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Vangelo Domeniche e Festività

IV Domenica di Pasqua: l’umanità … è un grande gregge di alienati … C’è una sola pecora, l’Agnello, che ha infilato la via della morte e ha tramutato la via della morte nella via della vita per se e per tutti .

pastor bonusLa figura del Cristo pastore è un autentico mistero … molti possono aver meditato su singole espressioni come quella del versetto 1 “chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante ” o del versetto 2 “Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore” a cui il “guardiano apre… e le conduce fuori “ chiamando ciascuna per nome ( cfr vs. 3 )
Noi, spesso, siamo sviati e ammorbiditi da tante immagini, che si sovrappongono all’Evangelo e alla   parola di Dio a proposito di pastori, pecore, pastorelle e altre cose di questo tipo.
Per essere realisti diciamo subito che la figura del pastore, così come si presenta nella bibbia, è una figura drammatica.
Guardiamoci dalle dolci melodie del salmo 23 “ il Signore è il mio pastore…”   Anche in questo salmo c’è il dramma e infatti si parla di un avversario presente !
 
Quello che ci mette più realisticamente di fronte a ciò che il Cristo ha voluto dire riprendendo per se l’immagine del pastore … è l’affermazione che è venuto perché abbiano la vita dando la sua. ….
 
Il mondo intero che cosa è? .. E’ un gregge, questo è certo.
Noi annettiamo alla parola gregge un senso deteriore, ( una massa di pecore che non sa che cosa facciano,che cosa vogliano,condotte da una volontà aliena); ed è vero .. questo significato deteriore della parola gregge .. ha una sua verità: il mondo, gli uomini, l’umanità … è un grande gregge di alienati. ( cf. salmo 49) .. sotto il potere di un pastore che si chiama morte, .. un gregge avviato agli inferi, allo sheol. …
C’è una sola pecora, l’Agnello, che ha infilato la via della morte e ha tramutato la via della morte nella via della vita per se e per tutti …
Cristo vincitore finale e trionfatore ultimo, nel momento in cui avrà distrutto il pastore antagonistico in maniera definitiva, non solo in se ma in tutti i figli di Dio, apparirà come un pastore che – nonostante l’infinita dolcezza – mostra di nuovo una grande forza e una certa durezza. Perché è il pastore che pascerà gli uomini con verga di ferro … segno di un dominio che ormai è vittorioso e definitivo che si addolcisce per i suoi e si indurisce per coloro che non hanno riconosciuto la sua voce, che si sono rifiutati al suo amore, che lo hanno rinnegato e , quando lo hanno incontrato nella durezza della croce e della passione, non sono stati capaci di seguirlo attraverso il grande varco per il quale, solo, si può vincere.
Questo varco è la porta della vita, sì, ma è a un tempo un ingresso di morte inevitabile. All’inizio questa porta non presenta la vita, presenta la morte: il pastore stesso è l’Agnello sgozzato.
C’è una grande durezza in tutto questo .. che poi si addolcisce, si dilata, si libera … e sconvolge tutti i nostri calcoli e ogni nostro modo riduttivo di intendere la realtà del pastore. ..
La sua via è inevitabilmente la via del deserto,della sete, del pericolo, della croce; la via di una grande forza che non è la nostra, ma la sua.

 ( Don G. Dossetti – Omelie del tempo di Pasqua – 1978 )

III Domenica di Pasqua: Gesù è riconoscibile nel suo corpo e il suo corpo è la comunità che si riunisce per farsi alimento per gli altri.

emmausDai vangeli traspare che i discepoli sembrano essere più delusi della risurrezione di Gesù che della sua morte.
Nel vangelo più antico, che è quello di Marco, il testo termina con l’annunzio della risurrezione di Gesù alle donne, ma queste non dicono nulla a nessuno.
La stessa delusione traspare dal vangelo di Luca con l’episodio dei discepoli di Emmaus.
Perché questa delusione per la risurrezione di Gesù?
 Se Gesù è morto significa semplicemente che hanno sbagliato messia, perché il messia non può morire. Quindi se Gesù è morto, hanno sbagliato personaggio e c’è soltanto da attendere un nuovo messia.
 A quell’epoca i messia nascevano come funghi, quindi significava che s’erano sbagliati.
Ma, ed è questa la delusione, se Gesù è risuscitato, allora tutte quelle speranze di restaurazione del regno di Israele, di dominio sopra gli altri popoli pagani, vanno a farsi benedire.
Ecco la delusione che traspare in questo brano in cui ci sono questi discepoli che si recano dove?
E’ importante la località.
 Èmmaus era un luogo importante perché era il paese dove c’era stata una battaglia tra Giuda Maccabeo e i pagani, ed era stata vinta dagli ebrei.
Era il luogo della speranza del Dio liberatore, con la sconfitta dei pagani e la liberazione di Israele.
Ebbene Èmmaus richiamava tutto questo, la vittoria sui pagani e la liberazione di Israele. Quindi, visto che Gesù è morto, e non era lui evidentemente il messia, ecco che questi discepoli se ne tornano nel luogo che per loro è quello della rivincita e della vendetta di Dio sui pagani.
 
Di questi discepoli soltanto di uno viene detto un nome, che è tutto un programma. Si chiama Clèopa, che è un’abbreviazione di Cleopatros, che significa “del padre illustre, del padre glorioso”.
Ecco, questi discepoli sono infarciti di ambizione, di gloria, di successo.
E’ questo il messia che loro vogliono, il messia trionfatore.
 
Incontrano Gesù e, naturalmente, non lo riconoscono.
 Loro guardano al passato e non possono scoprire il Gesù che si presenta nel nuovo e a lui confidano tutta la loro delusione. “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele”.
 Ma Gesù non è venuto a liberare Israele, Gesù è il salvatore dell’umanità.
 Gesù non è venuto a restaurare il defunto regno di Davide, ma ad inaugurare il regno di Dio.
 
E ancora negli Atti degli Apostoli si legge che, visto che i discepoli non hanno compreso questo, una volta risuscitato Gesù, per ben quaranta giorni li riunisce e parla loro di un’unica tematica: il regno di Dio.
 
Ebbene, al quarantesimo giorno, uno dei discepoli gli chiede “Ma è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno di Israele?”
Gesù parla del regno di Dio, ma loro non intendono, sono ciechi e sordi, perché la loro idea e la loro speranza è la restaurazione del regno di Israele.
 
Allora Gesù “cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò…”
 Il termine utilizzato dall’evangelista è quello da cui deriva il termine “ermeneutica”, termine tecnico che significa interpretazione.  Quindi Gesù più che spiegare, interpreta la scrittura.  Perché questo?
Perché la scrittura può essere appresa soltanto con l’amore. Chi mette al primo posto, come valore assoluto, il bene dell’uomo, può comprendere la scrittura.
Questa è la chiave d’interpretazione dell’antico e del nuovo.
 
Ebbene, quando sono vicini al villaggio – il villaggio nei vangeli è sempre simbolo di tradizione, di incomprensione del messaggio di Gesù –  [i discepoli sono diretti al villaggio, sono diretti alla tradizione ], non riescono a comprendere il nuovo, mentre Gesù, scrive l’evangelista, “fece come se dovesse andare più lontano”.
 Gesù va verso il nuovo e loro invece vanno verso il vecchio.
 Comunque chiedono a Gesù di rimanere con loro.
E “quando fu a tavola con loro, prese il pane”, come ha fatto nell’ultima cena, ripete gli stessi gesti, “recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”.   “Allora”, scrive l’evangelista, “si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”.
 Gesù è riconoscibile quando il pane viene preso e spezzato.
Gesù, il figlio di Dio, si fa pane, spezza la sua vita per gli uomini, perché quanti loaccolgono e sono capaci a loro volta di farsi pane e alimento di vita per gli altri, diventino figli dello stesso Dio.
 E’ questa l’esperienza che rende percepibile la presenza di Gesù.
 “Ma egli” … non sparì come è scritto nella traduzione, ma letteralmente “… divenne invisibile”.
  Gesù non è scomparso, ma è invisibile perché Gesù ormai è visibile soltanto nel pane che si spezza, nel pane che è condiviso, nella comunità che si fa pane per gli altri.
 Infatti, quando tornano a Gerusalemme dagli altri discepoli, quello che i due di Èmmaus raccontano … “narravano di ciò che era accaduto lungo la via”.
 
“Lungo la via” era il luogo della semina sul terreno, che Gesù già aveva spiegato … “viene il satana”, che è l’immagine del potere che toglie via il messaggio.
Ecco perché loro non avevano capito l’annunzio, le parole di Gesù, perché sono immersi in questa ideologia di potere che li rende refrattari alla parola del Signore.
E come l’avevano riconosciuto?
Nello spezzare del pane.
Questo criterio era valido allora ed è valido ancora oggi.
Gesù è riconoscibile nel suo corpo e il suo corpo è la comunità che si riunisce per farsi alimento per gli altri.

II Domenica di Pasqua – Tommaso non esprime la sua incredulità, ma il disperato bisogno di credere!

Gesù e Tommaso minyLe prime parole che Gesù pronuncia ai suoi discepoli che si erano nascosti per paura di fare la stessa fine del loro maestro – il mandato di cattura era per tutto il gruppo di Gesù – sono: “Pace a voi”.
Non sono un augurio, un invito, Gesù non dice: “La pace sia con voi”, ma sono un dono, Gesù dona loro la pace.  
Nel termine “pace” viene racchiuso tutto quello che concorre alla pienezza di vita dell’uomo, in una parola alla “felicità”, quindi Gesù si presenta con il dono di una pienezza di felicità. E poi mostra loro subito il perché devono essere felici. Infatti mostra le mani e il fianco, cioè mostra la permanenza dei segni dell’amore, con il quale Gesù ha dato la vita per i suoi discepoli.
Infatti al momento dell’arresto Gesù aveva detto alle guardie “Se cercate me lasciate che questi se ne vadano”.
E’ il pastore che ha dato la vita per le sue pecore.
Poi Gesù torna di nuovo a ripetere questo dono della pace, ma questa volta è perché la comunichino all’umanità.
Infatti, dopo aver ripetuto “Pace a voi”, Gesù aggiunge: “Come il Padre ha mandato me…”, il Padre ha mandato il figlio a dimostrare un amore sino alla fine, “… così anch’io mando voi”.
Gesù invita i suoi discepoli a prolungare nel tempo l’offerta di vita di Gesù. E per questo comunica loro la sua stessa capacità d’amare, cioè comunica lo Spirito Santo.
 L’attività di Gesù, che in questo vangelo è stata descritta come quella dell’agnello che toglie il peccato del mondo, e toglie il peccato del mondo effondendo sulle persone lo Spirito Santo, viene prolungata dalla sua comunità.
Deve proporre e offrire ad ogni persona una pienezza di vita, una pienezza d’amore.
E poi Gesù continua dicendo: “Coloro ai quali cancellerete i peccati saranno cancellati, a coloro ai quali non cancellerete, non saranno cancellati”, questo è il verbo adoperato dall’evangelista.
Cosa vuol dire Gesù?
Non dà un potere per alcuni, ma una capacità, una responsabilità per tutti.
La comunità deve essere come la luce che splende nelle tenebre. Quanti vivendo nelle tenebre se ne sentono attratti ed entrano a far parte del raggio d’azione di questo amore, hanno il passato completamente cancellato.
Quanti invece, pur vedendo brillare questa luce, si ritraggono ancora di più nelle tenebre – Gesù l’aveva detto: “Chi fa il male odia la luce” – rimangono sotto la cappa dei loro peccati, sotto la cappa delle tenebre di morte.
 A questo incontro di Gesù con i suoi discepoli non c’era Tommaso.
Come mai Tommaso era assente?
I discepoli erano nascosti per paura di fare la stessa fine di Gesù.
Tommaso non ha paura; Tommaso è colui che al momento della risurrezione di Lazzaro aveva detto: “andiamo anche noi a morire con lui”. Ecco perché Tommaso è chiamato “il gemello”, quello che più assomiglia a Gesù.
Tommaso non è presente e quando gli dicono che Gesù è apparso, lui non esprime la sua incredulità, ma il disperato bisogno di credere. E lo fa con quell’espressione: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi … “, è l’equivalente dell’italiano, quando di fronte ad una notizia, noi diciamo “Non ci posso credere! Non è possibile!”
Otto giorni dopo, il ritmo è quello della celebrazione eucaristica.
E’ nell’eucaristia che Gesù si fa presente e comunica il suo amore. Gesù si manifesta a Tommaso che si guarda bene dal mettere il dito nelle piaghe di Gesù, ma prorompe nella più alta professione di fede di tutti i vangeli.
 Gesù era stato descritto dall’inizio del vangelo, come il Dio che nessuno aveva mai visto e che in lui si era manifestato. Tommaso lo comprende, si rivolge a Gesù chiamandolo “Mio Signore e mio Dio”.
 Il brano si conclude con una beatitudine. I credenti di tutti i tempi non sono svantaggiati nei confronti di coloro che hanno fatto quest’esperienza, ma addirittura avvantaggiati, perché hanno la beatitudine che non è stata detta per i discepoli, “Quanti crederanno senza aver bisogno di vedere”, Gesù li proclama “beati”.
Quanti chiedono un segno da vedere per poter credere, Gesù li invita a credere per essere loro segno che gli altri possono vedere. Questa è la buona notizia di Gesù che la comunità dei discepoli è chiamata a portare. ( A. Maggi )

Pasqua di Risurrezione – Cercate di capire la vostra fede nella Risurrezione. Cristo è risorto, veramente risorto.

ResurrezioneSe Maria di Màgdala si fosse recata al sepolcro un giorno prima, avremmo celebrato la Pasqua un giorno prima.
Scrive Giovanni nel capitolo 20 “Il primo giorno della settimana”, letteralmente “nel primo dopo il sabato”, “Maria di Màgdala si recò al sepolcro”.
Perché Maria di Màgdala non si è recata al sepolcro subito dopo la sepoltura di Gesù, ma ha atteso il primo giorno dopo il sabato?
 Perché è ancora condizionata dall’osservanza della legge del riposo del sabato.
E quindi l’osservanza della legge ha impedito di sperimentare subito la potenza della vita che c’era in Gesù, una vita capace di superare la morte.
 L’evangelista, attraverso questa indicazione, vuole segnalare ai suoi lettori che l’osservanza della legge ritarda l’esperienza della nuova creazione che viene inaugurata da Gesù.
L’espressione “il primo della settimana” richiama infatti al primo giorno della creazione. In Gesù c’è una nuova creazione, quella veramente creata da Dio non conosce la morte, non conosce la fine. Ma la comunità, rappresentata da Maria di Màgdala, è ancora condizionata dall’osservanza della legge. Per questo ritarda l’esperienza della risurrezione.
“Si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio”.
Le tenebre sono immagine dell’incomprensione della comunità che ancora non ha compreso Gesù, che si è definito “luce del mondo”, il suo messaggio, la sua verità. “E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro”.
Ebbene la prima reazione di Maria di Màgdala è correre da Simon Pietro e “dall’altro discepolo”.
Gesù aveva detto: «Viene l’ora in cui vi disperderete, ciascuno per conto suo»”.
Ebbene, l’evangelista attribuisce a questa donna, Maria di Màgdala, il ruolo del pastore che raduna le pecore che si erano disperse. “E annunciò loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!»
Non parla di un corpo, ma parla del Signore. E quindi già c’è l’allusione che è vivo questo Gesù.
Ebbene, Pietro e l’altro discepolo cosa fanno?
Si recano al sepolcro, l’unico posto dove non dovevano andare.
Nel vangelo di Luca sarà espresso molto chiaramente dagli uomini che frenano le donne che vanno al sepolcro, «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?»
Ebbene Pietro e l’altro discepolo vanno in cerca del Signore nell’unico posto dove lui non c’è, cioè nel luogo della morte.
Come Maria, per l’osservanza del sabato ha ritardato l’esperienza di una vita più forte della morte, perché Gesù non può essere trattenuto nel sepolcro, luogo di morte.
Lui è vivente.
Così i discepoli vanno al sepolcro, l’unico posto dove non si può trovare Gesù.
 Se si piange la persona come morta, cioè se ci si rivolge al sepolcro, non la si può sperimentare viva e vivificante nella propria esistenza.
 
Corrono tutti e due i discepoli, giunge per primo il discepolo amato, quello che ha l’esperienza dell’amore di Gesù.
Pietro, che ha rifiutato di farsi lavare i piedi e quindi non ha voluto accettare l’amore di Gesù espresso nel servizio, arriva più tardi. Ma l’altro discepolo si ferma e permette che sia Pietro il primo ad entrare.
Perché?
 E’ importante che il discepolo che ha tradito Gesù e per il quale la morte è la fine di tutto – e questo era il motivo del tradimento – faccia per primo l’esperienza della vita.
E poi entra anche l’altro discepolo, “vide e credette”.
Ma il monito dell’evangelista molto importante è che “non avevano ancora compreso le scritture che cioè egli doveva risorgere dai morti”. La preoccupazione di Giovanni è che si possa credere alla risurrezione di Gesù solo vedendo i segni della sua vittoria sulla morte. No!
La risurrezione di Gesù non è un privilegio concesso a qualche personaggio duemila anni fa, ma una possibilità per tutti i credenti.
Come?
Lo dice l’evangelista. “Non avevano ancora compreso le scritture che cioè egli doveva risorgere dai morti”.
L’accoglienza della scrittura, la parola del Signore, nel discepolo, la radicalizzazione di questo messaggio nella sua vita, e la sua trasformazione, permettono al discepolo di avere una vita di una qualità tale che gli fa sperimentare il risorto nella sua esistenza.
Non si crede che Gesù è risorto perché c’è un sepolcro vuoto, ma soltanto se lo si incontra vivo e vivificante nella propria vita.  ( A. Maggi )

***

« Di fronte a questo brano che la Chiesa ha fermato al v. 9 mi sono detto: strana questa comunità (?) del Cristo che in questi giorni ci fa leggere vangeli monchi nei quali la persona non appare. Ci può essere una questione liturgica (continuano poi); invece il motivo è detto: la Chiesa ci vuole subito dire: «Cercate di capire la vostra fede nella Risurrezione. Cristo è risorto, veramente risorto», ma non ce lo fa vedere e ci chiede di aderire con la nostra fede a questo. Ricordiamo quello che Gesù dice a Tommaso: «Beati quelli che crederanno senza aver visto» (20,29).
E vide e credette, cioè interpreta nello Spirito Santo non solo il messaggio ma anche una sequenza di cose -Sepolcro vuoto, bende -e il sudario in un altro luogo.
Scatta la scintilla del rapporto con il nostro proprio.
La fede nasce, scaturisce, si dilata, si trasmette (Cantico di Mosè: il Dio di mio padre) è trasmissibile di generazione in generazione per via delle nostre potenze invisibili; la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio.
Sono atti più semplici, … e forti di infima semplicità, come rileggere spesso il brano d‘oggi; farà crescere la nostra fede più di ogni altra cosa!
Questa è stata la mia esperienza e dei fratelli di questi anni ogni volta che andiamo al sepolcro li rileggiamo, cosa possiamo dire di nuovo?
Eppure creano.
Ê la scelta d‘oggi; è la responsabilità di noi presbiteri che dobbiamo fare per primi questo salto.
E poi cominciare a sperimentare la fecondità e la consolazione attraverso la via segreta della vita nascosta, che è Cristo.
«Io ho provato» dobbiamo poter dire, se no la nostra bocca deve chiudersi; qualsiasi altra parola che diciamo è dal maligno, dobbiamo tacere se non possiamo dire, senza privilegio ma per il battesimo che ogni cristiano ha ricevuto, «Un pochino ho esperimentato e forse posso dirti qualche mezzo che puoi usare anche tu».
Non avevano ancora capito, è detto del primo degli apostoli e del più amato.
Poi per illuminazione dello Spirito vedono e non possono fare altro che chiedere al Signore grazia.
E questo dobbiamo poterlo fare sempre farlo per esperienza: c‘è una cosa che rovescia la posizione, dissipa le tenebre.
Vi è la richiesta umile a Dio che non sappiamo se esiste, a Gesù che non sappiamo che è morto ed è risorto, perché se esiste, se è nato morto e risorto mandi lo Spirito in virtù del quale possiamo dire: Gesù è il Risorto a gloria del Padre» (d. G. Dossetti, appunti dell‘omelia di Pasqua, 14 aprile 1974).

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