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Vangelo Domeniche e Festività

Domenica XXXIII del T.O. – Non il vangelo della fine del mondo ma del nostro oggi – Dio nasce nelle cose vive non nei templi morti.

18Siamo alla fine dell’anno liturgico, e la chiesa ci fa ascoltare la prima parte del discorso escatologico di Gesù.
 Nell’imminenza della sua passione Gesù pronuncia una parola autorevole sulla fine dei tempi e sull’evento che ricapitolerà la storia: la venuta nella gloria del Figlio dell’uomo (cf. Lc 21,27), preceduta da alcuni segni che i discepoli devono saper leggere con intelligenza.
Colpisce la diversità dello sguardo che Gesù da una parte e «alcuni» dall’altra posano sul tempio.
Mentre questi ultimi ne ammirano «le belle pietre e i doni votivi», Gesù ne vede con sguardo lucido e profetico la fine ormai vicina.
Come il tempio e tutto il suo sistema cultuale, così anche le costruzioni e realizzazioni più «sante» dell’uomo sono destinate a finire: non sono esse a dover trattenere la nostra attenzione, ma il Signore che viene, di cui queste realtà sono soltanto un segno. ( E. Bianchi )
 …. Gesù aveva dichiarato il tempio una spelonca di ladri ,un tempio dove Dio era diventato una sanguisuga, che anziché comunicare la vita ai suoi fedeli gliela toglieva, come nell’episodio che precede questo brano, quello della vedova, che … si dissanguava per mantenere in vita il Dio che la sfruttava.
 Dio, nell’Antico Testamento, nella Legge, aveva previsto che con i proventi del tempio bisognasse mantenere proprio le categorie più deboli, rappresentate dalla vedova. Ebbene l’istituzione religiosa aveva deturpato il volto di Dio e non solo con i proventi del tempio non si mantenevano le vedove, ma erano le vedove, quindi la parte più debole della società, che dovevano dissanguarsi per mantenere in vita questo Dio vampiro.
 Gesù non tollera tutto questo e allora all’ammirazione dei discepoli Gesù risponde: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”.
 Questo è il primo dei grandi cambiamenti che avverrà nella storia.
Ogni istituzione religiosa e civile che si oppone al bene dell’uomo, che sfrutta l’uomo, che umilia l’uomo, Gesù ci assicura – ed è questa la grande speranza, la grande certezza dei credenti – cadrà, anche se sembra una cosa impossibile, come il tempio di Gerusalemme, una delle meraviglie del mondo, uno splendore come ammirano questi discepoli, tutto cadrà. ( fr. Alberto Maggi )
  
Non c’è sistema di potere economico, politico, religioso che sfrutti l’uomo, lo schiacci, lo umili e non vedrà la fine. E Gesù quindi ha parole di incoraggiamento verso i suoi, verso la comunità cristiana, avvertendo però che tutto questo non sarà indolore, perché questa società si rivolterà contro i discepoli di Gesù che annunziano un mondo nuovo.
 Interrogato poi dai discepoli sui tempi e i segni della fine, Gesù li esorta a esercitarsi al discernimento, in primo luogo come opposizione all’inganno: «Molti verranno nel mio nome dicendo: “Io Sono” – il Nome di Dio (cf. Es 3,14) – e: “Il tempo è vicino”».
Sì, la scena della storia, e in essa anche lo spazio religioso ed ecclesiale, ospita la comparsa di «falsi Messia e falsi profeti» (Mc 13,22) sempre pronti ad arrogarsi titoli che non spettano loro.
Vi è soprattutto un indizio che li smaschera: essi non hanno «i modi di Gesù Cristo», Messia venuto per servire e non per essere servito, ma vogliono il potere per dominare sugli altri a proprio arbitrio (cf. Lc 22,24-27). Ebbene, il cristiano è chiamato a resistere alle lusinghe di questi impostori, pronunciando con decisione il proprio «no» e ricordando che il comando di Gesù: «Non seguiteli!» è tanto netto quanto il suo: «Seguitemi!»…  ( E. Bianchi )
 
….Non vi lasciate suggestionare, non date ascolto a chi dice: io sono il Cristo, non andate a vedere le madonne o i santi, i miracoli che ci sono qua e là perché in quei luoghi non c’è nessuno.
Dio nasce nelle cose vive non nei templi morti, non nelle statue, non nei crocifissi dove si è come calcificata la nostra cupidigia dell’ assoluto.
Noi dobbiamo vedere Dio nella freschezza fragile del mattino e quindi, attorno a noi, nelle persone, nelle vicende familiari, nel bambino che nasce, in due che si amano, in due popoli che si incontrano, nelle dittature che cadono. Tutto questo è il Dio che nasce, il regno di Dio che viene.   (Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – vol. 3)
  Poi Gesù ammonisce a leggere guerre e catastrofi naturali senza cedere alla paura: si tratta di eventi storici che riguardano l’umanità di ogni tempo e che egli menziona non per allarmare, ma per rivelare «le doglie del parto» (Rm 8,22) che travagliano la creazione, la quale va verso un fine datole da Dio, verso la terra e i cieli nuovi del Regno.
«Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno a causa del mio nome»: ecco il grande segno annunciato da Gesù, la persecuzione dei suoi discepoli, addirittura da parte dei parenti e degli amici. D’altronde Gesù lo aveva detto: «Un discepolo non è da più del maestro …
Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi». È normale che i cristiani siano osteggiati dal mondo, e questa ostilità costituisce la prova della loro fedeltà al Signore: se egli, il Giusto, è stato ingiustamente perseguitato, perché dovrebbe avvenire diversamente ai suoi discepoli?
Anzi, la persecuzione diviene per i credenti «occasione di martyría, di testimonianza», nella certezza che lo Spirito santo, inviato dal Signore Gesù, li assisterà nell’ora della prova (cf. Lc 12,11-12).
Essi devono solo preoccuparsi di vivere la virtù cristiana per eccellenza, la perseveranza, cui Gesù lega una promessa straordinaria: «con la vostra perseveranza salverete le vostre vite».
 La vita cristiana non è questione di una stagione, ma richiede perseveranza fino alla fine: il cristiano è colui persevera nell’amore, continuando a compiere il bene tra gli uomini, anche a costo della propria vita. E la persecuzione altro non è che un’occasione per vivere la comunione con le sofferenze del Signore Gesù e mostrare la carità fino al limite estremo da lui insegnato e vissuto: l’amore per i nemici (cf. Lc 6,27-28; 23,34). ( E. Bianchi )
 Il brano dell’evangelista continua poi con il versetto 28 in cui conferma l’immagine di speranza, di salvezza e non di paura.
Gesù annunzia: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo perché la vostra liberazione è vicina”.
Quindi non catastrofi che mettono paura al gruppo di discepoli, ma l’annunzio di una grande verità: tutto quello che domina, che opprime e umilia l’uomo, man mano nella storia cadrà.
Questo comporterà inevitabili sofferenze ai componenti della comunità cristiana, ma questo non li deve scoraggiare perché sono già i vincitori. . ( fr. Alberto Maggi )
 Davvero questo vangelo non tratta della fine del mondo, ma del nostro oggi: la nostra vita quotidiana è il tempo della faticosa eppure beata (cf. Gc 5,11) e salvifica perseveranza.  (E.Bianchi)
 

XXXII Domenica del T.O. – per i risorti c’è una sola impossibilità, quella di morire. Avremo ogni possibilità nell’infinito di Dio

Di chi sarà moglie dopo risurrezioneDopo il suo ingresso messianico a Gerusalemme, Gesù si reca al tempio, il cuore della vita di alleanza tra Dio e il suo popolo.
Qui i rappresentanti dei vari gruppi religiosi di Israele, sempre più irritati dalla sua autorevolezza e «decisi a farlo perire» (cf. Lc 19,47), lo interpellano su varie questioni per coglierlo in fallo.
Nel brano del vangelo di questa domenica lo interrogano sulla resurrezione dei morti.  ( E. Bianchi )
La casta sacerdotale dei sadducei deteneva non soltanto il potere politico, ma anche il potere economico, erano molto ricchi.
Loro accettavano come parola di Dio soltanto i primi cinque libri della Bibbia e rifiutavano i libri dei profeti;  perché nei profeti è costante la denuncia di Dio contro l’ingiustizia che crea grandi ricchezze, ma anche tanta povertà.  
Si rivolgono a Gesù con un titolo ossequioso, Maestro, ma in realtà vogliono soltanto screditarlo.
E si rifanno a una questione che ha le sue basi nella legge del  levirato dove Mosè prescrive: se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. ( A. Maggi )
 Gesù non si lascia tentare dallo spirito polemico, ma risponde invitando i suoi interlocutori ad andare in profondità. Egli afferma innanzitutto che la sessualità, sulla quale pure riposa la benedizione creazionale di Dio (cf. Gen 1,28) , è transitoria in quanto appartiene alla condizione terrestre degli esseri umani ed è figura di una realtà che la trascende: la fedeltà, l’alleanza nuziale di Dio con il suo popolo, con tutti gli uomini  (cf. Os 2,18-22; Ef 5,31-32) !
Non la procreazione garantisce la vita eterna, ma la potenza di Dio: questo significa che gli uomini saranno «uguali agli angeli e figli della resurrezione», in una comunione finalmente piena con Dio nel Regno… ( E. Bianchi )
 
Perché Gesù cita gli angeli?  
 Perché i sadducei non credevano all’esistenza degli angeli.
 Come gli angeli ricevono la vita non certo dal padre e dalla madre, ma direttamente da Dio, così con la risurrezione la vita rimane eterna perché proviene da Dio. 
Ai sadducei, che si sono fatti forza dell’autorità di Mosè per opporsi a Gesù, Gesù ribatte a sua volta, riconducendosi proprio a Mosè, a quello che ha scritto, mostrando quanto sia miope e limitata la loro lettura della scrittura e si rifà alla risposta che Dio diede a Mosè nel famoso episodio del roveto ardente, quando disse: “Il Signore è il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”
E quando si dice che il Signore è il Dio di … non si intende tanto il Dio creduto da … Abramo, Isacco o Giacobbe, ma il Dio che protegge Abramo, Isacco e Giacobbe.  … con la sua vita, tenendoli lontani dalla morte.
Quindi essere sotto la protezione di Dio significa avere la sua stessa vita e il Dio fedele non permette che muoiano quelli che lui ha amato.
E il perché ce lo dice la frase più importante di tutto questo brano, che getta nuova luce sull’immagine della vita, della morte e delle risurrezione, “Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi, perché vivono tutti per lui”.  
 Il Dio di Gesù non risuscita i morti, ma comunica ai vivi, ai viventi, la sua stessa vita, una vita di una qualità tale che è capace di superare la morte.
 ( A. Maggi )
 «….per i risorti c’è una sola impossibilità, quella di morire. Avremo ogni possibilità nell’infinito di Dio». (d. Giuseppe Dossetti,  appunti di omelia, 1971)
 
Dio ama l’uomo di un amore più forte della morte, e l’uomo che vive per lui quale Signore vive eternamente, risuscitato dalla potenza di Dio!
Il vero problema non è dunque quello di porsi domande oziose sul «come» della resurrezione e della vita futura nel Regno.
Occorre piuttosto chiedersi: per chi e per che cosa vivo qui e ora?
Ovvero: sono capace di amare e accetto di essere amato?
A queste domande ha saputo rispondere Gesù, lui che ha creduto a tal punto all’amore di Dio su di sé da amare Dio e gli uomini fino all’estremo.
È in questo esercizio quotidiano che egli è giunto a credere e ad annunciare la resurrezione; anzi, potremmo dire che è stato il suo amore più forte della morte che si è manifestato vincitore attraverso la resurrezione.
Sì, credere la resurrezione è una questione d’amore, è “credere all’amore”, l’amore vissuto da Gesù, l’amore che porterà noi tutti a risorgere con lui per la vita eterna. ( E. Bianchi )

XXXI Domenica del T.O. – Zaccheo vede il suo peccato e vede Gesù.

Gesù e Zaccheo m[ Il brano del vangelo di questa domenica XXXI del T.O ]possiamo definirlo un brano di incontro penitenziale tra l’uomo e Gesù: è un racconto storico singolare perché esprime una realtà permanente.
In questo incontro, l’uomo Zaccheo compie delle azioni successive, interne ed esterne, che sono, alcune, la premessa e, altre, la conseguenza della parola di perdono di Gesù.
 L’azione interna che Zaccheo compie è il suo desiderio di vedere Gesù.
È un desiderio forte, intenso, che potremmo quasi chiamare « estatico », che fa uscire cioè Zaccheo fuori di sé.
Non è infatti spiegabile che sia la semplice curiosità a farlo correre per vedere Gesù, ad imporgli di fare le cose che sta facendo! È un profondo desiderio che lo muove dal ‘di dentro e che è già amore, un amore incoativo, incipiente per Gesù, che lo spinge a compiere un’azione esterna.
 L’azione esterna che compie Zaccheo è quella di mettersi a correre e di salire su un albero.
Stupisce che un uomo come lui, un impiegato, si metta a correre per la strada, e salga poi su un albero, cosa che non avrebbe fatto in un momento ordinario. È una persona che sta vivendo un attimo di amore così forte da dimenticare le abitudini, le convenienze, il suo nome, il suo prestigio, la sua boria.
Su questo amore intenso di Zaccheo ecco allora che cade la parola di amicizia di Gesù: «Oggi vengo a casa tua ».
È una parola bellissima ….  Questa parola di familiarità sorprende Zaccheo e suscita in lui alcune nuove azioni che non sono più di premessa ma di conversione.
…..
La parola di Zaccheo: «Signore, do la metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto» è la risultanza penitenziale, sociale, civile, comunitaria del cammino di Zaccheo. È il frutto di « penitenza» della sua riconciliazione.

“Tuttavia ci sono ancora due sottolineature da fare in questo cammino di Zaccheo.
…..
Il primo frutto dell’incontro penitenziale è  la gioia, una gioia che deborda, trabocca intorno a noi e che ci fa compiere con facilità azioni anche difficili a cui non ci saremmo mai decisi prima di aver ascoltato la parola di Gesù.
La seconda sottolineatura del cammino di Zaccheo è che lui stesso propone a Gesù la «penitenza» che vuoi fare e Gesù l’approva.
Zaccheo propone ciò che è più adatto per un uomo avido, imbroglione, desideroso di possedere come è lui.
Ha saputo cogliere il proprio punto debole e su questo si rinnova.
 Per lui il frutto di « penitenza» è la generosità verso i poveri, la prontezza nel riparare i torti che ha arrecato agli altri (non lunghe formule di preghiera, non pellegrinaggi, non gesti esteriori che non toccano). … Gesù l’approva e gli dice: « Oggi la salvezza è entrata in questa casa » ( C. M. Martini: Riflessioni sul salmo “ miserere” )
 Qualcosa attirava irresistibilmente Zaccheo verso di lui; tuttavia qualcosa lo faceva sentire molto distante da lui.  A volte ci sentiamo piccoli, non ci sentiamo all’altezza delle situazioni, spesso siamo in pochi.
È necessario salire sull’albero, ascoltare la Parola del Signore, ricevere il suo invito ed entrare in un rapporto singolare con lui.
  Siate contenti di essere cristiani; chi si lascia raggiungere dal Signore è contento. Sostenete il primato della Parola e custodite la Bibbia nel cuore, ve la affido come il dono più bello: entrate con fiducia e con amore nel terzo millennio e portate questa preziosa eredità.
  Domandate il dono della preghiera per poter vedere Gesù, perché essa è luogo della comunione intima con Dio e fonte della gioia che ogni giovane è chiamato a dire con la propria vita. I sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione siano il sostegno della vostra fede. ( C. M. Martini: da  alcuni estratti di discorsi o testi rivolti ai giovani )

***

….. Il Vangelo rivela un nome e una persona: chi è Gesù?
Zaccheo vuol capire e a Zaccheo Gesù si rivela come l’amore di Dio fatto Persona e fatto Uomo. In questo testo il Signore non adduce i motivi della Sapienza (è creatura di Dio) ma dice è figlio di Abramo vi è un legame concreto, di una discendenza ben concreta vedi Mt 1,1.
È l’amore misericordioso attraverso un fatto concreto di generazione umana e fa sì che l’amore diventi Uomo.
Noi diventiamo figli di Dio in questo Figlio.
L’amore di Dio non è più ancorato all’operazione di Dio, ma all’essere intimo di Dio, di Dio Padre, di Dio Figlio, non è più nel rapporto creazionale, ma nel suo essere stesso, Padre del Figlio, Figlio che si è fatto Uomo, che Egli perdona.
… La conseguenza è forte: se per cogliere l’esistenza era necessario cogliere la misericordia di Dio, ora per cogliere Dio non solo devo riconoscere l’amore misericordioso di Dio ma cogliere il Figlio che è nel seno del Padre e che si è fatto Uomo e si è sacrificato per me.
Lui, essendo il Padre, ci ha dato il Figlio e lo ha crocifisso per me.
Se è così, deve essere grande il mio peccato: Gesù è morto per me, quindi indicibilmente grande deve essere il mio peccato.
Tutto l’episodio di Zaccheo è qui: gli altri mormorano per il peccato di Zaccheo e non vedono Gesù, Zaccheo vede il suo peccato e vede Gesù»

(d. Giuseppe Dossetti, appunti di omelia 31.10.1971)

***

Zaccheo è un ricco, anzi un ricco quasi emblematico. Non è ricco per natura – posto che si possa esser ricchi per natura – ma è ricco per scelta di vita. È un esattore delle tasse e nel sistema di allora le tasse venivano appaltate.
Uno appaltava la riscossione facendo un’offerta molto alta ai dominatori, e si rifaceva sui poveri per guadagnare quel che aveva speso e naturalmente molto di più.
Zaccheo era strutturalmente ricco iniquo.
Ecco perché il popolo considerava i pubblicani come peccatori pubblici. Contro di loro era il disprezzo, obiettivamente meritato, dobbiamo dire.
Ma questo è il limite del nostro cuore!
Il cuore di Dio è più grande del nostro.
Gesù combatte non solo i farisei che lo accusavano di sedere a tavola con i peccatori, di vivere insieme agli emarginati, anche alle prostitute, ma riprova il simmetrico atteggiamento di chi lo condanna perché va a mangiare con un ricco.
 Forse Gesù era un interclassista?
Forse a Gesù andavan bene tutti?
No: il suo giudizio sulla ricchezza è inequivocabile, anzi si potrebbe accusare di un eccesso di severità dato che Egli giudica la ricchezza sempre iniqua.
Come riuscì a sottrarre al giudizio dei farisei l’adultera, così egli sottrae Zaccheo al giudizio della folla.
Egli dice a Zaccheo: «Oggi sono in casa tua».
Invece di cercare Gesù, Zaccheo si sente cercato, Gesù si propone come ospite conviviale in casa sua.
L’atto di Gesù trova senso nel risultato: Zaccheo si converte prendendo una decisione chiara: «Do la metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato restituisco quattro volte tanto».
Zaccheo esce dalla struttura di uomo iniquo e si pone dalla parte di Gesù.
Un cambiamento che diventa, oltre che interiore, sociale.
Questo discorso che è – lo avete capito anche dall’ andamento del mio modo di parlare – faticoso, pieno di tranelli, è però necessario, in modo particolare in un momento come questo.

 (Tratto da: Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace”- vol. 3 )

Festa di Tutti i Santi – Le beatitudini sono la buona notizia … vivendole possiamo contribuire efficacemente a sciogliere le conflittualità , a ricucire le situazioni lacerate dalla violenza e dall'odio .

santiOggi facciamo memoria della comunione dei santi, contempliamo la mietitura di tutti i sacrifici viventi offerti a Dio, celebriamo la festa in cui risplende più che mai il corpo di Cristo nella storia.
Nella fede viviamo un grande mistero: i morti per Cristo, con Cristo e in Cristo sono con lui viventi e, poiché noi siamo membra del corpo di Cristo ed essi membra gloriose del corpo glorioso del Signore, siamo in comunione gli uni con gli altri, chiesa pellegrinante con chiesa celeste, insieme formanti l’unico e totale corpo del Signore.
Ma cos’è la santità, che oggi noi meditiamo e cantiamo quale vocazione di ogni uomo e di ogni donna?
La risposta a questa domanda ci viene dal brano evangelico delle beatitudini, le acclamazioni di Gesù con cui si apre il «discorso della montagna» (cf. Mt 5,1-7,27).
Le beatitudini non possono essere lette solo come un testo poetico o dai forti contenuti morali, o ancora come un brano sapienziale: in verità esse sono buona notizia, Vangelo, in quanto atteggiamenti vissuti radicalmente da Gesù e, come tali, devono diventare lo stile di vita del cristiano. ( E. Bianchi )
 

”Le beatitudini sono atteggiamenti che risanano l’umanità , soprattutto nel drammatico momento storico attuale. Se viviamo le beatitudini della povertà, della mitezza e della misericordia, possiamo contribuire efficacemente a sciogliere le conflittualità , a ricucire le situazioni lacerate dalla violenza e dall’odio ….

Se diventiamo operatori di pace  possiamo sconfiggere la violenza verbale con parole di bonta’.

Se abbiamo un cuore puro possiamo far risplendere la luce della speranza anche nella notte più oscura del mondo .

Tra i santi non ci sono solo i santi presso Dio.

E’ pure bello ricordare tutti quei santi non canonizzati, ma che sappiamo partecipi della gloria di Dio come i molti martiri del nostro tempo che sono morti per il nome di Gesù, fino agli ultimi uccisi in Pakistan qualche giorno fa. ( C.M.Martini )

 
Siamo  chiamati ad accogliere le beatitudini quale interrogativo e pungolo che mette in questione la nostra fede, la nostra sequela del Signore Gesù e, più precisamente, la nostra gioia e felicità nel vivere il Vangelo. Sì, perché le beatitudini riguardano il rapporto tra fede e felicità!
Ora, sappiamo bene che la beatitudine, la felicità deriva innanzitutto dall’avere un senso nella propria vita, dal possedere una direzione, una ragione per cui vivere: e solo quando gli uomini conoscono una ragione per cui vale la pena perdere la vita, cioè morire, essi trovano anche una ragione per vivere.
Ebbene, le beatitudini aiutano a scoprire questa ragione e così consentono di dare un «senso» alla vita, all’operare dell’uomo: per nove volte Gesù proclama beati quanti vivono alcune precise situazioni, in grado di facilitare il loro cammino verso la piena comunione con Dio. Egli ci rivela che la beatitudine non viene da condizioni esterne, non viene dal benessere, dal piacere, dal successo, dalla ricchezza; essa nasce invece da precisi comportamenti destinatari di una promessa di felicità da parte di Dio, comportamenti che vanno assunti nel cuore e manifestati nella vita quotidiana.
  Essere poveri nello spirito, nel cuore, cioè aderire alla realtà ed essere liberi al punto da accogliere le umiliazioni e accettare di sottomettersi ogni giorno ai fratelli; essere capaci di piangere, grazie a un cuore toccato dalla propria e altrui miseria; assumere in profondità la mitezza, lottare per rinunciare alla violenza in ogni sua forma; avere fame e sete che regnino la giustizia e la verità; essere puri di cuore, cioè avere su tutto e su tutti lo sguardo di Dio; praticare la misericordia e fare azione di pace; essere perseguitati e calunniati per amore di Gesù: tutto questo significa conoscere la beatitudine già qui, in questa vita, e poi nel «mondo che verrà», quello in cui Dio regna definitivamente.
Chi si trova in queste situazioni, chi a fatica cerca di assumere questi atteggiamenti, ascoltando le parole di Gesù può conoscere che l’azione di Dio è a suo favore: e così sperimenta la beatitudine, giunge alla consapevolezza che il giudizio di Dio è un giudizio beato, che sarà per lui gioia e buona notizia.
Nulla da temere dunque nel giorno del giudizio (cf. 1Gv 4,17-18), nel tempo della mietitura, ma anzi l’attesa che il giudizio si compia e siano finalmente stabilite la giustizia e la verità negate sulla terra.
Ecco la domanda decisiva: è possibile al cristiano trovare gioia nel vivere le beatitudini qui e ora?
Essa ha ricevuto e riceve una risposta positiva, non però in modo trionfale, non attraverso forme eclatanti agli occhi del mondo, bensì nelle vite quotidiane, sovente nascoste, di uomini e donne: i santi, persone che, nonostante le loro contraddizioni e il loro peccato, cercano di seguire Gesù vivendo il suo stesso stile di vita, lo stile delle beatitudini.
Davvero «noi non siamo soli, ma siamo avvolti da una grande nuvola di testimoni» (Eb 12,1), i santi: con loro formiamo il corpo di Cristo, con loro siamo i figli di Dio, con loro saremo una cosa sola con il Figlio nel Regno. ( E. Bianchi )

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