi è un cambiamento e una novità.
Quando, al sesto giorno del racconto della Genesi, arriva la creazione dell’uomo, Dio dà all’essere umano un’altra autonomia, un’autonomia diversa da quella della natura, che è la libertà. E dice all’uomo di dare il nome a tutte le cose e di andare avanti nel corso della storia. Lo rende responsabile della creazione, anche perché domini il Creato, perché lo sviluppi e così fino alla fine dei tempi.
Quindi allo scienziato, e soprattutto allo scienziato cristiano, corrisponde l’atteggiamento di interrogarsi sull’avvenire dell’umanità e della terra, e, da essere libero e responsabile, di concorrere a prepararlo, a preservarlo, a eliminarne i rischi dell’ambiente sia naturale che umano. Ma, allo stesso tempo, lo scienziato dev’essere mosso dalla fiducia che la natura nasconda, nei suoi meccanismi evolutivi, delle potenzialità che spetta all’intelligenza e alla libertà scoprire e attuare per arrivare allo sviluppo che è nel disegno del Creatore.
Allora, per quanto limitata, l’azione dell’uomo partecipa della potenza di Dio ed è in grado di costruire un mondo adatto alla sua duplice vita corporea e spirituale; costruire un mondo umano per tutti gli esseri umani e non per un gruppo o una classe di privilegiati.
Questa speranza e fiducia in Dio, Autore della natura, e nella capacità dello spirito umano sono in grado di dare al ricercatore un’energia nuova e una serenità profonda. Ma è anche vero che l’azione dell’uomo, quando la sua libertà diventa autonomia – che non è libertà, ma autonomia – distrugge il creato e l’uomo prende il posto del Creatore. E questo è il grave peccato contro Dio Creatore.
Vi incoraggio a continuare i vostri lavori e a realizzare le felici iniziative teoriche e pratiche a favore degli esseri umani che vi fanno onore. Consegno ora con gioia il collare, che mons. Sánchez Sorondo darà ai nuovi membri. Grazie.
 

I concili nei secoli
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I° CONCILIO DI NICEA



I° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



I° CONCILIO DI EFESO



I° CONCILIO DI CALCEDONIA



II° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



III° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



II° CONCILIO DI NICEA



IV° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



LETTERA A DIOGNETO


I° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



IV° CONCILIO LATERANENSE



I° CONCILIO DI LIONE



II° CONCILIO DI LIONE



CONCILIO DI VIENNA



CONCILIO DI COSTANZA



CONCILIO DI BASILEA



V CONCILIO LATERANENSE


CONCILIO DI TRENTO



CONCILIO VATICANO I°

Incontri sulla Dei Verbum
Incontri sulla “ DEI VERBUM” Comunità Itria dal 26 Novembre 2018. Per accedervi click sull’icona che scorre di seguito .
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