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Papa Francesco: la Chiesa non è un'organizzazione burocratica, è una storia d'Amore.

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La Chiesa non è un’organizzazione burocratica, è una storia di amore: è quanto ha detto il Papa durante la Messa presieduta stamani nella Cappellina della Casa Santa Marta. Presenti alcuni dipendenti dello Ior. 
 Partendo dalle letture del giorno  che  raccontano le vicende della prima comunità cristiana , Papa Fancesco ha detto che  la comunità cristiana che cresce e moltiplica i suoi discepoli  è ” una cosa buona  ma che può spingere a fare “patti” per avere ancora “più soci in questa impresa” …. 
“Invece, la strada che Gesù ha voluto per la sua Chiesa è un’altra: la strada delle difficoltà, la strada della Croce, la strada delle persecuzioni … E questo ci fa pensare: ma cosa è questa Chiesa? Questa nostra Chiesa, perché sembra che non sia un’impresa umana”.
La Chiesa – sottolinea – è “un’altra cosa”: non sono i discepoli a fare la Chiesa, loro sono degli inviati, inviati da Gesù. E Cristo è inviato dal Padre:
“E allora, si vede che la Chiesa incomincia là, nel cuore del Padre, che ha avuto questa idea … Non so se ha avuto un’idea, il Padre: il Padre ha avuto amore. E ha incominciato questa storia di amore, questa storia di amore tanto lunga nei tempi e che ancora non è finita. Noi, donne e uomini di Chiesa, siamo in mezzo ad una storia d’amore: ognuno di noi è un anello in questa catena d’amore. E se non capiamo questo, non capiamo nulla di cosa sia la Chiesa”.
La tentazione è quella di far crescere la Chiesa senza percorrere la strada dell’amore:
“Ma la Chiesa non cresce con la forza umana; poi, alcuni cristiani hanno sbagliato per ragioni storiche, hanno sbagliato la strada, hanno fatto eserciti, hanno fatto guerre di religione: quella è un’altra storia, che non è questa storia d’amore. Anche noi impariamo con i nostri sbagli come va la storia d’amore. Ma come cresce? Ma Gesù l’ha detto semplicemente: come il seme della senape, cresce come il lievito nella farina, senza rumore”.
La Chiesa – ricorda il Papa – cresce “dal basso, lentamente”:
“E quando la Chiesa vuol vantarsi della sua quantità e fa delle organizzazioni, e fa uffici e diventa un po’ burocratica, la Chiesa perde la sua principale sostanza e corre il pericolo di trasformarsi in una ong. E la Chiesa non è una ong. E’ una storia d’amore … Ma ci sono quelli dello Ior … scusatemi, eh! .. tutto è necessario, gli uffici sono necessari … eh, va bè! Ma sono necessari fino ad un certo punto: come aiuto a questa storia d’amore. Ma quando l’organizzazione prende il primo posto, l’amore viene giù e la Chiesa, poveretta, diventa una ong. E questa non è la strada”.
Un capo di Stato – ha rivelato – ha chiesto quanto sia grande l’esercito del Papa. La Chiesa – ha proseguito – non cresce “con i militari”, ma con la forza dello Spirito Santo. Perché la Chiesa – ha ripetuto – non è un’organizzazione:
“No: è Madre. E’ Madre. Qui ci sono tante mamme, in questa Messa. Che sentite voi, se qualcuno dice: ‘Ma … lei è un’organizzatrice della sua casa’? ‘No: io sono la mamma!’. E la Chiesa è Madre. E noi siamo in mezzo ad una storia d’amore che va avanti con la forza dello Spirito Santo e noi, tutti insieme, siamo una famiglia nella Chiesa che è la nostra Madre”.

La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure !!!

Don-nToninoIn occasione della Pasqua un riflessione di Don Tonino Bello.
Se è lecito esprimere delle preferenze, quella che mi commuove di più è l’apparizione a Maria di Magdala, piangente accanto al sepolcro vuoto. Le si avvicina Gesù e le dice: “Perché piangi?”. Donna, le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che tu non pianga per gioia o per amore.
Vedi: la collina del Calvario, che l’altro ieri sera era solo un teschio coperto di fango, oggi si è improvvisamente allagata di un mare d’erba.
I sassi si sono coperti di velluto. Le chiazze di sangue sono tutte fiorite di anemoni e asfodeli. Il cielo, che venerdì era uno straccio pauroso, oggi è limpido come un sogno di libertà. Siamo appena al terzo giorno, ma sono bastate queste poche ore perché il mondo facesse un balzo di millenni.
No, non misurare sui calendari dell’uomo la distanza che separa quest’alba luminosa dal tramonto livido dell’ultimo venerdì. Non è trascorso del tempo: è passata un’eternità. Donna, tu non lo sai: ma oggi è cominciata la nuova creazione.
Cari amici, nel giorno solennissimo di Pasqua anch’io debbo rivolgere a ciascuno di voi la stessa domanda di Gesù: “Perché piangi?”
Le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che non siano l’ultimo rigagnolo di un pianto antico. O l’ultimo fiotto di una vecchia riserva di dolore da cui ancora la tua anima non è riuscita a liberarsi.
Lo so che hai buon gioco a dirmi che sto vaneggiando.
Lo so che hai mille ragioni per tacciarmi di follia.
Lo so che non ti mancano gli argomenti per puntellare la tua disperazione.
Lo so.
Forse rischio di restare in silenzio anch’io, se tu mi parli a lungo dei dolori dell’umanità: della fame, delle torture, della droga, della violenza.
Forse non avrò nulla da replicarti se attaccherai il discorso sulla guerra nucleare, sulla corsa alle armi o, per non andare troppo lontano, sul mega poligono di tiro che piazzeranno sulle nostre terre, attentando alla nostra sicurezza, sovvertendo la nostra economia e infischiandosene di tutte le nostre marce della pace.
Forse rimarrò suggestionato anch’io dal fascino sottile del pessimismo, se tu mi racconterai della prostituzione pubblica sulla statale, del dilagare dei furti nelle nostre case, della recrudescenza di barbarie tra i minori della nostra città.
Forse mi arrenderò anch’io alle lusinghe dello scetticismo, se mi attarderò ad ascoltarti sulle manovre dei potenti, sul pianto dei poveri, sulla miseria degli sfrattati, sulle umiliazioni di tanta gente senza lavoro.
Forse vedrai vacillare anche la mia speranza se continuerai a parlarmi di Teresa che, a trantacinque anni, sta morendo di cancro.
O di Corrado che, a dieci, è stato inutilmente operato al cervello.
O di Lucia che, dopo Pasqua, farà la Prima Comunione in casa perché in chiesa, con gli altri compagni, non potrà andarci più.
O di Nicola e Annalisa che, dopo tre anni di matrimonio e dopo aver messo al mondo una creatura, se ne sono andati ognuno per la sua strada, perché non hanno più nulla da dirsi.
Queste cose le so: ma io voglio giocarmi, fino all’ultima, tutte le carte dell’incredibile e dire ugualmente che il nostro pianto non ha più ragione di esistere.
La Resurrezione di Gesù ne ha disseccate le sorgenti. E tutte le lacrime che si trovano in circolazione sono come gli ultimi scoli delle tubature dopo che hanno chiuso l’acquedotto.
Riconciliamoci con la gioia.

La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi e perfino la morte, dal versante giusto: quello del “terzo giorno”.

Da quel versante, il luogo del cranio ci apparirà come il Tabor.
Le croci sembreranno antenne, piazzate per farci udire la musica del Cielo.
Le sofferenze del mondo non saranno per noi i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto.
E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse, saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo
 

OMELIA S. MESSA DEL CRISMA Basilica Cattedrale, Giovedì Santo 2013

CrismaQuesta suggestiva celebrazione che al mattino del Giovedì Santo vede raccolti attorno all’altare i presbiteri con il loro vescovo, in un certo senso, costituisce una “introduzione” al sacro triduo pasquale.
In essa vengono benedetti gli olii e il crisma che serviranno per l’unzione dei catecumeni, per il conforto dei malati e per il conferimento della cresima e dell’ordine sacro.
Gli olii e il crisma, intimamente collegati con il mistero pasquale, contribuiscono efficacemente al rinnovamento della vita della Chiesa attraverso i sacramenti.
Lo Spirito Santo, mediante questi segni sacramentali, non cessa di santificare il popolo cristiano.
Saluto tutti affettuosamente e vi ringrazio perchè ci siete con tutto l’impegno e l’entusiasmo che necessita per proseguire il cammino della storia e della Chiesa.
Con sincera gratitudine saluto soprattutto voi carissimi sacerdoti e diaconi che assieme al Vescovo portate il peso e la responsabilità del ministero.
Questo fraterno saluto raggiunga anche i sacerdoti anziani rammaricati perchè impediti per la loro condizione fisica a poter vivere con noi questo momento di comunione sacerdotale. Con grande commozione sono stato raggiunto telefonicamente da Mons. Musciotto il quale si scusava di non potere essere presente questa mattina a causa della sua infermità e intrattenendomi con i suoi ricordi legati a tutti gli incontri sacerdotali soprattutto all’appuntamento del giovedì santo, mi ha anche incaricato di porgervi il suo saluto e chiede a me e a voi una preghiera e una benedizione.
Non vi nascondo i sentimenti di tenerezza che la semplicità di mons. Musciotto ha suscitato in me.
Assieme a lui vogliamo ricordare gli altri fratelli anche loro impediti a motivo della loro salute: penso a don Rosolino La Mendola, a mons. Giovanni Di Giorgi, a Padre Domenico Castiglia, a mons. Giuseppe Scelsi, Don Nicola Cinquegrani, don Calogero Farinella, don Stefano Neglia, Mons. Raffaele Anselmo.
Un augurio particolare a quanti in quest’anno celebrano il loro anniversario giubilare: Don  Salvatore Di Marco e don Pietro Quattrocchi nel 50° anniversario e Mons. Gioacchino Duca nel 60°.
 Il Giovedì santo ci accomuna in un’unica realtà sacramentale in quanto ci ricorda il natale del nostro sacerdozio e ci riporta al giorno della nostra ordinazione sacerdotale.
Non possiamo nasconderci l’immensa gioia suscitata dalla fantasia dello Spirito Santo che ci ha regalato Papa Francesco.
Papa Francesco viene da una comunità povera ma percepiamo che sarà per tutta la Chiesa una vera ricchezza.
La pagina evangelica proclamata poc’anzi ci introduce nella sinagoga di Nazareth, dove Gesù aperto il rotolo di Isaia comincia a leggere: “Lo Spirito del Signore e su di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione” (Lc 4,18)
Gesù commenta le parole del profeta Isaia e afferma di essere lui l’unto del Signore, colui che il Padre ha mandato per annunziare ai poveri il lieto annunzio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista.
Noi sacerdoti con l’ordinazione presbiterale siamo stati chiamati a condividere la stessa missione di Cristo, ecco perchè siamo stati “unti” nel giorno della nostra ordinazione sacerdotale.
Come il Padre ha mandato il Figlio unto di Spirito santo, così il Figlio ha mandato i suoi dopo averli unti. La stessa unzione, dunque, per continuare nel mondo la sua presenza, la sua missione.
Gesù manda i suoi discepoli per continuare nel mondo la sua missione non un’altra missione, manda i suoi discepoli non per essere semplicemente segno della sua presenza ma per essere nel mondo la sua presenza.
Gesù applica a sé l’oracolo del profeta concludendo: “Oggi si è compiuta questa scrittura”.
Ogni qualvolta l’assemblea liturgica si raccoglie per celebrare l’Eucarestia si attualizza questo “oggi”. Si rende presente ed efficace il mistero di Cristo unico e sommo sacerdote della nuova ed eterna alleanza.
In questa luce, comprendiamo meglio quale valore abbia il nostro ministero sacerdotale.
Con l’animo colmo di gratitudine rinnoveremo tra poco le promesse sacerdotali. Questo rito ci riporta con la mente e il cuore al giorno indimenticabile in cui il Vescovo mediante l’imposizione delle mani e la preghiera ci ha introdotti nel sacerdozio di Cristo e noi abbiamo assunto l’impegno di unirci intimamente a lui, modello del nostro sacerdozio, e di essere fedeli dispensatori dei misteri di Dio, lasciandoci guidare non da umani interessi ma solo dall’amore per Dio e per il prossimo.
Ci chiediamo: siamo rimasti sempre fedeli a queste promesse? O dobbiamo riconoscere che in qualche momento si è affievolito l’entusiasmo spirituale di quel giorno in cui certamente con cuore sincero ci siamo impegnati per la vita?
Benedetto XVI salutando i Cardinali il 28 febbraio scorso aveva già manifestato al suo successore la sua incondizionata riverenza e obbedienza. Nell’incontro storico a Castel Gandolfo avrà avuto modo di rinnovare di persona questa promessa.
Chi crede nell’obbedienza la pratica senza tergiversare e senza arzigogolare con elucubrazioni mentali che conduco semplicemente a giustificare le proprie posizioni per fare quello che pare e piace.
Quanto esempio, anche in questo, ci ha dato Papa Benedetto che nel “servizio della preghiera” a cui si è votato sancisce la sua grande fede e, pur nella sua figura esile e fragile, rivela lo spessore e la statura dell’uomo di Dio.
Il forte rinnovamento che ci aspettiamo da Papa Francesco non potrà consistere in un colpo di bacchetta magica che come per miracolo risolva tutti i problemi che noi conosciamo.
Il rinnovamento avverrà solo se noi saremo docili all’azione santificatrice dello Spirito Santo che in questo momento soffia attraverso   l’ opera di Papa Francesco.
Il rinnovamento avverrà se torneremo ad essere più umili, più poveri, più casti come il poverello d’Assisi
e come la radicalità del Vangelo esige.
Il rinnovamento avverrà se tutto quello che ci è dato di cogliere in questo tempo di grazia non si riduce solo a un fatto mediatico che può pure commuoverci e stupirci ma non convertirci.
Il cambiamento avverrà se ci lasceremo toccare il cuore e saremo capaci di tornare al senso più genuino del nostro essere discepoli del Signore.
Simone di Cirene, passato alla storia come il Cireneo, è stato costretto a incarnare il ruolo del discepolo del Signore perchè obbligato a portare la croce di Gesù.
Povero Simone! Tornava a casa dalla campagna e lo caricarono della croce perchè la portasse dietro a Gesù (cfr. Lc 23,26).
Simone è stato costretto a portare la croce e in qualche modo la storia l’ha premiato.
Noi, invece, siamo stati invitati a prendere la croce: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (cfr. Mc 8,34). Ogni giorno… non di tanto in tanto… ogni giorno…
Invitati, dunque, non costretti. Invitati e liberamente abbiamo accettato di abbracciare la croce.
Quanto mi ha fatto riflettere l’omelia di Papa Francesco tenuta ai Cardinali nella Capella Sistina l’indomani della sua elezione. “Quando camminiamo senza croce, quando edifichiamo senza la croce, quando confessiamo un Cristo senza croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani… si! Possiamo essere vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore.
La strada che Papa Francesco sembra aver deciso di percorrere con sempre maggiore forza è quella della “purificazione”, una strada fatta propria anche da Benedetto XVI.
Non possiamo non imbroccare anche noi la stessa strada.
Non possiamo consentire che il Santo Padre resti solo a percorrere questa strada segnata certamente dalla volontà di Dio.
Chi sa leggere le pagine di storia attuale e quotidiana che stiamo vivendo può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento che attraverso forme inattese e gesti pieni di vita e di significato rende tangibile la vivacità di una Chiesa mossa dalla presenza e dall’azione efficace dello Spirito Santo.
Per una nuova fecondità occorrerà convincersi che la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento.
Occorrerà convincerci perchè la Chiesa vada avanti che solo un’autentica conformazione a Cristo ci libererà da una certa “mondanità spirituale” che ha offuscato l’immagine della Chiesa.
Questa espressione “mondanità spirituale” ce l’ha regalata Papa Francesco per metterci in guardia da uno stile che non è consono al nostro essere discepoli.
“Mondanità” è tutto ciò che di frivolo ci offre il mondo e noi siamo in questo mondo ma non siamo di questo mondo.
“Non conformatevi alla mentalità di questo mondo” (cfr. Rm 12, 1) ci esorta l’Apostolo Paolo.
Alla domanda su quale fosse la cosa peggiore che può accadere alla Chiesa l’allora Cardinale Bergoglio in una intervista rilasciata nel 2007 per la rivista “30 giorni” così rispondeva: “Il male peggiore in cui può incorrere la Chiesa è quello che Henri De Lubac, teologo Gesuita e poi Cardinale, chiama mondanità spirituale. È il pericolo più grande per la Chiesa, per noi che siano nella Chiesa; è peggiore, più disastrosa della lebbra”.
La mondanità spirituale è mettere al centro se stessi, è “il vivere per darsi gloria gli uni con gli altri”.
“Semplificando – spiega Bergoglio – ci sono due immagini di Chiesa. Da una parte la Chiesa evangelizzatrice che esce da sé, dall’altra la “Chiesa mondana  che vive in sé, da sé, per sé”.
Siamo chiamati a uscire dal recinto dell’orto delle proprie convinzioni considerate spesso inamovibili.
Perchè non riusciamo più a interessare il mondo con le nostre parole? Ma proprio perchè sono parole nostre!
Il mondo non è interessato alle nostre teorie e opinioni private ma è ancora interessato e sa ancora stupirsi di fronte alla autenticità e alla semplicità dell’annuncio della Parola di Dio.
È quello che è avvenuto con l’elezione di Papa Francesco.
A Maria, Regina degli Apostoli e Madre della Chiesa, affidiamo la nostra vita di consacrati, perchè nella fedeltà al Figlio suo Gesù, possiamo con gioia proseguire il nostro cammino nella Chiesa e per la Chiesa.
A lui, sommo ed eterno sacerdote, gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen (Ap 1,6).

Fede, forza e tenerezza nell'omelia di Papa Francesco nella Messa di inzio del Ministero Petrino.

www.chiesadicefalu.it.comwww.chiesadicefalu.it.comPapa Francesco tra la gente, nel giorno dell’inizio del Ministero Petrino, più volte ha rotto il ” protocollo “, e l’ha fatto per abbracciare i piccoli e gli indifesi.
Nell’omelia  non un programma  del suo pontificato ; Papa Francesco ha parlato della fede, della forza e della tenerezza di un santo a cui è devotissimo e che la Chiesa ieri ricordava: Giuseppe, sposo di Maria.
Di seguito il testo dell’omelia. Cliccando sulle due immagini del post è possbile aprire dei video significativi della giornata.
Cari fratelli e sorelle!
Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza.
Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico.
Abbiamo ascoltato nel Vangelo che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello» (Esort. ap. Redemptoris Custos, 1).
Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l’amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù.
Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!
La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!
E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna.
Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!
E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!
Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire!
Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio.
Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato!
Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! Amen.

I concili nei secoli
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I° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



I° CONCILIO DI EFESO



I° CONCILIO DI CALCEDONIA



II° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



III° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



II° CONCILIO DI NICEA



IV° CONCILIO DI COSTANTINOPOLI



LETTERA A DIOGNETO


I° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



II° CONCILIO LATERANENSE



IV° CONCILIO LATERANENSE



I° CONCILIO DI LIONE



II° CONCILIO DI LIONE



CONCILIO DI VIENNA



CONCILIO DI COSTANZA



CONCILIO DI BASILEA



V CONCILIO LATERANENSE


CONCILIO DI TRENTO



CONCILIO VATICANO I°

Incontri sulla Dei Verbum
Incontri sulla “ DEI VERBUM” Comunità Itria dal 26 Novembre 2018. Per accedervi click sull’icona che scorre di seguito .
Introduzione alla lectio divina
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