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Pentecoste

pentecosteLì 24 maggio 2014

Alla diletta Comunità
Delle Chiesa che è in Cefalù

Carissimi, la pace e la gioia nello Spirito Santo ricolmi i vostri cuori.
Giungo a voi per annunciarvi che sabato, 7 giugno p.v. alle ore 18.30, la nostra amata Chiesa cefaludense è convocata per celebrare tutti insieme la Veglia di Pentecoste e fare memoriale del grande dono che Dio effonde su l’umanità intera.
Come gli anni passati, nel pomeriggio della vigilia di Pentecoste, nelle nostre parrocchie sospenderemo la celebrazione eucaristica vespertina, per convenire concordemente tutti nella nostra Cattedrale e invocare insieme l’effusione dello Spirito.
 
Ci recheremo ancora una volta nel Cenacolo della nostra Basilica Cattedrale, dove ci lasceremo guidare e ammaestrare dallo Spirito della verità, che parlerà ai nostri cuori e illuminerà le nostre menti. Ci metteremo con atteggiamento umile e docile alla scuola dello Spirito, per lasciarci da lui sempre piu educare e lasciarci infiammare di quella «passione educativa» the a la stessa passione di Cristo Gesu unico e solo maestro.
Pentecoste e gioiosa scelta di seguire Gesit Cristo maestro e pastore, e audace comunicazione delle verita della nostra fede, e slancio testimoniale di quella vita buona prodotta dall’ascolto della Parola, a coraggiosa collaborazione nella diffusion del regno di Dio; in una sola parola potremmo dire che è «passione educativa» di Cristo che diventa, nell’oggi del nostro tempo, passione missionaria della Chiesa.
Questa passione va sempre risvegliata, rinnovata, mantenuta viva con una decisa fiducia nello Spirito Santo, una fiducia generosa che deve alimentarsi nella costante invocazione del Paraclito, lo Spirito Santo che ci insegna ogni cosa, ci ricorda tutto ciò che il Signore ha detto (cf. Gv 14,26) e ci guida a quella completa liberante verità che, «rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso, manifestandogli la sua altissima vocazione» (GS 22). Solo cosi possiamo essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore (cf. Ef 3,16), se ci lasceremo portare dallo Spirito, se ci lasceremo da Lui illuminare, guidare, orientare e spingere dove Egli desidera (cf. papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 280).
Ecco il senso del nostro convenire tutti insieme nella nostra Basilica Cattedrale, il Cenacolo del nostro tempo e del nostro spazio, luogo in cui ancora una volta faremo l’esperienza confortante e avvincente dell’effusione dello Spirito, luogo in cui verrà ravvivata l’unzione che abbiamo ricevuto, che rimane in noi e che ci ammaestra e insegna ogni cosa (cf. 1Gv 2,27) per rimanere saldi nella fede, forti nella speranza e operosi nella carità. Il nostro convenire tutti insieme, nello stesso luogo — sicchè non vi saranno altre celebrazioni nelle parrocchie della Diocesi — denota l’appartenenza all’unica madre Chiesa, animata dall’unico Spirito, unica comunità generante e educante che invita e porta i suoi figli a seguire l’unico Maestro e Signore.
Venga in nostro soccorso la Vergine Maria, che nel Cenacolo sta con la mani alzate — cosi come contempliamo la sua icona nel catino absidale della nostra Cattedrale — per intercedere in nostro favore e impetrare dal Figlio grazie e carismi per la nostra amata Chiesa che e in Cefalù
Rinnovandovi caldamente l’invito a essere presenti, vi saluto affettuosamente e invoco su di voi la benedizione del Signore.
firma manz m

Canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II – I santi non sono “impeccabili”, sono anche loro dei peccatori nei quali però l’amore e la misericordia di Dio hanno vinto.

www.chiesadicefalu.itNell’occasione della canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II una riflessione di Enzo Bianchi pubblicata su ” Republicca” il 27/Marzo”
( Cliccando sulla foto accanto è possbile aprire il video della diretta TV )
Uomini e donne che sono stati riconosciuti fedeli al vangelo vengono canonizzati, proclamati santi dalla chiesa affinché siano di esempio per tutti: i cristiani hanno infatti la convinzione che tra di loro alcuni tentino di vivere con radicalità la fedeltà al vangelo e perciò meritano di essere autorevoli e affidabili. Quando questa conformità alla vita di Gesù si mostra evidente, allora coloro che ne sono stati testimoni attribuiscono la santità ai loro fratelli e sorelle.
Ma non si dimentichi che i santi non sono “impeccabili”, sono anche loro dei peccatori nei quali però l’amore e la misericordia di Dio hanno vinto. Costoro non si sono fatti santi bensì sono stati fatti santi da Dio, il solo Santo, perché hanno tutto predisposto affinché l’azione di Dio in loro non trovasse ostacoli.
Sappiamo inoltre che una cosa è la santità e altra cosa è il processo del suo riconoscimento in vista di una venerazione pubblica: molti santi non sono conosciuti a sufficienza per essere proclamati tali, altri non hanno avuto nessuno che avesse la forza di far avanzare questo riconoscimento, altri ancora sono stati canonizzati secoli dopo la loro morte, a volte sotto la spinta di politiche ecclesiastiche mutate.
Infine alcuni sono nel catalogo dei santi nonostante alcune loro azioni siano state in contraddizione profonda con lo spirito e il comandamento cristiano: i preti sapienti e liberi di un tempo dicevano che questi erano stati proclamati santi nonostante le loro infedeltà al vangelo perché lo erano diventati prima di morire, in un modo che solo Dio conosce… Così recentemente, sotto la pressione di realtà ecclesiali, alcuni testimoni hanno conosciuto corsie preferenziali verso il riconoscimento della santità, altri per prudenza ecclesiastica subiscono ritardi apparentemente inspiegabili.
Personalmente avrei desiderato per oggi la canonizzazione non solo di papa Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, ma anche quella di Paolo VI. Certo tre papi canonizzati insieme sarebbe stato insolito, ma non si comprende perché tra i papi del concilio proprio Montini sia escluso dalla canonizzazione, se non per ragioni di diffidenza verso il Vaticano II e la riforma liturgica a lui dovuta. Anche perché, se si dovesse discernere la santità in atti di governo pontificio, basterebbe verificare che questi non siano contraddittori rispetto al vangelo e al suo spirito, essendo in ogni caso i loro autori sempre uomini limitati e non esenti da errori, non necessariamente peccati.
Quali insegnamenti possiamo trarre da Giovanni XXIII e da Giovanni Paolo II? Di papa Roncalli occorre ricordare che il 23 febbraio 1965 il cardinal Lercaro avanzò la proposta della proclamazione della sua santità a concilio in corso, “non solo come santità esemplare, ma come santità programmatica di una nuova età della chiesa, individuata dal santo pastore, dottore e profeta”.
Questa proposta non fu accolta, ma comunque già alla sua morte papa Giovanni era stato percepito come un santo dai cattolici, come un cristiano autentico dagli altri cristiani, come un “giusto-buono” dai non credenti. Nel suo motto episcopale era riassunto il suo proposito: obbedienza e pace. Obbedienza al vangelo, nell’umiltà, nella povertà, nell’accettazione di quanto il Signore innanzitutto, la storia e gli uomini gli chiedevano di fare.
Aveva sempre accettato incarichi di lavoro a volte anche ingrati, aveva subìto umiliazioni, ma proprio per questo si sentiva libero e non ostacolato da interessi personali nell’agire da cristiano: così in Bulgaria ascoltava i poveri e sapeva amare con intelligenza gli ortodossi, a Istanbul seppe aiutare gli ebrei perseguitati… Proprio perché obbediente alla volontà del Signore che vuole che i suoi discepoli “siano una cosa sola” gettò le basi del dialogo con le altre chiese e proprio per la grande fede nel “Signore della chiesa” volle il concilio.
Accanto a questa obbedienza, e come sua conseguenza, si colloca il suo proposito di pace. Pace interiore, certo, ma anche pace tra i popoli e le nazioni, apertura a un atteggiamento mai ostile verso l’altro, rispetto della dignità di ciascuno, attenzione per i più deboli e per i poveri: tutti elementi ribaditi nella sua ultima enciclica, pubblicata come un testamento spirituale poche settimane prima della morte, la Pacem in terris. Un santo non perché autore di miracoli, non perché la sua vita fosse stata abitata dallo straordinario o da una mistica raffinata ma perché cristiano nei sentimenti, nelle azioni, nello stile: semplicemente, un cristiano sul trono di Pietro!
Dal canto suo Karol Wojtyla, già prima di diventare papa, si era manifestato come un confessore combattente della fede, un tenace difensore della presenza cristiana nella società, ma anche un uomo che aveva conosciuto l’orrore umano, il male di cui gli uomini possono macchiarsi, un cristiano capace di leggere anche le responsabilità dei cristiani nella storia.
Azioni che obbedivano al vangelo ma che sembravano nuove e inedite furono da lui vissute e indicate alla chiesa come urgenti: la riscoperta della presenza di Israele ancora popolo in alleanza con Dio, il dialogo con tutte le religioni chiamate ad Assisi a pregare per la pace, il riconoscimento degli errori commessi dai “figli della chiesa” nella storia attraverso l’uso della violenza e la persecuzione dell’altro, il riconoscimento dei martiri cristiani di tutte le chiese come testimoni nostri contemporanei. Tutte azioni che hanno fatto compiere alla chiesa un cammino che ora appare irreversibile, ma che sono soprattutto atti di obbedienza allo Spirito di Gesù Cristo.
In ogni caso, le due canonizzazioni di oggi rivelano anche papa Francesco: da un lato rispondono positivamente alla domanda di folle di uomini e donne che desiderano che questi due papi siano venerati, ma testimoniano anche la sua volontà di indicare alla chiesa che, anche in un’epoca giudicata di “crisi”, è ancora in grado di esprimere la santità e che questi ultimi successori di Pietro non hanno tradito la grande tradizione ma l’hanno servita rendendola viva, bella e soprattutto capace di essere ascoltata dall’uomo contemporaneo. Questi due papi erano molto diversi, ma la loro diversità è ricchezza, come quella raffigurata nell’icona di Pietro e Paolo, mostrati sempre in un abbraccio fraterno, anche se in vita avevano modi di sentire molto differenti.

Omelia di Papa Francesco alla Veglia di Pasqua

Veglia pasqua PFIl Vangelo della risurrezionPapa francescoe di Gesù Cristo incomincia con il cammino delle donne verso il sepolcro, all’alba del giorno dopo il sabato.
Esse vanno alla tomba, per onorare il corpo del Signore, ma la trovano aperta e vuota.
Un angelo potente dice loro:
«Voi non abbiate paura!» (Mt 28,5), e ordina di andare a portare la notizia ai discepoli: «È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea» (v. 7).
Le donne corrono, corrono via subito, e lungo la strada Gesù stesso si fa loro incontro e dice: «Non temete; e annunziate ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno» (v. 10). “Non abbiate paura! Non temete!”: è la voce che incoraggia ad aprire il cuore per ricevere questo annunzio.
E perché dopo la morte del Maestro, i discepoli si erano dispersi; la loro fede si era infranta, tutto sembrava finito, crollate le certezze, spente le speranze. Ma ora, quell’annuncio delle donne, benché incredibile, giungeva come un raggio di luce nel buio. La notizia si sparge: Gesù è risorto, come aveva predetto… E anche quel comando di andare in Galilea; per due volte le donne l’avevano sentito, prima dall’angelo, poi da Gesù stesso: «Che vadano in Galilea, là mi vedranno». “Non temete e andate in Galilea”.
La Galilea è il luogo della prima chiamata, dove tutto era iniziato! Tornare al posto della prima chiamata, tornare là, tornare al luogo della prima chiamata. Sulla riva del lago Gesù era passato, mentre i pescatori stavano sistemando le reti. Li aveva chiamati, e loro avevano lasciato tutto e lo avevano seguito (cfr Mt 4,18-22).
Ritornare in Galilea vuol dire rileggere tutto a partire dalla croce e dalla vittoria, senza paura: “Non temere!”. Rileggere tutto – la predicazione, i miracoli, la nuova comunità, gli entusiasmi e le defezioni, fino al tradimento – rileggere tutto a partire dalla fine, che è un nuovo inizio, da questo supremo atto di amore.
Anche per ognuno di noi c’è una “Galilea” all’origine del cammino con Gesù. “Andare in Galilea” significa qualcosa di bello, significa per noi riscoprire il nostro Battesimo come sorgente viva, attingere energia nuova alla radice della nostra fede e della nostra esperienza cristiana. Tornare in Galilea significa anzitutto tornare lì, a quel punto incandescente in cui la Grazia di Dio mi ha toccato all’inizio del cammino. E’ da quella scintilla che posso accendere il fuoco per l’oggi, per ogni giorno, e portare calore e luce ai miei fratelli e alle mie sorelle. Da quella scintilla si accende una gioia umile, una gioia che non offende il dolore e la disperazione, una gioia buona, una gioia e mite.
Nella vita del cristiano, dopo il Battesimo, c’è anche un’altra “Galilea”, una “Galilea” più esistenziale: è l’esperienza dell’incontro personale con Gesù Cristo, che mi ha chiamato a seguirlo e a partecipare alla sua missione. In questo senso, tornare in Galilea significa custodire nel cuore la memoria viva di questa chiamata, quando Gesù è passato sulla mia strada, mi ha guardato con misericordia, mi ha chiesto di seguirlo; andare in Galilea significa recuperare la memoria di quel momento in cui i suoi occhi si sono incrociati con i miei, il momento in cui mi ha fatto sentire che mi amava.
Oggi, in questa notte, ognuno di noi può domandarsi: qual è la mia Galilea? E fare memoria, andare indietro col ricordo. La ricordo? L’ho dimenticata?Cercala e la troverai: lì ti aspetta il Signore! Sono andato per strade e sentieri che mi hanno fatto dimenticarla? Signore, aiutami: dimmi qual è la mia Galilea; sai, io voglio ritornare là per incontrarti e lasciarmi abbracciare dalla tua misericordia. “Non avere paura! Non temere! Tornate in Galilea!”.
Il Vangelo è chiaro: bisogna ritornare là, per vedere Gesù risorto, e diventare testimoni della sua risurrezione. Non è un ritorno indietro, non è una nostalgia. E’ ritornare al primo amore, per ricevere il fuoco che Gesù ha acceso nel mondo, portarlo a tutti, sino ai confini della terra. Tornare in Galilea, senza paura.
«Galilea delle genti» (Mt 4,15; Is 8,23): orizzonte del Risorto, orizzonte della Chiesa; desiderio intenso di incontro… Mettiamoci in cammino.

Sabato santo – Quando Dio sembra assente.

assenteSabato santo, giorno dopo la morte, tempo in cui davanti ai discepoli c’era solo la fine della speranza, un’aporia, un vuoto su cui incombeva il non senso, l’insopportabile dolore di una ferita mortale: dov’è Dio?
Questa la muta domanda del sabato santo. Un giorno intero passa e non c’è intervento di Dio…
Eppure Dio non ha abbandonato Gesù: se l’abbandono appare l’amara verità per i discepoli, Dio in realtà ha già chiamato a sé Gesù, anzi, lo ha già risuscitato nel suo Spirito santo e Gesù vivente è agli inferi ad annunciare anche là la liberazione.
Giorno vuoto il sabato santo, silenzioso per i discepoli e per gli uomini, ma giorno in cui il Padre attraverso il Figlio porta negli inferi la salvezza: “Oggi – recita un’omelia attribuita a Epifanio – sulla terra c’è un silenzio grande: Il Signore è morto nella carne ed è disceso a scuotere il regno degli inferi. Va a cercare Adamo, il primo padre, come la pecorella smarrita. Il Signore scende e visita quelli che giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte”.
La discesa agli inferi diventa allora estensione della salvezza a tutto il cosmo e all’essere umano nella sua interezza. Che ne è degli inferi dopo questa “visita” del Cristo glorioso? Cirillo di Alessandria afferma che questa predicazione di Cristo agli inferi ha significato la spoliazione dell’inferno: “Subito Cristo, spogliando l’intero inferno e spalancandone le impenetrabili porte agli spiriti dei morti, vi lasciò il diavolo solo!”. “Dov’è, o inferno, la tua vittoria?”, canta dunque la liturgia pasquale.
Il cristiano oggi non dovrebbe dimenticare questo mistero del grande e santo sabato, vero preludio alla Pasqua ma anche lettura della discesa di Cristo nel cuore della terra e della creazione, nel profondo di ogni esistenza lontana da Dio, nelle regioni infernali che abitano anche ogni cristiano, nonostante il suo desiderio di sequela di Gesù.
Chi non riconosce in sé la presenza di questi inferi? Regioni non evangelizzate della nostra esistenza, territori di incredulità, luoghi dove Dio pare assente e nei quali ognuno di noi nulla può se non invocare la discesa di Cristo perché li evangelizzi, li illumini, li trasformi da spazi di morte assoggettati alla potenza del demonio in terreno fertile capace di germinare vita in forza della grazia. Così il sabato santo non è un giorno vuoto ma è come il tempo della gravidanza, è una crescita del tempo verso il parto, trionfo della vita nuova: il suo silenzio non è mutismo ma raccoglimento carico di energie e di vita.
Il sabato santo è stata ed è l’esperienza di molti credenti in Gesù e di tanti uomini e donne la cui fede solo Dio conosce e giudica. Sabato santo: Dio sembra assente, il male prevalere, il dolore senza senso… Chi ha saputo narrarlo nei nostri giorni post-moderni è stato il grande pittore William Congdon con i suoi spazi di oscurità dai quali emerge la luce della croce e l’oro del Crocifisso/Risorto. Sabato santo: tempo di enigma e di opacità che non riesce a intravedere lo sbocco nel mistero pasquale; tempo di tenebre anche per il credente, ora di buio in cui la fede vacilla, la speranza si fa incerta, la carità si raffredda; giorno di insensibilità, in cui ogni fiducia sembra inaccessibile, ogni abisso troppo grande per essere colmato…
Sabato santo: a volte grido muto ma disperato per l’uomo gravato dal male, dalla sofferenza, dalla morte nelle loro varie forme, per l’essere umano fragile, che non riesce nemmeno più a protestare e ribellarsi a voce alta e con grida angosciate. Ma sabato santo anche come tempo in cui il sangue dei martiri e delle vittime cade come seme a terra per fecondarla in vista di un frutto abbondante, tempo in cui il disfacimento del nostro essere esteriore fa spazio alla crescita del nostro uomo interiore… Ognuno allora potrà dire del suo sabato santo: “Dio veramente era qui accanto a me, ma io non lo sapevo!” (Gen 28,16). Davvero non c’è aurora di Pasqua senza sabato santo.
(Avvenire, 19 aprile 2014 ENZO BIANCHI)

I concili nei secoli
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I° CONCILIO DI NICEA



I° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



I° CONCILIO DI EFESO



I° CONCILIO DI CALCEDONIA



II° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



III° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



II° CONCILIO DI NICEA



IV° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



LETTERA A DIOGNETO


I° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



IV° CONCILIO LATERANENSE



I° CONCILIO DI LIONE



II° CONCILIO DI LIONE



CONCILIO DI VIENNA



CONCILIO DI COSTANZA



CONCILIO DI BASILEA



V CONCILIO LATERANENSE


CONCILIO DI TRENTO



CONCILIO VATICANO I°

Incontri sulla Dei Verbum
Incontri sulla “ DEI VERBUM” Comunità Itria dal 26 Novembre 2018. Per accedervi click sull’icona che scorre di seguito .
Introduzione alla lectio divina
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