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L’uomo e la fede nella Gaudium et spes del Concilio Vaticano II: 02 Luglio 2013 – Villa Diocesana S. Guglielmo Castelbuono

L'uomo e ela fede mL’ufficio per la Pastorale della Cultura e l’Ufficio per la Pastorale della Scuola organizzano  per il 02 Luglio 2013 una giornata di approfondimento presso la Villa Diocesana S. Guglielmo  in Castelbuono sul tema “L’uomo e la fede nella Gaudium et spes del Concilio Vaticano II“.
Relatori :   Mons. Crispino Valenziano (mattina) e la Prof.ssa Cettina Militello (pomeriggio).
La giornata, pensata in modo  particolare per gli insegnati di religione, che saranno presenti anche  il giorno 1 luglio per un discorso interno all’insegnamento di  religione, sarà aperta a quanti vogliono approfondire, nell’anno della  fede, la problematica  quale emerge dalla Gaudium et Spes.
Un affettuoso saluto.
Cefalù 7 Giugno 2013.   

 I DIRETTORI

Prof. Giuseppe Riggio – d. Giovanni Silvestri

______________________________________________
Il costo del  pranzo  è di € 20,00.
 
 
 
 

Don Pino Puglisi: ricordi di un anno di vita sotto il suo sguardo paterno.

Don PinoLa beatificazione di Padre Pino Puglisi, a 20 anni dal suo martirio, avvenuto nel giorno del suo 56 compleanno, non può passare sotto silenzio; la realtà della santità non può trovarci estranei, non appartiene ad un altro mondo o un’altra dimensione, ma ci interroga e ci parla con una voce che penetra profondamente nelle nostre orecchie e nei nostri cuori.
Don Pino è entrato nella mia vita, come pietra angolare, nell’età particolare dei diciotto anni, quando si decidono le sorti di una esistenza: vivere un intero anno sotto il suo paterno sguardo, gioire della sua calda e affettuosa amicizia, essere illuminato da una sapienza evangelicamente svelata ai piccoli, entusiasmarmi della sua dinamica pastorale capace di coinvolgere le persone più diverse, essere rallegrato dal suo buon umore, affascinato dal suo sorriso, penetrato da quegli occhi luminosi e vivaci, sentire la forza dei suoi principi morali, la profondità della sua fede, l’ardore della sua carità.
Un esperienza ancora viva. Un modello che lascia segni indelebili, anche dopo tanti anni, percorsi lontani, vie che non si intrecciano più.             
  Una conferma della straordinarietà della Persona: la sua figura è nitida nei ricordi dei tanti momenti affascinanti del vivere comunitario dentro il Seminario di via del Vespro a Palermo; nella tetra aula con finestra dall’alto che la sua sapienza teologica riusciva a trasformare in luogo di slancio spirituale e di luminosa visione dei misteri religiosi; nel campetto o nei tragitti quando le narrazioni singolari e curiose arricchivano di umanità e fraternità il nostro crescere; nel suo studio dove le ansie, i turbamenti, gli amletici dubbi giovanili si rasserenavano nel suo sorriso e nella lungimirante guida spirituale.
Figure cosi poliedriche sanno coniugare semplicità ed affabilità con una capacità straordinaria di animare persone e gruppi che hanno avuto la fortuna di vivere l’esperienza della sua comunione, il canone etico dell’onestà e della gratuità della vita e dell’amore per gli altri, in particolare per i piccoli.
Era un “piccolo” Padre Pino Puglisi, che si faceva ancora più piccolo non solo per il fanciullesco spirito giocoso, non solo per il suo scherzare sull’esilità della sua corporatura, “c’è picca d’arrustiri”, o sulla sua statura fisica, ma soprattutto perché credeva profondamente nelle beatitudini evangeliche dei poveri, dei perseguitati, degli assetati e affamati di giustizia.
Modello di semplicità e umiltà, personalità forte e decisa faceva diventare comuni situazioni ed eventi straordinari e coglieva nelle cose più piccole la profondità del progetto divino di cui era, in forme genuine e sempre nuove, annunciatore e profeta.
Davvero ritrovo incarnate in lui le parole evangeliche “hai rivelato le tue meraviglie ai piccoli e li hai nascoste ai potenti”: con quale semplicità nei suoi aneddoti, che sprizzavano simpatia e buon umore, fiorivano verità eterne ed insegnamenti la cui profondità sconvolgeva ogni tiepidezza ed ogni calcolo; poneva ciascuno dinanzi alle proprie responsabilità e al contempo infondeva una straordinaria fiducia nelle proprie risorse e nell’essere destinatari di un grande disegno divino.
Continuità storica e poliedricità delle esperienze arricchivano il suo messaggio mai astratto, mai calato dall’alto, mai via per pochi privilegiati, ma cammino che, pur difficoltoso e a volte doloroso, era alla portata di ciascuno.
Nei luoghi della cultura, nei cenacoli di spiritualità, nei centri di solidarietà, nelle sedi di formazione e di educazione il sopraggiungere di Padre Puglisi era una festa di simpatia, ma anche una occasione straordinaria di arricchimento umano e spirituale. Sempre discreta e mai invadente la sua presenza si avvertiva come un sussurro per assumere presto la forza e la pregnanza di un messaggio o di un atto indelebile: dall’umiltà e semplicità del vivere quotidiano ci si trasferiva in quelle dimensioni valoriali ed in quegli insegnamenti di vita attinti ad una spiritualità evangelica straordinaria.
Ecco perché in Padre Puglisi convergevano le ansie vocazionali di tanti giovani seminaristi e l’irrequietudine di tanti orfani dell’Istituto Roosevelt dell’Addaura; le dinamiche studentesche dei liceali del Vittorio Emanuele e il desiderio di spiritualità del Cenacolo di Piazza Busacca, in cui la fraternità diventava comunione; l’amicizia e la stima di tanti confratelli e di tante personalità, ma anche la diffidenza di coloro che constatavano l’intransigenza e il rigore di un uomo mai debole con i forti e sempre tenero con i poveri, i piccoli, i sofferenti.
L’aneddotica della sua vita era un filo che rendeva partecipi di una singolare esperienza persone tanto diverse tra loro: le esperienze familiari nel quartiere popolare cui era profondamente legato; i contenuti culturali poco appariscenti, a volte dissacranti, ma profondi e aperti sempre a grandi orizzonti; la pastorale nei quartieri più controversi e vari della Palermo del “sacco” o nella remota Godrano; la guida spirituale nel seminario, nelle comunità e nelle associazioni, in un intreccio di relazioni produttive e creative.
Altri hanno avuto la fortuna di vivere a più diretto e lungo contatto con questo piccolo gigante della nostra terra e della nostra chiesa e ne hanno dato pubblica testimonianza, ma ogni petalo di questo fiore ha un suo profumo ed una sfumatura cromatica inconfondibile; è quindi doveroso, nel momento in cui vengono riconosciuti l’esemplarità, l’eroismo e la santità dell’uomo, la cui forza era la genuinità e semplicità del vivere, testimoniare ogni esperienza che può renderne ancor più vivo ed efficace l’insegnamento.
Quale meravigliosa esperienza culturale averci condotto in una sala gremita di giovani ad ascoltare, in piena era spaziale, la dotta conferenza del fisico Enrico Medi, attrezzati di magnetofono a bobine per poi nel suo studio riascoltare il testo e trascrivere le frasi più pregnanti: “quanto sei piccola o terra!” “l’orgoglio della scienza ma anche la sua debolezza”, un sasso di trenta centimetri al momento dell’allunaggio sotto la “zampa del LEM” avrebbe messo a rischio l’intera missione che Armstrong, nel calpestare la polvere lunare, definì “un grande passo per l’umanità”. Nella voce dello scienziato e nella sapienza del Sacerdote che ci guidava nella riflessione si stagliavano le emozioni indimenticabili della notte del 20 luglio 1969, l’orgoglio di essere gli uomini della sfida spaziale, ma anche la coscienza di un’esistenza che si relaziona alla Trascendenza e che solo in essa può ritrovare se stessa.
Nell’agosto del 1970 nelle valli e nei passi dolomitici, nei meravigliosi boschi e lungo il corso di melodiosi torrenti, quante meditazioni sulle meraviglie del creato, quali suggestioni dall’accostamento dei colori delle cime di Lavaredo con le potenti note beethoveniane e, ancor di più, quale paterna sollecitudine nel tenderci la mano e nel sorridente abbraccio che ci salvava da un rischioso scivolone sul ghiacciaio della Marmolada: un piccolo gesto di amore, àncora di salvezza nei momenti di difficoltà. Il suo sguardo sempre discreto, ma penetrante coglieva i turbamenti dell’animo dietro il fascino di una simpatia e, nelle crisi sentimentali e vocazionali, diveniva guida serena ed accorta.
L’insegnamento più indelebile di quella rettitudine morale che lo porterà al martirio è in un episodio a Piazza Armerina nel giugno del 1970: tornavamo da una due giorni siracusana per assistere alle rappresentazioni classiche; sulla Fiat 1100 blu del Seminario quattro amici inseparabili e don Pino al volante sempre in vena di battute; all’ora di pranzo, prima di visitare la Villa del Casale, parcheggiamo dinanzi a un ristorante in uno spazio ristretto, “parcheggio ad orecchio” diceva; all’intervento agitato del proprietario dell’auto toccata, l’ironica risposta: “stia calmo siamo assicurati”; a quel signore non è sembrato vero di farsi riparare danni evidentemente preesistenti, “tanto paga l’assicurazione”; messi da parte giovialità e scherzo Padre Pino mostrava il colletto da prete rivendicando l’assoluta correttezza e legalità come principio inderogabile. Potrebbe apparire un piccolo episodio, ma nella mia mente l’immagine di quel volto che da gioviale diventa rigido ed incredulo che qualcuno avesse potuto, anche solo, pensare che un prete potesse prestarsi a qualsiasi combine e truffa, mi rafferma nel valore etico assoluto della sua rettitudine ed onestà.
D’altra parte cos’altro se non il vivere e l’insegnare il rispetto della giustizia, la dedizione ai deboli, l’impegno per liberare da ogni forma di schiavitù, la difesa del diritto alla vita, all’educazione, alla famiglia hanno animato, in forme umili e ordinarie, ma senza mai deflettere dai principi e dai valori, la sua missione?
È proprio l’umile adempimento della missione e la coerenza quel 15 settembre del 93 l’hanno portato a diventare “martire della fede”: perché è la fede che l’ha armato di quell’amore che non ha paura di dare la propria vita per i fratelli, per la loro dignità, per la loro libertà, per la loro salvezza.
Nelle stesse ore mentre nel pronto soccorso del Buccheri la Ferla Padre Puglisi riceveva dal Cristo crocifisso, lo stesso sorriso e la stessa frase che egli aveva rivolto ai suoi assassini, “me l’aspettavo”, io designato per guidare una nuova stagione politica, da un gruppo che voleva riportare il mio paese sulla strada della legalità, del rispetto dell’ambiente e dello sviluppo delle categorie sociali, passavo una notte insonne per il peso e la paura di tale eventualità. All’alba, la notizia del Suo martirio sgombrava ogni mio dubbio su quale fosse il dovere di un discepolo di Padre Puglisi: servire gli altri, soprattutto i più deboli, nella giustizia e nel diritto. Il manifesto programmatico di quell’esperienza amministrativa e politica ho voluto imprimerlo nell’intitolazione a Padre Pino Puglisi di una via di Castelbuono, tre mesi dopo il martirio, per testimoniare il dovere di riflettere sull’insegnamento eroico, nella sua normalità, di un modello umano, ma anche di un modello di santità, in una terra e in una chiesa così ancora tiepida e qualche volta fredda nell’impegno per il rinnovamento conciliare e per un’efficace pastorale per la giustizia e contro le mafie.
(Angelo Ciolino)

XII Domenica del T.O. – Prendere la croce: assumersi il peso di un'esclusione per amore dell'umanità liberata da tutte le divisioni.

prendere la croce mIl brano evangelico odierno è composto di due parti strettamente collegate tra loro, che possono essere sintetizzate da due domande: chi è Gesù? Chi è il suo discepolo?
Nella prima parte Pietro, in risposta a un interrogativo posto da Gesù, lo acclama quale «Cristo di Dio», quale Messia.
E Gesù, dopo aver imposto ai Dodici il silenzio su questa identità, precisa immediatamente quale sia la sua messianicità: quella del «Figlio dell’uomo che deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Ma il brano odierno ci consente anche di sostare più approfonditamente sulle richieste fatte da Gesù a chi vuole seguirlo, ovvero sulle esigenze che dalla sua particolarissima messianicità discendono per i suoi discepoli.
 Gesù – annota Luca – non indirizza il suo sguardo solo alla sua piccola comunità, ma lo estende a «tutti»; rivolge delle precise richieste a tutti coloro che vogliono andare dietro a lui, mettendoli in guardia con chiarezza, anche a costo di scoraggiarli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua».
Sono parole a prima vista dure, che richiedono a noi una comprensione intelligente: non vanno intese in senso fondamentalista, alla stregua di «un programma di morte»  o di una chiamata all’auto-annientamento, né d’altra parte vanno edulcorate, come se fossero una semplice metafora…    ( E. Bianchi )
Per Gesù prendere la croce non vuol dire fare le mortificazioni. La croce è un emblema di supplizio pubblico, non uno strumento di tortura privata. La croce era il destino dei condannati politici. Gesù prese la croce, cioè assunse su di sé l’obbrobrio della condanna pubblica e andò avanti fino alla sua morte.
Prendere la croce vuol dire accettare questo destino, farsene carico.
Non vuol dire far penitenza, non mangiar carne il venerdì, fare i fioretti; vuol dire assumersi, quando fosse necessario, il peso di un’esclusione per amore dell’umanità liberata da tutte le divisioni.
 “Chi non perde la propria, vita non la salva”.    Perdere la vita vuol dire abbandonare tutte le nostre sicurezze, le nostre garanzie a cui siamo così attaccati, anche quando non sembra, e quindi vuol dire morire, e non necessariamente nel senso fisico ma in senso quotidiano.   ( E. Balducci – Omelie sparse )
Se noi invece vogliamo salvare la nostra vita (la nostra identità) la perdiamo.
Rinnegare se stessi significa smettere di voler affermare se stessi, lottare contro l’egoismo che sempre ci minaccia, contro quella terribile malattia che la tradizione cristiana ha definito philautía, «amore di sé»: una brama perseguita a ogni costo, anche contro e senza gli altri; una preoccupazione esclusiva per sé che induce a considerare il proprio io come misura della realtà.
 Chi vince questo egoismo mortifero cessa di essere ripiegato sui propri interessi e diventa libero di vivere per gli altri, di generare pensieri, parole e azioni finalizzate alla comunione fraterna.      Allora può anche farsi carico della propria croce ogni giorno – precisazione solo lucana –, con faticosa perseveranza.   (E.Bianchi)
 La croce fa ostacolo per chi non ha il coraggio di distaccarsi da se stesso per mettersi nelle mani del Padre.
Essa rimane un puro simbolo muto di dolore, per chi non è disposto a vivere la solidarietà con Cristo e con i fratelli, per chi esige la soluzione automatica di tutti i problemi, per chi vede nel dolore degli altri un fastidio da lasciare sulle spalle degli altri e non una provocazione alla vicinanza e alla comunicazione fraterna.
Incontriamo, allora la croce nelle nostre chiese,  la mettiamo nelle nostre case, la portiamo su di noi senza avere il coraggio di prendere la nostra croce insieme a quella di Gesù.  (Card. Carlo Maria Martini)
 
 

Pellegrinaggio Diocesano a Roma

Pellegrinaggio diocesanoa Roma mCURIA  DIOCESANA DI CEFALU’       Cefalù 19 giugno 2013
Ai Parroci – a tutti i Presbiteri e Diaconi  – ai Religiosi e Religiose  – ai fedeli Laici
Si comunica la proposta con relativo preventivo per il pellegrinaggio a Roma, programmato tra le iniziative dell’Anno della Fede nei giorni 2 — 5 settembre 2013.
È stato laborioso mettere insieme l’esigenza di un costo piuttosto accessibile a tante persone in un momento di gravi difficoltà economiche con l’esigenza di un viaggio non pesante con la possibilità di una permanenza a Roma che permetta la visita delle Basiliche Maggiori (S. Paolo fuori le mura, S. Pietro, S. Giovanni in Laterano e la Scala Santa), del Centro storico di Roma imperiale e l’Udienza generale con Sua Santità Papa Francesco.
L’agenzia Alinissa che organizza il viaggio chiede di avere entro un mese dati certi sui partecipanti per la prenotazione con gli Hotels e i Ristoranti.
Pertanto bisogna stare alle seguenti scadenze:

  1. I Parroci, ai quali i fedeli devono fare riferimento, entro il 7 luglio raccolgano la prenotazione con un acconto di Euro 150,00 (centocinquanta/00) e trasmettano alla Curia nei giorni di apertura (lunedì, mercoledì, venerdì).
  2. I Parroci entro e non oltre il 31 luglio confermino alla Curia il numero definitivo dei partecipanti con il saldo per coprire la somma di Euro 340,00 (trecentoquaranta/00).
  3. Se si da disdetta della prenotazione entro il 31 luglio si ha diritto soltanto al rimborso dell’acconto  nella misura del 50%;  dopo il 31  luglio non si ha diritto ad alcun rimborso.

I Coordinatori dei Vicariati non mancheranno di stimolare per la buona riuscita del pellegrinaggio in vista anche di eventuali accorpamenti tra una Parrocchia e l’altra per la formazione dei pulman.
Il pellegrinaggio ha carattere diocesano e sarà presieduto dal nostro Vescovo; sarà pertanto un’occasione particolare nella quale manifesteremo il nostro essere Chiesa pellegrina che va a ritemprare la fede in Cristo, Figlio del Dio vivente, presso la Sede di Pietro, che porta la sollecitudine per tutte le Chiese del mondo.
Si è a disposizione per qualsiasi chiarimento
IL DELEGATO AD OMNIA                                                           Programma Pellegrinaggio

( Don Sebastiano Scelsi )
Don sebastiano Scelsi
I concili nei secoli
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I° CONCILIO DI NICEA



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I° CONCILIO DI CALCEDONIA



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IV° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



LETTERA A DIOGNETO


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V CONCILIO LATERANENSE


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Introduzione alla lectio divina
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