Vangelo Domeniche e Festività
XXI Domenica del T.O. – Per me chi è Gesù ?
Per me chi è Gesù?
Questa è la domanda decisiva che il vangelo di questa domenica pone a ogni uomo o donna che voglia seguirlo: chi è Gesù?
….. Gesù sa che è sorta questa discussione intorno a sé, sa che alcuni lo esaltano, mentre altri lo disprezzano e ne condannano la parola e l’azione.
Ed ecco che un giorno fuori della terra santa … Gesù chiede [ ai discepoli ] informazioni su ciò che la gente pensa e dice di lui.
Le risposte sono diverse…. Allora Gesù, che non disprezza queste ipotesi fatte dalla gente, interroga più direttamente i suoi discepoli: “Ma voi chi dite che Io sia?”
Non sappiamo cosa sia avvenuto esattamente, in risposta a tale interrogativo. Forse c’è stato un silenzio imbarazzato, qualche balbettio, qualche atteggiamento di diffidenza verso quella domanda così diretta.
Quello che è certo, e su cui i vangeli sinottici sono unanimi, è che uno dei Dodici, Simon Pietro, con audacia, coraggio e convinzione esclama: “Tu sei il Cristo, cioè il Messia, il Figlio del Dio vivente”.
Questa è la confessione di Pietro che proclama la fede in Gesù.
Secondo Matteo questa fede di Pietro è sincera, è solida.
Per lui Gesù non è solo un profeta, è l’Unto del Signore inviato nel mondo, è il Figlio di Dio, il Messia discendente di David generato da Dio stesso (cf. Sal 2,7; Mt 1,1).
Pietro in verità non capisce tutta la portata della sua confessione di fede, non comprende che Gesù è “un Messia al contrario”, perché conoscerà fallimento, condanna, rifiuto e morte violenta inflittagli dal suo popolo e dalle genti pagane (come Gesù stesso annuncerà subito dopo per tre volte: cf. Mt 16,21; 17,22-23; 20,17-19), ma la sua confessione è ortodossa, dice la verità.
Per questo Gesù lo chiama: “Beato”, perché tali parole non scaturiscono dalla mente di Pietro, non sono una proiezione del suo desiderio, ma sono una rivelazione: Pietro sa e parla perché Dio in quel momento ha alzato per lui il velo sull’identità di Gesù. Ecco perché egli si vede cambiato il nome da parte di Gesù, e da Simone diventa Pietro, Roccia su cui è fondata la chiesa: Pietra-Roccia, non per una propria volontà, ma perché Dio lo ha reso tale, in modo che tutti possano trovare nella sua persona e nella sua fede un luogo di sostegno saldo, un riferimento capace di confermarli nella fede (cf. Lc 22,32).
Ma veniamo alla domanda seria posta a ciascuno di noi da questa pagina evangelica: ho veramente questa conoscenza di Gesù?
… Il rischio è sempre quello di essere cattolici nell’ortodossia della fede, persone che conoscono e recitano formule, che cantano il “Credo”, ma poi non lasciano che Gesù sia il Kýrios, il Signore della loro vita: ortodossi nella fede ma senza obbedienza a Gesù Cristo!
Ci sono invece uomini e donne che dicono appena: “Gesù era buono”; che non osano neanche affermare che è la seconda persona della santissima Trinità; che non osano pensarlo con le formule del “Credo”… eppure lo lasciano entrare nella loro vita e lo lasciano regnare in essa con il suo Vangelo. Meglio costoro di certi cristiani ortodossi quanto alla confessione di fede, ma che non vivono nessuna reazione con Gesù e si illudono di viverla con Dio. ( tratto dal commento alla domenica di Enzo Bianchi )
…Più cresciamo secondo lo Spirito, meno si sa.
Quelli che crescono secondo la carne sanno tutto, sono enciclopedie ambulanti che danno la risposta a tutti i problemi.
Un tempo si era educati così.
Io conoscevo cinque più tre vie per dimostrare che Dio esiste, ora non ne ho più nessuna.
Dimostrare è già possedere, è carnale.
Dio è una presenza o è un oggetto.
Se è un oggetto, non è più Dio.
Questo atteggiamento non è dimissionario, rinunciatario, come qualcuno carnalmente sospetta, è l’atteggiamento che si colloca allo stesso livello di questa sapienza di Dio che è imperscrutabile.
L’effetto primo in noi è una liberazione da tante angustie.
Certamente questo Dio non è così imperscrutabile da non averci manifestato qual è il suo progetto sugli uomini.
Noi chiamiamo Gesù Figlio di Dio perché ha manifestato col suo vivere qual è il programma del Padre che non conosciamo.
E lo stesso Gesù che lo ha detto: «Nessuno ha mai visto Dio fuori che il suo Figlio e colui a cui il Figlio lo ha rivelato».
Allora la parola e la testimonianza di Gesù sono la via per comprendere e sappiamo che la testimonianza di Gesù si riduce a questo: «Ama il prossimo tuo come te stesso», fa come il Samaritano che prese su di sé il passante ferito.
La premura per trasformare l’umanità in una famiglia di fratelli è il disegno di Dio.
È sicuro che Dio non vuole che noi ammazziamo gli infedeli, che noi usiamo la violenza per fare il bene.
Non siamo nella nebbia.
Un certo misticismo che distrugge tutte le determinazioni può essere la premessa per giustificare tutti i comportamenti.
Questo Dio imperscrutabile con le nostre parole lo chiamiamo «amore» e sappiamo che questa parola così ambigua – è una delle parole in cui lo spirito prestigiatore gioca di più – ha trovato un senso .univoco in Gesù Cristo: ama chi dà la vita per gli altri.
Anche amare vuol dire possedere.
È carnale.
Amare donando è secondo lo Spirito.
Non siamo quindi nella notte.
La linea luminosa c’è ed io devo vivere secondo questa linea per cui se uno vuol sapere da me qualcosa di Dio, dico: non perdiamo tempo, ama il tuo fratello e capirai chi è Dio.
Non è una scappatoia.
Amare significa inscriverci nello spazio magnetico in cui certe cose si capiscono.
Chi ha vissuto sacrificandosi per un altro anche se dice che è un ateo, non lo prendete sul serio.
Lo sarà perché ha negato il Dio carnale che noi gli abbiamo rappresentato, ma quanti atei sono meravigliosi cristiani perché hanno negato il Dio carnale delle nostre organizzazioni!
Senza volerlo e saperlo hanno reso onore a Dio, Dio non è carnale, non è la superpotenza.
Allora ci impediamo di giudicare gli uomini, non per carità ma per obiettività, perché siamo stati resi consapevoli di una verità che ci impedisce di giudicare gli uomini e di prendere la parola sul loro ultimo destino che è nella sapienza di Dio.
Se poi applichiamo queste categorie all’interno del mondo della Chiesa il discorso si fa più severo.
È chiaro che chi parla di fede cristiana ha la premura che essa non diventi carnale, non diventi motivo di potere, perché questo è un male in assoluto.
Se coloro che usano le parole di Cristo se ne servono per giustificare il potere secondo la carne io potrei dire con il Vangelo: «Vai indietro, Satana!», perché Satana è l’emblema di questa falsificazione del disegno di Dio.
Satana non bestemmia Satana prega, se bestemmia si scopre.
È soprattutto dove si prega, dove si parla di Dio che Satana si insedia, perché tutti i valori che alludono al disegno di Dio si trasmutino nell’opposto.
Chi ha orecchi da intendere, intenda!
Siamo, così, collocati nel solco profondo dove la correlazione tra l’uomo e il Dio di Gesù Cristo diventa straordinariamente ricca, anche consolante, perché ci dà occhi di gioia nei momenti in cui abbiamo ragione umana di essere allegri, e in momenti in cui avremmo ragione umana di essere disperati.
Da questo profondo nascono le uniche consolazioni su cui nulla l’uomo può.
Certo avete visto, perché sono segni che vanno custoditi in quell’archivio che è la memoria, persone che avevano ragione di essere disperate ed erano straordinariamente serene.
C’è dell’altro nell’uomo, cioè c’è questo mistero del Signore.
Allora dobbiamo disporci a vivere la nostra vita con questo senso della Provvidenza del Signore: siamo dentro una Provvidenza di Dio.
Questa Provvidenza è libera dalla pesantezza carnale, dall’utilizzazione egoistica ed ideologica in cui è stata degradata.
Ogni tanto – mi sia permesso dirlo nel chiudere – anche osservando la pagina mobile della storia, vediamo che questo si avvera.
Quante sicurezze costruite con faticose ricerche e con mobilitazioni di istituzioni all’improvviso cadono nello spazio di un mattino e quante novità che non supponevamo emergono anche sulla pagina della storia umana che non è certo sempre così trasparente, posta di fronte al mistero di Dio.
Anche questo ci dice che dobbiamo essere disponibili al gioco dell’esistenza.
Non dobbiamo mai essere rigidi, perché Dio -lo meditammo qualche domenica fa – non è nel tuono, non è nel terremoto, ma è nella brezza, nel soffio che appena si sente.
Siamo disponibili a questo soffio tenue, perché c’è più potenza di Dio nel soffio tenue che nel terremoto.
Essere pronti a questo dialogo è ciò che ci viene chiesto sostanzialmente dal Vangelo. Con questa certezza, devo dire che allora la presenza di Dio è straordinaria in questo mondo, molto più di quanto non pensiamo.
Anche quelli che non sanno il suo nome ci vivono e vivono fedeli a questa sapienza. È un motivo di consolazione a cui spesso abbiamo bisogno di ricorrere. (Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – vol. 1)
XX Domenica del T.O. – Ogni rifiuto del Signore se letto nella fede è una grazia.
L’evangelista ci presenta l’incontro con la donna Cananèa [Marco la definisce «sirofenicia»] che esce incontro a Gesù implorandolo: «Pietà di me, Signore, figlio di David! Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio».
I Cananèi erano i Fenici ed erano uno dei popoli che nel libro del Deuteronomio (cap 7) , devono essere votati allo sterminio…. una popolazione pagana, una popolazione disprezzata ….. ( A. Maggi )
[ Questa donna Canaea ) lo acclama quale Messia, mostrando così di conoscere l’attesa di Israele; non solo, ma le sue parole indicano una grande fiducia nella capacità di Gesù di guarire sua figlia.
Egli però non le risponde nulla.
Sono allora i discepoli a intercedere per la donna, chiedendo a Gesù che almeno le rivolga una parola di congedo,[ il testo delle CEI dice esaudiscila”, ma è invece letteralmente “mandala via”. ( A. Maggi ) ] visto che essa continua a gridare il suo bisogno.
Ma egli ribatte: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele»; ( E Bianchi )
[ Da parte di Gesù] vi è una certa durezza nei confronti della donna. ( Atos )
…. Ma né la preghiera della donna né la mediazione dei discepoli ottiene la grazia. ( D. Uberto )
… E quello del Signore non è un rifiuto assoluto: è solo un ordine di priorità: «lascia prima»:.
Gesù dice: «io sono stato mandato per la casa di Israele»: però per essa compio tutto in modo sovrabbondante che è per tutti.
Ogni rifiuto del Signore se letto nella fede è una grazia grossa.
Dio è semplice non fa mai finta: è il nostro occhio e orecchio che sente un rifiuto là dove non c’è: la cananea non ha sentito il rifiuto. Solo si tratta di accettare le sue condizioni: la donna non solo riconosce una priorità temporale ma va più avanti: li chiama padroni. ( Don G. Dossetti )
«È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
I cagnolini non sono i cuccioli, ma i cani domestici che stavano in casa.
Ebbene Gesù, secondo questa indicazione, distingue tra coloro che hanno diritto, i figli di Israele, e i cani, termine alquanto dispregiativo – il cane era un animale impuro – che indicava i pagani.
Gesù, attraverso queste risposte, sta preparando i discepoli a quello che i discepoli non vorranno, a condividere il pane anche con i pagani.
Gesù ha condiviso il pane con il popolo d’Israele e ora vuole portare i discepoli a condividere il pane con i pagani, ….. ( A. Maggi )
Gesù discerne nelle parole della Cananea la fede di questa donna e da essa si lascia interpellare, fino a mutare il proprio comportamento: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri», comando efficace che causa immediatamente la guarigione della figlia.
Ma questa affermazione di Gesù va intesa in tutta la sua ricchezza.
Egli non pone condizioni alla donna, non le dice: «Se hai fede, farò per te ciò che desideri», così come non ha mai detto a nessuno: «Se hai fede, ti salvo».
No, Gesù riconosce la fede di chi gli sta di fronte e sa mettere in lui fiducia.
Per questo ripete sovente: «La tua fede ti ha salvato» (Mt 9,22; Mc 10,52), oppure, come dice a un altro pagano, il centurione romano: «Sia fatto secondo la tua fede» (Mt 8,13).
Ecco un elemento saliente dell’autorevolezza di Gesù: la sua capacità di far crescere e fiorire le persone che incontra, riaprendo per loro spazi inattesi di vita nuova.
Così egli abbatte le barriere che separano gli uomini e ci narra che, quando si incontra in verità una persona, questa cessa di essere ciò che i muri la rendono per tornare ad essere semplicemente un essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio.
Questo incontro con la donna cananea segna un’importante apertura di Gesù ai pagani, come lo sarà anche la successiva moltiplicazione dei pani, al termine della quale resteranno sette ceste di pezzi avanzati, simbolo delle settanta genti della terra (cf. Mt 15,32-39); tra queste genti – non dimentichiamolo – siamo da annoverare anche noi cristiani provenienti dal paganesimo… Attraverso questi segni Gesù ci mostra che il banchetto del Regno è aperto a tutti (cf. Mt 8,11): dovremmo ricordarlo quando siamo tentati di erigere nuovi muri frutto del nostro cattivo zelo… ( E Bianchi )
Assunzione della Beata Vergine Maria – Vieni, benedetta dal Padre mio, ricevi in eredità il Regno preparato per te fin dalla fondazione del mondo.
Vorrei ora dedicare un pensiero alla Pasqua di Maria.
Maria è la prima che ha vissuto dopo Gesù l’esperienza pasquale del passaggio da questa vita alla vita gloriosa.
È il mistero dell’ Assunzione.
Ma come possiamo contemplare la Pasqua di Maria, se i testi non ce ne parlano?
Io credo, tuttavia, che ci sia un mezzo per contemplare questa Pasqua di Maria.
Vorrei quindi suggerirvi alcuni testi, che potrebbero aiutarci a comprendere come è stato il passaggio di Maria da questa vita e come è stato il suo ingresso nella gloria.
Sono questi appunto i due momenti della Pasqua: il passaggio da questa vita e l’ingresso nella gloria.
Per quanto riguarda il passaggio da questa vita, ho presente 2 Coro 5, 8, dove Paolo dice: «Cosi dunque siamo sempre pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore»; insieme con questo testo Filip. 1, 21: «Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno»; quindi il v. 23: «Sono messo alle strette tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio…». Qui vedo rappresentato il sentimento di Maria, il suo desiderio di essere con Cristo, di essere sciolta da questa esperienza terrena, perché si manifesti in lei l’esperienza definitiva: la pienezza della visione.
La presenza di tale desiderio in Maria sta a significare che in lei Gesù ha vinto già la paura della morte.
Come dice la lettera agli Ebrei: «(Il Figlio) è divenuto partecipe della nostra carne e sangue, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (2, 14 ss.).
Questo è un concetto molto importante.
Secondo la lettera agli Ebrei, il peccato nasce dalla schiavitù ai condizionamenti a cui il faraone ci sottopone.
Perché noi siamo assoggettati ‘a questi condizionamenti?
Perché abbiamo paura della morte.
In fondo, ogni peccato è espressione della paura della morte, in quanto realizza una forma di possesso spasmodico di qualcosa che non si vuol lasciare; infatti, quella certa cosa costituisce per noi il segno della vita, dimodochè, qualora ne perdessimo il possesso, ci sentiremmo sopraffatti dalla morte.
Quindi tutto ciò che è possesso, godimento sfrenato, ricchezza e sfruttamento degli altri, tutto ciò a cui in qualche maniera ci attacchiamo con gusto morboso e possessivo, si riassume in un grido: «Non voglio morire; anzi voglio darmi la certezza che non muoio, ma resto in vita ».
Perciò, dice la lettera agli Ebrei, Gesù, passando per primo attraverso la morte, ci libera dalla paura della morte e perciò stesso ci rende liberi da ogni tirannia che ci assoggetta.
E Maria, morendo così, fa sue le parole di Paolo: mostra, cioè, che è stata «pienamente liberata dal timore della morte» e che ormai guarda a Cristo come alla sua esperienza definitiva.
Vi suggerisco un altro testo per quanto riguarda l’ingresso di Maria nella gloria: un testo che può servire per la festa dell’Assunzione: «Vieni, benedetta dal Padre mio, ricevi in eredità il Regno preparato per te fin dalla fondazione del mondo: perché ho avuto fame e mi hai dato da mangiare; ho avuto sete e mi hai dato da bere» (Mt. 25, 34).
Maria per prima ha capito che il Verbo di Dio può nascondersi in una realtà piccolissima, come quella di un bambino, e che servendo questa realtà si raggiunge la pienezza, la totalità del Verbo di Dio.
Maria ha intuito il tutto nel frammento, cosicché, servendo il piccolo Gesù e servendo il piccolo gruppo dei primi cristiani, ha servito tutta l’umanità: il suo cuore ha avuto la capacità di aprirsi a tutte le creature, qualificandosi come Madre della Chiesa, non soltanto della Chiesa che c’è, ma di quella che ci deve essere e che ci sarà, quindi di tutta l’umanità. (+ C.M. Martini )
***
…Il desiderio di un mondo non soggetto alla mostruosità del potere c’è sempre stato ed sempre stato vano.
Noi costatiamo, in questo momento, la particolare tentazione dell’impotenza a superare certe regole perché il mostro ha i suoi strumenti vari.
In genere i contemporanei non ne avvertono la mostruosità, ma pensate al denaro, alla potenza economica.
È mostruosa!
Che faccia delle mostruosità lo sappiamo di tanto in tanto, ma le fa sempre. Ogni tanto leggiamo che anche istituti finanziari rispettabilissimi, in realtà, compiono loschi traffici. È il mostro! Non parliamo poi delle armi: la guerra.
Ne abbiamo avuto sotto gli occhi esempi spaventosi. Insomma, possiamo liberarcene?
È una domanda perenne.
La risposta più semplice è: no, non è possibile. Se diciamo così noi siamo senza fede, perché non crediamo alle parole del Signore.
Questa per me è una linea discriminante importante.
Si può anche essere devotissimi della Madonna ma nello stesso tempo credere che non si può cambiare niente.
Allora uno è un miscredente, perché Maria ha creduto a queste cose.
Essa è grande non perché ha creduto in Dio, ma perché ha creduto alle sue promesse.
È una discriminante di fondo, lo abbiamo detto più volte, ma non dobbiamo mai stancarci di ripeterlo perché ne va del senso della nostra stessa fede, del nostro stesso modo di guardare il mondo in cui viviamo.
Detto questo mi sembra che l’invincibilità del mostro si possa sperimentare a due livelli.
Uno antropologico: la vittoria del mostro è la morte.
È bene non dimenticarci di questa connotazione terribile, nefasta della morte al di là di ogni addomesticamento. Potremo dire anche «sorella morte» con Francesco, però all’interno di una fede in cui essa cambia significato. Ma di per sé, nell’immediatezza del nostro perire umano, la morte è una inaccettabile mostruosità, un invincibile, ma che noi speriamo debba essere vinto.
Questo è un punto essenziale ed è giusto che Paolo, in questo brano della Lettera ai Corinzi, la chiami «l’ultima nemica».
Sappiamo che la potenza di questo nemico irride tutte le nostre competenze scientifiche.
Possiamo rubare un palmo, uno spazio, ma l’essere mortali qualifica all’interno l’intera nostra opera umana.
Poi c’è un livello di carattere storico e allora il male è il potere che mira ad unificare le creature con la legge del dominio e che mira a discriminare quelli che si assoggettano alle regole del potere, e ne traggono vantaggi, e quelli che non si assoggettano.
L’oggetto della fede è che questo drago sarà sconfitto, che Dio ha preparato nel cuore del mondo un’alternativa. In questo brano dell’Apocalisse si parla del popolo di Dio.
In genere il popolo salvatore, anche nelle mitologie esterne all’ebraismo, viene raffigurato attraverso l’immagine di una donna che partorisce un figlio e questa donna è il bersaglio del drago.
La donna è il popolo eletto, è il popolo di Israele nel deserto – «Dio le aveva preparato un rifugio nel deserto» – ed è il popolo del nuovo Israele nato dalla sconfitta della croce. Il drago ha vinto con la crocefissione, ma Dio ha preso il Figlio con sé: ecco l’Ascensione – e anche questa donna è presa con se da Dio: ecco l’Assunzione.
Sono questi i misteri che noi, partitamente, secondo contenuti dogmatici e rappresentativi diversi, celebriamo, ma la sostanza è questa: Dio non si lascia vincere dal drago e il popolo che egli ha scelto vincerà.
Ecco la fede.
È una fede che è costretta ad infrangersi continuamente contro l’evidenza.
Ecco perché: «Beata te che hai creduto».
Lo potrei dire a tutti,voi a me stesso, perché come si fa a credere?
Ci vuole davvero una grande dose di illusione, ma non è una illusione perché ecco il riferimento a Dio: il Magnificat, l’esaltazione di Dio che compie cose grandi.
Queste cose grandi Dio le ha già compiute: Maria è una «grande cosa».
La fanciulla di Nazareth che viene fatta madre di Gesù, che rappresenta e realizza la promessa di Dio, è il grande mistero gioioso della fede cristiana che però non dobbiamo svellere da questo contesto, altrimenti anche questo mistero si evapora in nebbie auree di esaltazione. Dobbiamo tenerci fermi a questo perché così facendo i misteri ritrovano carne e sangue dentro di noi, nella nostra reale esperienza e non costituiscono una specie di glorioso luna park ai lati della vita.
Dobbiamo cogliere il senso del mistero dentro le fibre della nostra vita anche collettiva…
(Ernesto Balducci – “Gli ultimi tempi” vol 2 – Anno B)
XIX Domenica del T. O. – Numerose sono le paure che ci abitano, tutte generate dalla «paura madre», quella della morte: ma Dio da sempre esorta i credenti a non temere, a dimorare sicuri in lui.
Subito dopo aver sfamato la folla numerosa (cf. Mt 14,13-21) , Gesù ordina ai discepoli di precederlo all’altra riva del lago di Galilea, mentre egli si ferma per congedare quanti lo hanno seguito.
….. Nello stesso tempo egli radica il suo agire in una profonda relazione di amore e di fiducia nei confronti del Padre.
Per questo cerca con determinazione degli spazi e dei tempi di solitudine per stare davanti a Dio in assoluta gratuità e discernere la sua volontà sulla propria vita: anche in questo caso «sale sul monte a pregare, in disparte». ( E. Bianchi )
La scena si svolge – se stiamo all’originale greco del Vangelo – «alla quarta veglia» della notte, cioè nell’ultima delle quattro fasi in cui essa era divisa, ossia fra le tre e le sei.
Abbiamo, quindi, ancora il segno della tenebra, che è nella Bibbia un simbolo negativo.
Analogo è il valore del “mare” che, come è noto, nella Sacra Scrittura incarna il caos, il nulla, il male, tant’è vero che il Giovanni dell’Apocalisse, quando s’affaccerà sulla nuova creazione, scoprirà che «il mare non c’era più» (21,1). Similmente il vento tempestoso è emblema di terrore e di distruzione. Tutta la scena è, quindi, all’insegna della negatività. (Gianfranco Ravasi )
Venuta la sera egli è ancora solo, mentre la barca dei discepoli è in mare aperto in balìa del vento contrario e delle onde: l’evangelista già intravede il cammino della fragile barca della chiesa nella storia, sballottata tra avversità e tensioni comunitarie…
Essa però non è abbandonata dal Signore Gesù, il quale non solo prega per la sua comunità, ma si fa anche misericordiosamente presente ai suoi discepoli, lui che «è con loro tutti i giorni fino alla fine della storia» (cf. Mt 28,20): ecco infatti che sul far del mattino «viene verso di loro camminando sul mare». ( E. Bianchi )
Gesù si leva solenne su questo orizzonte, che è agli antipodi della terra, della luce, della quiete, quasi come il Creatore agli inizi stessi dell’atto creativo descritto dalla Genesi. Egli, perciò, compie nei confronti dei discepoli una sorta di azione simbolica simile a quelle che i profeti – soprattutto Geremia ed Ezechiele – manifestavano al loro uditorio, accompagnandole con una spiegazione religiosa.
Facile è l’equivoco di chi interpreta la scena come un evento magico o preternaturale. È ciò che accade ai discepoli terrorizzati che urlano: «È un fantasma!». (Gianfranco Ravasi )
Subito però Gesù li rassicura con poche, straordinarie parole, che vogliono placare il loro sconvolgimento interiore e infondere nei loro cuori la fiducia: «Coraggio, Io Sono» – il Nome impronunciabile di Dio rivelato a Mosè (cf. Es 3,14) – «non abbiate paura!». ( E. Bianchi )
In realtà, in greco si ha: egó eimi, «Io sono!». Ora, questa è la versione del nome che Dio rivela a Mosè al Sinai: «Io sono colui che sono!» (Esodo 3,14), nome abbreviato già in quell’occasione in «Io sono ».
L’espressione, variamente interpretata, ci ricorda comunque che Dio è una persona (“Io”) la quale esiste e opera (il verbo “essere”).
Ebbene, in quel momento Cristo svela ai discepoli con questo atto eccezionale la sua realtà intima, nascosta dal velo della sua umanità.
È un po’ quello che accadrà sul monte della Trasfigurazione: egli ora si presenta in una teofania, cioè in un segno rivelatore della sua divinità di Signore del cosmo e della storia. ….
…Gesù spazza via la loro sensazione attraverso due frasi illuminanti che decifrano l’atto nel suo significato teologico e non magico o spettacolare.
La prima è da scoprire nell’originale e non nella versione che suona così: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (14,27). (Gianfranco Ravasi )
Numerose sono le paure che ci abitano, tutte generate dalla «paura madre», quella della morte: ma Dio da sempre esorta i credenti a non temere, a dimorare sicuri in lui, come ci testimoniano con abbondanza le Scritture, dalla Genesi (cf. Gen 15,1) fino all’Apocalisse E questo invito è particolarmente frequente sulle labbra di Gesù, fino ad essere rivolto dal Risorto alle donne nell’alba della resurrezione (cf. Mt 28,10), l’evento che segna la vittoria definitiva dell’amore sulla morte. ( E. Bianchi )
L’altra frase esplicativa è quella rivolta in finale a Pietro: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?» (14,31). Per comprendere l’evento del cammino sulle acque – come anche gli stessi miracoli – è necessario un canale di conoscenza ulteriore rispetto a quello dei sensi e della pura e semplice ragione, ossia la via della fede e dell’adesione al mistero divino ). (Gianfranco Ravasi )
Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque».
Pietro inizia la sua attività di tentatore di Gesù, di satana, sarà l’unico discepolo che meriterà da Gesù l’epiteto “satana”, “Satana, torna a metterti dietro di me!”
E Pietro lo sfida, lo tenta, “Se sei tu”, esattamente come il diavolo nel deserto, “«Comandami di venire a te sulle acque»”. Vuole avere la condizione divina, ma pensa che questo avvenga con un’imposizione dall’alto.
Gesù lo invita, Pietro comincia a camminare sulle acque, “Ma, vedendo che il vento era forte “si impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!»” (Alberto Maggi )
Pietro affonda perché c’è una conoscenza di sé che fa andare a fondo: è la consapevolezza delle forze violente e conflittuali che si agitano in noi. L’uomo rimane sconvolto dalle perversità, dalle oscurità, dalle storture che scorge dentro di sé e che sembrano inquinare tutte le sue azioni anche le più semplici. Questa è una tipica conoscenza di sé nel vuoto; pur avendo una parte di verità non si rapporta con Cristo ( C.M. MARTINI, Le confessioni di Pietro, Piemme, Casale Monferrato 1992, 23.)
Quando infine Gesù sale sulla barca, il vento si placa. Allora i discepoli gli si prostrano davanti, accompagnando il loro gesto di adorazione con una solenne confessione di fede: «Tu sei veramente il Figlio di Dio».
Gesù per ora tace, ma più avanti chiarirà cosa significa e cosa comporta il suo essere Figlio di Dio (cf. Mt 16,16.21).
Qui il suo silenzio è per noi una domanda: siamo disposti ad aderire a lui senza paura, credendo al suo amore (cf. 1Gv 4,16)?
Questa fiducia salda è la verità di ogni confessione di fede fatta a parole… (Enzo Bianchi)