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Leggiamo, una pagina al giorno, il libro “ PREGARE LA PAROLA” di Enzo Bianchi. Per accedervi click sulla voce del menu “ PREGARE LA PAROLA” o sull’icona che scorre di seguito .

Vangelo Domeniche e Festività

Pentecoste. – II primo uomo si riduce in cenere, in polvere, ritorna alla terra: la prima creazione deve essere incene­rita dal fuoco; il secondo uomo, l'uomo nuovo, alitato dallo Spirito di Dio, è definitivo, costituito signore esso stesso.

fuoco pent
Dal cielo un fragore … un vento che si abbatte impetuoso … lingue di fuoco (At 2,2-3).
Non è sempre facile questo linguaggio per noi uomini e donne che abitiamo questo nostro tempo e questo nostro mondo, da noi letti in modo molto diverso rispetto all’epoca in cui è stato scritto il Nuovo Testamento. La descrizione di questi eventi straordinari e miracolosi rischia di urtarci e di non essere più eloquente ai nostri orecchi. Occorre dunque sforzarsi di decodificare il linguaggio delle Scritture, per riuscire ad accogliere il messaggio contenuto nel racconto della Pentecoste.
Che cosa è accaduto?
Mentre i discepoli di Gesù erano riuniti tutti insieme nello stesso luogo, hanno fatto esperienza di quella forza che li ha abilitati a proclamare la buona notizia, il Vangelo, in molte lingue e culture: il Vangelo in cui avevano creduto ascoltando le parole e i gesti di Gesù poteva riguardare non solo loro, figli di Abramo, figli di Israele, provenienti dalla Galilea, ma tutte le genti della terra (cf. At 2,4-11). Bianchi m
Sì, in quel giorno di Pentecoste molti uomini e donne hanno compreso e sperimentato la forza e la luce del Vangelo di Gesù, il Messia crocifisso e risorto. Gli eventi della passione, morte e resurrezione di Gesù avvenuti in quella Pasqua del 30 d.C. trovano a Pentecoste una pienezza di forza.
Questa, del resto, era la promessa e il dono del Risorto, perché Gesù era stato annunciato da Giovanni il Battista come colui che doveva venire a rinnovare l’alleanza attraverso un’immersione nello Spirito santo (cf. Mc 1,8 e par.). E poi Gesù stesso aveva promesso ai discepoli il dono dello Spirito, del Soffio santo di Dio, in modo da non lasciare orfani quelli che l’avevano seguito (cf. Gv 14,18), e aveva profetizzato che lo Spirito sarebbe stato dato ai credenti come un fiume di acqua viva (cf. Gv 7,37-39). Ecco cosa si è compiuto a Pentecoste, quella che per gli ebrei era ed è la festa del dono della Torah, data a Israele in mezzo a tuoni, fuoco e tremore della terra (cf. Es 19,16-18).
Il brano odierno del quarto vangelo racconta il medesimo evento in altro modo, ma il significato è lo stesso. I discepoli sono riuniti tutti insieme nello stesso luogo e stanno “chiusi in casa”, per paura di coloro che avevano condannato e suppliziato Gesù alla vigilia della Pasqua. Da quella crocifissione sono passati tre giorni, tutto sembra finito. Ma ecco che “Gesù venne, stette in mezzo a loro e disse: ‘Shalom, pace a voi!’”. In quella situazione di paura, di chiusura, di sofferenza, Gesù “viene” come aveva promesso: “Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete” (Gv 16,16); “Io verrò di nuovo … verrò a voi” (Gv 14,3.18). Il Veniente si fa vedere come il Vivente risorto da morte, e per lui nulla è di ostacolo. La sua presenza è quella del corpo di Gesù di Nazaret, ma ormai corpo trasfigurato, non più votato alla morte e alla fragilità, corpo glorioso, cioè ripieno della gloria di Dio. Ma è il corpo di Gesù nato da Maria, vissuto nella terra di Israele, morto a Gerusalemme, è il corpo dal quale la passione e la sofferenza non possono essere cancellate: le mani, i piedi e il costato trafitti dalla crocifissione testimoniano la sua identità (cf. Gv 20,25.27).
“E i discepoli gioirono al vedere il Signore”, il Kýrios della chiesa in mezzo a loro vivente per sempre. Allora Gesù soffia su quel gruppo di uomini per ricrearli, per infondere in loro la vita nuova, una vita animata dal Soffio di Dio. Come Dio aveva soffiato sul volto di Adamo, il terrestre, per infondergli vita (cf. Gen 2,7), così Gesù soffia lo Spirito creatore su quei discepoli, che non solo diventano la sua chiesa ma il suo corpo stesso vivente grazie alla potenza dello Spirito santo. Comprendiamo allora come le parole di Gesù: “Prendete, mangiate, bevetene tutti” (cf. Mc 14,22-24 e par.; 1Cor 11,23-25), parole che chiedono di riceverlo, sono spiegate compiutamente da questo comando: “Ricevete lo Spirito santo”. Il dono di Gesù è lo stesso: ricevendo lo Spirito diventiamo il suo corpo, mangiando il suo corpo e bevendo il suo sangue riceviamo lo Spirito santo!
Lo Spirito santo è vita in pienezza, dunque è remissione dei peccati, cioè liberazione da tutto ciò che contraddice e ferisce, a volte mortalmente, la vera vita. Questo Spirito che i discepoli ricevono e che li assolve dai peccati, li rende a loro volta capaci di rimettere i peccati. Ecco cosa c’è alla radice della loro missione: perdonare e annunciare il perdono. Può sembrare poco, ma in verità è decisivo. In ogni caso, è l’unica esperienza di Dio e del suo amore che noi possiamo fare prima della morte, prima di vedere Dio faccia a faccia. Proprio come la chiesa ci fa cantare ogni mattina nel Benedictus: “Il Signore ci ha dato la conoscenza della salvezza nella remissione dei nostri peccati” (cf. Lc 1,77).   [E. Bianchi]

***

giuseppe-dossetti
Mentre gli Atti degli Apostoli parlano dell’effusione dello Spirito Santo come di un evento accaduto cinquanta giorni dopo la Pasqua, Giovanni dice che il Signore ha effuso lo Spirito sugli apostoli riuniti nel cenacolo la sera stessa di Pasqua, in occasione della manifestazione collegiale,
….La Pentecoste non è av­venuta solo in quell’istante supremo che Luca descrive come il cul­mine di tutti gli eventi della storia della salvezza, ma permane in una continuità stabile e ordinaria perchè ormai si identifica con tutto il tempo della Chiesa e, attraversandolo tutto, già s’inserisce nell’eter­nità.
Questa è la prospettiva di Giovanni. Come è espressa questa stabilità? E’ espressa con un atto che sem­brerebbe essere il massimo dell’inconsistenza: Gesù alita.
Che cosa c’è di più  inconsistente dell’alito?
Eppure questo soffio ha il massimo d’intensità, di solidità, perche non è il soffio dell’uomo ma è il soffio di Dio, è l’equivalente del soffio di cui si parla nel cap. 2 della Genesi: ” E il Signore Iddio formò l’uomo dalla polvere della terra e alitò nel­le sue narici un soffio vitale e l’uomo divenne anima vivente “ (v. 7). …  Il soffio di Gesù è in parallelo con il “ sof­fio vitale “ della creazione, ma ha un potere enormemente più grande e trasformante del soffio di Dio che ha alitato l’esistenza nel primo Adamo.    
Il primo soffio aveva dato origine al mondo e al primo uomo  iI soffio di Gesù, in quanto è II Signore risorto nella pienezza della sua divina signoria, costituisce sulle sue basi ormai incrollabili la nuova creazione.   
Secondo la prospettiva di Giovanni, è precisamente questo soffio che fa del dono dello Spirito, nel giorno stesso di Pasqua, qualcosa che crea una stabilità definitiva.  … 
II primo uomo si riduce in cenere, in polvere, ritorna alla terra: la prima creazione deve essere incene­rita dal fuoco; il secondo uomo, l’uomo nuovo, alitato dallo Spirito di Dio, è definitivo, costituito signore esso stesso, e il nuovo mondo è ormai costituito  su basi solide che non subiranno pia nessun crol­lo.     
Oltre al rapporto tra la prima e la seconda creazione, c’e anche un rapporto tra la prima creazione e il peccato e tra la  seconda crea­zione e la riconciliazione.
Il rapporto tra la prima creazione e il peccato è richiamato dello stesso Giovanni: “E dopo aver così parlato, alitò su di essi, dicendo loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno loro rimessi…” (Gv 20,22-23). 
…. Il peccato degli uomini potrà reinserirsi nella vi­cenda umana solo nella misura in cui ci si stacca da lui; ma quando si rimane in lui, lo Spirito che egli stesso ha effuso è tale che non si può peccare.  … Ancora dalla Prima lettera di Giovanni:   “ Da questo dovete conoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che confessa Gesù Cristo venuto in carne, è da Dio “ (1 Gv 4,2).  
Ecco il discernimento dello Spirito!   
  Lo Spirito è dato ed è ricevu­to, e produce quest’effetto: confessando che Gesù è il Figlio, si par­tecipa del suo Spirito; e se questa confessione non è solo verbale ma di tutto I’essere, non solo il peccato è rimesso, ma non si può pecca­re.     
II nostro peccato infatti non è altro che la conseguenza di una in­termittenza di contatto con Gesù nella fede; ma quando c’e la con­fessione integrale che Gesù è il Figlio, l’uomo è impeccabile, perché partecipa dello Spirito che è stato alitato su di lui. ( G. Dossetti )
 

Ascensione: ritorno di Gesù al Padre. Con lui la sua umanità, la sua realtà globale, totale, tutto il suo essere, venuto dal Padre, ritorna al Padre.

ascensione
…. L’ascensione del Signore è veramente un mistero chiave per la comprensione dell’oggetto della nostra fede. …  se vera­mente non si e arrivati a stabilire un rapporto vitale con il mistero dell’ascensione del Signore, è difficile che il nostro rapporto globale con il mistero di Cristo sia nella luce.   ….
Il Signore nel discorso dell’ultima cena con molta insistenza dice che l’atto di fede fondamentale è di credere che Egli è uscito dal Padre.
 Ora noi sappiamo bene che venuti dal Padre siamo anche tutti, tutti noi siamo venuti dal Padre.
 Ê stata la volontà del Padre che ci ha fatto essere e che ci fa vivere in questa vita, quindi c’è un senso in cui tutti noi siamo venuti dal Padre.
 Ma allora che cosa vuol dire il Signore quando dice che l’atto di fede fondamentale -e ci gira intorno incessantemente in tutti i capitoli dal 13 in avanti di Giovanni -è il credere che Egli è venuto dal Padre?
 Vuol dire che Egli è venuto dal Padre in un modo tutto personale, assolutamente diverso da quello in cui ogni altra creatura, noi compresi, è venuto dal Padre.
Cioè che egli è venuto dal Padre nel senso che è della stessa sostanza del Padre.
Che veramente Lui e il Padre sono ed erano una cosa sola, ed erano una cosa sola prima che il mondo fosse, prima quindi che tutte le creature venissero dal Padre.
Questo è il nostro atto di fede fondamentale: credere che Gesù è venuto dal Padre in questo senso.
 Allora l’Ascensione che cos’è nella sua immediatezza più diretta in rapporto alla base della rivelazione?
 L’Ascensione è il ritorno di Gesù al Padre in questo senso tutto particolare e fortissimo. Per cui Lui, la sua umanità, la sua realtà globale, totale, tutto il suo essere, venuto dal Padre, ritorna al Padre.
 Come è venuto dal Padre senza mai uscire dal Padre, senza mai separarsi da Lui in quanto alla sostanza, così ora ritorna al Padre nel senso che si realizza pienamente in Lui anche in un modo storico, per la sua umanità, questo reingresso nel seno del Padre, da cui è uscito e in cui è, a un tempo, da tutta l’eternità.
 Dunque il mistero dell’Ascensione è il ritorno di Gesù al Padre, di cui noi possiamo misurare la portata nella stessa misura in cui noi crediamo che Gesù è uscito dal Padre.
 Quanto più per noi si precisa, si approfondisce, diventa non solo pensiero, ma vita, l’esperienza di questa unicità della venuta di Gesù dal Padre, in questo modo assolutamente unito e personalissimo in cui Lui è venuto dal Padre, tanto più noi possiamo capire l’Ascensione, capire cosa vuol dire l’Ascensione come ritorno di Gesù al Padre.
 Questo è l’atto di fede fondamentale.
 Gesù è venuto dal Padre, Gesù ritorna al Padre in questo senso assolutamente unico e personalissimo.
 Ora questo che è l’atto di fede fondamentale, nel suo proprio nucleo, quello che poi conta che noi crediamo conta che soprattutto noi viviamo sperimentiamo nella nostra vita di fede, si complica nello stesso linguaggio della Scrittura con un’altra coppia di concetti che in un certo modo è simmetrica a questa: venuto, ritornato; cielo e terra
 
Ed ecco perché è molto importante renderci conto di che cosa vuol dire questa “Ascensione” di Gesù al “cielo”, di questa attesa da parte dei discepoli e dei cristiani di Gesù dal cielo …
 Quindi a che cosa noi siamo chiamati?
 Ce lo dice Paolo in quel brano al quale dobbiamo sempre tornare, l’inizio del cap. 1,17 fino al 20: Affinché Iddio di nostro Signore Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia lo Spirito di sapienza e di rivelazione per meglio conoscerlo, e illumini gli occhi del vostro cuore, sicché comprendiate qual è la speranza della sua chiamata, quali tesori di gloria la sua eredità riserva a voi tra i santi e qual è, verso di noi che crediamo, la smisurata grandezza della sua potenza, secondo l‘operazione dell‘efficacia della sua forza, che egli dimostrò nel Cristo, risuscitandolo dai morti e facendolo sedere alla sua destra nelle regioni celesti.
 Comprendere la Risurrezione di Gesù, la sua Glorificazione e la sua Ascensione, vuol dire penetrare il mistero più intimo dell’essere di Dio, sentire tutti gli esseri esistenti il Lui, acquisirne progressivamente, per il Cristo che è entrato in Dio, l’esperienza di tutti gli esseri in Dio.
La nostra esperienza prima di tutto, di noi stessi in Dio per il Cristo, e poi l’esperienza di tutti gli altri esseri, per il Cristo, in Dio. Di modo che non si può dare più nessun’altra unità con gli altri esseri, se non un’unità che sia adeguata da questa esperienza del nostro rapporto col Cristo in Dio.
Ecco perché tutti gli altri nostri rapporti divengono assorbiti e condizionati da quest’esperienza del Cristo in Dio. Noi non possiamo più avere rapporti di unità con un’altra creatura, se non mediatamente al Cristo stesso. Anzi al Cristo in Dio. Ed ecco allora non possiamo avere più esperienza della nostra personalità e del suo dilatarsi, se non nell’esperienza di Cristo in Dio.
Ed ecco perché allora di qui vengono ricavati i principi regolatori della nostra possibilità di dilatare il nostro essere (il problema dell’ebbrezza) e di entrare in comunione con un’altra creatura, se non nel mistero stesso fondante in Cristo e con la mediazione sua diretta e personale (il mistero del sesso).
Tutta l’Ascensione, tutti gli aspetti dell’esistenza cristiana, sono in questo; ed è attraverso la comprensione sempre più fonda di questa coppia di concetti: uscito da Dio -ritornato a Dio; terra e cielo (ma cielo è come Dio, non al di fuori e al di sopra, ma dentro di noi, negli spessori più intimi e più profondi del nostro stesso essere) che noi riconfermiamo tutta l’unità del mistero cristiano e della nostra esistenza, del mistero di Cristo e della nostra esistenza in Lui.
Diventa veramente il mistero chiave, non solo della realtà, ma il mistero chiave anche della comprensione della realtà e quindi dell’illuminarsi della nostra fede. Ê soltanto un abbozzo questo che abbiamo tracciato stamani, ma adesso dobbiamo chiedere al Signore che cancelli le parole e le faccia completamente tacere e che cancelli anche la loro eco nella mente e nei cuori, e invece parli soltanto Lui con la potentissima attrattiva del suo essere che è in noi e del suo essere in noi in Lui»   (Tratto da: “G. Dossetti, omelia registrata, 11.5.1972”).

VI Domenica di Pasqua "L’ amore dell’uomo verso Dio non può essere ridotto a desiderio, a passione, ma deve avere i connotati di un amore che è ascolto della parola, della volontà di Dio, e nello stesso tempo assenso ad essa."

Gesù e i discepoliPrima Lettura (At 8,5-8.14-17)
In quei giorni, Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città.
Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.
Seconda Lettura (1 Pt. 3,15-18)
Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.
Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo.
Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.
 

Mi viene a mente quanto scriveva Francesco – si era nell’epoca delle crociate – ai suoi, mandandoli fra i Saraceni.bladucci
Diceva di stare con loro come amici e solo dopo questa amicizia potevano rendere conto della loro fede. Invece noi siamo andati con gli stendardi della fede garantiti dalle spade, abbiamo proclamato Cristo re del mondo ed abbiamo ammazzato gli uomini.
Dobbiamo presentare la speranza con pudore, con timidezza, anche con incertezza, con la perplessità che la speranza ha sempre, stando accanto a coloro che cercano le ragioni di sperare.
Dice Pietro, con parole straordinarie se pensiamo a quando furono scritte, «Tutto questo sia fatto con dolcezza e rispetto e con una retta coscienza».
Questa è la comunicazione della speranza.
La terza articolazione importante è che questa speranza attraversa tutte le barriere umane.
L’episodio di Filippo che va in Samaria è illuminante.
Noi sappiamo chi erano i Samaritani: erano l’apartheid di Israele, erano quelli con cui non si parlava.
Il messaggio arriva ai Samaritani e la città di Samaria ebbe una grande gioia: uscivano i demoni, gli storpi e i paralitici erano risananti. C’erano tra di loro alcuni che erano stati battezzati ma non avevano ricevuto lo Spirito Santo.
Questo gruppo di cristiani battezzato solo nel nome di Gesù raffigura bene – mi sia permesso di giocare un po’ di analogia – quei cattolici che amano Gesù Cristo ma non hanno ricevuto lo Spirito Santo.
Lo Spirito Santo ha di proprio che spezza i confini.
Chi crede nello Spirito Santo non appartiene più nemmeno alla chiesa ma appartiene all’umanità. È nella chiesa ma appartiene all’umanità.
Non ci sono barriere. Invece noi abbiamo una fede senza Spirito Santo e quindi aggressiva, incapace di capire la voce degli altri, perché solo lo Spirito ha la scienza della voce altrui.
Questa dilatazione è un effetto della speranza che nasce dalla fede e della fede che nasce dalla speranza, in una specie di reciprocità inscindibile.
Con questi ritmi interni la nostra esistenza , senza perdere la sua radice, si dilata e diventa consustanziale, spontaneamente, a tutti i moti dell’essere, anche nella sua gerarchia di valori strutturali: l’uomo è un tutto.
Nei primi tempi il termine cattolico non voleva indicare universalità geografica ma voleva indicare una pienezza.
La fede è cattolica perché investe tutto l’uomo.
È una dimensione che tocca l’asse dei valori e non le latitudini geografiche.
Quando questa speranza investe tutti i valori essa è degna di camminare in tutti i sentieri dell’uomo e non è mai aggressiva, anzi ritrova il senso del nostro cammino anche nel cammino altrui, anche in chi non ha mai conosciuto queste parole.
Anche in chi invoca Buddha, Shiva. Allah, c’è lo Spirito Santo.
Lo Spirito Santo insegna alfabeti diversi all’umanità diversa.
Questa apertura non è facile irenismo, svendita della nostra gelosa individualità: è scoperta delle stesse sorgenti anche nel mondo degli altri. E questo significa essere secondo lo Spirito Santo.
Partendo così dalla radice profonda che in ciascuno di noi si risolve in una oscillazione fra disperazioni e speranza siamo arrivati ad allargare il nostro sguardo sul mondo intero per ritrovare, nella vastità della storia umana, la stessa cifra e la stessa risposta. ( Ernesto Balducci – da “Gli ultimi tempi” – vol.1 – anno A)

 
Vangelo ( Gv. 14,15-21)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
BianchiNel testo del vangelo di oggi, immediatamente successivo a quello di domenica scorsa, Gesù chiede ai discepoli di amarlo, di nutrire un vero amore per lui. Ciò che nello Shema‘ Jisra’el (cf. Dt 6,4-9) viene chiesto al credente: “Amerai il Signore tuo Dio” (Dt 6,5), Gesù ha l’audacia di chiederlo per sé. Ma noi dobbiamo chiederci che cosa significa amare Dio, amare Gesù. 
Non è facile rispondere e occorre capire bene quale amore il Signore indica e vuole nei suoi confronti. Noi umani conosciamo l’amore soprattutto come desiderio, è la nostra esperienza nelle storie d’amore e nella vita quotidiana: amiamo quando pensiamo all’altro, quando desideriamo la sua presenza, quando desideriamo il suo amplesso, quando ricordiamo l’altro con nostalgia e dunque lo invochiamo. In questo amore Dio diventa l’Altro, ma l’Altro come oggetto, e lo si ama come si ama una donna, un uomo, un figlio. 
Ma Dio può essere amato così, lui che è invisibile, che non possiamo vedere?
Dobbiamo in verità vigilare molto sull’inganno insito nel movimento di amare Dio.

Ascoltando con attenzione la Bibbia, ci rendiamo che molte volte Dio chiede all’uomo di amarlo e che molte volte l’uomo risponde a questo invito amando Dio, ma comprendiamo anche che questo amore dell’uomo verso Dio non può essere ridotto a desiderio, a passione, ma che deve avere i connotati di un amore che deriva dall’ascolto di Dio; di un amore – potremmo dire – obbediente (da ob-audire), un amore che è ascolto della parola, della volontà di Dio, e nello stesso tempo assenso ad essa.
E così amare Gesù non può significare farne l’oggetto del nostro desiderio, anche perché in tal modo si rischia di amare una proiezione nostra, un’immagine di Gesù da noi manufatta. In questo caso il nostro amore si infiamma, diventa più focoso, ma è amore per un nostro prodotto, per un idolo. L’amore autentico per il Signore, invece, si lascia plasmare dalla parola che il Signore ci rivolge, e dunque è sempre realizzazione della parola di Dio, è un fare ciò che lui comanda e vuole. Quando un cristiano sostituisce la volontà del Signore alla propria, allora ama il Signore; quando un cristiano vive in sé “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5), allora ama Gesù.
Per questo Gesù dice: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”; il che significa anche: “Se voi non li osservate, allora non mi amate veramente, anche se credete di amarmi per il desiderio di Dio, del Signore che vi abita”. L’amore di desiderio non è sufficiente, e noi che dissociamo facilmente amore e obbedienza facciamo difficoltà a capirlo: ci è più facile l’amore che crediamo di leggere nei mistici, amore ardente per Dio fino a consumarsi… No, Gesù dice: “Voi siete miei amici, se fate ciò che vi comando” (Gv 15,14).
Questo è l’amore liberante del Signore in noi e l’amore vero in noi per lui: non l’amore di se stessi nell’altro, non la proiezione di un’immagine da noi fabbricata e applicata su Gesù per amarlo di più, ma un amore che è imitatio Dei, che è bisogno di conformità a Cristo, che è sequela ovunque lui vada (cf. Ap 14,4), per essere sempre con lui vivendo come lui vuole che noi viviamo. Amare Dio è volere ciò che lui vuole, è amarlo come lui ama.
Affinché questo possa compiersi in noi, allora Gesù promette “un altro Paraclito”, un altro accanto a noi (pará, “chiamato”; kletós, “chiamato”), un’altra guida, un altro difensore, sempre con noi come Soffio di verità e di fedeltà che ci può ispirare, sostenere e aiutare a compiere l’opera che Dio ci affida. Così i discepoli non sono orfani: Gesù non è più sulla terra accanto a loro, ma colui che è sempre stato il compagno inseparabile di Gesù, resterà con loro e in loro, con noi e in noi. È Spirito di amore – non dimentichiamolo – e ci insegnerà l’amore, ci ordinerà l’amore, accrescerà in noi l’amore per Dio e per i fratelli e le sorelle che sono con noi nel mondo. E amando in tal modo si conosce Dio.   ( E. Bianchi )

V Domenica di Pasqua: "Non dobbiamo vergognarci di sentirci scartati " – "Il Dio di Gesù è un Dio che chiede di essere accolto per fondersi con la persona, dilatare la sua capacità d’amore."

chi vede me vede il padre In questa domenica un commento alla prima e seconda lettura di P. Ernesto Balducci tratto da ” Il mandorlo e il fuoco” vol I° e di seguito un commento al vangelo di fr. Aberto Maggi.
II LETTURA: ( At. 6,1-7)
In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove.
Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero:
«Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense.  Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola».   Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani. E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede. ”
 
II LETTURA: ( 1.pt. 2,4-9)
Carissimi, avvicinandovi al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo.
Si legge infatti nella Scrittura: «Ecco, io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso». Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credono la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo e sasso d’inciampo, pietra di scandalo. Essi v’inciampano perché non obbediscono alla Parola. A questo erano destinati. Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa
balducciUn segno chiaro ci viene dalla Scrittura di oggi.
Secondo lo Spirito di Cristo il popolo suo è un popolo sacerdotale, dove tutti sono sacerdoti.
I costruttori del mondo che han fatto?
Hanno distinto nella Chiesa i sacerdoti e i non sacerdoti.
Ci risiamo: ritornano le regole dei costruttori.
Perché come si fa ad essere tutti sacerdoti?
Ci vorrà pure una classe che dirige!
Certo, ci vorrebbe, ci vuole. Il Signore ha previsto gli apostoli.
Ma gli apostoli sono quelli che servono, che servono fino a preoccuparsi delle necessità materiali, a condannare la discriminazione che stava entrando nella Chiesa.
Gli ellenisti erano gli aggregati, solo gli ebrei erano i veri cristiani perché del ceppo di Abramo. C’era già il classismo.
Le vedove degli ellenisti erano trascurate.
Fin nella Chiesa Pentecostale entrava la lama terribile della discriminazione.
E la premura della Chiesa qual è? Quella di vincere la discriminazione secondo le regole della fraternità totale.
La Chiesa sempre si ricostruisce sulla Parola. O meglio, sulla pietra scartata.
Per questo dobbiamo abituarci ad una immagine di Chiesa non certo diversa da quella del fondamento degli apostoli, ma diversa da quella a cui siamo assuefatti.
È questo che spesso ci divide.
E nella divisione sgorgano le passioni represse, Dio ci perdoni!
Ma come potrebbe esserci rimproverato l’amore per una Chiesa che nasce continuamente secondo questa legge?
Che forse non tutti leggiamo lo stesso Vangelo, non tutti ricordiamo le stesse parole?
Non siamo tutti innamorati della stessa via che è Gesù Cristo?
Ebbene, questo sta avvenendo, in qualche modo. Ed è uno dei segni più grandi, dolorosi (ogni segno grande della Rivelazione è anche una lama che taglia) dell’azione dello Spirito nella Chiesa di Dio.
Dobbiamo costruirci secondo questa legge. Ma dobbiamo essere anche pronti ad accettare – perché non diventi questa meditazione soltanto una carta di legittimità del dissenso – quello che ho accennato: che cioè noi siamo in gran parte complici di questo mondo.
Noi siamo quelli che scartano e quelli che sono scartati.
Vorrei trovare il modo – senza forzare il discorso – di far discendere questa riflessione sul piano dell’applicabilità quotidiana.
Non dobbiamo vergognarci di sentirci scartati – se lo siamo – per la fedeltà a questa Via.
Se siamo scartati perché non siamo troppo inclini all’ossequio, beati noi: è previsto.
Se siamo scartati perché non applaudiamo al primo predicatore, o al primo capo che arriva, o al primo capopopolo, perché siamo fedeli, beati noi!
Se siamo scartati perché non siamo diplomatici, beati noi! Cioè dobbiamo non vergognarci di questo evento: essere scartati per fedeltà. E un segno che noi siamo pietre vive.
Se ci avviene che questa fedeltà dia scandalo ai costruttori e ai loro manovali, beati noi!
I costruttori vogliono gente docile, pietre che si squadrano secondo il compasso.
La pietra viva è la pietra che non sta nella geometria.
Beati noi se siamo scartati, se non si rientra nel disegno, se guastiamo il disegno.
Beati noi se lo facciamo per Cristo, non perché siamo individualisti, soggettivisti, ma perché siamo fedeli a questa scelta.
Solo adesso possiamo riproporci la domanda fatta all’inizio, possiamo domandarci: Chi è Dio?
Dio non si conosce domandando chi è, Dio si conosce scegliendo – secondo la via che è Cristo – la parte di coloro che sono scartati.
Questo non è solo un evento moralmente bello, è un evento intellettualmente rivelatore.
C’è un intellettualismo che è il riflesso teorico di un atteggiamento opposto alla realtà di Dio. Ma chi si inserisce nel mondo con questa mitezza, con questa solidarietà con coloro che subiscono i colpi negativi, di rigetto, dei costruttori del mondo, ha una certa cognizione di Dio.
Si capisce la diversità di Dio non nei concetti ma nell’esistenza: Dio c’è, Dio è ed è il Dio di Gesù Cristo, non il Dio dei filosofi, costruttori anche loro che hanno spesso bisogno di mettere Dio nel frontone dell’edificio.
La Chiesa che è uguale a se stessa è una costruzione del mondo; ma la Chiesa che non è mai se stessa perché continuamente tesa al grido verso lo Sposo che viene, questa Chiesa sarà debole perché non si sa mai cos’è.
Una Chiesa simile non serve ai politici, ai finanziatori, agli economisti, ecc. Non serve a nessuno. Sarebbe giusto che servisse soltanto a portare questa profonda, legittima, e non alienante consolazione al cuore di coloro che si sentono scartati.
Beati voi, pietre vive!
Non siete fatti per costruire l’edificio di questo mondo , che è già minato alla base. L’occhio profetico scopre le crepe degli edifici e dice – come io Signore disse – «Non rimarrà pietra su pietra, di questo edificio».
Beati voi che siete già parte viva del Regno che cresce. E allora il vostro cuore si protenderà verso la cognizione di quel Dio che è già presente nel suo tempio, non manufatto, non creato dall’astuzia dell’uomo, perché è il Cristo stesso.

***

 
VANGELO: ( Gv. 14,1-12 )
“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».”
Alberto Maggi1Sono gli ultimi momenti che Gesù sta con i suoi discepoli e Gesù li vuole rassicurare, tranquillizzare. Vuol far loro comprendere un paradosso: che la sua morte non sarà una perdita per loro, ma un guadagno; che la sua morte non sarà un’assenza, ma una presenza ancora più intensa.
Quindi Gesù, che ha appena annunziato il tradimento di Pietro ai discepoli che sono turbati e sui discepoli sta per abbattersi una tempesta tremenda, Gesù li rassicura che Dio è con lui.
Ecco perché Gesù dice: «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me»”.
E poi rassicura sull’effetto della sua partenza e dice che «Nella casa del Padre vi sono molte dimore»”.
Qui bisogna comprendere bene questo versetto alla luce poi del versetto 23 quando Gesù dirà: «Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui»”. Non si tratta qui di una dimora presso il Padre, ma del Padre che viene a dimorare tra gli uomini. Questa è la novità, la grande novità proposta da Gesù: non c’è più un santuario dove si manifesta Dio, ma in ogni persona che lo accoglie, lì Dio si manifesta.
Quindi il Dio di Gesù è un Dio che chiede di essere accolto per fondersi con la persona, dilatare la sua capacità d’amore. Questa sarà la sua dimora.
Ma perché Gesù parla di “molte dimore”?
Perché, essendo Dio amore, l’amore non si può esprimere e manifestare in una forma sola, ma in molteplici forme quanto molteplici sono le nature degli uomini, le loro situazioni.
Poi Gesù continua questa rassicurazione dicendo che dove lui è saranno anche loro, cioè nella sfera della dimensione divina, nella sfera dell’amore.
 
E qui Gesù viene interrotto da uno dei discepoli, Tommaso, che chiede, letteralmente: “«Non sappiamo dove t’incammini»”. E’ un verbo che indica un cammino senza ritorno. Lui non capisce come la morte possa avere degli aspetti positivi. E Gesù risponde con un’affermazione solenne, importante: «Io sono»”, quindi rivendica la condizione divina, “«La via»”, cioè un cammino verso qualcosa e questo cammino è verso «la verità»”.
Gesù non afferma di avere la verità, Gesù non dice: “Io ho la verità”, ma “Io sono la verità”. E non chiede ai discepoli di avere la verità, ma di essere la verità.
Grande è la differenza.
Chi ha la verità, per il fatto stesso di possederla, si ritiene in grado di giudicare, e condannare chi non la pensa come lui.
Essere nella verità significa essere inseriti nello stesso dinamismo d’amore di Dio che vede il bene dell’uomo come valore assoluto.
Essere nella verità significa non separarsi da nessuno, ma essere accanto a tutti in un atteggiamento d’amore che si trasforma in servizio.
La verità è un dinamismo divino che non si può esprimere attraverso formule dottrinali, ma soltanto attraverso un’offerta d’amore e comunicazione di opere d’amore. E al finale c’è “la vita”.
Chi segue Gesù in questo cammino ed è come lui verità, arriva verso la vita indistruttibile, la pienezza della vita.
 
E poi Gesù dice ai discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre»”. Stranamente non dice “lo conoscerete nel futuro, ma Gesù afferma: «Fin da ora lo conoscete e lo avete veduto»”.
Dov’è che i discepoli hanno veduto e conosciuto il Padre?
Nella lavanda dei piedi. Gesù, che è manifestazione visibile di Dio, ha mostrato chi è Dio: amore che si fa servizio.
Allora, più autentica è l’adesione a Gesù, facendo della propria vita amore e servizio per gli altri, e più grande sarà la conoscenza del Padre.
 
E qui c’è un altro discepolo, questa volta Filippo; lui non capisce come in Gesù si possa manifestare Dio e replica: «Mostraci il Padre e ci basta»”.
Ecco l’importante rivelazione di Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre»”.
 
Al termine del prologo a questo vangelo, Giovanni aveva fatto un’importante dichiarazione: “Dio nessuno lo ha mai visto, solo il figlio ne è la rivelazione”.
Cosa significa questo? Che non Gesù è uguale a Dio, ma Dio è uguale a Gesù. L’evangelista invita a sospendere il pensiero su Dio, la conoscenza di Dio e a centrarsi su Gesù. Tutto quello che Gesù fa e dice, tutto questo è Dio.
Quindi tutte le idee, le immagini, i pensieri, le conoscenze che uno ha di Dio, e non li riscontra in Gesù, devono essere eliminati perché sono incompleti o falsi.
Gesù è molto chiaro: “Chi ha visto me ha visto il Padre”.
E qual è questo Padre che si manifesta in Gesù?
Amore che si fa servizio, come abbiamo visto nella lavanda dei piedi.
E Gesù, di fronte all’incredulità dei discepoli, dice loro che, se non gli vogliono credere per le sue parole lo credano almeno per le opere.
Le opere – e le opere di Gesù sono tutte azioni con le quali lui comunica e arricchisce la vita degli altri – sono l’unico criterio di credibilità.
Il finale è espresso in formula solenne, con l’Amen, Amen, cioè «In verità, in verità vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio»”, le opere di Gesù sono tutte comunicazioni vitali per gli altri e poi Gesù dice – e può sembrare sbalorditivo, “«ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre»”.
Come si fa a compiere azioni più grandi di Gesù?
Gesù non ha potuto rispondere a tutti i bisogni dell’umanità, ed è nella comunità dei discepoli che si rifà al suo nome e mette come unico valore assoluto della propria esistenza – l’unico e sacro – il bene dell’uomo, una comunità che si mette in questo dinamismo dell’ “essere verità”, quindi non di avere la verità per giudicare gli altri, ma di essere per avvicinare tutti, questa è una comunità dove l’azione divina crescerà e sarà in misura traboccante a favore degli altri.
Dice Gesù: “Tutto questo sarà perché io vado al Padre”, perché lui collabora con loro. Quindi Gesù li rassicura che la sua morte non sarà un’assenza, ma una presenza ancora più intensa e vivificante.

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