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I Domenica di Quaresima: Gesù e le seduzioni di Satana .

desLa prima domenica di quaresima si apre con il vangelo di Matteo che presenta le tentazioni del Cristo.
… Quello che adesso leggeremo non è un episodio dell’esistenza di Gesù, ma l’evangelista vuol farci comprendere che in tutta la vita Gesù fu sottoposto a queste tentazioni, o a queste seduzioni.
“Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo”.
Con il termine “allora”, l’evangelista allaccia questo episodio a quello che lo precede, il battesimo di Gesù, quando Gesù ha ricevuto lo Spirito del Padre, il Padre lo riconosce come suo figlio perché Gesù manifesta il suo desiderio, il suo impegno di renderlo presente come amore per l’umanità. Conseguenza di questo impegno di Gesù, lo Spirito conduce Gesù nel deserto.
 Il termine “deserto” richiama almeno tre cose:

  1.     l’esodo, la liberazione del popolo dalla schiavitù egiziana
  2.     Durante questo esodo ci fu un periodo di tentazioni e prove alle quali Dio sottopose il suo popolo.
  3.     il deserto era anche il luogo dove si radunavano tutti quelli che volevano conquistare il potere, con delle sommosse, con delle rivolte.

 “Per essere tentato dal diavolo”. …   Il termine “tentazione” ha una connotazione negativa; in realtà il diavolo – come vedremo – non tenta Gesù affinché compia qualcosa di negativo o azioni peccaminose. Nulla di tutto questo.  Il diavolo non si presenta come un nemico, come un rivale di Gesù, ma come un suo alleato che lo vuole aiutare nella realizzazione del suo programma. Pertanto, più che di tentazioni, dovremmo parlare di seduzioni del diavolo.
 “Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei il figlio di Dio»”.
 Il tentatore non mette in dubbio la figliolanza divina di Gesù, che nel battesimo è stata confermata dalla voce del Padre che ha detto: “Tu sei mio figlio”, questa espressione del tentatore “Se tu sei il figlio di Dio”, quindi non è un dubbio, ma significa “giacché sei figlio di Dio” usa le tue capacità a tuo vantaggio.
Infatti, «Dì che queste pietre diventino pane»”.   La prima tentazione è usare le proprie capacità per il proprio vantaggio.  Ma Gesù non userà le proprie capacità a proprio vantaggio, ma per il vantaggio degli altri. Sarà Gesù che si farà lui pane per gli altri. ..
 Allora il diavolo lo portò nella città santa”, cioè Gerusalemme, “lo pose sul punto più alto del tempio”.
Perché questo particolare? Perché in un apocrifo, il IV Libro di Ezra, si pensava che il messia, che nessuno conosceva, si sarebbe manifestato improvvisamente apparendo nel punto più alto del tempio, nel pinnacolo. Quindi è l’aspettativa del popolo.
 Allora il diavolo, che si mostra come aiutante di Gesù, dice “Fai quello che il popolo s’attende, fai quello che il popolo desidera, anzi dagli un tocco di più”.
E gli dice per la seconda volta: «Se tu sei figlio di Dio»”, cioè “giacché sei figlio di Dio”, “«Gettati giù»”, cioè mostrati come la gente aspetta nel punto più alto del tempio, ma dai un tocco di forza straordinario che faccia comprendere che tu sei veramente il figlio di Dio. “Gettati giù”, e poi il diavolo cita il salmo.
 … Questa tentazione la ritroveremo poi in bocca ai sommi sacerdoti, agli scribi e agli anziani, al momento della crocifissione di Gesù “Se sei il figlio di Dio”, giacché sei il figlio di Dio, “scendi dalla croce”, cioè manifesta un Dio di potere.  
 La terza tentazione è diversa dalle altre, che  sono stati precedute dall’affermazione “Giacché sei il figlio di Dio”, se sei il figlio di Dio, … per questa il diavolo non mette in ballo il fatto della figliolanza divina perché è una tentazione che è adatta ad ogni uomo.
Allora Questa volta il diavolo lo portò sopra un monte altissimo”.
Perché il monte altissimo?
Nell’antichità il monte era il luogo della residenza degli dei e indicava la condizione divina. Quindi il diavolo offre a Gesù di possedere la condizione divina.  Va ricordato che, a quell’epoca, tutti quelli che detenevano un potere, avevano la condizione divina. [ Il faraone era un Dio, l’imperatore era figlio di Dio.]
Quindi tutti coloro che detenevano il potere avevano la condizione divina e il diavolo offre a Gesù la condizione divina. Come?
Gli mostrò tutti i regni e la loro gloria”, cioè la loro ricchezza, “e gli disse: «Tutte queste cose ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai»”. Cioè il diavolo propone a Gesù la condizione divina adorando il potere per dominare il mondo.  ( A Maggi )

 ***

Quando Gesù ha dinanzi a sé, nella visione del Vangelo, tutti i regni e la loro gloria, e si rifiuta di adorare Satana, Satana scopre le carte.
Prima Satana fa da rabbino, cita la Bibbia, si veste di panni religiosi che sono i panni prediletti del diavolo. Ma qui si scopre. Egli chiede di essere adorato.
Questa adorazione del principe del potere: ecco il peccato umano. Perché quando diciamo «potere» non alludiamo solo a quella sua espressione eminente che è il potere politico, ma al potere in tutti i gradi e in tutte le forme, che è la pretesa dell’uomo di ridurre l’altra persona a strumento di sé per la propria affermazione.
 Non sarebbe giusto se ora pensassimo solo ai grandi e ai potenti che fan la storia, perché lo stesso modulo si ripete perfino dentro l’ambito di una famiglia, perfino nei rapporti tra due amici, perfino nel rapporto con me stesso, nel momento in cui io delibero la distinzione tra il bene e il male, secondo un impulso soggettivo che è appunto già il progetto di affermare me stesso, creandomi perfino lo spazio della liceità, stabilendo che quel che voglio fare è bene. In quel momento io rompo la mia sudditanza di fede alla Parola del Signore e mi costituisco come Dio in questo mondo.
 Ecco il peccato.
Ora, la vita di Gesù di Nazareth – e questo è il suo mistero – si è svolta precisamente in antitesi alle scelte che invece per noi sono fatto quotidiano.  Ecco la sua diversità.
Ma ecco anche la ragione per cui il peccato ha compiuto la sua più alta epopea: quella di mettere Gesù Cristo nella schiera dei peccatori.
Lo abbiamo messo accanto ai potenti; abbiamo parlato di prìncipi cristiani, di re cattolici, abbiamo messo la sua croce sulle corone. Abbiamo eliminato l’alternativa. Ecco il peccato che si compie dentro il Tempio.
Questa diversità del Cristo, ora riconosciuta, ci fa anche capire che significa convertirsi: non già diventare da uomini qualcos’altro, ma diventare uomini diversi, volere una umanità costruita secondo questa diversità, e giudicare l’umanità esistente secondo queste misure che sono misure evangeliche, le quali, poi, non possono che richiedere un abbattimento delle meccaniche del potere, e l’esaltazione di coloro che sono, sotto il potere, schiacciati e oppressi.
La battaglia cristiana, se posso usare questa parola, non è da compiersi all’interno delle logiche che governano la politica e la cultura, le quali sono rispettabili nel loro ambito relativo, ma tutte sottoposte a questo giudizio.
Questa scelta invece non è giudicabile da nessuna cultura, perché essa sta alla radice, sta prima della storia, per così dire. Gli scrittori sacri amavano raccontarla mettendo questo conflitto alle origini del mondo per dire che sta alle radici.
E noi ci convertiamo nella misura in cui riusciamo a liberarci dalla schiavitù molteplice di Satana e ad affermare la nostra obbedienza a questa diversità che Gesù Cristo ha espresso con la sua vita, con la sua morte e con la sua Parola. (Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – vol. 1 – Anno A)

***

… il deserto è il luogo privilegiato dell’incontro:  nel deserto Gesù è tentato; nel deserto lo sposo va a recuperare la sua sposa  che si era persa  … la ripulisce …e la fa risplendere …   Nel deserto ci si può perdere e morire  … ma ci si può fortificare  solo se si accoglie l’amato, abbandonandosi completamente a Lui   …  alla sua volontà  … al suo progetto, che a differenza del nostro, è un progetto d’amore …..  E lui nel deserto non ci lascia soli  .. perché anche Lui ha sperimentato l’abbandono più totale dagli uomini e  e dal Padre morendo per tiraci fuoridalla schiavitù del peccato … Sì Lui è morto per recuperare in noi il divino che avevamo perso.   

 
 

9 Marzo: preghiamo per l'Ucraina.

ucraina mLa Quaresima è tempo di preghiera, di una preghiera più intensa, più prolungata, più assidua, più capace di farsi carico delle necessità dei fratelli”, ha ricordato il Santo Padre nella celebrazione delle ceneri che mercoledì ha aperto la Quaresima; è tempo di una “preghiera di intercessione, per intercedere davanti a Dio per tante situazioni di povertà e di sofferenza”.
In questo spirito  la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana chiede che in tutte le chiese domenica 9 marzo ci sia un’intenzione di preghiera per la pace in Ucraina. A fronte di una situazione fattasi estremamente delicata, i Vescovi italiani fanno proprio inoltre l’auspicio espresso all’Angelus domenica scorsa dallo stesso Papa Francesco, affinché le diverse componenti di quel Paese sappiano adoperarsi per il superamento delle incomprensioni e per costruire insieme il futuro della Nazione. Nel contempo, chiedono alla comunità internazionale di sostenere ogni iniziativa che sia in favore del dialogo e della concordia.
La preghiera a cui invita la CEI vuol essere anche un segno tangibile di vicinanza alla numerosa comunità di ucraini residenti in Italia, comprensibilmente preoccupata per la sorte di familiari che vivono in Ucraina.
Intanto si è costituito anche un gruppo di lavoro che vede coinvolte diverse Caritas nazionali europee, inclusa Caritas Italiana, che da anni sono impegnate sul territorio con programmi di sostegno alla popolazione ucraina.
 
Roma, 7 marzo 2014
 
 
La preghiera per la pace in Ucraina potrà trovare opportuno contesto nella celebrazione dell’Eucaristia della I Domenica di Quaresima con un richiamo nella monizione iniziale e con una intenzione nella Preghiera universale.
 
Monizione iniziale
Il tempo di Quaresima, a cui abbiamo dato inizio con il Mercoledì delle Ceneri, è segnato oggi dalla prima Domenica, che ci porta a celebrare il dramma del peccato in Adamo e il dono della grazia in Cristo.
Non possiamo vivere questa celebrazione senza presentare a Dio, insieme alle nostre preoccupazioni, la situazione drammatica stanno vivendo le popolazioni dell’Ucraina.
Partecipi e solidali, chiediamo per noi e per tutti la misericordia del Signore.
 
Preghiera dei fedeli
La Parola di Dio che abbiamo ascoltato
ispiri le nostre invocazioni,
perché siano espressione di una fiducia e di un amore
che superano i confini, e accendano in noi la speranza
di una convivenza concorde tra i popoli.
Preghiamo  insieme [cantando]: Kyrie, eleison, [o: Ascoltaci, Signore].
 
–         Il Signore Gesù è uscito vincitore dalle tentazioni più radicali e insidiose: perché i responsabili delle nazioni sappiano liberarsi dalla prepotenza, dall’orgoglio e dall’avidità di potere, per il bene del loro popolo, supplichiamo il Signore. R.
Oppure:
–         Il Signore Gesù, con la sua obbedienza al Padre, ha offerto a tutti la grazia di diventare uomini nuovi: perché una pace autentica restituisca al popolo ucraino la gioia di un rinnovato vivere fraterno, supplichiamo il Signore. R.
 

Quaresima. – Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.

ProdigoRiflessioni di Enzo Bianchi : Avvenire, 23 febbraio 2014
( Nella riflessione molti i riferimenti al Messaggio di Papa Francesco per la quaresima 2014, scaricabile alla fine della riflessione)
Si avvicina il tempo della quaresima, tempo dei quaranta giorni precedenti la Pasqua, tempo da viversi come penitenziale, impegnati nel rinnovamento della conversione, tempo che la chiesa vive e celebra dalla metà del IV secolo d.C.
La quaresima – che la chiesa con audacia chiama “sacramento” (“annua quadragesimalis exercitia sacramenti”: colletta della I domenica di Quaresima), cioè realtà che si vive per partecipare al mistero – è un tempo “forte”, contrassegnato da un intenso impegno spirituale, per radunare tutte le nostre energie in vista di un mutamento del nostro pensare, parlare e operare, di un ritorno al Signore dal quale ci allontaniamo, cedendo costantemente al male che ci seduce. La prima funzione della quaresima è il risveglio della nostra coscienza: ciascuno di noi è un peccatore, cade ogni giorno in peccato e perciò deve confessarsi creatura fragile, sovente incapace di rispondere al Signore vivendo secondo la sua volontà.
Il cristiano non può sentirsi giusto, non può ritenersi sano, altrimenti si impedisce l’incontro e la comunione con Gesù Cristo il Signore, venuto per i peccatori e per i malati, non per quanti si reputano non bisognosi di lui (cf. Mc 2,17 e par.). Con l’Apostolo il cristiano dovrebbe dire: “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io” (1Tm 1,15). Ecco, riconoscere il proprio peccato è il primo passo per vivere la quaresima, e i padri del deserto a ragione ammonivano: “Chi riconosce il proprio peccato è più grande di chi fa miracoli e risuscita un morto”.
Il cammino quaresimale si incomincia con questa consapevolezza, e perciò la chiesa prevede il rito dell’imposizione delle ceneri sul capo, con le parole che ne esprimono il significato: “Sei un uomo che, tratto dalla terra, ritorna alla terra, dunque convertiti e credi alla buona notizia del Vangelo di Cristo!”. Così si vive un gesto materiale, una parola assolutamente decisiva per la nostra identità e la nostra chiamata.
Di conseguenza, nei quaranta giorni quaresimali si dovrà intensificare l’ascolto della parola di Dio contenuta nelle sante Scritture e la preghiera; si dovrà imparare a digiunare per affermare che “l’uomo non vive di solo pane” (Dt 8,3; Mt 4,4; Lc 4,4); ci si dovrà esercitare alla prossimità all’altro, a guardare all’altro, a discernere il suo bisogno, a provare sentimenti di com-passione verso di lui e ad aiutarlo con quello che si è, con la propria presenza innanzitutto, e con quello che si ha.
 Lo stile di Dio
 Per la quaresima di quest’anno papa Francesco ha inviato, com’è consuetudine, un messaggio ai cattolici, ispirandosi significativamente a un testo, anzi a un solo versetto densissimo di cristologia della Seconda lettera di Paolo ai Corinzi: “Conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9).
Anche Benedetto XVI nel messaggio quaresimale del 2008 si era lasciato ispirare dallo stesso versetto, che è davvero un’affermazione decisiva perché condensa in sé l’incarnazione del Figlio di Dio, mettendone nel contempo in risalto lo stile. Sì, la fede della chiesa di Corinto, fondata dall’Apostolo da pochissimi anni, confessa che Dio si è fatto uomo in Gesù, confessa che Gesù il Cristo, che era Figlio di Dio, che era Dio, al quale tutto apparteneva – potenza, eternità, ricchezza, gloria –, si è spogliato di tutte queste prerogative e si è dunque fatto uomo tra di noi, uomo fragile, mortale, per essere in mezzo a noi, uno di noi, un figlio di Adamo come noi.
Ecco lo stile del nostro Dio, non di un qualsiasi Dio. Io amo dire che il nostro Dio è un “Dio al contrario” perché si rivela nella debolezza, nella povertà, nell’insuccesso secondo il mondo, nel servire noi anziché chiedere il nostro servizio. Questo è scandaloso, perché noi abbiamo l’immagine – che gli uomini sempre fabbricano e rinnovano – di un Dio potente, che regna, che si impone. Se il nostro Dio è un “Dio al contrario” rispetto alle nostre attese mondane, anche suo Figlio, l’Inviato nel mondo, il Messia, è un “Messia al contrario”.
Non è venuto nello splendore, nella gloria, nella straordinarietà di teofanie che abbagliano, ma nella povertà, nascendo non a caso in una stalla, come uno che non ha trovato un luogo in cui venire al mondo neppure in un caravanserraglio (cf. Lc 2,7).
Questo, lo sappiamo, è “lo scandalo della croce” (Gal 5,11), è ciò che lo stesso Paolo confessa nella Lettera ai Filippesi, in quell’inno che contiene il medesimo movimento: dal cielo alla terra, dalla condizione di Dio a quella mortale, da Signore a schiavo, da Onnipotente a crocifisso in una morte ignominiosa, “obbediente fino alla morte, e alla morte di croce” (cf. Fil 2,6-8). Citando il concilio, papa Francesco ricorda: “Dio in Gesù ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” (Gaudium et spes 22).
È in questa povertà che Gesù, il Figlio di Dio, ha voluto stare con noi, essere l’Emanuele, il Dio-con-noi (cf. Is 7,14; Mt 1,23). Questa sua povertà, che era kénosis, svuotamento, abbassamento, ha permesso a Gesù la prossimità a noi, il condividere la nostra condizione, e dunque gli ha permesso di amare nell’empatia e nella simpatia per noi. E così ci ha insegnato la via della fiducia, del servizio, dell’“amore fino alla fine” (cf. Gv 13,1), della compassione e del perdono. Quella povertà che il Messia ha assunto è diventata per noi una via di ricchezza, certo non mondana, ma una ricchezza di comunione con Dio stesso e con tutti gli uomini.
In questo messaggio, dunque, papa Francesco non fa soltanto un’esortazione morale ai cristiani, ma ricorda innanzitutto la fonte di ogni azione cristiana: la fede. Dalla fede, infatti, scaturisce l’autentica carità; è conoscendo veramente Gesù Cristo che noi possediamo la vita per sempre (cf. Gv 17,3); è conformandoci a lui nella nostra vita, è vivendo come lui ha vissuto e con il suo stile che possiamo seguirlo e partecipare al suo Regno. Questo riguarda ciascuno di noi e riguarda la chiesa tutta. Sempre nel concilio Vaticano II si legge un passo purtroppo poco ricordato, ma profondamente ispirato alla lettura dell’incarnazione fatta da Paolo: “Come Cristo ha realizzato la sua opera di redenzione nella povertà e nelle persecuzioni, così pure la chiesa è chiamata a percorrere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza, … e benché per eseguire la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, la chiesa non è fatta per cercare la gloria sulla terra” (Lumen gentium 8).
 Lo stile del cristiano
 Dopo la confessione della fede, ossia il fondamento teologico, papa Francesco richiama brevemente la necessaria testimonianza dei cristiani. Come Dio ha voluto salvare gli uomini con la povertà, così la chiesa e ogni cristiano devono percorrere la stessa via, perché la “ricchezza di Dio” può essere accolta e operare là dove c’è la povertà umana.
E dove c’è la povertà umana – lo constatiamo ogni giorno a partire dalla conoscenza di noi stessi – là c’è anche la miseria. La povertà è la nostra condizione umana fragile e la miseria si insinua in essa minacciando fortemente l’humanitas, il nostro cammino di umanizzazione. La povertà è la condizione in cui è possibile conoscere la beatitudine (“Beati voi poveri”: Lc 5,20); la miseria è il degrado della povertà, è l’alienazione, l’oppressione e la schiavitù che in essa si può insinuare, contraddicendo la dignità e la vocazione dell’uomo.
Il nostro Dio, rivelatosi ai figli di Israele con la loro liberazione dalla schiavitù d’Egitto, è un Dio che “ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza …, guardò la loro condizione e se ne diede pensiero” (Es 2,24-25). Così si è rivelato Dio e così noi dobbiamo fare. Innanzitutto “ascoltare” l’altro, gli altri: ascoltarli nel loro essere uomini e donne, fratelli e sorelle in umanità. È decisivo l’ascolto dell’altro, prima di ogni nostra scelta o comprensione di lui: là dove c’è un uomo, una donna, io devo mettermi in ascolto.
Dopo l’ascolto dell’altro il cristiano “ricorda” che anche lui è stato ascoltato da Dio, anzi che Dio lo ha preceduto in ogni sua ricerca di comunione, e dunque deve riconoscere la paternità di Dio che fonda nella fede la fraternità e la sororità. Ecco allora il “guardare”, che non significa solo vedere, ma avvicinarsi e guardare l’altro negli occhi, volto contro volto, negando ogni lontananza. Soprattutto oggi, immersi come siamo nella comunicazione in tempo reale, ma senza incontrare nella realtà l’altro, dobbiamo vigilare che la prossimità sia sempre esercitata come un passo che decidiamo per rendere l’altro prossimo (cf. Lc 10,36). E infine, quando sappiamo guardare l’altro e discernere il suo bisogno, la sua sofferenza sempre diversa, quando riconosciamo la sua singolarità nel patire, allora “ci diamo pensiero”, ci prendiamo cura di lui, come fa il nostro Dio!
Così facendo, scopriremo la miseria materiale, il bisogno di cibo, vestito e casa, presente nell’altro; scopriremo la miseria morale, l’alienazione al vizio, la degradazione delle persone in cammini di schiavitù, che spingono uomini e donne sulla via della morte, vittime della storia e dell’egoismo umano; scopriremo anche la miseria spirituale di chi è alienato agli idoli, non conosce una vita interiore, non dà senso alla propria vita. Il papa ci invita dunque alla diakonía, parola del Nuovo Testamento che indica il servizio agli altri. Se il Figlio di Dio si è fatto povero per stare in mezzo a noi, per essere come noi, si è fatto anche “servo” per servirci, per piegarsi davanti a noi, per lavarci i piedi (cf. Gv 13,1-15): “io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27), ha detto Gesù.
Questo il denso messaggio delle parole di papa Francesco, che così conclude, citando ancora una volta Paolo: “Sì, noi siamo come afflitti, ma sempre lieti; come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non possiede nulla e invece possediamo tutto” (2Cor 6,10). Se davvero tutti i cristiani cattolici, sulla traccia fornita da papa Francesco, tentassero con risolutezza di vivere questa quaresima, allora la riforma della chiesa che tanti aspettano e chiedono a Francesco potrebbe muovere i primi passi. Ma si smetta di chiedere al papa di operare lui ciò che riguarda tutti noi e che dovrebbe farci mutare qualcosa della nostra vita cristiana: dovrebbe farci operare la conversione, nulla di più, nulla di meno.
Messaggio di Papa Francesco per la quaresima 2014

Quando il Papa ritornò "solo" un uomo.

papi( Da  ” la Stampa” 11 febbraio 2014 di ENZO BIANCHI )
Un anno fa «un fulmine a ciel sereno», come disse il cardinal Sodano, raggiunse la chiesa cattolica, impreparata a vivere una situazione inedita da molti secoli: un vescovo emerito di Roma vivente sotto un nuovo pontificato.
Cosa aveva condotto Benedetto XVI a compiere il gesto delle dimissioni?
La situazione di conflittualità, di scandali nella curia romana stimolava ancor di più le domande che assumevano anche contorni inquieti.
In verità Benedetto XVI nella sua breve dichiarazione di rinuncia aveva affermato l’essenziale: in ragione dell’età avanzata, essendo venute meno le forze necessarie, non si sentiva più adeguato all’esercizio del suo ministero e perciò, in obbedienza alla sua coscienza esercitata nell’ascolto della parola di Dio e nella preghiera, si ritirava nel nascondimento per essere intercessore per la chiesa.
Una novità, questa icona di preghiera nella chiesa assunta da un successore di Pietro, una novità eloquente per tutti i cattolici che hanno amato e ascoltato questo papa come per quelli che hanno accolto magari con fatica il suo magistero. Nella messa che il cardinale Ratzinger, allora arcivescovo di Monaco, aveva celebrato in occasione della morte di papa Paolo VI nel lontano 1978 così aveva affermato: «Possiamo immaginare come poteva essere pesante il pensiero di non poter appartenere a se stesso… essere incatenato fino alla fine, con il suo corpo che l’abbandonava, a un compito che esige, giorno dopo giorno, l’impegno vivo e pieno di tutte le forze umane». Ratzinger dunque era abitato da un pensiero chiaro, maturato da tempo sulla doverosa rinuncia da compiere al venir meno delle forze: come aveva detto a se stesso, così ha fatto.
Ma c’era in lui anche un’altra ragione che lo ha condotto alla rinuncia: la sua convinzione teologica – piuttosto rara per un pontefice – che, pur diventato papa, restasse una distinzione profonda tra il suo ministero e la sua dimensione di semplice uomo e cristiano. Non a caso, quando ha pubblicato la sua trilogia su Gesù di Nazareth, ha voluto firmare i libri come semplice autore teologo, senza munirli del magistero papale. Possiamo dire che Benedetto XVI non ha mai dimenticato ciò che Bernardo di Chiaravalle scriveva a papa Eugenio III: «Ricordati che sei un uomo, nato da una donna…». Così anche nella rinuncia Ratzinger ha saputo mostrare la sua umiltà, il suo volere innanzitutto il bene della chiesa, il confessare la propria debolezza e fragilità, l’accettare di veder ridotte tutte le competenze a un solo mandato: l’intercessione. D’altronde questo esito di una vita nel ministero pastorale è conosciuto ormai da decenni da tanti vescovi che, raggiunti i settantacinque anni, lasciano l’esercizio della presidenza episcopale nella chiesa locale e si ritirano – «fanno anacoresi», nel linguaggio biblico – e continuano a essere intercessori.
Benedetto XVI ha avuto un pontificato relativamente breve, solo otto anni, ma è stato altamente significativo per tutte le chiese in virtù della qualità teologica del suo magistero in cui la parola di Dio, Gesù Cristo era il solo centro. Ho conosciuto il teologo Ratzinger in convegni internazionali, l’ho incontrato più volte in occasione della stesura di un volume sull’esegesi da lui voluto  e per il quale fu chiesto che un contributo mio e uno dell’esegeta De la Potterie si affiancassero a quello di Ratzinger. Ho poi avuto il dono, poco dopo la sua elezione a papa, di una lunga e per me memorabile udienza  i cui temi di riflessione sono stati l’ecumenismo, la vita monastica e la liturgia. Gli sono grato per avermi nominato esperto ai due sinodi dei vescovi sulla parola di Dio  e sulla nuova evangelizzazione.
Anche quando alcuni suoi atti chiedevano alla chiesa obbedienza e io faticavo a comprenderne le ragioni, temendone una ricezione distorta, non per questo la mia obbedienza è venuta meno. Sono sempre più convinto che Benedetto XVI purtroppo sia stato letto nell’ottica di molti che, pur dicendosi a lui fedeli, in realtà ne deformavano l’immagine finendo per strumentalizzarlo per loro battaglie non dettate da spirito evangelico.
Oggi, anche grazie alla rinuncia di un anno fa, è vescovo di Roma e papa Francesco, che ha inaugurato una primavera in tutta la chiesa. C’è molta attesa e il suo annuncio del vangelo nella mitezza, nel rispetto di tutti, nell’affermazione del primato dell’amore misericordioso di Dio – che ci ama senza che noi dobbiamo meritarlo – di fatto raggiunge e tocca molti uomini e donne finora indifferenti alla fede. È arrivata un’altra stagione e la chiesa ancora una volta sente sete di rinnovamento e di riforma, come ai giorni di papa Giovanni: non a caso il segretario di quest’ultimo, Loris Capovilla, è stato creato cardinale da papa Francesco a 98 anni…
Ma non mi stanco di ripetere che se ci sarà una riforma evangelica della chiesa tutta, di tutte le membra del corpo, allora però la vita cristiana sarà più difficile, più contraddetta dalle potenze mondane: la testimonianza resa a Gesù Cristo sarà maggiormente segno di contraddizione perché ogni volta che il vangelo appare con più evidenza nella storia, anche la croce che ogni cristiano deve abbracciare e portare emerge più manifesta. Nessuna illusione: il regno di Dio deve ancora venire e i cristiani devono attenderlo e annunciarlo con la vita, a caro prezzo, anche a costo della vita stessa.

I concili nei secoli
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I° CONCILIO DI NICEA



I° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



I° CONCILIO DI EFESO



I° CONCILIO DI CALCEDONIA



II° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



III° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



II° CONCILIO DI NICEA



IV° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



LETTERA A DIOGNETO


I° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



IV° CONCILIO LATERANENSE



I° CONCILIO DI LIONE



II° CONCILIO DI LIONE



CONCILIO DI VIENNA



CONCILIO DI COSTANZA



CONCILIO DI BASILEA



V CONCILIO LATERANENSE


CONCILIO DI TRENTO



CONCILIO VATICANO I°

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Introduzione alla lectio divina
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