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Nel dramma della disoccupazione i giovani protagonisti del mondo che cambia
Disoccupazione giovanile da record in Italia nel secondo trimestre del 2012. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è infatti salito, nel secondo trimestre 2012, al 33,9%, dal 27,4% dallo stesso periodo 2011.
Scrive Mons. Bruno Forte (Il Sole 24 Ore, 9 settembre 2012)
“È drammatico il dato sulla disoccupazione giovanile nel nostro Paese.
Un giovane su tre, fra chi ne avrebbe le potenzialità, è senza lavoro, con prospettive incerte anche sull’immediato avvenire. Impegnarsi per creare opportunità occupazionali ai giovani è compito prioritario nell’agenda delle cose da fare, come ha riconosciuto con chiarezza il Presidente Monti.
Il Governo dovrà certo fare la sua parte, ma sarebbe illusorio pensare che il problema si risolva unicamente dall’alto. Mai come in questo campo si richiede una sinergia ampia e convinta, che vada dalle famiglie alla scuola, dalla società civile alla comunità ecclesiale, dalle imprese ai sindacati, dalle amministrazioni locali alle diverse agenzie che operano sul territorio al servizio del bene comune. È importante, però, che i primi protagonisti di questo sforzo corale siano proprio i giovani.”
Come?
Vorrei rispondere a questa domanda partendo da un’immagine biblica, tratta dal libro dei Numeri (cap.13), dove si narra degli esploratori mandati da Mosè a visitare la terra promessa. Ritornando, essi portano il grappolo d’uva, il melograno e il fico e, nel raccontare quello che hanno visto, trasmettono una tale, convinta emozione, che tutto il popolo decide di affrontare il rischio di entrare in una terra dove abitano i giganti.
È l’immagine di quello che dovrebbero fare i giovani di fronte alle sfide della crisi in atto. Come gli esploratori, i giovani non sono i capi del popolo, non sono Mosè, né Aronne; essi non sono neanche i sacerdoti o i leviti, e neppure la grande massa costituita dalle famiglie, dagli anziani, dai bambini.
I giovani sono per loro natura gli esploratori, mandati a scoprire il futuro di tutti.
Chi entrerà nella terra promessa, chi la vedrà e la farà sua?
Chi ne intuisce già i tratti, ne avverte il sapore e il profumo? Sono i giovani. In questo senso, aveva ragione Giovanni Paolo II nel dire che sono loro le sentinelle del mattino, che annunciano con i loro sogni e le loro attese il giorno che verrà.
Sono loro i primi destinatari di quel sì di Dio al mondo, di cui parla spesso Benedetto XVI. I giovani anticipano il futuro, ce lo fanno assaggiare.
Ecco perché un adulto che abbia perso il contatto coi giovani diventa presto vecchio; e chi è rimasto a contatto con loro conserva una carica stupefacente di giovinezza e di speranza.
Mi chiedo, allora, quali caratteristiche dovranno avere questi esploratori della terra promessa.
Come agli inviati del libro dei Numeri, è chiesto ai giovani di raccontare un mondo ai più sconosciuto: essi devono essere dei narratori.
Narrare non significa aver capito tutto, voler spiegare tutto, descrivere ogni dettaglio.
Narrare vuol dire comunicare un’esperienza vissuta in maniera così intensa da risultare contagiosa di futuro.
È questo che mi aspetto dai giovani: che aiutino tutti noi a conoscere, attraverso i loro racconti – che sono i loro “sogni diurni”, le loro attese e speranze – un mondo che per tanti aspetti non conosciamo, quello che condividono ogni giorno nelle scuole, negli ambienti di vita, con i loro amici, con quanti sanno dialogare con loro.
Da questo mondo ci separa spesso una distanza, che ci rende difficile capirlo. È evidente, peraltro, che non si può imparare la lingua degli altri senza conoscerli.
Chi conosce la lingua dei giovani, chi sta esplorando il mondo che deve venire, sono anzitutto loro, i giovani stessi.
Perciò, noi adulti abbiamo bisogno di loro, perché senza di loro non potremo parlare al futuro; è grazie a loro, se accettano di coinvolgersi nell’avventura di sognare insieme e di organizzare la speranza, che anche noi potremo parlare al domani e costruirlo con loro.
Il mio appello è allora a coinvolgere i giovani nello sforzo creativo del progetto, necessario ad aprire le vie del domani di tutti.
Gli organismi di partecipazione (ad esempio scolastica) sono importanti, ma non bastano. Occorre un livello ulteriore di ascolto e di condivisione.
Oltre a essere i narratori della speranza, i giovani, come gli esploratori della terra di Canaan, sono chiamati a considerare lucidamente il desiderio e le sfide della conquista.
Quando presentano il melograno, il fico e l’asta con i grappoli d’uva, gli esploratori lo fanno per dire: “Guardate che bello, questi sono i frutti della terra promessa”, una terra di cui si sono innamorati. Essi descrivono qualcosa per cui vale la pena di rischiare.
Vorrei chiedere allora ai giovani: non narrateci l’ovvio, lo scontato; narrateci, invece, quello che nella vita vi fa sognare. Narrateci le vostre speranze, i vostri desideri; siate i trasmettitori di un’esperienza che solo l’amore dischiude, perché solo se si guarda con amore la terra della promessa di Dio, si può anche vedere il grappolo d’uva e il melograno e il fico. Aiutateci a sognare con voi un sogno anche arduo, ma possibile!
Proprio per questo, come fecero gli esploratori della terra promessa, non tacete a voi stessi e agli altri le difficoltà dell’impresa.
Il vostro sogno sia a occhi aperti, tanto da risultare interprete lucido e razionale della realtà!
Bisogna scommettere sulle capacità dei giovani: ad essi non dobbiamo solo chiedere di trasmetterci un’emozione, ma anche di aiutarci a pensare, di proporci delle sfide, di farci valutare senza ambiguità le difficoltà dell’impresa.
Nella terra promessa ci sono i giganti, le grandi agenzie che puntano solo al profitto e non esitano a scarificare ad esso i più deboli, a cominciare dai giovani! Non si può, né si deve tacere sulle difficoltà, le sfide, le prove che vanno affrontate.
Amare i giovani significa chiedere loro sacrifici sensati, impegnarli a prepararsi, a studiare, a esercitarsi nel dono di sé.
Guai a stimolarli solo a fare bella figura, ad apparire! I giovani vanno educati e devono educarsi a capire i problemi, a esaminarli e ad affrontarli insieme con gli altri, a lavorare sodo per superarli.
Da questo consegue una svolta decisiva: da semplici destinatari, più o meno raggiunti dalle nostre analisi e dai nostri progetti, i giovani vanno riconosciuti e trattati da veri protagonisti e interlocutori.
Qui c’è il nuovo cui aprirsi: normalmente si parla dei giovani, si progetta sui giovani, ma i giovani non ci sono. In tutti gli organismi decisionali i giovani sono una rarità: si studiano i loro problemi, ma loro sono assenti, non convocati.
Ovviamente, con questo non intendo entrare nel dibattito intorno ai cosiddetti “rottamatori” e alle loro ragioni, ma stimolare tutti, specialmente gli adulti e quanti hanno responsabilità di azione, ad ascoltare seriamente il mondo dei giovani, con mente lucida e cuore aperto.
Ai giovani, infine, perché siano protagonisti del loro domani, chiederei di sentirsi caricati di un invio, coscienti di una responsabilità, portatori di speranza e di fede, innamorati della bellezza, che salverà il mondo. Giovani luminosi, capaci di guardare agli altri non con indifferenza, ma con attenzione d’amore, col desiderio di raggiungere tutti con un sogno comune, pronti a pagare il prezzo necessario per fare della speranza il dono di un presente possibile.
Don Lorenzo Milani proponeva ai ragazzi di Barbiana il motto “I care”, mi sta a cuore: abbiamo bisogno di giovani che credano in questo, che amino i deboli e i poveri, che regalino un po’ del loro tempo agli altri, che non si risparmino nel prepararsi seriamente al domani, che soprattutto non si chiudano mai a quelle che i credenti chiamano – con discernimento e umile consapevolezza – le sfide e le sorprese di Dio.
È quello che auguro a tutti i nostri giovani e in modo speciale a chi in questi giorni inizia un nuovo anno scolastico, perché sia cammino fecondo verso un futuro più giusto e bello per tutti.
La strage di Bengasi: una violenza inaccettabile.
Attacco ieri sera al consolato Usa a Bengasi da un gruppo di uomini armati che hanno distrutto e bruciato l’edificio.
Possibilmente dietro l’attacco, un film blasfemo realizzato negli Usa e prodotto dall’israelo americano Sam Bacile , film giudicato blasfemo e insultante per il profeta Maometto.
Un altro attacco per lo stesso motivo anche all’ambasciata Usa al Cairo.
Il commento del portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, dopo la strage di ieri sera, è all’insegna della massima prudenza, criticando duramente, invece, le “ingiustificate offese e provocazioni” contro la sensibilità dei fedeli dell’Islam.
«Le conseguenze gravissime delle ingiustificate offese e provocazioni alla sensibilità dei credenti musulmani sono ancora una volta evidenti in questi giorni, per le reazioni che suscitano, anche con risultati tragici, che a loro volta approfondiscono tensione e odio, scatenando una violenza del tutto inaccettabile…
Il rispetto profondo per le credenze, i testi, i grandi personaggi e i simboli delle diverse religioni è una premessa essenziale della convivenza pacifica dei popoli. »
Anche il Vicario Apostolico di Tripoli, Mons. Giovanni Martinelli definisce terribile l’uccisione dell’Ambasciatore Shris Stevens che era arrivato nel pomeriggio nella capitale della Cirenaica per raccogliere gli umori alla vigilia della nomina del nuovo premier libico, prevista oggi. Con lui hanno trovato la morte anche tre funzionari dell’ambasciata.
Occorre , dice Mons. Martinelli, «evitare di offendere la sensibilità religiosa delle popolazioni. «Già i Paesi arabi sono in presa a sconvolgimenti epocali, versare la benzina dell’oltraggio religioso è veramente pericoloso».
Luci ed ombre sul triste avvenimento, forse non è solo una coincidenza che la strage si sia perpetrata l’11 Settembre !!
La potenza dei semplici per cambiare la durezza di una legge
Ieri Paul Bhatti, [consigliere per le minoranze del primo ministro del Pakistan, parlando ai giornalisti a Sarajevo, dove partecipa all’incontro internazionale per la pace ,ospite della comunità di S. Egidio] a proposito del caso di Rimsha Masih, la bambina di 12 anni con ritardo mentale che in Pakistan e’ stata incarcerata con l’accusa di blasfemia per aver bruciato alcune pagine del corano ed e’ stata rilasciata nei giorni scorsi su cauzione ha dichiarato:
” Un caso che ha cambiato il pensiero islamico, un positivo passo verso la convivenza tra le diverse comunita’ religiose presenti nel Paese. … La cosa che da’ incoraggiamento è’ che la maggior parte degli ulema e degli imam mi hanno comunicato direttamente la loro volontà di agire perchè cambi l’abuso della legge e sono determinati ad agire affinchè non avvengano più episodi di questo genere che fanno vittime innocenti colpite a nome dell’Islam. E’ motivo d’incoraggiamento che avvenga questo. E’ la prima volta nella storia del Pakistan. ….
La bambina e’ traumatizzata. Quando sono andato a prenderla dalla polizia, vedendo tutti i soldati attorno a lei per proteggerla, non capiva di essere stata liberata. Continuava a dire, ‘ho sbagliato, ho sbagliato’, pur essendo innocente”.
“Adesso voglio che vengano fuori tutte le verità di questo caso in modo che la società pakistana e le persone di buona volontà capiscano che questa legge puo’ essere usata in maniera scorretta per scopi personali'”
“Spero con il cuore e prego Allah che sia fatta giustizia e che i veri colpevoli siano perseguiti. Tutti gli studiosi religiosi del Pakistan e gli esperti di Islam si sono seduti attorno a un tavolo e hanno deliberato che sono contro chi ha accusato Rimsha e sono per una soluzione positiva di questo caso”.
Nel frattempo Rimsha, che si trova in una località segreta, alla CNN ha risposto alle domande del gionalista con timidi “ sì” e “no” e ha dichiarato :
”Ho paura che qualcuno possa ucciderci’ …. Amo il Pakistan”. Alla domanda se avesse bruciato lei le pagine del testo sacro, ha smentito con determinazione: ”No, no”.
Benedetto XVI in Libano ai confini del dramma siriano
Da venerdì a domenica prossima Benedetto XVI sarà in Libano .
Viaggio molto difficile e complicato ( proprio perché inserito in un momento particolare e tormentato caratterizzato dalla guerra civile in Siria che ha contagiato il nord del Libano, dai profughi siriani alle porte e in fuga dall’inferno di Damasco, dalla tensione tra Israele e l’Iran sempre più evidente) ma nello stesso tempo prezioso per gli effetti che potrà avere nel richiamare in maniera forte l’attenzione su una terribile emergenza umanitaria.
E’ Il 24esimo viaggio apostolico internazionale di Benedetto XVI vissuto con attesa e trepidazione sia da cristiani che dai musulmani.
Il Papa e i suoi collaboratori guardano “con speranza e fiducia” al viaggio in Libano, dal 14 al 16 settembre, perché percepiscono nei confronti dell’arrivo di Benedetto XVI un “clima di soddisfazione e di cordiale benvenuto nella maggior parte delle persone e della società”. Lo ha detto il portavoce vaticano padre Federico Lombardi presentando il viaggio che, ha confermato, “non è mai stato in discussione”, mentre “è chiara una volontà di presenza” del Papa, in questa area e in questo tempo, senza lasciarsi fuorviare dalle incertezze che ci sono”.
Da Roma Benedetto XVI viaggerà accompagnato dal segretario di Stato Tarcisio Bertone, dal sostituto Angelo Becciu, dal prefetto della Congregazione delle Chiese orientali Leonardo Sandri, dal presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso card. Jean Louis Tauran, dal card. Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani e da mons. Nicola Eterovic, segretario del Sinodo.
Benedetto XVI si appresta nel suo viaggio apostolico in Libano a consegnare ai Patriarchi e ai vescovi della regione l’Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in Medio Oriente”. che firmerà e pubblicherà il 14 settembre in Libano.
Dopo le cinque Esortazioni Apostoliche post-sinodali del Beato Giovanni Paolo II, a conclusioni delle Assemblee speciali del Sinodo dei vescovi dedicate alle Chiese nei cinque continenti, che nel titolo usano la parola “Ecclesia”, ora, anche quella di Papa Benedetto XVI s’intitola “Ecclesia in Medio Oriente”.
L’importante documento del Santo Padre sarà la quarta Esortazione Apostolica da lui scritta e firmata (le precedenti furono dedicate all’Eucaristia, alla Parola di Dio e all’Africa), frutto delle riflessioni e delle proposizioni delle Assemblee del Sinodo dei vescovi.
“Ecclesia in Medio Oriente“, risultato finale dell’Assemblea sinodale speciale che si tenne in Vaticano dal 10 al 24 ottobre 2010, sarà di fondamentale importanza per la vita delle comunità cattoliche della Regione, organizzate in 7 riti.
Nel testo si tracciano gli orientamenti principali del magistero pontificio per queste Chiese particolari.
Nella totalità dei Paesi della regione mediorientale i cattolici sono minoranza e oltre ai problemi e alle sfide intraecclesia molte sono le questioni per quanto riguarda la liberta religiosa, il dialogo ecumenico e interreligioso.
In Siria, oltre 20mila persone hanno perso la vita e 1 milione e mezzo sono state costrette ad abbandonare le proprie case da quando, nel marzo 2011, sono iniziati gli scontri tra i gruppi armati di opposizione e le forze governative. Nel mese di luglio l’escalation di violenza ha spinto la comunità internazionale a definire ufficialmente il conflitto siriano come guerra civile.
Si stima che oggi 2 milioni di siriani subiscano in prima persona le conseguenza della crisi. Da aprile ad agosto, il numero complessivo di rifugiati nei paesi confinanti è quadruplicato: quelli registrati in Libano, Giordania, Iraq e Turchia sono quasi 190 mila, ma le persone che hanno cercato protezione fuori dalla Siria sono con ogni probabilità molte di più e la precarietà delle loro condizioni umanitarie trasforma ormai questa guerra in una crisi regionale.
Tra le conseguenze del conflitto anche una grave crisi alimentare, dovuta all’abbandono dei terreni ormai insicuri e al protrarsi della siccità. Secondo un rapporto realizzato da FAO, WFP e Ministero dell’Agricoltura siriano, almeno 3 milioni di persone sono a rischio di insicurezza alimentare. La metà circa necessita di aiuto urgente per i prossimi 3-6 mesi